Mammoth Weed Wizard Bastard – Y Proffwyd Dwyll

La band sostiene d’essere “la colonna sonora ideale per il nostro prossimo viaggio intergalattico”. Da sentire.

Dal Nord del Galles (Wrexham) discende questo immane flusso di energia doom con flavour psichedelico e cosmico; sono in quattro con stellare voce feminile (Jessica Ball) e sono emersi nel 2015 con un monolite nero (Nachthexen) di trenta minuti, replicato nello stesso anno con il full “Noeth ac Anoeth” che continua a definire il “loro” doom aggiungendo due ulteriori lunghe tracce ipnotiche e stordenti.

E ora nel settembre 2016 esplode, è proprio il caso di dirlo, questo nuovo lavoro con sei brani dal minutaggio più contenuto (in media 8-9 minuti) rispetto al precedente; il loro sound di una pesantezza trascendentale si alimenta di pachidermici riff accompagnati, sovrastati dalla ultraterrena voce della bassista e vocalist Jessica; il synth suonato un po’ da tutti i musicisti proietta il suono verso orizzonti cosmici sconfinati ed inesplorati, avvolgendo il tutto in spire scure e profonde.
A differenza della prima opera, dove spiccava il suddetto monolite nero di trenta minuti, qui i brani, tutti di simile alto valore, appaiono come una “massa” cangiante, inarrestabile nel suo scorrere che può ricordare il kraut rock degli anni 70′, con gocce ben udibili di suoni hawkindiani in alcuni tratti., il tutto sempre con spiccata sensibilità doom.
La band in questi 2 anni ha elaborato il suo suono, con diversi concerti in terra albionica e oltre mare suonando con gruppi come Monolord, Ramesses, All Them Witches, tutte realtà che profumano di doom “mutante”, non disdegnando di misurarsi anche con enormità come gli immensi Napalm Death e i polacchi Behemoth.
Accompagnato anche da un bella confezione apribile a formare una croce, il consiglio è quello di “assaggiare” il disco più e più volte per assaporare a fondo il viaggio intrapreso da questi ragazzi che, spero, decidano di farsi ascoltare “live” anche nelle nostre terre !

TRACKLIST
1. Valmasque
2. Y Proffwyd Dwyll
3. Gallego
4. Testudo
5. Osirian
6. Cithuula

LINE-UP
Paul M.Davies – lead guitar, moog synth, sampletron
Jessica Ball – bass,vocals, cello, sampletron
Wes Leon – rhythm guitar, moog synth
James Carrington – drums, moog synth

MAMMOTH WEED WIZARD BASTARD – Facebook

Riti Occulti – Tetragrammaton

La prestazione dei Riti Occulti è superba e mi costringe a ripetere (anche a chi non vuole sentire) che in Italia l’arte gravitante attorno alla scena metal è più che mai viva e ricca di musicisti ricchi di ispirazione e piglio innovativo.

Il terzo album dei Riti Occulti è la dimostrazione, per la band romana, di un’impressionante coerenza nei confronti del monicker prescelto, cosa non sempre scontata.

