Chemistry-X – Click Less And Jam Mo’

Il gruppo ricorda alcune delle band che fecero fuoco e fiamme sul mercato dell’epoca, anche se le ottime intuizioni ritmiche e l’assoluta padronanza dei mezzi fanno dei Chemistry-X una realtà del tutto personale.

Ebbene si, c’è ancora nel 2016 chi ha il talento e la voglia di suonare nu metal, quello vero, il genere che sul finire degli anni novanta e per i primi anni del nuovo millennio spodestò il grunge dal trono delle preferenze degli appassionati di tutto il mondo e, a colpi di ritmiche potenti, chitarre sature e rap, conquistò il mondo della musica rock/metal.

Non siamo in America, ormai aldilà dell’oceano nessuno si sognerebbe di registrare un album come Click Less And Jam Mo’, ma in Italia, precisamente in Abruzzo (Sulmona) e la posse in grado di farci saltare come grilli psicopatici si chiama Chemistry-X.
Il gruppo, un quintetto, muove i primi passi nel 2008 nascendo dalle ceneri dei Bad Pudge dove militavano Fuckin’ FiL (voce), D-Exp (chitarra) e Batterio (batteria).
La band, completata dal percussionista Turco e dall’inumano bassista Dild-1, nel 2011 licenzia l’ep First Lady Takes Time, dunque cinque anni separano questo primo lavoro sulla lunga distanza dal precedente lavoro, tanti, ma ne è valsa la pena visto l’ottimo lavoro che vi vado a presentare.
Nu metal dicevamo, quindi dimenticatevi tutto ciò che di core vi è stato proposto in questi ultimi anni: di suoni cosiddetti moderni, ormai lanciati verso l’oblio da un mercato saturo di proposte, su Click Less And Jam Mo’ non ne troverete neanche una nota, la musica del gruppo appartiene in tutto e per tutto alla scena statunitense di una ventina di anni fa, ma impreziosita da una serie di varianti musicali che fanno di queste composizioni un bellissimo caleidoscopio di colori e suoni.
Salsa, ritmi tribali, funky, metal e rap si danno daf are in un’orgia di crossover, davvero intrigante, a tratti irresistibile, con il basso che pulsa impazzito, la voce che, diciamolo, mette in fila molti dei colleghi dell’epoca, mentre le percussioni creano vortici di ritmi ipnotici e la chitarra urla metallica la propria nobile origine.
Ne esce un album bellissimo, magari fuori tempo massimo, ma a chi non frega niente di mode ed altre amenità un esempio fulgido di cosa si creava ai tempi sotto l’etichetta di crossover/nu metal.
Girate la manovella del volume al massimo e cominciate a saltare sotto i letali colpi delle varie Venomous Inside, Day Off, Viral, la devastante Compulsive Liar e la spettacolare cover di Galvanize dei The Chemical Brothers che, accompagnate da una track listdi gran livello, vi regaleranno un tuffo sontuoso nel più scatenato sound dove rap e metal trovarono la loro perfetta alchimia.
Il gruppo ricorda alcune delle band che fecero fuoco e fiamme sul mercato dell’epoca, anche se le ottime intuizioni ritmiche e l’assoluta padronanza dei mezzi fanno dei Chemistry-X una realtà del tutto personale.

TRACKLIST
01. Intro
02. Venomous Inside
03. Y’all Bounce
04. Day Off 0
05. Sex Hides The Way
06. Jam Mo’
07. Viral
08. Galvanize (The Chemical Brothers cover)
09. Compulsive Liar
10. Taste My Payback
11. All But Real
12. Outro

LINE-UP
Fuckin’ FiL – voice
D.3xp – guitars
Turco – percussions
Dild-1 – bass
Batterio – drums

CHEMISTRY-X – Facebook

Fabiano Andreacchio & The Atomic Factory – Living Dead Groove

Un sound non da tutti, specialmente se si è ancorati ai soliti cliché.

Esce sotto l’ala della Sliptrick Records il nuovo lavoro del bassista Fabiano Andreacchio dopo le fatica strumentale dello scorso anno intitolata Bass R-Evolution.

Il nuovo progetto si chiama Fabiano Andreacchio & The Atomic Factory, dove il musicista è dedito, insieme a Mikahel Shen Raiden (chitarra e voce) e Nicola De Micheli (batteria), ad una sorta di industrial metal dalla forte impronta techno, valorizzato da scorribande progressive con sempre in evidenza il gran lavoro della sezione ritmica condotta dal basso, usato dal protagonista non solo come strumento di accompagnamento ma vero propulsore del sound alquanto originale dell’album, intitolato Living Dead Groove.
Un sound non da tutti, specialmente per chi è ancorato ai soliti cliché, perché la musica spazia senza freni tra frenetiche ritmiche industrial, con toni vocali che richiamano la musica elettronica in stile Kraftwerk, e metal che ha tanto di estremo, moderno, ma pur sempre convogliato in un’espressione sonora che richiama i Cynic ed i gruppi totalmente slegati dalle briglie dettate dai generi.
Quattordici brani in quasi cinquanta minuti di musica senza freni, dove l’elettronica ha comunque la maggior parte dei pregi nel rendere l’ascolto molto vario ed assolutamente appagante, grazie anche ai suoni che escono potenti e cristallini, in overdose industriale e con il progressive a spezzare la tensione con atmosfere dilatate e ariose.
Geniale la cover di Smell Like Teen Spirit dei Nirvana, qui intitolata Smell Like a Corpse, da bass heroes le neanche troppe divagazioni strumentali, dove tutto il talento di Andreacchio è ben in evidenza, mentre sono da applausi un paio di tracce che mettono in risalto l’anima death prog del lavoro (Hypocrsy e Cangrene).
Non mancano gli ospiti che vanno a valorizzare molti dei brani dell’album, come Jeff Hughell (Six Feet Under), Brian Maillard (Dominici, Solid Vision), Dino “Bass Shred” Fiorenza (Y. Malmsteen, E. Falaschi), Gabriels, Francesco Dall’O’ e altri.
Un album che dividerà critica e pubblico,ma che ha nella sua anima crossover il vero punto di forza: dategli un ascolto.

