Overtures – Artifacts

Una proposta che accontenta i fans del prog metal, per tecnica esecutiva e passaggi mai banali, ma non manca di ammiccare agli amanti dei suoni power, grazie a cavalcatein cui predomina un’ottima vena melodica.

Power prog metal ad alto voltaggio quello proposto ancora una volta dai friulani Overtures, partiti come classica band power ed ora arrivati a toccare lidi progressivi con ottimi risultati.

Il nuovo lavoro, masterizzato in Germania ai Gate Studios, tra le cui mura ha lavorato gente del calibro di Avantasia, Edguy ed Epica è un buon esempio di prog metal vario, molto melodico, a tratti dal piglio drammatico, il che avvicina non poco la band nostrana ai maestri Symphony X, anche se gli Overtures usano molto bene l’arma della melodia e delle ritmiche hard rock, riuscendo a rendere il proprio lavoro personale ed oltremodo affascinate.
Una proposta che accontenta i fans del prog metal, per tecnica esecutiva e passaggi mai banali, ma non manca di ammiccare agli amanti dei suoni power, grazie a cavalcatein cui predomina un’ottima vena melodica.
Prova sopra le righe di tutti i musicisti, iniziando dall’ottimo singer Michele Guaitoli personale ed interpretativo a sufficienza per imprimere il suo marchio sulla raccolta di brani che compongono Artifacts, e sontuosa la parte ritmica con il basso di Luka Klanjscek e le pelli di Andrea Cum, potenti nelle cavalcate power e dalla buona tecnica esecutiva dove i brani richiedono fantasia ed eleganza, virtù peculiari nel metallo progressivo.
Marco Falanga incornicia con la sua sei corde questo quadro metallico, dai mille colori e sfumature, dove potenza e melodia vanno a braccetto per le strade del metallo classico.
Un lavoro che si mantiene su coordinate medio alte a livello qualitativo per tutta la sua durata, anche se non mancano i picchi che alzano la media di un disco imperdibile per gli amanti di queste sonorità, come la classic metal Gold, Il cuore dell’album composto dalle progressive Unshared Worlds e My Refuge, e la bellissima suite dal piglio drammatico Teardrop, dove le anime del gruppo si alleano per donare dieci minuti di prog metal davvero entusiasmante.
Artifacts risulta così un ottimo ascolto, la band in questi anni è cresciuta non poco e si appresta a conquistarvi, non opponete resistenza.

TRACKLIST
1. Repentance
2. Artifacts
3. Gold
4. As Candles We Burn
5. Profiled
6. Unshared Worlds
7. My Refuge
8. New Dawn, New Dusk
9. Teardrop
10. Angry Animals
11. Savior

LINE-UP
Luka Klanjscek – Bass
Marco Falanga – Guitars
Michele Guaitoli – Vocals
Andrea Cum – Drums

OVERTURES- Facebook

Savior From Anger – Temple Of Judgment

Un album di metal classico da gustarsi fino alla fine, colmo di canzoni che riprendono, senza risultare copie sbiadite dei grandi classici, il mood aggressivo, epico ed oscuro delle migliori uscite del genere.

Avevamo lasciato Marco Ruggiero (alias Mark Ryal) ed i suoi Savior From Anger all’indomani dell’uscita del precedente Age of Decadence, uscito tre anni fa con la formazione a due elementi ed un ottimo lavoro incentrato su un’incendiario e quanto mai efficace U.S. power metal, lo ritroviamo oggi con un contratto importante con Pure Steel Records, ed una line up a quattro elementi, con gli innesti di musicisti dall’elevata esperienza ed un curriculum assolutamente da top band.

Un passo indietro per ripercorrere in poche righe l’avventura del gruppo campano, iniziata dieci anni fa con l’ep No Way Out e proseguita con il debutto sulla lunga distanza Lost In The Darkness uscito nel 2008.
Una line up cangiante vedeva appunto la band ridursi ad un duo, con il polistrumentista napoletano che, aiutato dal solo Michael Coppola alle pelli, si sobbarcava tutto il lavoro strumentale dello scorso album, compreso le fatiche al microfono.
Tre anni sono passati e ritroviamo la band in gran forma e che, sotto l’ala della prestigiosa label tedesca, licenzia questo bellissimo Temple Of Judgement.
Con Ryal troviamo un terzetto di musicisti niente male, partendo da Bob Mitchell ex Sleepy Hollow, Wycked Synn, Alchemy X, Attacker tra le altre e vocalist di assoluto valore, il drummer Michael Kusch anche lui alle prese con una nutrita schiera di bands tra cui Adligate, Denial e Polaris e Frank Fiordellisi al basso.
E Temple Of Judgement esplode in tutta il suo metallico DNA americano, supportato da un ottimo songwriting e da una produzione ora all’altezza della situazione, mentre il chitarrista nostrano concentrato unicamente sulla sei corde regala solos classici ispiratissimi e riff che odorano di scuola ottantiana ma senza risultare vintage.
Un album di metal classico da gustarsi fino alla fine, colmo di canzoni che riprendono, senza risultare copie sbiadite dei grandi classici, il mood aggressivo, epico ed oscuro delle migliori uscite del genere, con un Mitchell che si conferma vocalist di razza, aggressivo, tagliente e melodico, così come la sezione ritmica che bombarda senza pietà, cavalcando a spron battuto su queste undici power metal songs.
Difficile trovare un brano non all’altezza, l’album è ricco di spunti esaltanti, almeno per chi, nel marasma dei suoni moderni e con l’orecchio ormai abituato alle divagazioni sinfoniche delle power metal band europee, non si fa mancare del buon U.S. metal, tra Vicious Rumors, Metal Church, primi Savatage ed Armored Saint.
Temple Of Judgement può tranquillamente considerarsi l’apice qualitativo dei Savior From Anger, alzato di molto da brani esplosivi come In The Shadows, la seguente Bright Darkness, la devastante e cruenta Thunderheads, The Eyes Open Wide e la conclusiva title track.
Un ritorno sontuoso per la band, un album dall’acquisto obbligato per ogni defender che si rispetti.

TRACKLIST
1.Across The Seas
2.In The Shadows
3.Bright Darkness
4.The Eye
5.Thunderheads
6.Chosen Ones
7.The Calling
8.Starlight
9.The Eye Opens
10.Repentance”
11.Temple Of Judgment

LINE-UP

Bob Mitchell – vocals
Mark Ryal – guitars
Frank Fiordellisi – bass
Michael Kusch – drums

SAVIOR FROM ANGER – Facebook

Barbarian – Cult Of The Empty Grave

Il loro metal è fortemente debitore di oscuri dischi anni ottanta, ma anche di echi dei grandi come Venom, Running Wild o Manowar, a seconda della canzone.

Metal barbarico ed assoluto per questo gruppo italiano in attività dal 2009, che nel 2014 ha dato alle tenebre il bellissimo Faith Extinguisher per Doomentia.

In questo nuovo disco per Hells Headbangers, i nostri fanno il loro Absolute Metal, come giustamente recita una loro canzone ivi contenuta. I Barbarian sono una macchina da guerra potente e che non fa prigionieri. Il loro metal è fortemente debitore di oscuri dischi anni ottanta, ma anche di echi dei grandi come Venom, Running Wild o Manowar, a seconda della canzone, con il risultato di fare un suono davvero accattivante e quasi commovente per gli amanti del metal, perché è questo il vero metal. Tutte le canzoni divertono, hanno un bel tiro e il suono è vintage il giusto, senza esagerare, e si può ascoltare la grande passione che hanno questi ragazzi per il genere. Absolute Metal !!!!

TRACKLIST
1.Bridgeburner
2.Whores of Redemption
3.Cult of the Empty Grave
4.Absolute Metal
5.Supreme Gift
6.Bone Knife
7.Remoreless Fury

LINE-UP
BORYS CROSSBURN – Necroharmonic guitarmageddon and invocations of baltic storms and polish metal albums
D.D. PROWLER – Bass-tard mock of human morals, eruptions of evil from the cracked earth
LORE STEAMROLLER- Fuck off bombardment

BARBARIAN – Facebook

Inishmore – The Lemming Project

Tanta melodia, dunque, per un album piacevolmente metallico in il songwriting si dimostra all’altezza ed i musicisti, senza strafare, ottengono un bel voto per tecnica e feeling.