Chi si avvicinasse all’opera del gruppo laziale, infatti, si sorprenderebbe solo per la qualità musicale esibita, perché le sonorità non lasciano spazio a dubbi riguardo alla sincerità e alla competenza con la quale la materia occulta viene maneggiata.
E’ altresì vero che l’approccio dei Riti Occulti non possiede le connotazioni orrorifiche di molti che si cimentano in territori contigui e, del resto, anche la conformazione strumentale prescelta fornisce indizi di grande discontinuità: la rinuncia alla chitarra e l’utilizzo di due voci femminili, una affidata alle tonalità stentoree di Elisabetta Marchetti e l’altra allo spietato growl di Serena Mastracco (che ben conosciamo per la sua militanza nei Consummatum Est e nei Vidharr), costituiscono un indizio eloquente su quanto la band si muova con traiettorie oblique che attraversano le diverse sfumature della musica più oscura.
Non a caso mi trovo in seria difficoltà nel definire od avvicinare Tetragrammaton ad uno stile musicale ben preciso: probabilmente la base predominante è il doom, ma l’indole progressive e l’elemento psichedelico mescolano costantemente le carte in tavola, sicché l’album finisce per essere, come desiderato dai propri autori, un costante flusso sonoro in cui il basso martellante diviene un minaccioso rombo che, assieme a tastiere dal sapore antico e ad un drumming molto asciutto, funge da sottofondo alle evoluzioni delle due cantanti.
Tetragrammaton trova il suo fulcro nella quarta parte di Adonai, dove in avvio il basso di Niccolò Tricarico ricorda non poco quello di Waters nel finale di Echoes, e nell’intensità spasmodica della conclusiva Yetzirah, essendo i due brani che maggiormente colpiscono, pur essendo tutt’altro che di semplice fruibilità.
Il lavoro, infatti, costringe l’ascoltatore a non abbassare mai la soglia dell’attenzione, perché anche nei rari momenti in cui l’album pare assumere uno schema compositivo più tradizionale, avvicinandosi al doom con voce femminile in stile Jex Thoth, aleggia sempre un sottofondo sonoro che non lascia respiro, tra dissonanze ritmiche e atmosfere cariche di tensione che trova sublimazione nell’efferato growl della Mastracco.
La prestazione dei Riti Occulti è superba e mi costringe a ripetere (non che mi dispiaccia, ma ho sempre più netta la sensazione che sia fatica sprecata) che in Italia l’arte che gravita attorno alla scena metal è più che mai viva e ricca di musicisti ricchi di ispirazione e piglio innovativo. Poi sarò smentito, e ne sarò felice, ma sono sicuro che fuori dai nostri confini una band come questa si è già guadagnata una buona fetta di estimatori, mentre dalle nostre parti lo si può solo sperare .…

Tracklist:
01 – Invocation of the Protective Angels
02 – Adonai I
03 – Adonai II
04 – Adonai III
05 – Adonai IV
06 – Atziluth
07 – Beri’Ah
08 – Yetzirah
09 – Assiah

Line-up:
Serena Mastracco: Harsh Vocals
Elisabetta Marchetti: Clean Vocals
Niccolò Tricarico: Bass
Francesco Romano: Drums
Giulio Valeri: Synthesizers

RITI OCCULTI – Facebook

Queen Elephantine – Kala

Psichedelia pesante e molto noise, acida e fuzz, rituale e cosmica.

Psichedelia pesante e molto noise, acida e fuzz, rituale e cosmica. Non bastano le parole per provare l’esperienza sonora che fanno vivere i Queen Elephantine.

Nati ad Hong Kong, non hanno fissa dimora, si possono trovare nello loro numerose uscite, quattro album, split e sette pollici. La loro psichedelia pesante e rituale è la continuazione della lotta per portare il rumore e la confusione quella vera al centro dell’arena. Bisogna abbandonarsi a Kala, lasciare che il trip salga e vi prenda, non resistete alle sirene elettriche. Questa non è musica, ma un rituale per espandere le nostre coscienze, allargare gli orizzonti e le sinapsi. Gli strumenti sono appunto un mezzo per creare stati di coscienza alterati, senza pose o forme da assumere, questo è puro flusso, rimodellando la materia secondo multiversi che inventiamo noi. dischi come Kala sono da studiare, assaporare, ma certamente non possono essere ascoltati in mezzo alla folla, ma bisogna cercare un qualche spazio meditativo, sia fisico che spirituale. In certi frangenti il gruppo, ora di stanza a Providence, ricorda la psichedelia tedesca tendente al krautrock, quello splendido tentativo di sintesi che poi non si ripeterà più. Ed invece qualcosa è tornato indietro, sotto forma di un disco di rumore cosmico, colonna sonora di pianeti che si spostano su assi lontani milioni di anni luce, ma con la nostra mente possiamo arrivarci, possiamo esserci ascoltando i Queen Elephantine, traghettatori neuronali.