RACKLIST
1.Zombie’s Breakfast
2.Not Dead Yet
3.Corpse’s Hill
4.Splatter Head feat. Gabriels
5.S.o.S. feat. Dino Fiorenza
6.Hypocrisy
7.Cangrene feat. Brian Maillard
8.X-Cape feat. Francesco Dall’O’
9.End of Abomination feat. Jeff Hughell
10.Smell Like a Corpse
11.Creepy Groove feat. G. Tomassucci
12.Hypocrisy Francesco Zeta Rmx
13.Corpses Hill Smoke DJ Rmx
14.End of Abomination Acoustic

LINE-UP
Fabiano Andreacchio-Bass and Vocals
Mikahel Shen Raiden-Guitar and Backing Vocals
Nicola De Micheli-Drums

ATOMIC FACTORY – Facebook

The King Must Die – Murder All Doubt

Il quintetto capitanato dal super tatuato vocalist Doggi ha scritto un gran bel lavoro, duro, aggressivo ed ultra heavy, pane per i fans del thrash che non disdegnano ascolti classici e moderni.

La scuola statunitense, specialmente quella della Bay Area, negli ultimi trent’anni ha forgiato un esercito di gruppi che hanno portato in termini di qualità e successo grosse soddisfazioni a tutto l’ambiente metallico.

Nei generi estremi come il death metal e il thrash, poi, possiamo sicuramente considerare la scena californiana come la patria di queste sonorità, in seguito amalgamate con altre sonorità creando ibridi più o meno riusciti.
Dopo gli anni d’oro con l’esplosione del thrash e di seguito quello del death metal, anche la costa californiana ha patito a livello di popolarità il successo dei suoni alternativi, ma ancora oggi continuano a nascere realtà che si muovono su territori old school, alcune come nel caso dei The King Must Die riuscendo a far convivere scuola classica ed attitudine moderna con ottimi risultati.
Sulla scia di gruppi come per esempio i Machine Head, band come il quartetto in questione riescono nell’intento di creare un sound che, pur scolpito nel passato, risulta moderno ed in linea con le sonorità più attuali, e l’esito è una mazzata di metallica dalle ritmiche e dai mid tempo scolpiti negli anni novanta, dai solos classici e melodici uniti a , botte adrenaliniche pregne di groove micidiale e, appunto, tanta attitudine moderna.
Il quintetto capitanato dal super tatuato vocalist Doggie, al secondo lavoro autoprodotto dopo l’esordio uscito due anni fa (Sleep Can’t Hide the Fear), ha scritto un gran bel lavoro, duro, aggressivo ed ultra heavy, pane per i fans del thrash che non disdegnano ascolti classici e moderni.
Il sound esplode in un tsunami di metallo potentissimo, tra sfuriate ritmiche old school e cadenzate marce moderne e dall’abbondante uso di groove: il vocalist si scaglia sul microfono regalando una prova tutta grinta e violenza e le chitarre ci abbattono con riffoni ultrà heavy, ora con solos melodici e ben incastonati nel sound tempestoso di questo Murder All Doubt.
Insomma, le varie In Blood, The Only Way We Bleed e Reflection Spills per esempio, oltre a risultare dei brani trascinati, sono la perfetta via di mezzo tra Testament, Machine Head e Suicidal Tendencies.
Al sottoscritto sono piaciuti e tanto, se vi ho incuriosito non vi resta che cercare Murder All Doubt e regalarvi una sferzata di adrenalina metallica perfettamente calata nel nuovo millennio.

TRACKLIST
1. Well Being
2. In Blood
3. Murder All Doubt
4. A New Hell You Embark
5. Choose Them Wisely
6. Reflection Spills
7. Broken
8. The Only Way We Bleed
9. For This We Live
10. These Later Years

LINE-UP
Scott Paterson – Bass
Corky Crossler – Drums
Kent Varty – Guitars
Mike Sloat – Guitars
Doggie – Vocals

THE KING MUST DIE – Facebook

Motorfingers – Goldfish Motel

Goldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

E’ indubbio che le sonorità provenienti dagli states abbiano influenzato l’Europa intera, specialmente in ambito hard & heavy ed anche il nostro paese, certo non immune dalle influenze musicali provenienti dal nuovo continenente.

Così pur riconoscendo alla nostra scena un livello qualitativo molto alto, soprattutto negli ultimi tempi, è pur vero che, nell’hard rock e nel metal moderno le ispirazioni sono da sempre riscontrabili nella musica statunitense.
Questo non risulta un difetto anzi, molte volte le nostre realtà (come per esempio i Motorfingers) non sfigurano di certo al cospetto con le super produzioni americane, confrontandosi alla pari con molti gruppi, conosciuti per un martellamento a tappeto sui canali satellitari e radio, ma poi a conti fatti senza nulla da invidiare loro.
E’ dal 2008 che la band nostrana porta in giro la sua musica, una storia che riflette quella di molte altre: cambi di line up, buoni riscontri tra gli addetti ai lavori, due ep ed un primo full length (Black Mirror) uscito nel 2012 per la logic(il)logic Records, label nostrana che licenzia dopo quattro anni anche questo nuovo lavoro.
Ancora qualche aggiustamento nella line up, vede la formazione oggi composta da Max e Spezza alle chitarre, Alex alle pelli e i due nuovi entrati, il bassista Faust (ex Golden Sextion) ed il vocalist Abba dei notevoli Nightglow, autori un paio di anni fa dello splendido Orpheus .
Goldfish Motel è composto da undici tracce di metal rock moderno, grintoso ed aggressivo, dove non mancano ottime ballad dal mood drammatico ed un’anima oscura che aleggia sulla musica del gruppo.
L’alternanza tra metal ed impulsi hard rock, l’ottimo groove che sprigiona dai brani, le sei corde dai riff pieni e dai solos taglienti, le ritmiche grasse ed il cantato sopra le righe, fanno di questo lavoro un ottimo esempio di musica dura, perfettamente a suo agio in questo primo scorcio del nuovo millennio.
Il gruppo non le manda a dire, si tuffa nel rock moderno con piglio e personalità, certo la bandiera a stelle e strisce è ben posizionata dietro al drumkit di Alex, ma i brani mantengono un appeal molto alto, l’aggressività del sound è molte volte bilanciata da chorus melodici, le ritmiche moderne con solos sfacciatamente classici, facendo funzionare alla grande questo lavoro.
Le canzoni in cui dove la band spinge sulla potenza non fanno prigionieri (Obscene), i mid tempo lasciano a brani più smaccatamente rock (Day Of Dawn, l’irresistibile Eat Your Gun) il compito di tenere alta la tensione, elettrizzanti spunti che conducono dalle parti dello streets metal (Disaster) sono assopiti da ballad mai banali, e molto intense (XXXIII e Nothing but a man) variando non poco il songwriting di un lavoro riuscito in pieno.
Bersaglio centrato per i MotorfingersGoldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

PS. Abba si dimostra come uno dei migliori cantati in circolazione nel nostro paese, almeno per il genere, un  grande acquisto in casa Motorfingers.