La Svizzera ha una tradizione metallica di tutto rispetto, specialmente per quanto riguarda i suoni hard rock e metal classici, le band che nel tempo hanno trovato i favori dei fans, anche fuori confine, non sono poche e tra le cime dei monti alpini, così come nelle fiabesche valli, il genere ha trovato un sicuro rifugio, anche nei periodi che hanno visto i suoni classici perdere popolarità tra gli amanti della musica dura.

Gli Inishmore sono una band proveniente da Baden, il loro viaggio nella musica metallica è iniziato nel lontano 1997 e all’alba del nuovo millennio il gruppo licenziò il primo full length, The Final Dance, cui seguirono altri due lavori, Theatre of My Life del 2001 e Three Colours Black del 2004.
Un lungo silenzio discografico ha caratterizzato gli ultimi undici anni, anche se il gruppo si è riformato in effetti nel 2011 arrivando finalmente a dare un seguito all’ultimo lavoro con The Lemming Project, licenziato dalla Label Dark Wings.
Il sound della band si sviluppa con un power metal di scuola teutonica, impreziosito da ottime ritmiche e melodie hard rock;,il cantato femminile non punta alle solite linee sinfoniche, care ai gruppi odierni, ma offre una buona prestazione dal timbro melodico e personale della bravissima Michela Parata.
Tanta melodia, dunque, per un album piacevolmente metallico in cui il songwriting si dimostra all’altezza ed i musicisti, senza strafare, ottengono un bel voto per tecnica e feeling.
Tastiere presenti, ma non invadenti, asce a cui non manca la giusta grinta, chorus dal buon appeal e ritmiche che si alternano tra fughe power e ritmi hard rock, fanno di The Lemming Project un ottimo album, vario e ben fatto, dove ogni brano non scende sotto un livello buono e forma con gli altri un lavoro tutto da ascoltare.
Tra i solchi dei vari brani presentati le sonorità power la fanno da padrone, ma, come detto, non mancano sfumature da arena rock, che mantengono comunque un piglio ruvido, metallico, ottimo per scaldare i cuori dei true defenders, così come dei più pacati rockers vecchia scuola.
Merciful, la folk oriented Finally a Love Song, la cadenzata e old school Manifest, la bellissima Red Lake, power metal song dal piglio drammatico, e i dodici minuti della suite che dà il titolo all’album, un piccolo capolavoro di metal orchestrale e progressivo, sono all’origine del buon risultato finale; un disco che raccoglie una moltitudine di atmosfere hard/power e le ingloba in un unico lavoro che, a tratti, risulta entusiasmante.
Pink Cream 69, Masterplan e Rough Silk, sono i primi nomi che affiorano tra le trame di The Lemming Project, dategli un ascolto, ne vale la pena.

TRACKLIST
1. Cup of Lies
2. Merciful
3. Better off Dead
4. Finally a Love Song
5. Part of the Game
6. Manifest
7. Eternal Wanderer
8. Red Lake
9. Where Lonely Shadows Walk
10. The Lemming Project
11. Where Lonely Shadows Walk (Acoustic)

LINE-UP
Michela Parata-Vocals
Fabian Niggemeier-Guitars
Jarek Adamowski-Guitars
Alex Ortega-Drums
Pascal Gysi-Keyboards

INISHMORE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=Tv3RTkKZY5k

Paragon – Hell Beyond Hell

Album che nulla toglie e nulla aggiunge alla scena metal, ma che non può mancare sullo scaffale di ogni defender, proprio per la sua intoccabile purezza e coerenza.

Con i Paragon si torna a parlare di true power metal made in Germany, infatti la band di Amburgo oltre ad essere considerata ormai un gruppo storico del genere, è una di quelle che più ha mantenuto fede alla tradizione metallica del suo paese d’origine, dove la scena metal classica è diventata nel corso degli anni un punto di riferimento influenzando non poco le nuove generazioni di gruppi alle prese con i suoni heavy.

Nati nel 1990, i Paragon non hanno mai raggiunto il successo dei gruppi considerati i padri del genere, come Accept ed Helloween negli anni ottanta e poi i vari Gamma Ray, Grave Digger e Rage, nel decennio successivo, ma la loro discografia si è comunque sempre mantenuta su una buona qualità, tanto da non passare inosservati ai fans dei suoni heavy/power, anche grazie ad album di assoluto valore come la triade Steelbound , Law Of The Blade e The Dark Legacy, usciti tra il 2001 ed il 2003, anni ancora grassi per il genere, almeno in Europa.
Il tempo scorre inesorabile anche per il gruppo del chitarrista Martin Christian, siamo giunti al traguardo dell’undicesimo album, non male per una band che ha continuato per tutti questi anni a portare avanti la sua missione: suonare power/speed/heavy metal, veloce, devastante, epico e senza compromessi.
Prodotto da un monumento del power europeo come Piet Sielck , mastermind degli Iron Savior, il nuovo lavoro non deluderà i defender rimasti fedeli alle linee classiche del metal: Hell Beyond Hell è pregno di quel sound a metà strada tra l’heavy forgiato nell’acciaio dei Primal Fear ed il power ruvido e senza compromessi dei Grave Digger.
Senza riempitivi, l’album scorre nei cliché del genere, ma una produzione cristallina, energia a volontà e un lotto di buoni brani splendidamente metallici, non tradiscono le aspettative, confermando i Paragon come ottimi rappresentati dell’heavy metal di matrice teutonica.
Si passa da brani dall’andatura sostenuta ad altri dove le ritmiche rallentano e le atmosfere si colmano di epicità metallica, le asce tagliano l’aria con solos dirompenti e i chorus sono potenti inni al dio metallico: una tempesta di suoni, valorizzata dalla prova tutta grinta di Andreas Babuschkin al microfono e dai solos taglienti della coppia Christian/Bertram, mentre Jan Bünning al basso e Sören Teckenburg alle pelli, formano un muro di cemento armato metallico invalicabile.
Tanta epicità ed uno straordinario lavoro di Sielck alla consolle, che valorizza potenza e melodia, specie in brani come Rising Forces, Heart Of The Black, Stand Your Ground e Buried In Blood, mantengono Hell Beyond Hell su un’ottima qualità generale, consentendo ai Paragon di uscire vincitori anche dall’undicesima fatica.
Album che nulla toglie e nulla aggiunge alla scena metal, ma che non può mancare sullo scaffale di ogni defender, proprio per la sua intoccabile purezza e coerenza.

TRACKLIST
1. Rising Forces
2. Hypnotized
3. Hell Beyond Hell
4. Heart Of The Black
5. Stand Your Ground
6. Meat Train
7. Buried In Blood
8. Devil’s Waitingroom
9. Thunder In The Dark (Bonustrack)
10. Heart Of The Black (Edit Version / Bonustrack)

LINE-UP
Andreas Babuschkin – Lead Vocals
Martin Christian – Guitars, Backing Vocals
Jan Bertram – Guitars, Backing Vocals
Jan Bünning – Bass, Backing Vocals
Sören Teckenburg – Drums

PARAGON – Facebook

Martyr – You Are Next

Altra reunion di una band storica dell’heavy power olandese, i Martyr, tornati sul mercato con l’ottimo Circle Of 8 del 2011, album che li vedeva tornare dopo ben 25 anni di silenzio, dal secondo lavoro Darkness at Time’s Edge, datato 1986.