TRACKLIST
1.Quartered
2.Quartz
3.Ox
4.Onyx
5.Deep Blue
6.Throne of the Void in the Hundred Petal Lotus

LINE-UP
Indrayudh Shome – Guitar
Ian Sims – Drumset
Mat Becker – Bass
Srinivas Reddy – Guitar
Derek Fukumori – Percussion
Samer Ghadry – Guitar, Synth
Nathanael Totushek – Drumset + Percussion on 2,4,6
Nick Disalvo – Mellotron on 1, 2, 3
Michael Scott Isley – Percussion on 2,4
Danny Quinn – Surgeon Pepper

QUEEN ELEPHANTINE – Facebook

Blind Marmots – Spore

Una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno.

Ritroviamo i padovani Blind Marmots due anni dopo l‘ep d’esordio autointitolato: questo nuovo Spore è di poco più lungo ed arriva dopo diversi cambi di formazione che, alla fine, paiono aver dato dei buoni risultati.

La band fagocita, rumina e restituisce (meglio non sapere attraverso quale orifizio) svariate influenze che fanno capo al rock e al metal alternativo, lasciando sul terreno un melting pot di stoner, sludge, grunge, funky, psichedelia, che si rivela piuttosto organizzato nonostante l’ approccio scanzonato alla materia possa far temere, in prima battuta, il contrario.
Ne deriva così una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno: i Blind Marmots manifestano apertamente il proprio atteggiamento ironico e pungente (in questo vedo una certa similitudine con gli alassini Carcharodon), a partire da testi che ci portano a spasso tra maniaci incendiari, marmotte, topolini, sbronze e conseguenti minzioni, ma ciò non impedisce loro di fare molto sul serio a livello musicale, visto che la mezz’oretta scarsa che ci vene offerta riesce a lasciare il segno specialmente nei primi tre brani, davvero eccellenti nella loro spontanea robustezza e molto più diretti rispetto a restanti, pervasi invece da un più accentuato mood psichedelico
Il potenziale per emergere c’è tutto, ma è chiaro quanto non sia semplice in un settore piuttosto frequentato e nel quale, al di là dello spingere in una direzione musicale piuttosto che in un’altra, il rischio è quello di restare confinati allo status di band divertente (e non c’è dubbio alcuno che il quartetto padovano lo sia), specie dal vivo.
Ma, immaginando che quest’obiettivo, peraltro ampiamente raggiunto, sia una delle priorità per i Blind Marmots, in attesa di risentirli all’opera magari su lunga distanza, non resta che unirci alla loro invocazione: Dio salvi la marmotta!

Tracklist:
1. Pyromaniac
2. God Save The Marmot
3. Mice In The Attic
4. The Hangover
5. Pissing
6. Storm

Line-up:
Carlo Titti – Lead Guitar
Ale “Teuvo” – Voice
Luca Cammariere – Drums
Pietro Gori – Bass

BLIND MARMOTS – Facebook

Rosàrio – And The Storm Surges

And The Storm Surges è un album dal taglio internazionale, ben curato in ogni dettaglio e superiore alla media, nonostante sia inserito in un genere che da anni regala enormi soddisfazioni in termini qualitativi.

Dalla collaborazione di una manciata di etichette indipendenti esce il secondo lavoro dei Rosàrio, band padovana di stoner psichedelico dall’alto voltaggio.