TRACKLIST
01. Walk On Your Face
02. Behind This Fire
03. Obscene
04. Day Of Dawn
05. XXXIII
06. Burning Down
07. Nothing But A Man
08. Pull The Tail
09. Disaster
10. Tonight
11. Eat Your Gun

LINE-UP
Abba – Vocals
Max – Guitar
Spezza – Guitar, Backing Vocals
Faust – Bass
Alex – Drums

MOTORFINGERS – Facebook

Darkhaus – When Sparks Ignite

Ottimo lavoro in un genere molto più difficile da gestire di quanto si possa pensare

L’alleanza o l’alchimia tra il metal e sonorità pop dal taglio elettronico e dark, ha portato in questi anni molta fortuna ai gruppi che si sono cimentati nel genere, con singoli ruffiani e dalle ritmiche irresistibili, passati senza soluzione di continuità nei club e sui canali satellitari, ad uso e consumo di chi preferisce ascolti poco impegnativi e alternativi al solito rock da classifica.

Con alterne fortune, le band in questione non si contano più, il sound proposto ultimamente sta tirando leggermente la cinghia non fosse appunto per gruppi come i Darkhaus, al secondo lavoro dopo l’esordio My Only Shelter uscito ormai tre anni fa.
Una band dal taglio internazionale, non solo per il sound proposto, ma soprattutto nella line up che vede Gary Meskil dei ben più temibili Pro Pain, affiancato da una manciata di musicisti di diverse nazionalità.
Infatti dietro al microfono troviamo lo scozzese Ken Hanlon, l’austriaco Rupert Keplinger alla sei corde ed il tedesco Paul Keller alle pelli, senza dimenticare l’altro arrivo da casa Pro Pain, Marshall Stephens.
Una band internazionale appunto come la propria proposta: When Sparks Ignite infatti segue il mood del primo lavoro, un rock/metal dal taglio moderno elettronico e dark pop, molto melodico, con tutti brani di ampio respiro e qualche riff grintoso piazzato qua e là per piacere (non poco) ai fans orfani degli ultimi Sentenced, e dei Rammstein meno marziali.
Il cantato melodico e ruffiano, porta con sé molto della dark wave anni ottanta, così come qualche atmosfera da vampirelli metropolitani che faranno la gioia dei fans più giovani.
Tutto funziona però e molto bene, l’album è colmo di belle canzoni, orecchiabili e curate in ogni dettaglio, non una nota fuori posto, come si evince dall’ascolto dell’album, e in molti casi i chorus si stampano in mente al primo passaggio.
Cinquanta minuti per un album del genere non sono pochi, ma il gruppo non perde un colpo collezionando una raccolta di brani che mantiene un appeal altissimo per tutta la sua durata.
Difficile trovare un brano che spicchi sul resto, ma vi propongo tre titoli: l’opener All Of Nothing, After The Heartache e To Live Again, tracce che non mancheranno di affascinare, melodiche, ruvide e pregne di appeal radiofonico.
Ottimo lavoro in un genere molto più difficile da gestire di quanto si possa pensare, promosso a pieni voti.

TRACKLIST
1. All Of Nothing
2. The Last Goodbye
3. Feel My Pain
4. Second Chance
5. After The Heartache
6. Helpless
7. Devil’s Spawn
8. Oceans
9. Lonesome Road
10. To Live Again
11. Tears Of Joy
12. Bye Bye Blue Skies

LINE-UP
Ken Hanlon – Vocals
Rupert Keplinger – Guitars
Marshall Stephens – Guitars
Gary Meskil – Bass
Paul Keller – Drums

DARKHAUS – Facebook

Metharia – Questo è Il Tempo

Un lavoro di rock alternativo che non fa mancare ruvida energia metallica, oltre ad un gustoso mood elettronico che rende la proposta fresca ed al passo coi tempi.

Napoli, città dove la musica è di casa, è conosciuta in tutto il mondo per la tradizione della sua canzone melodica, virtù popolare di gente che il ritmo lo ha nel sangue.

Ma, sotto le melodie che profumano dei vicoli e delle storie di questo straordinario popolo, batte forte un cuore rock’n’roll con una scena che ogni anno ci regala splendide realtà, pescando da molti dei generi cardine della nostra musica preferita.
Una scena alternative che, negli anni novanta, ha portato non poche band agli onori delle cronache (su tutti gli storici 99 Posse) è ora patria di molte realtà rock/metal affacciatesi con forza negli ultimi anni sulla scena nazionale.
La Volcano Records & Promotions, etichetta nata proprio nel capoluogo campano e attiva a livello nazionale ed europeo nel supportare l’hard & heavy, firma il nuovo lavoro della storica band dei Metharia, gruppo attivo dal 1999 con una storia alle spalle fatta di molte soddisfazioni, forzati stop e cambi di line up che ne hanno frenato la carriera ma certamente non la voglia di suonare rock.
Tornano dunque, a sei anni di distanza dall’ep Ockulta Informazione, con Questo è Il Tempo, un lavoro di rock alternativo che non fa mancare ruvida energia metallica, oltre ad un gustoso mood elettronico che rende la proposta fresca ed al passo coi tempi, pur non facendo mistero delle proprie ispirazioni.
Cantato ottimamente in italiano, l’album offre un panorama esaustivo sulla scena rock degli ultimi tempi: la band parte da una forte base alternative, con dosi di Litfiba che scorrono nelle vene del quartetto nostrano, ma rielaborate con un gusto internazionale.
Tra le trame del disco il metal moderno non manca immettere groove tra gli attimi più energici, l’atmosfera si mantiene grigia, quasi dark, con rimandi alla scena new wave ottantiana, specialmente quando liquidi tappeti elettro- rock divengono fondamenta al sound, ed il resto lo fa una produzione di alto livello, perfetta nel sottolineare i molti dettagli nella musica dal combo napoletano.
I brani si mantengono su un ottimo standard, l’alternarsi dei colori nell’atmosfera dell’album tiene alta l’attenzione, con picchi di grondante rock/metal alternativo come l’opener Roghi Di Idee, Echi e Frequenze, Non Esiste Un Motivo e la splendida Karma, senza dimenticare la splendida cover di Impressioni Di Settembre, storico brano della sempre mai abbastanza lodata Premiata Forneria Marconi.
Per i Metharia un ottimo ritorno che dovrebbe essere nelle corde di chi ama il rock alternativo e dei metallari dotati di sufficiente apertura mentale.