Band nata nel lontano 1982, i Martyr seguivano i canoni dell’allora new wave of british heavy metal, dando alle stampe, nel 1985 il primo album, For The Universe.
Prima la Metal Blade con il precedente Circle Of 8, ed ora la Pure Steel, hanno dato credito a questa reunion, ed il quintetto di Utrecht si ripresenta dopo cinque anni in forma smagliante, confezionando un macigno heavy power thrash davvero potente .
Confermando il trend del precedente lavoro, i Martyr hanno spostato il tiro della loro proposta, verso un sound più ruvido ed arcigno: questo nuovo lavoro, pur garantendo uno stilema old school, è ben prodotto e contiene quelle atmosfere thrash che rendono il tutto pesante, a tratti devastante, lasciando che il mood classico si sposi con la grinta e la pesantezza del thrash dai richiami power.
Mai troppo veloce, ma dall’andamento monolitico, con tra i solchi un gran lavoro delle sei corde, protagoniste con la prova del singer Rop van Haren, un mostro di personalità debordante al microfono, You Are Next si trova esattamente a metà strada tra il power teatrale dei fenomenali Angel Dust di Border Of Reality ed i primi Testament.
Ne esce un album che, a tratti, entusiasma, forte di un ottimo songwriting e dell’abilità dei protagonisti, certo non dei novellini e dotati di un’esperienza trentennale messa al servizio di metallo aggressivo, dall’impatto terremotante, ma, allo stesso tempo, dotato di un’eleganza tutt’altro che nascosta dalle cascate di riff e solos che i due axeman (Rick Bouwman e Marcel Heesakkers) riversano sullo spartito di questa raccolta di brani, alcuni davvero eccellenti.
Questi vecchietti con il viziaccio di suonare metal con la M maiuscola mi hanno letteralmente stupito: il loro suono risulta potente e fresco, le songs marciano spedite, già dall’opener Into The Darkest Of All Realms, introdotta dalla voce di un bimbo, mentre le chitarre esplodono e la sezione ritmica tiene il passo con mestiere (Wilfried Broekman alle pelli e Jeffrey Bryan Rijnsburger al basso).
Enorme Van Haren al microfono: personale, teatrale, potente e dannatamente coinvolgente, mette a ferro e fuoco i padiglioni auricolari con una prova d’applausi, mentre l’album prende il volo con Infinity, altro pezzo da novanta di You Are Next, e non si ferma più, rimanendo ad altezze elevate in fatto di qualità e coinvolgimento.
Monster e Mother’s Tear, la velocissima e violentissima In The End, sono gemme di heavy power, sparate da un cannone metallico, mentre il singer dàletteralmente spettacolo nell’inno ottantiano Don’t Need Your Money, posto a chiusura del disco ed esempio di come si suona l’heavy metal old school nel 2016.
Un ritorno esaltante, fatelo vostro.

TRACKLIST
1. Into The Darkest Of All Realms
2. Infinity
3. Inch By Inch
4. Souls Breathe
5. Unborn Evil
6. Monsters
7. Crawl
8. Mother’s Tear
9. In The End
10. Don’t Need Your Money

LINE-UP
Rick Bouwman – guitars
Rop van Haren – vocals
Wilfried Broekman – drums
Jeffrey Bryan Rijnsburger – bass
Marcel Heesakkers – guitars

MARTYR – Facebook

Mob Rules – Tales From Beyond

Tales From Beyond quindi risulta un buon disco, l’ennesimo di una band che, se non ha mai trovato il Graal del capolavoro, sicuramente non ha mai deluso le aspettative, confermandosi come una un punto fermo per gli amanti di queste sonorità.

I Mob Rules sono una delle tante band nate a metà degli anni novanta (1994), in pieno ritorno sia qualitativo che commerciale dei suoni heavy classici, specialmente nel vecchio continente, anni in cui le vecchie glorie tornavano a produrre grande musica, accompagnate da nuove realtà di un certo rilievo, ancora oggi sulle bocche e negli stereo dei true defenders sparsi per l’Europa.

La band tedesca è sempre rimasta un gradino sotto i gruppi più famosi, ma questo non ha mai inficiato la buona qualità della sua musica, un ottimo esempio di heavy power metal, molte volte valorizzato da soluzioni vicine al prog e dalla fiera vena epica.
Il sestetto ha così scritto negli anni pagine di metallo epico, oscuro e melodico, convogliando in un unico sound le sue maggiori influenze, dal metal classico di scuola Dio, ai Maiden, senza lasciare indietro il sound originario delle proprie terre, sommandoli ed ottenendo un concentrato di ritmiche power, solos heavy melodici e dalla vena epica, tra cavalcate in crescendo, riff cadenzati e potentissimi, accompagnati dalle tastiere, capaci di teatralizzare e rendere magniloquenti molti dei brani scritti.
Tales From Beyond, come avrete capito, non si discosta dalla usuale proposta che il gruppo ci ha abituato fin dai tempi del debutto Savage Land, primo di otto fratelli che, senza picchi clamorosi, ma con buona costanza, hanno portato i Mob Rules nel nuovo millennio.
Qualche inserto folk celtico, cambi di ritmo ed una buona predisposizione per le melodie, fanno del nuovo lavoro l’ennesimo buon disco da parte della band, come sempre sul pezzo nel travolgerci con cavalcate metalliche, protagoniste anche su Tales From Beyond e loro marchio di fabbrica, assecondate da un’ottima prova delle due asce, che non si risparmiano nello scambiarsi la scena con solos gustosi, mentre il buon Klaus Dirks, alza di non poco la qualità del lavoro con un’eccellente prova, un po’ Dio, un po’ Dickinson, insomma singer di razza superiore.
La coppia Matthias Mineur e Sven Lüdke alle chitarre, la sezione ritmica compposta da Markus Brinkmann al basso e Nikolas Fritz alle pelli, e le tastiere di Jan Christian Halfbrodt, completano una line-up consolidata e affiatata, che permette a Tales From Beyond di viaggiare su livelli ottimi, aiutato anche da un’ottima produzione.
Molto atmosferici i vari brani, pur mantenendosi su livelli alti di energia, il pathos epico/oscuro che si respira sul nuovo album è l’arma in più di canzoni dall’alto tasso emozionale come la celtica Somerled, la maideniana On The Edge, il crescendo epico di My Kingdom Come e le tre parti di A Tales From Beyond, mini suite di quindici minuti che, nelle parti più elaborate, avvicina il gruppo ai meravigliosi Vanden Plas.
Tales From Beyond quindi risulta un buon disco, l’ennesimo di una band che, se non ha mai trovato il Graal del capolavoro, sicuramente non ha mai deluso le aspettative, confermandosi come una un punto fermo per gli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1.Dykemaster’s Tale
2. Somerled
3. Signs
4. On the Edge
5. My Kingdom Come
6. The Healer
7. Dust of Vengeance
8. A Tale from Beyond (Part 1: Through the Eye of the Storm)
9. A Tale from Beyond (Part 2: A Mirror Inside)
10. A Tale from Beyond (Part 3: Science Save Me!)
11. Outer Space

LINE-UP
Klaus Dirks – Vocals
Matthias Mineur – Guitars
Sven Lüdke – Guitars
Markus Brinkmann – Bass
Nikolas Fritz – Drums
Jan Christian Halfbrodt – Keyboards

MOB RULES – Facebook

SkeleToon – The Curse of the Avenger

La produzione al top e la prova sontuosa di un vocalist che lascia senza fiato aggiungono valore al cd, la cui custodia non può mancare vicino al lettore di ogni amante del power metal melodico.

Power metal teutonico, veloce, trascinante ed ipermelodico, un cantante spettacolare, tante buone idee, un trio di graditi ospiti ed il gioco è fatto.

I nostrani SkeleToon debuttano tramite Revalve con questa fialetta di nitroglicerina metallica dal titolo The Curse Of Revenge, un concept album che finalmente vede lasciare nell’ombra eroi, guerrieri, spade e fiere mitologiche, per raccontarci delle disavventure di un nerd alle prese con la sfigata vita di tutti i giorni: un eroe quindi, magari lontano dalle gesta eroiche di cavalieri senza paura, ma che affronta le sue battaglie quotidiane sempre in lotta con il cinico e spietato mondo che lo circonda.
La storia è alquanto originale, la musica prodotta un po’ meno, ma il power metal del gruppo fondato dal singer Tomi Fooler non manca di far esplodere dalla poltrona i fans dei vari Helloween, Gamma Ray, Edguy e compagnia teutonica, con questa mezzora abbondante di metallo divertentissimo e travolgente, dove non mancano  super ballad e sgommate sul caldo asfalto del metallo melodico, potente e veloce.
La partecipazione di Roland Grapow (Helloween e Masterplan), Dimitri Meloni dei bravissimi Ensight ( autori dell’ottimo Hybrid, album metal prog di spessore uscito pochi mesi fa) e Charlie Dho dei The Fallen Angel, aggiunge pepe a questo piatto metallico confezionato con cura dal gruppo, che sul genere suonato costruisce le fortune di questi otto brani.
Gli Helloween ammaliati dalla strega di Better Than Raw, sono il gruppo che più si riconosce tra i solchi del disco, chiaro che le altre band sono una conseguenza ai padri del genere, a cui gli SkeleToon fanno riferimento, anche se la personalità e l’efficace songwriting, fanno di The Curse Of The Avenger, un gran bell’esempio di come il genere, suonato a questi livelli, dica ancora la sua alla grande, valorizzato da brani pregni di energia positiva come What I Want, la veloce, potente e melodica Heroes Don’t Complain, la ballad semiacustica Hymn To The Moon e l’inno Heavy Metal Dreamers.
La produzione al top e la prova sontuosa di un vocalist che lascia senza fiato aggiungono valore al cd, la cui custodia non può mancare vicino al lettore di ogni amante del power metal melodico.
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TRACKLIST
1 Intro / Timelord
2 What I Want
3 Heroes Don’t Complain
4 Hymn to the Moon
5 The Curse of the Avenger
6 Bad Lover
7 Joker’s Turn
8 Heavy Metal Dreamers

LINE-UP
Tomi Fooler – Vocals, Concept, Songwriting
Henry “SYDOZ” Sidoti – Drums
Dimitri Meloni – Lead & Rythm Guitars
Charlie Dho – Bass
Roland Grapow – Guitar

SKELETOON – Facebook

No Man Eyes – Cosmogony

Per gli amanti di Nevermore, Symphony X ed Angel Dust, serviti con abbondanti dosi di thrash ed una spruzzata di neoclassicismo malmsteeniano, la band genovese potrebbe essere un micidiale cocktail di cui ubriacarsi senza pensare alle conseguenze

Ed eccomi a raccontarvi dei miei concittadini No Man Eyes e del loro secondo lavoro, in arrivo in questo inizio d’anno sotto l’ala della Diamonds Prod.