Il gruppo, nato appena tre anni fa e, come detto, già alla seconda opera sulla lunga distanza è una delle migliori realtà nel panorama stoner metal nazionale, confermata da questo monumentale lavoro, non facile da assimilare ma molto suggestivo.
Dimenticatevi le semplici sonorità tanto in voga negli ultimi tempi, il quintetto nostrano ci invita ad un viaggio nella storia dell’evoluzione dell’uomo come individuo, a colpi di stoner metal violentato da sonorità che passano dal doom/sludge al rock psichedelico, colmo di chitarroni saturi ed atmosfere intimiste, in un susseguirsi di parti rallentate ed esplosioni di watt potentissime.
Ben interpretate da una voce calda e ruvida le tracce si danno il cambio, instancabili, mantenendo la tensione elettrica molto alta con picchi di travagliata drammaticità, come il percorso dell’individuo che da semplice coscienza di sé passa ad un paradigma di onnipotenza creativa (come descritto dalla stessa band).
Dicevamo, non semplice da assimilare ma molto affascinante, And The Storm Surges con il suo lento incedere si trasforma in un lungo e tormentoso viaggio verso la consapevolezza, con il gruppo che sottolinea questa metamorfosi con violenti cambi di umori musicali, in un continuo saliscendi tra monolitiche parti doom e rabbiose sfuriate alternative/stoner, ricoperte da un sottile strato psych che eleva di molto l’appeal malsano e fumoso di brani come Drabbuhkuf e le bellissime Canemacchina e Dawn Of Men.
Il viaggio si conclude con il piccolo capolavoro And Then… Jupiter, brano super stonato e che si rivela come una ipotetica jam tra Kyuss e Tool, straordinaria conclusione di un lavoro alquanto maturo.
And The Storm Surges è un album dal taglio internazionale, ben curato in ogni dettaglio e superiore alla media, nonostante sia inserito in un genere che da anni regala enormi soddisfazioni in termini qualitativi.

TRACKLIST
Side A – Creak
1- To Peak And Pine
2- Drabbuhkuf
3- Vessel Of The Withering
Side B – Harvest
4- Livor
5- Radiance
Side C – Bedlam
6- I Am The Moras
7- Canemacchina
Side D – Sunya
8- Dawn Of Men
9- Monolith
10- And Then… Jupiter

LINE-UP
Nicola Pinotti- Guitar
Fabio Leggiero-Bass
Alessandro Magro-Vocals
Riccardo Zulato- Guitar
Alessandro Bonini-Drums

ROSARIO – Facebook

Electric Hoodoo – Electric Hoodoo

Heavy blues rock con cadenza lenta per questo gruppo tedesco, che ripropone cose note in una maniera molto originale.

Heavy blues rock con cadenza lenta per questo gruppo tedesco, che ripropone cose note in una maniera molto originale.

Gli Electric Hoodoo provengono dall’ex DDR e più precisamente da Dresda, che ha una fiorente scena musicale. Il loro scopo è quello di fare una musica dedita agli anni settanta con un piglio personale ed originale. E ci riescono benissimo poiché il loro incedere è molto personale ed è davvero legato alle scale blues. Sono anche pesanti ed incisivi, e la loro musica risulta molto interessante. Si possono anche sentire gli echi del dirigibile inglese, ma non ci sono solo quelli, anche perché l’impronta della frontiera americana, è forte.
Il sostrato fondamentale per questa opera è il blues, che marca tutto in questo disco. Blues non è solo certi dettami, ma un sentire superiore che permea l’opera musicale. I ragazzi sono giovani ma sono alright come direbbero gli Who, e confezionano un ottimo disco. Le chitarre e la sezione ritmica cullano dolcemente l’ascoltatore ma la differenza la fa l’incredibile voce di Philip Ohlendorf che è davvero unica, ora potente, ora suadente, ma sempre incredibilmente potente, un mezzo davvero notevole.
Bel disco, fatto con passione, consapevolezza dei propri mezzi e chiarezza degli obiettivi.

TRACKLIST
1.Station Blues
2.The Phoenix
3.Wade in the water
4.What’s going on
5.Guiding light

LINE-UP
Philip Ohlendorf – Vocals
Max Georgi – Guitar
Florian Escherlor – Harp, Guitar
Jonathan Bogdain – Bass
Benjamin Preuß – Drums

ELECTRTIC HOODOO – Facebook

Saturna – Saturna

Un gran bel disco per un gruppo che raramente sbaglia, ma che con questo disco omonimo si supera.

I Saturna sono un gruppo di Barcellona che sono stati toccati dalla mano degli dei del rock pesante.