TRACKLIST
1. Roghi di idee
2. Universi distanti
3. Echi e frequenze
4. Un’ultima volta
5. Non esiste un motivo
6. Karma
7. Frammenti
8. Scie chimiche
9. Luce senz’anima
10. Figlio della terra
11. Impressioni di settembre
12. Nephilim

LINE-UP
Raul Volani – Bass Guitar, Vocals
Giuseppe Arena – Guitars
Ciro Cirillo – Bass Guitar
Alessandro Romano – Drums

METHARIA – Facebook

Haniwa – Helleven

C’è da divertirsi tra i meandri della musica degli Haniwa

Sotto l’etichetta di modern metal si nascondono molti modi di fare musica dura, le band che per semplicità vengono catalogate con questo appellativo molte volte hanno un bagaglio di influenze delle più disparate, che passano dal metal tout court, all’alternative, dall’industrial groove al prog, elaborando molte volte spartiti originali.

Certo, per i fans duri e puri o semplicemente poco inclini alle novità che in questi anni hanno fortunatamente rinfrescato il genere, l’imbastardimento delle sonorità classiche è visto come tradimento ad una formula che, sia chiaro, funziona ancora, ma che spesso ha bisogno di qualche scossone per non risultare piatta ed alla lunga noiosa.
Per gli amanti della musica dura, ma con i padiglioni auricolari sempre attenti alle nuove proposte, non mancano invece le proposte che dissetano la loro voglia di uscire dagli schemi.
Chiaro che i riferimenti vanno tutti aldilà dell’oceano e negli ultimi trent’anni di metal/rock, anche per questo trio fiorentino al debutto tramite la Qua’Rock con questo ottimo esempio di metallo pregno di sonorità moderne, amalgamate ad un tiro thrash metal, con riverberi progressivi ed un approccio alternativo.
Loro sono gli Haniwa e appunto questo Helleven è il primo lavoro sulla lunga distanza, dopo un primo ep che è servito per forgiare il sound, ora al massimo della sua potenzialità su questi undici brani.
David Degl’Innocenti, basso e voce, Angelo Colletti chitarre, Mr.Crini batteria, confezionano un lavoro molto interessante, partendo da una base thrash di stampo statunitense (Metallica) ma rivitalizzandolo con dosi massicce di moderno alternative rock, ed una vena progressiva e matura che avvicina il sound alle geniali schermaglie di Devin Townsend.
Un’attenzione particolare alle melodie, un cantato che alterna pura aggressione thrash e grinta rock e qualche passaggio estremo, sono le credenziali di Helleven, che non smette di tenerci incollati alle cuffie fino ai titoli di coda.
C’è da divertirsi tra i meandri della musica degli Haniwa: ritmi incalzanti, esplosive canzoni ricalcalcanti il mood moderno che ha infettato positivamente il thrash  e note destabilizzanti che passano con disinvoltura tra estremismo e voglie alternative.
Una bella bordata che ha nella title track, Volcano e Tides Of Time i suoi picchi, nonché esempi fulgidi del credo musicale del trio toscano, una realtà da seguire con attenzione.

TRACKLIST
01.No More
02.@daggers Drawn
03.Tomorrow
04.Think This
05.Volcano
06.Tides Of Time
07.Haniwa
08.Fire Eyes
09.Return To Obscurity
10.Suffer
11.Helleven

LINE-UP
Angelo Colletti -Guitars
David Degl’Innocenti -Bass and Vocals
Mr. Crini-Drums

HANIWA – Facebook

Burning Rome – The New Era Begins

Un album intenso, perfetto esempio di come la parte più moderna del metal possa ancora regalare ottima musica

Eccola la risposta a chi afferma che di questi tempi le troppo uscite discografiche saturano il mercato, delirando con affermazioni discutibili su come nell’underground un numero così elevato di album e nuove band non fanno che abbassare il livello qualitativo e confondere i poveri recensori di turno, obbligati agli straordinari per tenere testa all’invasione musicale in atto.

La fortuna di chi spende il suo tempo libero nel supportare lo svariato ed affascinante mondo dell’underground (specialmente quello metallico) è proprio quello di trovarsi (grazie al cielo) molte volte al cospetto di gruppi sconosciuti ai più o appena formati, protagonisti di opere di grande valore artistico, insomma il succo di questo hobby/lavoro.
Così succede che al sottoscritto presentino questo nuovo progetto torinese chiamato Burning Rome e che, prima sorpresa, dietro al microfono ha Beppe Jago Careddu, singer dei dark/new metallers piemontesi Madwork, protagonisti un paio di anni fa con l’ottimo Obsolete, secondo lavoro recensito sulle pagine di Iyezine.
Licenziato dalla nostrana Underground Symphony, il debutto di questo giovane gruppo ha chiaramente nel David Draiman nostrano (così lo descrissi all’epoca di Obsolete) il suo punto di forza, anche se il gruppo risulta compatto e con ottime individualità, creatore di un sound che con le sue ispirazioni ed influenze ben in evidenza, risulta fresco, accattivante e senza sbavature da esordio.
Una qualità non da poco, infatti The New Era Begins è curato in tutti i dettagli, compresa una personalissima copertina (con tanto di gorilla guerriero probabilmente ispirato al Pianeta Delle Scimmie), un’ottima produzione ed un gran lavoro in fase di arrangiamento.
Siamo nell’alternative metal o nu, come preferite, chiaramente ispirato alla scena statunitense, spogliato dalle sonorità dark dei Madwork (tanto per non cadere in equivoci) e molto più diretto.
Tanto groove, ritmiche pesanti come incudini ma mai portate al limite, ritornelli curati e vincenti, un’ottima prova generale con il singer che anche questa volta si rende protagonista di una prova intensa, emozionale e sopra le righe mantenendo l’approccio alla Disturbed, ma espandendo i confini vocali che seguono il mood dei brani, ora chiaramente ispirati ai System Of A Down (The Same Old Story) ora ai Deftones (Lonely Boy), in un contesto melodicamente drammatico così come il concept, ispirato all’uomo e al suo vivere in un mondo pieno di sofferenza e completamente privo di emozioni positive.
The New Era Begins risulta così un album intenso, perfetto esempio di come la parte più moderna del metal possa ancora regalare ottima musica, lontana dai facili successi di una ventina d’anni fa, ma espressiva e coinvolgente se suonata con il cuore.
L’album abbonda di canzoni sopra la media (Silence And Me, The Art Of Bleeding, This Is The Place) e raggiungere la fine risulta un attimo, sopraffatti dalla varietà di un songwriting che gioca con potenza e melodia, drammaticità e dolcezza in un susseguirsi di hit che faranno la gioia di chi del metal ama la parte più moderna e (passatemi il termine) cool.
Bellissimo esordio e una gradita sorpresa ritrovare un interprete come Jago in perfetta forma: Burning Rome promossi a pieni voti.