La band genovese nasce nel 2011 da ex membri dei Graveyard Ghost: qualche aggiustamento nella line up porta verso il primo lavoro, Hollow Man ed ad una buona attività live in compagnia di nomi di una certa importanza nel panorama metallico nazionale (Trick or Treat, Roberto Tiranti, Nerve, Mastercastle).
Senza mollare la presa, il gruppo torna con un nuovo lavoro, Cosmogony, prodotto nel Dead Tree Studio del chitarrista Andrew Spane, che si è occupato anche dei testi.
Metal robusto, ritmiche veloci, ottimi solos melodici ed un cantante che, senza strafare, si rende protagonista di una buona performance, sono ad un primo ascolto le virtù dei No Man Eyes, anche se la loro musica cresce con il tempo, facendo trovare tra i solchi dei brani molte sfumature che li porta nell’eletta schiera delle band difficilmente catalogabili.
I nostri, infatti, si disimpegnano con disinvoltura tra l’heavy metal tradizionale ed il thrash, senza dimenticare il power e lasciando che intricate parte ritmiche e solos vorticosi avvicinino il sound al metal prog.
Le influenze sono palesi, chiariamolo, ma sono anche varie e se Cosmogony per molti non risulterà originale, sicuramente piacerà a chi ama i generi menzionati, amalgamati sapientemente dal gruppo in un viaggio fantascientifico e spirituale (questi sono gli argomenti trattati nei testi) sul treno impazzito partito dalla stazione ferroviaria di Genova.
Lord funge da intro e ci prepara per la prima e vera esplosione di metallo, Dreamsland, ritmiche power thrash, molto ben congegnate fanno da tappeto sonoro al cantato altamente melodico ma maschio del buon Fabio Carmotti, mentre si esalta la sezione ritmica, protagonista di un gran lavoro, potente e vario su tutto l’album (Alessandro Asborno al Basso e Michele Pintus a picchiare come un forsennato il suo drumkit).
La parte del leone la fa la chitarra di Spane, che spara mitragliate thrash, solos metallici e qualche spunto neoclassico: Cosmogony non dà tregua, le aperture melodiche mantengono comunque alta la forza dirompente dei brani, contraddistinti da atmosfere oscure, drammatiche e dall’impatto di un pendolino che taglia l’aria con velocità e potenza micidiali.
Tra le songs spiccano Huracan, Blossoms Of Creation, dall’anima spinta nell’abisso oscuro del death metal, non fosse per il cantato pulito, e la title track, ma è nel suo insieme che il disco funziona, carico com’è di energia metallica.
Per gli amanti di Nevermore, Symphony X ed Angel Dust, serviti con abbondanti dosi di thrash ed una spruzzata di neoclassicismo malmsteeniano, la band genovese potrebbe essere un micidiale cocktail di cui ubriacarsi senza pensare alle conseguenze, provateli e non ne farete più a meno.

TRACKLIST
1.Lord
2. Dreamsland
3. Huracàn
4. Bound to doom
5. Spiders
6. Blossoms of creation
7. All the fears
8. How come
9. The death you need
10. Cosmogony
11. Children of war

LINE-UP
Fabio Carmotti – Voce
Andrew Spane – Chitarre
Alessandro Asborno – Basso
Michele Pintus – Batteria

NO MAN EYES – Facebook

Eleventh Hour – Memory of a Lifetime Journey

Non rimane che fare i complimenti all’ennesima band sopra le righe, che si affaccia sulla scena con un album assolutamente da non perdere se siete amanti del metallo più nobile ed elegante.

Negli ultimi tempi la scena prog/power metal nazionale ha regalato grosse soddisfazioni agli amanti di queste sonorità, le opere di valore uscite a ripetizione sul mercato cominciano ad essere una piacevole abitudine ed il debutto degli Eleventh Hour non fa che confermare il momento d’oro della scena.

Capitanati dal chitarrista Aldo Turini e con al microfono Alessandro Del Vecchio (Hardline, Revolution Saints, Edge Of Forever) il gruppo debutta con la benedizione della Bakerteam, con questo ennesimo ottimo esempio di prog/power metal dal titolo Memory of a Lifetime Journey, elegante e raffinato prodotto che non sfigura certo in compagnia delle spettacolari uscite di questi mesi.
La band alterna sapientemente ottimo metallo regale a splendide orchestrazioni, mai troppo bombastiche ma assolutamente eleganti, i tasti d’avorio ricamano di raffinate melodie le cavalcate metalliche che il gruppo non fa mancare, senza perdere un briciolo di nobiltà, così da consolidare la tradizione nazionale nel genere, pur avvicinandosi al metal nord europeo.
Le atmosfere hanno la massima importanza nel sound degli Eleventh Hour e l’album risulta un saliscendi tra l’elettrizzante metal dall’anima progressive e le bellissime parti dove il piano e la voce regalano momenti di musica drammaticamente suadente.
Ottima la prova del tastierista Alberto Sonzogni, che orchestra con maestria le parti più sinfoniche e sa far parlare il suo piano con delicate armonie sulle struggenti Back To You e Sleeping In My Dreams, cuore raffinato di questo lavoro.
Non mancano le fughe sui tasti d’avorio, specialmente nella seconda parte del lavoro, più sinfoniche rispetto alla partenza e più vicine al power metal( Long Road Home e Requiem For A Prison) dove gli Eleventh Hour lasciano le briglie del sound in un susseguirsi di esplosioni metalliche ed arrangiamenti sinfonici dal mood cinematografico.
La sezione ritmica cavalca il purosangue metallico spingendo oltremodo ( Black Jin al basso e Luca Mazzucconi alle pelli), mentre Turini mette ai ferri corti la sua chitarra, in un tripudio power metal progressivo di elevata qualità.
Detto di un Del Vecchio che conferma tutto il suo talento, non rimane che fare i complimenti all’ennesima band sopra le righe, che si affaccia sulla scena con un album assolutamente da non perdere se siete amanti del metallo più nobile ed elegante.
Il 2016 inizia col botto, opere come Memory of a Lifetime Journey ed il superbo Storm del progetto Odyssea (dove appare come ospite il buon Del Vecchio), fanno sperare in un altro anno d’oro per il genere, noi non possiamo che ribadire il nostro supporto e apprezzamento.

TRACKLIST
1. Sunshine’s Not Too Far (Intro)
2. All I Left Behind
3. Jerusalem
4. Back To You
5. Sleeping In My Dreams
6. Long Road Home
7. Requiem From A Prison
8. Island In The Sun
9. After All We’ve Been Missing
10. Here Alone

LINE-UP
Alessandro Del Vecchio- Vocals
Aldo Turini-Guitars
Alberto Sonzogni-Keyboards
Black Jin-Electric and fretless Bass –
Luca Mazzucconi-Drums

ELEVENTH HOUR – Facebook

Primal Fear – Rulebreaker

Rulebraker è quella combinazione di note immortali, amplificate e suonate al limite dei watt disponibili che la storia conosce come heavy metal, punto.

Acqua sotto i ponti ne è passata tanta dall’anno di grazia 1998 che vedeva il metal classico dominare il mercato europeo, con il ritorno in auge del power metal, genere diviso tra la tradizione tedesca e quella neoclassica proveniente dai paesi scandinavi.

Ralph Scheepers, storico cantante dei Gamma Ray e vicino ad entrare nei Judas Priest, orfani di Rob Halford, e Mat Sinner, leader degli immensi Sinner, esordirono con l’omonimo album della loro creatura rapace dal nome Primal Fear ed il risultato fu clamoroso, almeno per chi delle sonorità classiche si nutre.
Tanto heavy metal, forgiato nel più puro acciaio metallico del periodo ottantiano e la potenza devastante del power metal, fu la formula per il successo della band, che senza nascondersi dietro ad un dito guardava appunto ai Priest, risultando i figli più legittimi del sound di Painkiller, suonato da musicisti dal sicuro talento.
Sono passati quasi vent’anni e siamo arrivati all’undicesimo lavoro in studio di una carriera che si è mantenuta su livelli ottimi, anche se purtroppo il genere non ispira più il sensazionalismo degli anni novanta e Rulebraker, pur essendo un gran bel lavoro, rischia di non essere apprezzato per quello che è: un heavy metal album con tutti i crismi per far scatenare i fans del metal classico, quello vero, fatto di ritmiche e solos assassini, melodie vincenti, grintoso e aggressivo, cantato divinamente e pregno di anthem dall’appeal esagerato.
Inutile girarci intorno, questo è l’heavy metal, via sinfonie, suoni bombastici ed operistici, qui le chitarre tagliano l’aria con solos che squartano le carni, il vocalist fa il bello e cattivo tempo,con una prova che fa spallucce al passare degli anni ed i suoni escono cristallini e potenti, complice una produzione al top.
Una band dalla tecnica invidiabile (accanto ai due fondatori ci sono Tom Naumann, Alex Beyrodt, Magnus Karlsson ed il nostro Francesco Jovino, una vita alla corte di U.D.O) ed un songwriting che continua imperterrito a dispensare lezioni sulla religione metallica, rendono Rulebraker un altro tassello piantato nella storia recente del genere dal gruppo tedesco, che continua a correre su piste heavy, power,speed, forte di una line up invidiabile ed un lotto di canzoni da urlo.
Angels Of Mercy, In Metal We Trust, la semiballad We Walk Without Fear, la power At War With The World confermano i Primal Fear come massima espressione di un certo modo di suonare metal, magari per qualcuno fuori tempo massimo, per altri, abituati ai suoni bombastici di questo periodo, troppo semplici, non considerando che il sound proposto dal gruppo è quella composizione di note immortali, amplificate e suonate al limite dei watt disponibili che la storia conosce come Heavy Metal.
Bentornati Primal Fear.

TRACKLIST
1. Angels of Mercy
2. The End Is Near
3. Bullets & Tears
4. Rulebreaker
5. In Metal We Trust
6. We Walk Without Fear
7. At War with the World
8. The Devil in Me
9. Constant Heart
10. The Sky Is Burning
11. Raving Mad

LINE-UP
Ralf Scheepers – Vocals
Tom Naumann – Guitars
Alex Beyrodt – Guitars
Magnus Karlsson – Guitars, Keys
Mat Sinner – Bass, vocals
Francesco Jovino – Drums

PRIMAL FEAR – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=MLRjJQCqCeo

Brainstorm – Scary Creatures

Scary Creatures conferma quanto di buono fatto in vent’anni di carriera dalla band tedesca che, a distanza di un paio d’anni dall’ultimo Firesoul, regala un album irrinunciabile per gli amanti del power.

I Brainstorm sono uno dei gruppi più sottovalutati della scena power metal tedesca che incendiò il mercato nella seconda metà degli anni novanta, sempre collocati dagli addetti ai lavori un passo indietro a Gamma Ray, Grave Digger e compagnia, eppure negli anni sono riusciti a scaldare i cuori degli appassionati con una serie di opere di genere entusiasmanti, soprattutto con il trittico Ambiguity (2000), Soul Temptation (2003) e Downburst (2008).

La band, capitanata dal vocalist Andy B. Franck (ex Symphorce e Ivanhoe), torna con l’undicesimo album in studio di una carriera che l’ha vista muovere i primi passi nel 1989, ed arrivare nel nuovo millennio con una carica ed un’energia invidiabile, mostrate in questa nuovo lavoro che, se non porta grosse novità all’interno della proposta del gruppo, lo conferma come un punto fermo per chi ama il power metal ed i suoni metallici tradizionali.
Potenti, devastanti e, come tradizione nel genere, alquanto melodici, i Brainstorm con Scary Creatures dichiarano la loro appartenenza al gotha del power metal europeo alla luce dell’ esperienza e del talento al servizio del genere, e in controtendenza rispetto ai mezzi passi falsi dei gruppi più quotati, ormai non più sulle prime pagine delle riviste di settore, visto il momento di poco interesse da parte dei fans di uno dei generi storici del metal.
Il nuovo lavoro torna così a far risplendere il sound del gruppo con una raccolta di brani compatti, ruvidi ed oscuri, Andy B. Franck non ha perso un’oncia del suo talento interpretativo: singer sanguigno ed eclettico, anima il sound del gruppo, sempre perfetto nel portare avanti la tradizione tedesca nel power, lasciando che sfumature metalliche di derivazione statunitense entrino nel cuore delle composizioni, facendo dei Brainstorm il gruppo più americano della nidiata famelica nata in terra germanica.
Non sono così distanti, infatti, le drammatiche ed oscure atmosfere che troverete nel sound dei Circle II Circle di Zack Stevens, altra band da considerare in questi anni come una delle massime esponenti del power metal classico, anche se il gruppo tedesco ne violenta la struttura con le ritmiche devastanti tipiche del sound europeo.
Prova sopra le righe di tutta la band, composta da musicisti dall’esperienza e bravura indiscutibili, produzione perfetta, e via per questa discesa senza freni nelle travolgenti trame offerte dai Brainstorm, con una serie di brani che hanno nella cadenzata ed epica How Much Can You Take, nella devastante Where Angels Dream, nell’oscura e americana title track e nella maideniana Caressed By The Blackness, i picchi di un lavoro che riconcilia con un sound dato per morto troppe volte.
Niente da aggiungere se non che Scary Creatures conferma quanto di buono fatto in vent’anni di carriera dalla band tedesca che, a distanza di un paio d’anni dall’ultimo Firesoul, regala un album irrinunciabile per gli amanti del power.

TRACKLIST
1. The World to See
2. How Much Can You Take
3. We Are…
4. Where Angels Dream
5. Scary Creatures
6. Twisted Ways
7. Caressed by the Blackness
8. Scars in Your Eyes
9. Take Me to the Never
10. Sky Among the Clouds

LINE-UP
Andy B. Franck – Vocals (lead)
Dieter Bernert – Drums
Milan Loncaric – Guitars, Vocals (backing)
Torsten Ihlenfeld – Guitars, Vocals (backing)
Antonio Ieva – Bass

BRAINSTORM – Facebook

Chronos Zero – Hollowlands ( The Tears Path Chapter One)

Settanta minuti di metallo drammatico e regale, figlio legittimo del sound dei maestri Symphony X, ma talmente ben eseguito da risultare un’opera per la quale certe similitudini finiscono solo per sminuire il talento dei musicisti coinvolti.

Tornano con il secondo lavoro i nostrani Chronos Zero, band che aveva entusiasmato nel 2013 con il debutto A Prelude Into Emptiness:The Tears Path Chapter Alpha, opera metallica che risplendeva di furore power/prog, uno spettacoloso vulcano di note che portava la band sul podio dei gruppi dediti a queste sonorità.