TRACKLIST
1.In Hoc Signo Vinces
2.Silence And Me
3.Lonely Boy
4.Never Never
5.The Art Of Bleeding
6.Into Shadows
7.Who Do You Think We Are
8.The Second Wave
9.The Same Old Story
10.Gravity
11.This Is The Place

LINE-UP
Beppe ‘Jago’ Careddu – Vocals
Luko – Guitars
Six – Guitars
Nicola ‘Nic13′ Baglivi – Bass
Marzio Francone – Drums

BURNING ROME – Facebook

Aftermoon – Phase One

Una raccolta di brani che spazia tra irruenza metal, qualche accenno all’alternative rock e tanta elettronica perfettamente inserita nella struttura di un sound che traccia una sottile linea tra il dark pop ed il metal.

Sotto l’etichetta modern metal si nascondono molte anime della nostra musica preferita, dal sound estremo e quello più raffinato la musica dura viene plasmata tornando in vita sotto altre forme.

Per molti o almeno per chi è ancora imprigionato nelle anguste celle della tradizione a tutti i costi un male, ma per chi ha seguito con interesse tutte le camaleontiche trasformazioni che il metal/rock ha avuto in tutti questi anni, le soprese non mancano di certo.
La Wormholedeath, label nostrana che di musica originale e di qualità fa il suo credo, ci fa partecipi di questo ottimo album, proveniente dall’Ucraina e suonato dagli Aftermoon, band di Kiev attiva dal 2012 e capitanata da un’altra splendida musa che il nostro mondo può vantare, la singer Valeri, elegante e raffinata interprete di questa raccolta di brani che spaziano tra irruenza metal, qualche accenno all’alternative rock e tanta elettronica perfettamente inserita nella struttura di un sound che traccia una sottile linea tra il dark pop ed il metal.
Modern metal diventa ovviamente la più facile soluzione per descrivere la moltitudine di note che all’ascolto di Phase One riempiono di musica le nostre stanze, che si trasformano ai nostri occhi in un paesaggio vellutato, con arcobaleni di tutte le tonalità del rosso ( il metal) e del nero (il dark elettronico).
La band non manca di accontentare gli amanti della musica dura, le chitarre sanno far male all’occorrenza e le ritmiche a tratti si fanno pesanti e potenti, la parte elettronica fa la differenza soprattutto nei brani dove si amalgama alla rabbiosa parte metallica, ed il piano che timido ricama armonie, dona una marcata eleganza che si evince all’ascolto dell’intero album.
Time Crisis, Somewhere e Duality sono gli esempi più fulgidi del songwriting del gruppo, che lascia alla splendida vocalist tutta la meritata gloria con le magnifiche interpretazioni su Silence, To You e Losing Me le canzoni più intimiste e sentite del lavoro.
Un grande lavoro alla produzione rende il suono cristallino e patinato il giusto per non mancare di convincere gli ascoltatori del rock più cool e l’appeal a tratti risulta davvero alto.
Difficile fare dei paragoni, che rimangono più legate al genere che a specifiche band, non vi rimane che ascoltare questo ottimo lavoro ed innamorarvi perdutamente della musica degli Aftermoon e della loro bellissima vocalist.

TRACKLIST
1. In Loving Memory
2. Lumia
3. DeadBorn Revolution
4. Cold
5. Losing Me
6. Runaway
7. Somewhere
8. Duality
9. Silence
10. Daemons
11. Time Crisis
Bonus 12. To you

LINE-UP

Valeri
Ivan
Dmitriy
Sergey
Roman

AFTERMOON – Facebook

Know Your Nemesis – Break The Chains

Break The Chains è sicuramente un’ottima partenza per la band scandinava, una realtà da tenere d’occhio in un prossimo futuro

Melodia e potenza convogliate in un metal moderno che guarda tanto al death melodico scandinavo quanto al metal core è quello che troverete tra i solchi di Break The Chains, esordio dei Know Your Nemesis, quartetto norvegese attivo dal 2009, ma che solo ora si presenta sul mercato grazie alla WormHoleDeath.

Il gruppo di Kongsvinger entra nel calderone delle giovani band dedite al metallo più moderno, ma non si siede sugli allori delle solite ritmiche sincopate e violenza gratuita, il loro sound risveglia antichi sapori melodic death, non facendosi mancare un supporto classico, specialmente nei solos, ma riuscendo a mantenere un approccio moderno e tutto ciò che ne consegue, ovvero tanta melodia e la classica alternanza tra lo screaming estremo ed un’ottima voce pulita.
Break The Chains può sicuramente essere considerato un buon debutto, tra i brani che compongono l’album almeno una manciata sono sopra la media ed il resto si attesta su buoni livelli, considerando il genere inflazionato e le opere scialbe a cui ultimamente ci siamo trovati ad ascoltare.
Prodotto ottimamente, così da far risaltare il sound composto da potenza e melodie cristalline, bilanciate perfettamente tra i chiaro/scuri che l’uso delle due voci imprimono alle canzoni, Break The Chains risulta un lavoro di metallo moderno piacevole, che non manca di riservare piccole sorprese, come un uso parsimonioso ma importantissimo di ritmiche thrash, e solos di estrazione classica che regalano all’ascoltatore un sound vario e che non ha tagliato il cordone ombelicale che lo lega al metal tout court.
Tutti bravi i quattro musicisti norvegesi, ma un plauso va sicuramente al gran lavoro delle due asce, protagoniste indiscusse di questo lavoro, mentre Break The Chains acquista valore col passare dei minuti lasciando il meglio verso la sua fine.
Ed infatti l’album dopo una partenza non così fulminea come ci si può aspettare, cresce col passare dei minuti e da Blind Me (quinta traccia) è un crescendo di scandinavian modern death metal, con i maestri Soilwork a risultare la massima ispirazione di songs come Are We Alone (Unholy War), Freedom Call, End Of Me e la conclusiva Free My Fears.
Break The Chains è sicuramente un’ottima partenza per la band scandinava, una realtà da tenere d’occhio in un prossimo futuro; aspettando di conoscere gli sviluppi del loro sound, nel frattempo godiamoci questo primo lavoro, che senz’altro merita l’attenzione degli amanti del genere.