Un debutto clamoroso e tanti complimenti da fans e addetti ai lavori devono aver portato non poche pressioni al gruppo cesenate, positive direi, visto di che pasta è fatto il nuovo lavoro che risulta un’altra esplosione di suoni power e progressivi, dalla forza sovraumana e dalla tecnica invidiabile.
Tragico ed oscuro, emozionale e devastante, bombastico e pregno di fierezza metallica, Hollowlands conferma la band come una delle migliori uscite dallo stivale negli ultimi anni, almeno per quanto riguarda il genere.
Con qualche piccolo aggiustamento nella line up ed album affidato al sempre geniale Simone Mularoni, protagonista di un lavoro perfetto in fase di produzione, mix e mastering, Hollowlands vede lo stesso chitarrista dei DGM come ospite insieme a Matt Marinelli (Borealis) e Jan Manenti (Love.Might.Kill.) contributi che vanno ad impreziosire questi settanta minuti di metallo drammatico e regale, figlio legittimo del sound dei maestri Symphony X, ma talmente ben eseguito da risultare un’opera per la quale certe similitudini finiscono solo per sminuire il talento dei musicisti coinvolti.
The Compression Of Time apre l’album con l’irruenza classica a cui i Chronos Zero ci hanno abituati, ritmiche velocissime ed intricate, chitarre che sputano fuoco metallico, tastiere ed orchestrazioni che riempiono e nobilitano il sound e la spettacolare alternanza delle voci, perfetta nello scambiarsi il centro del palcoscenico, in un rincorrersi tra le fitte ragnatele di note orchestrate dai musicisti.
L’entrata in pianta stabile di una voce femminile (Margherita Leardini), molto più presente che sul primo lavoro, non inficia la devastante aggressività che il gruppo riversa nel sound, i momenti di quiete, sono solo bellissime affreschi, attimi suggestivi, che fanno calare un poco, l’altissima tensione che si respira a più riprese, mentre la vocalist è protagonista di una prova gagliarda, soprattutto quando, si erge sulle tracce drammatiche e rabbiose e dal mood orchestrale, molto più sinfonico che sul disco precedente.
Si, perché l’album, diversamente dal primo, è molto più sinfonico, le fughe progressive sono accompagnate da un suono bombastico, dando ad Hollowlands un tocco quasi cinematografico che valorizza ancora di più il sound, così che non si può non rimanere folgorati da questa raccolta di gemme metalliche che hanno in Fracture, nella ballad On Tears Path, Phalanx Of Madness, nelle tre parti di Oblivion, cuore del lavoro ed assoluto capolavoro del gruppo, gli episodi migliori di un lavoro decisamente sopra le righe.
I Chronos Zero si apprestano a raggiungere i cuori degli appassionati del genere, forti di un disco bellissimo, anche se a mio parere il sound del gruppo potrebbe piacere anche a chi si nutre di metal estremo, proprio per la sua disumana potenza e l’uso in molte occasioni del growl.
Grande ritorno e gradita conferma.

TRACKLIST
1. The Compression of Time
2. Fracture
3. Shattered
4. On the Tears of Path
5. Who Are You? (A Shape of Nothingness)
6. Who Am I? (Overcame by Blackwater Rain)
7. Ruins of the Memories of Fear
8. Phalanx of Madness
9. Oblivion Pt. 1 – The Underworld
10. Oblivion Pt. 2 – The Trial of Maat
11. Oblivion Pt. 3 – The Harp
12. The Fall of the Balance
13. Near the Nightmare
14. From Chaos to Chaos

LINE-UP
Federico Dapporto – Bass
Enrico Zavatta – Guitars, Piano, Keyboards
Davide Gennari – Drums, Percussion
Jan Manenti – Vocals
Giuseppe Rinaldi – Keyboards
Manuel Guerrieri – Vocals
Margherita Leardini – Vocals

CHRONOS ZERO – Facebook

Worldview – The Chosen Few

Un lavoro che non dovrebbe deludere gli amanti del metal melodico dai tratti power, l’album si guadagna un voto positivo per l’indubbia capacità dei Worldview nel saper creare ottime linee melodiche e brani dal buon feeling.

Giunti all’esordio sulla lunga distanza, gli americani Worldview, aiutati da una manciata di musicisti su cui spicca Oz Fox degli Stryper, confezionano un lavoro di power metal statunitense, ma dalle molte atmosfere europee, raffinato, mai troppo potente ma dal buon gusto melodico.

La band californiana ha nell’ugola del vocalist Rey Parra, il suo asso nella manica, che asseconda con un songwriting ispirato, magari non originalissimo ma molto piacevole.
Atmosfere orientaleggianti(Mortality), drammatiche parti power/prog tipiche del metal d’oltreoceano, ed un gusto per le melodie nobilitate da una vena prog danno al disco un tono adulto e fanno di The Chosen Few un buon esordio, anche se le influenze compaiono a tratti ben visibili tra i solchi del disco, da ricercare specialmente nei Kamelot di Roy Khan.
Niente di male, l’album scorre mantenendo questi clichè, la band difficilmente corre,le ritmiche si mantengono cadenzate, marciando al suono tenuto da tastiere dal mood progressivo.
Quando la luce metallica si accende, ne escono power song dal taglio epico come Prisioner Of Pain, ottima song che non disdegna tasti d’avorio dal taglio settantiano e chorus che rimandano all’hard & heavy di ottantiana memoria.
I musicisti ci sanno fare non poco con gli strumenti, le tastiere disegnano arabeschi progressivi su eleganti parti ritmiche, mentre la chitarra si rende protagonista di solos ben incastonati nelle varie parti dell’album.
Quando l’hard rock melodico prende il sopravvento, sempre arricchito da orchestrazioni di natura prog ecco che i danesi Royal Hunt fanno capolino nella bellissima Two Wonders.
Affidato alle mani di Bill Metoyer (W.A.S.P, Slayer) The Chosen Few gode di un ottimo suono, che esce pulito e cristallino, cosi da raffinare ulteriormente le songs proposte dal gruppo di Los Angels.
Un lavoro che non dovrebbe deludere gli amanti del metal melodico, dai tratti power, l’album si guadagna un voto positivo per l’indubbia capacità dei Worldview nel saper creare ottime linee melodiche e brani dal buon feeling.
Lo spiegamento di forze, sia alla consolle, che negli ospiti che appaiono con un loro contributo nei vari brani dell’album, non sono stati sprecati e The Chosen few risulta un’ottima opera prima per la band losangelina.

• Autore
Alberto Centenari

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• ETICHETTA

TRACKLIST
01. Mortality
02. Illusions of Love
03. Back in Time
04. The Mirror
05. Why?
06. Prisoner of Pain
07. Two Wonders
08. Walk Through Fire
09. The Chosen Few

LINE-UP
Johnny Gonzales – Drums, Percussion
Todd Libby – Bass guitar, Keyboards
George Rene Ochoa – Guitars, Keyboards, Background Vocals
Rey Parra – Lead Vocals

Special guests
Oz Fox [Stryper] – Lead guitar on “Back in Time” (2nd lead)
Les Carlsen [Bloodgood] – Bridge vocals on “The Chosen Few”
Larry Farkas [ex. Vengeance Rising] – Lead guitar on “Prisoner of Pain” (1st lead)
Jimmy P Brown II [Deliverance] – BGV on “The Mirror” (2nd and 3rd chorus)
Ronson Webster – Keyboards, Background Vocals
Armand Melnbardis [Rob Rock] – Piano on “The Chosen Few”, Violin on “Back in Time”
Niki Bente – Female vocals on “The Chosen Few”

WORLDVIEW – Facebook

Nightmare World – In The Fullness Of Time

Esordio su lunga distanza per la band britannica capitanata dal chitarrista dei Threshold Pete Morten.

Con l’esordio su lunga distanza dei Nightmare World siamo nella grande famiglia del power/prog britannico, genere che ha nei Threshold la band di punta: il gruppo, infatti, vede come protagonista al microfono Pete Morten, chitarrista dei più famosi conterranei negli ultimi lavori “March of Progress” e “For the Journey” e al lavoro anche su “The Interpreter” dei My Soliloquy, uscito nel 2013.

In The Fullness Of Time segue di ben sei anni l’ep “No Regrets”, e trattasi di un’opera che non si discosta poi molto da quello che i Threshold producono ormai da più di vent’anni, calcando la mano sulle ritmiche, a tratti più power oriented, ma mantenendo l’impronta progressiva cara alla band di quello che, il sottoscritto, considera il capolavoro del metal/prog, “Psychedelicatessen”, uscito all’alba del decennio di massimo splendore per il genere.
Dotato di un’ottima voce, Morten straripa sulle note power/prog del lavoro, accompagnato da cinque musicisti che, chiaramente, non sono da meno così che la musica della band ci delizia sia nella componente tecnica, che non manca mai in album come questo, sia nella sua parte strettamente emozionale; altro punto a favore per i Nightmare World, i quali puntano al sodo, è il fatto di racchiudere il tutto in meno di quaranta minuti di musica, pochi per gli standard a cui ci hanno abituato le band dedite al genere, ma assolutamente perfetti per questo ottimo album che non annoia con inutili prolissità, colpendo subito il bersaglio dell’assimilazione.
I brani sono infatti diretti, perfettamente suddivisi tra quelli più power e dal taglio epico (The New Crusade) ed altri in cui il prog comanda il sound (Defiance, Damage Report), lasciando che le tastiere di Nick Clarke comandino i giochi con melodie che riportano sempre alla scuola del new prog britannico.
Le chitarre (Sam Shuttlewood e Joey Cleary), aggressive e veloci nelle ritmiche a tratti riconducibili al power teutonico (Euphoria), e la sezione ritmica protagonista di un ottimo lavoro (Billy Jeffs alle pelli e David Moorcroft al basso) completano il combo.
L’album è prodotto da Karl Groom (chitarrista di Threshold e Shadowland e produttore di Dragonforce e Edembridge), mentre il master è stato affidato a Peter Van’t Riet (al lavoro con Symphony X, Transatlantic e Epica), entrambi garanzia di qualità per l’ottima riuscita dell’album.
Ascolto più che piacevole per gli amanti del genere, In The Fullness Of Time è consigliato anche a chi ama suoni più metallici, proprio per la sua immediatezza, pur mantenendo le linee guida del prog sound in voga al di là della manica.

Tracklist:
1. The Mara
2. In Memoria Di Me
3. The New Crusade
4. No Regrets
5. Defiance
6. Burden of Proof
7. The Ever Becoming
8. Damage Report
9. Euphoria

Line-up:
Pete Morten – vocals
David Moorcroft – bass
Sam Shuttlewood – guitars
Nick Clarke – keyboards
Billy Jeffs – drums
Joey Cleary – guitar

NIGHTMARE WORLD – Facebook

Atreides – Cosmos

Gli Atreides hanno tutte le carte in regola per piacere, essendo in possesso di un’ottima tecnica e di brani coinvolgenti.

La Spagna ha la sua ottima tradizione, parlando di metal classico, e in questo caso riguardante il power metal, le band come gli Atreides che si dedicano ai suoni classici sono molte e alcune davvero ottime: i Tierra Santa, gli Avalanche, i Saratoga e i famosi Mago De Oz sono solo esempi per presentarvi il quartetto proveniente da Vigo, nato da un’idea del chitarrista Dany Soengas dei thrashers Skydancer, protagonisti della scena metallica iberica con quattro full length tra il 2007 ed il 2013.

Cambio di registro per Soengas, che lascia i suoni death/thrash per un power metal dalla forte influenza nord europea, sulla scia di Stratovarius e del power metal teutonico, e il debutto della band convince alla grande, tra ritmiche mozzafiato e solos ben congeniati e melodicissimi.
Un lotto di brani dal buon piglio forma un dischetto tutt’altro che trascurabile: le vocals in lingua madre non inficiano la riuscita delle poderose canzoni e la band gira a mille, con il chitarrista sugli scudi e l’ottima performance dei suoi compari, una sezione ritmica pesante come un incudine e veloce come il vento, composta da Antonio Orihuela al basso e David Borjas alle pelli e la buona prestazione del vocalist Emi Ramírez.
Prodotto e mixato dal chitarrista con la partecipazione dell’onnipresente Josè Rubio alla masterizzazione, Cosmos risulta un debutto avvincente, iniziando dalla grandiosa e devastante title track, seguita dalla cadenzata e Stratovarius-oriented Medianoche, dove le ritmiche impazzano tra potenza e sfuriate ed il drumming del buon Borjas spacca il drumkit.
Quinto brano e centro pieno per la band, che si butta a capofitto in uno strumentale dai solos dal sapore neoclassico, Providencia, che segue la scia di una Speed Of Light anch’essa di tolkkiana memoria, introducendo un’ottima parte atmosferica nella quale l’axeman fa cantare la sua sei corde.
Il power teutonico esce dai solchi di Cruzando El Bosque, brano in pieno stile Rage, così come nella conclusiva ed ottima Garret, finale col botto di questo gran bel debutto.
Cosmos non stupisce certo per originalità, d’altronde gli amanti del genere ciò che vogliono sentire è la musica inclusa in questo lavoro, ed allora dategli un ascolto perché gli Atreides hanno tutte le carte in regola per piacere, essendo in possesso di un’ottima tecnica e di brani coinvolgenti.

Tracklist:
1. Singularidad
2. Cosmos
3. Medianoche
4. Distancia
5. Providencia
6. Alma Errante
7. Cruzando el Bosque
8. Garret

Line-up:
D.S.: Guitars.
Emi Ramírez: Vocals
Antonio Orihuela: Bass Guitar
David Borjas: Drums

ATREIDES – Facebook

Frozen Sand – Prelude

Ottimo ep d’esordio per i prog metallers Frozen Sand, ideale preludio all’imminente full length.

I Frozen Sand provengono da Novara, nascono nel 2010 e, all’insegna di un buon progressive metal, alternando tradizione e modernità, licenziano questo Ep di quattro brani dal titolo Prelude, appunto preludio di una storia che sarà sviluppata nel futuro esordio sulla lunga distanza.

Fractal Of Frozen Lifetimes, questo è il titolo del concept in cui la band sviluppa il suo songwriting fatto di un metal/prog che predilige le atmosfere piuttosto che cervellotiche parti tecniche, anche se ai musicisti del gruppo la bravura strumentale non manca di certo.
Ottime le vocals, che passano da parti evocative che creano un aurea epica, al growl (ormai usato sempre più spesso dalle band del genere) fino ad un’ottima voce pulita, il che rende l’ascolto dei brani vario, così come vario risulta il sound di Prelude che alterna con disinvoltura progressive e metal classico, inserendo ritmiche di death moderno che seguono l’alternarsi delle voci, cambiando atmosfere ad ogni passaggio.
Inutile elencare influenze o band da cui il gruppo piemontese prende spunto, qualsiasi amante dei suoni progressivi troverà modo di farsi una sua idea: la cosa che invece salta all’orecchio è la personalità con cui i Frozen Sand affrontano un genere non facile come quello racchiuso in Prelude, aumentando la curiosità e le aspettative per il futuro full length, di cui sicuramente ci faremo carico di parlarvi.

Tracklist:
1.Chronicle I – Chronomentrophobia
2.Chronicle II – Sand Of The Hourglass
3.Chronicle III – Khrono’s Pendulum
4.Fracture

Line-up:
Luca Pettinaroli – Vocals
Mattia Cerutti – Guitar
Tiziano Vitiello – Bass
Simone De Benedetti – Drums
Federico De Benedetti – Guitar, synth guitar & back vocals

FROZEN SAND – Facebook

Starbynary – Dark Passenger

Grandissimo esordio su Bakerteam per gli Starbynary con “Dark Passenger”, capolavoro di power/prog metal.

Magniloquente, esaltante, metallico nella concezione più pura e tecnica, elegante, raffinato: insomma, questo straordinario debutto ha tutte le carte in regola per piacere ai fan del metallo nobile, risultando una cascata di melodie fra accelerazioni power e tecnica prog al servizio di una decina di brani bellissimi.

Loro sono gli Starbynary e l’album si intitola Dark Passenger: nati come trio, composto dal bravissimo vocalist Joe Caggianelli e dai funambolici Leo Giraldi alla sei corde e Luigi Accardo alle keys, si avvalgono in quest’occasione della collaborazione di Diego Ralli alle pelli e nientemeno che di Mike Lepond dei Symphony X al basso.
L’album è un concept tratto dall’opera “La Mano Sinistra Di Dio” dello scrittore Jeff Lindsay (dalla quale è stata poi tratta la serie televisiva Dexter), ed è un monumento al genere di rara bellezza, tra fughe tastieristiche, cavalcate power e momenti in cui la vena prog del gruppo ammalia tra fantastiche melodie, non perdendo mai di vista il nostro amato metal anzi, nobilitandolo, con un songwriting sopra le righe.
La musica della band non dà tregua, le parti in cui l’ascoltatore è travolto dall’onda anomala creata dal terremoto di note create dal gruppo si susseguono senza soluzione di continuità, per più di un’ora di metallo che scorre alla velocità della luce, suonato divinamente e marchiato a fuoco da atmosfere neoclassiche spettacolari.
Impossibile non rimanere affascinati: la band infila una dietro l’altra perle che risplendono, incastonate in questo gioiello di musica che definire grandiosa è un puro eufemismo.
Le prove dei musicisti sono da manuale, con Joe Caggianelli che si dimostra vocalist superlativo, mettendo in fila più di un collega, assecondando lo strapotere di tastiere e chitarra, che si dividono gli applausi dello stupito (e meravigliato da cotanta classe) ascoltatore di turno.
Le influenze, in un genere in cui non è sicuramente l’originalità il principale punto di forza, ci sono ma vanno ricercate nel meglio del power nazionale, dai Labyrinth ai Vision Divine, passando per l’epicità elegante e neoclassica dei gruppi scandinavi e un gusto strutturale dai rimandi progressive che spinge l’album tra i capolavori di un anno da ricordare per il metal nazionale: Dark Passenger si attesta tra le migliori uscite in assoluto, spinto da brani fantastici come …Dawn Of Evil, la title-track, Codex, The Ritual e l’ultima grandiosa mezzora composta da Look Around Turn Away e la conclusiva The End Begins.
Disco da avere assolutamente, Dark Passenger è un’opera eccezionale che ci consegnandoci una band che alo stato attuale nel genere ha pochi eguali.