TRACKLIST
1.Fade Away
2.Metaphor of Broken Dreams
3.Break the Chain
4.Breathe
5.Blind Me
6.Are We Alone (Unholy War)
7.So be It
8.Freedom Call
9.End of Me
10.Free my Fears

LINE-UP
Ole Petter Bjørnseth – Guitar,Vocals
Marius Haugen – Guitar,Backing Vocals
Ole Kristian Bekkevold – Bass
Birk William Hynne – Drums

KNOW YOUR NEMESIS – Facebook

Words That Burn – Regret is for the Dead

Cambi di umori improvvisi, muri di suoni estremi che vengono spazzati via da ariose parti di intense melodie, dove l’elettronica fa da spartiacque tra il rock ed il mood sintetico, mantenendo però il suono caldo e molto coinvolgente.

La WormHoleDeath, conosciuta ai cultori dell’underground metallico mondiale, ci investe da anni di suoni dei più svariati, mantenendo una qualità altissima delle proprie proposte che vanno dai suoni oscuri del black metal e del death, a squisite divagazioni sinfoniche ed ombrose atmosfere dark, ma senza dimenticare il metal più moderno, dal core alla nuova corrente thrash.

Puntualmente, ogni anno nuove band si affacciano nel panorama della nostra musica preferita, portate all’attenzione dei fans dall’infaticabile label, una piovra metallica dal fiuto eccezionale per il talento musicale, specialmente estremo.
Perché alla fine il termine estremo si adatta non solo al black metal o al death, ma a mio parere anche a proposte che, con buon uso della melodia, propongono qualcosa di diverso dagli stereopiti del rock di massa.
Oggi va molto di moda dare ad un album fuori dagli schemi o semplicemente composto da più sfumature prese da vari generi, la descrizione di alternativo, un modo semplice e diretto e che vale tanto per il rock, quanto per il metal, tenendo però sempre presente l’area su cui si muove il sound di un gruppo.
Ecco che Regrets Is For The Dead, primo lavoro sulla lunga distanza degli irlandesi Words That Burn, nuova scoperta dell’etichetta italiana, ha in se molti elementi del metal estremo moderno, melodico, dall’appeal enorme, ma pur sempre estremo, in un contesto alternativo, che dà all’album quel tocco di maturità in più, quindi non solo classico metalcore alla moda, ma un ottimo riassunto degli ultimi anni di musica metal/rock.
Death metal dall’inossidabile e terremotante groove, un uso delle voci perfetto, bilanciato tra l’aggressività dello scream/growl e la perfetta melodicità delle cleans, un uso parsimonioso ma geniale di parti elettroniche e tanto metallo che fulmina all’istante, scariche elettriche che folgorano incastonate in un songwriting di altissima qualità, ed ecco che il succulento piatto è servito dallo chef, per riempire di note estreme ed alternative le pance di noi ingordi consumatori di musica del nuovo millennio.
Il quartetto di Dundalk mostra muscoli e forza esplosiva, ma la contorna con una tempesta di melodie, lasciando alla varietà dei brani proposti il primo vero punto di forza dell’album.
Cambi di umori improvvisi, muri di suoni estremi che vengono spazzati via da ariose parti di intense melodie, dove l’elettronica fa da spartiacque tra il rock ed il mood sintetico, mantenendo però il suono caldo e molto coinvolgente.
Our New Sin, Disappear, Chalklines, l’intensa Mirror Perfect Mannequin, sono i picchi di questo bellissimo lavoro che riconcilia con il metal moderno, consigliato a tutti indistintamente, altrimenti che ci stiamo a fare nell’anno di grazia 2016?

TRACKLIST
1. Our New Sin
2. Unalive
3. Disappear
4. Chalklines
5. Hush
6. Scars
7. Mirror Perfect Mannequin
8. In This Moment
9. The Phoenix
10. Last Breath

LINE-UP
Roni MacRuairi – Vocals & Guitar
Ger Murphy – Bass & Vocals
Shane “Beano” Martin – Guitars & Vocals
Jason Christy – Drums

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Craigh – Of Dreams And Wishes

Of Dreams And Wishes esplora un po’ tutte le atmosfere racchiuse nel metal più cool, dal metalcore al nu metal, fino all’alternative, con buona padronanza degli strumenti ed un ottimo talento melodico.

Il pagliaccio in copertina ricorda lo Stephen King del capolavoro It o il circo degli orrori della quarta stagione di American Horror Story: Freak Show, un invito ad entrare sotto il tendone dove ad aspettarci ci sono i Craigh, giovane band svizzera, al debutto per la Dark Wings con questo intrigante Of Dreams And Wishes.

Molto attiva sotto il fronte live, dove i ragazzi d’oltralpe si sono fatti le ossa ed affinato la loro tecnica, la band sforna un debutto dall’alto appeal, il loro metal moderno che richiama il più estremo metalcore, è infarcito da una valanga di melodie orecchiabili, facendo del gruppo una band dall’alto potenziale commerciale.
Vedremo, nel frattempo Of Dreams And Wishes esplora un po’ tutte le atmosfere racchiuse nel metal più cool, dal metalcore al new metal, fino all’alternative, con buona padronanza degli strumenti ed un ottimo talento melodico
Se siete amanti di queste sonorità, l’album racchiude molte hits, un concentrato di quello che il genere, ormai inflazionato, a dire il vero, ha saputo donare ai fans di tutto il mondo, suonato con una carica di giovane pazzia che è la maggiore virtù dei nostri.
Ritmiche indiavolate, buone soluzioni chitarristiche ed un cantante a suo agio sia nello scream che troverete su ogni album del genere, sia soprattutto nelle clean vocals, pronto a far innamorare orde di giovani metallare dall’headbanging facile.
Quasi cinquanta minuti di suoni metallici moderni non sono pochi, ma le varie Deathless Wings, The Hearts Drive, Every End e Shattered, ci accompagnano in questo mondo di giocolieri, acrobati e freaks di ogni tipo, per mano al temibile pagliaccio, che poi tanto cattivo non è, anche se a noi fa paura, così come le scariche adrenaliniche di una band che quando ci si mette sa come far male, alternando melodia a ruvide esplosioni core, con buona padronanza della materia.
Perfetta la produzione, cristallina e da album top, un fiocco al regalo preparato dai Craigh per tutti gli amanti dei suoni più cool di questo inizio di millennio.
Se son rose fioriranno, nel frattempo godetevi Of Dreams And Wishes, ed attenti al clown, non si sa mai.