Tracklist:
1. Before The Dawn…
2. …Dawn Of Evil
3. Dark Passenger
4. Blood
5. Reflections
6. Codex
7. My Enemies
8. The Ritual – Modus Operandi
9. Turn Around, Look Away!
10. The End Begins

Line up:
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo – Keyboards

Guests:
Mike Lepond – Bass
Diego Ralli – Drums
Bea Sinigaglia – Soprano on “Dawn Of Evil”

STARBYNARY – Facebook

Kalidia – Lies’ Device

La band toscana riesce nella non facile impresa di consegnarci un disco semplice ma costruito su belle canzoni, metalliche ma nel contempo orecchiabili, e va oltre le più rosee aspettative con il proprio power classico ma dal sapore melodico.

Un altro bellissimo album di power metal melodico tutto italiano uscito in questa prima metà dell’anno di grazia 2014, ed un’altra band da scoprire e da seguire per tutti i fan del genere.

Si chiamano Kalidia, vengono da Lucca ed arrivano al debutto sulla lunga distanza dopo un EP del 2012 dal titolo “Dance of the four winds”, prodotto da Alessio Lucatti (Vision Divine, Etherna) che offre loro la possibilità di intraprendere un’intensa attività live, suonando con la crema del power/prog metal nazionale ed internazionale (Vision Divine, DGM, Timo Tolkki, Etherna). Le registrazioni dell’album di debutto iniziano lo scorso anno, sempre sotto l’ala di Alessio Lucatti che produce, masterizza e mixa questo notevole Lies’ Device. La band, guidata dalla voce della bravissima Nicoletta Rosellini, che “interpreta” in modo caldo con il suo tono ricco di pathos ed emozionalità le trame presenti in questo debutto, riesce nella non facile impresa di consegnarci un disco semplice ma costruito su belle canzoni, metalliche ma nel contempo orecchiabili, e va oltre le più rosee aspettative con il proprio power classico ma dal flavour melodico, di gran lunga superiore a tanti artisti più famosi. Dimenticatevi suoni sinfonici, gothic e vocals baritonali, questo è power e, dove necessita, i Kalidia picchiano da par loro, lasciando spazio a momenti dove esce un po’ di anima prog, specialmente nella drammatica Harbinger of Serenity cantata in duetto da Nicoletta con Andrea Racco degli Etherna (freschi dello splendido “Forgotten Beholder”). Si passa così da momenti heavy ad altri dove la band lascia spazio al talento della vocalist, che spadroneggia su tutto l’album deliziandoci con Shadow Will Be Gone, ballad sopra le righe, The Lost Mariner, song che apre l’album tra ottime melodie e bissata dalla più potente Hiding From the Sun, e Dollhouse (Labyrinth of Thoughts), dalle melodie ariose che sfiorano l’AOR. Lies’ Device è a suo modo trascinante e l’ascolto sempre piacevole, tanto che arrivare alla conclusiva In Black and White, dove compare come ospite Alessandro Lucatti con la sua sei corde, è un attimo, passando per almeno altri due brani coinvolgenti come Reign of Kalidia e la title-track. L’abilità della band nello strutturare su un tappeto tastieristico l’ottimo power, addolcito dalla voce della cantante, fornisce a questo lavoro una marcia in più e ci consegna un altro debutto coi fiocchi da parte di una band nostrana, ovviamente consigliato a tutti gli amanti del metal melodico.

Tracklist:
1. The Lost Mariner
2. Hiding from the Sun
3. Dollhouse (Labyrinth of Thoughts)
4. Reign of Kalidia
5. Harbinger of Serenity
6. Black Magic
7. Shadow Will Be Gone
8. Lies’ Device
9. Winged Lords
10. In Black and White

Line-up:
Federico Paolini – Guitars
Nicola Azzola – Keyboards
Nicoletta Rosellini – Vocals
Roberto Donati – Bass
Gabriele Basile – Drums

KALIDIA – Facebook

Derdian – Human Reset

Bellissimo lavoro da parte dei Derdian, potenza e melodia al sevizio del metallo pesante.

Brutta bestia il power metal; dopo aver dominato il panorama, sopratutto in Europa, negli anni a cavallo del nuovo millennio, portato al successo da band che in quel periodo hanno sfornato capolavori a getto continuo, lo ritroviamo nel secondo decennio del duemila ancora una volta in stand by nelle preferenze di fan e addetti ai lavori, superato dal symphonic gothic metal.

Invero i nomi più importanti faticano ad arrivare ai livelli eccelsi di una quindicina di anni fa, ed allora ecco che il tanto bistrattato underground viene in soccorso regalando band e album notevoli, come questo bellissimo e ultimo lavoro dei milanesi Derdian. Per chi non conoscesse ancora il gruppo, ricordo che è attivo dal 2001 e che il primo full-length risale al 2004 con “New Era Pt.1”, disco che porta in dote la firma con la prestigiosa Magna Carta, seguito dagli altri due capitoli “New Era Pt 2-War of the Gods” e “New Era Pt 3-The Apocalypse”. Nel 2013 arriva “Limbo”, che segna l’abbandono delle tematiche fantasy per un approccio più immerso nella realtà quotidiana. Oggi la band, accasatasi con None Records, è pronta a partecipare alla battaglia per il miglior album dell’anno nel suo genere con Human Reset, straordinario lavoro di power metal moderno, dove le orchestrazioni incontrano la potenza del metallo pesante mantenendo un perfetto equilibrio, in un elegante dimostrazione di forza da parte della band milanese, capace di superare se stessa con un songwriting sopra le righe che alterna brani dal sapore epico sinfonico (come il capolavoro Music for Life) a altri nei quali la fa da padrona l’originalità: tutto questo in un ambito stilistico per il quale molti sostengono tutto sia sia già stato scritto, con strutture metalliche dall’approccio moderno e andando ben oltre alla classica band alla Rhapsody (tanto per fare un esempio). Human Reset è una raccolta di brani eccellenti e con picchi qualitativi elevatissimi, quali Mafia, canzone dalla citazione cinematografica nel solo del bravissimo Dario Radaelli, la title-track dai cori epici e cavalcata metallica esaltante nel suo incedere, Absolute Power, dove l’intera band offre l’ennesima lezione di potenza e tecnica, con la sezione ritmica sugli scudi per tutto l’album (Marco Banfi, basso e Salvatore Giordano, batteria), la ritmica sempre puntuale di Enrico Pistolese, le orchestrazioni eleganti di Marco Garau e il bravissimo Ivan Giannini, vocalist dalle mille risorse, convincente nei toni bassi e straripante dove la sua ugola prende il volo per raggiungere le vette dei colleghi più famosi, ad aggiungersi alla prova ineccepibile del già citato chitarrista. Non esiste attimo di tregua in questo lavoro fino alla stupenda After the Storm, ballad che non smorza la tensione, con il piano a guidare il sound e chitarra e orchestrazioni che nel refrain portano il pathos alle stelle. Ancora il piano inizia e conclude la stupenda My Life Back, traccia che mette la parola fine ad un lavoro superbo, dove potenza e melodia vengono messe al sevizio del metal.

Tracklist:
1. Eclipse
2. Human Reset
3. In Everything
4. Mafia
5. These Rails Will Bleed
6. Absolute Power
7. Write Your Epitaph
8. Music Is Life
9. Gods Don’t Give a Damn
10. After the Storm
11. Alone
12. Delirium
13. My Life Back

Line-uo:
Ivan Giannini – Vocals
Marco Banfi – Bass
Marco Garau – Keyboards
Enrico Pistolese – Guitars,B.vocals
Dario Radaelli – Lead guitars
Salvatore Giordano – Drums

DERDIAN – Facebook