TRACKLIST
1. Origin
2. Deathless Wings
3. Ronny B. Johnson
4. Again and Again
5. The Hearts Drive
6. Hate to Love You
7. Every End
8. The Light Inside
9. Going Commando
10. Unity
11. Destroy to Create
12. Shattered
13. Desire Remains

LINE-UP
Sebastian Möbius – Vocals
Michael Rüegg – Guitars
Cyril Neukomm – Guitars
Thomas Münch – Drums
Daniel Gmür – Bass

CRAIGH – Facebook

Khynn – Supersymmetry

Drammatica e rabbiosa, l’aria che si respira tra le tracce di Supersymmetry soffoca, spessa coltre di suoni violenti, sintetici e pregni di groove così da creare una colonna sonora di ribellione metallica

Il death metal melodico ha cambiato pelle molte volte in questi ultimi anni, come un serpente si rinnova costantemente, aggiungendo o togliendo, a piacimento degli artisti, questa o quell’atmosfera che ne rivoltano completamente il mood, ora più vicino allo schema classico nato nei primi anni novanta, ora devastato da ritmiche thrash violentissime, ed ultimamente accompagnato da input provenienti dal più marziale metalcore e dall’industrial.

Tutte pelli di colore diverso dello stesso rettile che continua ad avvelenare ed ipnotizzare i fans in ogni parte del mondo, avendo ritrovato un minimo di freschezza, specialmente nel sempre e comunque bistrattato underground.
Aldilà del confine transalpino, non sono poche le band che al genere aggiungono ottimi inserti industrial core, non ultimi questi musicisti provenienti da Besançon,attivi da quasi una decina d’anni.
Supersymmetry ne è l’ultimo parto, rigorosamente autoprodotto e dal buon tiro, sempre in bilico tra melodic death metal, core e sfumature industrial, moderno, violento ed alquanto ben fatto.
Undici brani che mantengono alta la tensione, con un intermezzo acustico molto suggestivo (Breath Inside Me), ballad che con Living Time stempera per pochi minuti l’assalto portato dal gruppo francese.
Ritmiche ora thrash, ma molte volte indurite da una marzialità core, ottime e personalissime voci (dallo scream, al tono pulito) e tanto groove portano i Khynn a saltellare per il genere, tra la tradizione e le soluzioni moderne di stampo statunitense, creando un ibrido di suoni estremi molto suggestivo e di sicuro impatto.
Drammatica e rabbiosa, l’aria che si respira tra le tracce di Supersymmetry soffoca, spessa coltre di suoni violenti, sintetici e pregni di groove così da creare, dall’opener Tainted Impression in poi, una colonna sonora di ribellione metallica ottimamente descritta dal gruppo transalpino in brani come Walking Dead, Depersonalization e la conclusiva Into the Supersymmetry.
Siamo nel metal moderno, valorizzato da una buona dose di maturità che fa dell’album un buon esempio di come il metal si sappia trasformare: le influenze ci sono e vanno riscontrate nella scena scandinava ed in quella più moderna di stampo statunitense; decisamente un buon lavoro, comunque.

TRACKLIST
1. Tainted Impression
2. God in Hell
3. Black Circles
4. Breath Inside Me
5. Persona
6. Walking Dead
7. Living Time
8. Depersonalization
9. Wasted Time
10. A Wild Night
11. Into the Supersymmetry

LINE-UP
Mathieu Martinazzo – Drums
Fabien Junod – Guitars, Vocals
Samuel Equoy – Vocals, Guitars
Rémi Verchère – Bass

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Cydia – Victims Of System

Questo lavoro è un buon motivo per uscire dai canoni del death classico ed avvicinarsi a sonorità più moderne ma lontane dal deathcore attualmente di moda.

Ormai la musica proveniente dall’est europeo è totalmente sdoganata e tramite molte label attive sul territorio, arrivano a noi ottimi album, non solo di metal classico, ma soprattutto in ambito estremo, dove la scena è tutta da scoprire e da seguire.

Non è così difficile infatti, imbattersi con gruppi dalle buone potenzialità, come, per esempio i Cydia, quartetto di Samara (Russia) che licenzia il suo secondo full length, Victims Of System.
Fondata nel 2007, la band esordisce con il classico demo, per arrivare al 2011 e firmare con la Metal Scrap e tornando sul mercato con il primo lavoro sulla lunga distanza (Evil Sun).
Dopo la pubblicazione di un singolo nel 2012, la band si mette al lavoro sul secondo album, pubblicato in questo ultimo scorcio di 2015.
Victims Of System è un concentrato di metal moderno, dal buon groove e dall’ottimo tiro, lascia dietro di se ritmiche di ruffiano deathcore per puntare sul groove ed un pizzico di new metal anni novanta, con la velocità che alterna fughe a tavoletta a frenate dall’ottimo impatto melodico.
Il quartetto non risparmia l’uso di synth e parti elettroniche, rendendo il sound ancora più moderno, le chitarre graffiano e si lanciano in solos dai rimandi death metal scandinavi, molto melodici e dal piglio classico, che si scontra con l’anima elettro/industrial del sound della band.
Imitation Of Life, posta a metà del lavoro, può essere considerato il miglior biglietto da visita per la band, un sunto di quello che è in generale il mood di Victims Of System, una via di mezzo tra la cattiveria death modernista dei Soulfly, le melodie degli In Flames, la pazzia industrialoide dei Rammstein, ed un tocco di Disturbed, il tutto suonato con ottimo impatto, prodotto perfettamente e molto cool, almeno per chi sbava per queste sonorità.
La voce mantiene un growl grintoso, vagamente vicino al primo Anders Friden, così come gli interventi delle clean vocals e l’album viaggia su questi binari che è un piacere tra canzoni trascinanti (Scars, Created World) ed altre più ragionate ma sempre con l’aiuto delle melodie, punto di forza del combo russo.
Questo lavoro è un buon motivo per uscire dai canoni del death classico ed avvicinarsi a sonorità più moderne ma lontane dal deathcore attualmente di moda in questi ultimi anni, ma non per questo senza un ottimo appeal; da ascoltare.

TRACKLIST
01. Icy March
02. Dancing on the Grave
03. Scars
04. The Spirit of Killers’ Generation
05. Imitation of Life
06. Last Groan
07. Created World
08. Get Me Out
09. Loop

LINE-UP
Stas Nobody – Guitar and Vocals
Oleg Zoob – Guitar
Oleg Bizon – Drums
Ed Coffee – Bass

CYDIA – Facebook

Phlegmatic Table – Waiting For The Wolf

I bielorussi Phlegmatic Table sono autori di un moderno thrash colmo di digressioni industrial e groove: se questo è un assaggio di un prossimo full length ne vedremo e sentiremo delle belle,

Non è poi così facile convincere, ma soprattutto sorprendere, in poco più di dieci minuti, a meno che non si abbiano a disposizione talento e tecnica: i Phlegmatic Table, band proveniente dalla Bielorussia, all’esordio tramite Total Metal Records, ci sono riusciti.

Il trio, all’esordio con questo Ep intitolato Waiting For The Wolf, uscito solo in versione digitale, immette nella propia musica una valanga di idee, assemblando generi e influenze in pochi minuti e conquistando l’ascoltatore, piacevolmente frastornato dalle sorprese che la band riserva ad ogni passaggio.
C’è davvero un po’ di tutto nel sound della band: thrash metal, industrial, alternative e tanto groove, il che produce un monolite di musica estrema, concettualmente progressiva ed ottimamente suonata.
Immaginate il thrash evoluto di Coroner e Mekong Delta, a cui si aggiungano l’industrial metal dei Prong e le ritmiche marziali e groove dell’alternative di moda nel nuovo millennio, ed avrete più o meno un’idea della musica proposta dai Phlegmatic Table.
Senza dimenticare i Voivod di “Angel Rat”, la band spara liriche sarcastiche su questo ottimo tappeto di metal moderno, maturo, tenendo comunque a bada il songwriting che non dimentica mai la forma canzone, specialmente in occasione della notevole title track e dell’opener Chocolate Ice Cream.
Lasciarsi trasportare da parti jazzate che, qua e là, nobilitano ancor di più il suono è un attimo, finché il ritmo colmo di groove della notevole Dirty Shoes entra prepotentemente nelle nostre teste per cicatrizzarsi e non uscirne più.
Davvero notevoli, se questo è un assaggio di un prossimo full length ne vedremo e sentiremo delle belle.

Tracklist:
1. Chocolate Ice Cream
2. Waiting for the Wolf
3. Dirty Shoes
4. Fridge
5. Another Morning

Line-up:
Artour Sotsenko – guitars, vocals;
Vladimir Slizhuk – bass;
Paul Chaplin – drums.

Other Eyes Wise – Chapters

Con il nuovo ed intenso “Chapters”, gli Other Eyes Wise si propongono come una delle voci fuori dal coro del panorama alternativo moderno, amalgamando con personalità metal e progressive, alternative e core.

Questa volta i ragazzi della WormHoleDeath mi hanno messo in seria difficoltà: come inquadrare un album come Chapters?

Gli Other Eyes Wise sono una band londinese che con il debutto “Zer(o)” dello scorso anno, uscito per l’etichetta nostrana, avevano messo in mostra buone potenzialità.
Il disco, recensito su queste pagine, era piaciuto per l’ottimo approccio al metal moderno, per niente leccato, spogliato da tentazioni commerciali e colmo di digressioni provenienti da svariati generi musicali, inglobati in un unico caleidoscopio di suoni, drammatici e dalla tensione altissima, sopratutto nelle parti in cui le sfuriate metalliche lasciavano spazio a momenti di musica intimista e dall’animo rabbuiato da una melanconia rabbiosa.
Ecco che, nel nuovo album, si amplificano le qualità del gruppo: il secondo capitolo è un lavoro maturo, intenso, che non lascia spazio a nessuna tentazione commerciale, ma spinge proprio sulle atmosfere.
Le melodie, mai banali, mantengono una drammaticità di fondo che tocca l’anima e solo in pochi frangenti si aprono per far entrare un poco di luce nel sound del gruppo, con arpeggi leggermente più ariosi e la voce che si rilassa (Define The Outside).
Sono attimi di speranza, un po’ di quiete interiore della musica della band che, diciamolo, è supportata da una tecnica che aiuta ad inglobare nel sound di Chapters ritmiche di intricata musica progressiva, presa per il colletto da rabbiose parti che si avvicinano a sonorità core, moderne ma adulte, senza concedere una nota al genere amato dai ragazzini cool, in giro per le rockteche di mezzo mondo.
Chapters è un album difficile e, come tutte le opere di questa levatura, va fatto proprio cercando di carpirne messaggi e segreti, con calma e la dovuta attenzione, lasciandosi rapire da una serie di brani che portano dove l’ascoltatore deciderà di iniziare la sua avventura musicale, tra note e passaggi mai scontati, watts che irrompono violenti su basi ritmiche che definire intricate è un eufemismo.
Lasciando solo a Broken Path, primo brano dell’album che segue l’intro, una più facile assimilazione, gli Other Eyes Wise sfoderano più di un’ora di musica animata da uno spirito di rabbiosa e malinconica musica rock, ben inserita in questi tempi di mordi e fuggi, ma assolutamente incompatibile con ascolti distratti, troppo intricata la ragnatela di generi ed atmosfere cucita dal gruppo londinese: senza inventare nulla, i nostri si propongono come una delle voci fuori dal coro del panorama alternativo moderno, amalgamando con personalità metal e progressive, alternative e core, per un risultato intenso e originale.

Tracklist:
1.Intro
2.Broken Path
3.The Inevitable
4.Walls
5.Hidden Strenght
6.Define The Outside
7.What Is Difference
8.The Obstruction
9.E.C.
10.Again The End
11.Fjords
12.Live

Line-up:
Coop
Jo
Sy
Pinkie

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