Formati nel 2010 dal bassista Rod per sviluppare insieme a degli amici delle idee musicali, i Saturna sono presto diventati uno dei migliori gruppi musicali di psichedelia rock pesante sulla piazza. La loro musica è un misto di doom, heavy rock e psichedelia, molto suadente e fisica, si sente la musica che occupa un volume, e come dice il loro nome, qui ci sono i dettami dei riti dionisiaci, ci si volge verso Saturno con tutto ciò che comporta. Questo loro terzo disco è forse quello più completo, il suono è sempre sulle stesse coordinate, ma si sente che il loro modo di comporre è cambiato, migliorando ulteriormente. Ascoltando i Saturna ci si immerge in una modernità che certo deve molto alle cose passate, ma che innova con una sapiente personalizzazione del verbo pesante. Le loro canzono sono riti musicali, costruiti con il sentimento della California anni settanta, anzi i Saturna suonano molto meglio di tante band di quel periodo o dei loro epigoni attuali. Le atmosfere sono molteplici e diverse, dal pezzo duro e lungo alla trasmigrazione psichedelica delle anime, ad un certo retrogusto grunge che fa davvero piacere ascoltare. In certi frangenti le tastiere disegnano figure davvero belle, come in Leave It All, canzone davvero notevole e forse la migliore di tutto il disco.
Un gran bel disco per un gruppo che raramente sbaglia, ma che con questo disco omonimo si supera.

TRACKLIST
1.Tired to fight
2.All has been great
3.Birds in cages
4.Five fools
5.Routine
6.Leave it all
7.Unsolved
8.Disease
9.A place for our soul

LINE-UP
Rod: Bass
Oscar: Guitar
Jimi: Vocals / Guitar.
Enric: Drums

SATURNA – Facebook

Colour Haze – Live Vol.1 Europa Tournée 2015

Questo disco non è certamente il solito live, ma è la testimonianza delle jam dal vivo, davanti a degli spettatori.

I Colour Haze sono una vecchia conoscenza per chi ama la psichedelia robusta, quella che volentieri si congiunge carnalmente con il rock, preferibilmente l’heavy rock.

Nati nella metà degli anni novanta in Germania, i tre pubblicano il loro esordio Chopping Machine nel 1995, e da quel momento hanno fatto viaggiare molte persone. La loro musica ha la sua ragion d’essere nel live, e questo disco dal vivo lo sottolinea molto bene, catturandone ogni momento in maniera fedele. Dopo molti anni di onorato servizio i Colour Haze non hanno più nulla da dimostrare, e pubblicano questo live per deliziare i fans e anche i neofiti. Live Vol.1 è un album molto armonico, una sorta di grande jam in due lp e tre cd, con pezzi registrati in molti posti, da Parigi a Colonia e Berlino, tutti in ottima fedeltà sonora. I Colour Haze fanno musica da meditazione con la chitarra di Stefan Koglek che conduce le danze, e come un pifferaio magico ammalia il pubblico che lo segue docile e voglioso. Le linee sonore dei tedeschi sono eteree ed influenzate dalla psichedelia anni sessanta, anche se i Colour Haze non sono l’imitazione di nessuno, anzi sono un gruppo seminale. Questo disco non è certamente il solito live, ma è la testimonianza delle jam dal vivo, davanti a degli spettatori, con un modello già ampiamente usato dai Grateful Dead, o dai Gand Funk Railroad, gruppi che hanno molti in comune con i Colour Haze. Viaggiare, liberare la mente grazie ad un suono liberatorio e stimolante, lasciando il ruolo di assoluto protagonista all’ascoltatore, o meglio al suo cervello, che può scivolare via veloce dalle preoccupazione di questo mondo impazzito.
Il primo volume di una serie di dischi dal vivo dei Colour Haze, un gruppo tanto grande quanto umile.

TRACKLIST
1-1 Persicope (Frankfurt)
1-2 Moon (Frankfurt)
1-3 Überall/Call (Frankfurt)
1-4 She Said (Paris)
1-5 Aquamaria (Würzbug)
1-6 To The Highest Gods We Know (Paris)
8 Circles (Paris)
9 Transformation (Berlin)
10 Grace (Berlin)
11 Tempel (Paris)
12 Love (Paris)
13 Peace Brothers and Sisters (Frankfurt)
14 Get It On (Köln)

LINE-UP
Stefan Koglek – Guitar,Vocals
Philipp Rasthofer – Bass guitar
Manfred Merwald – Drums

COLOUR HAZE – Facebook

Joy – Ride Along!

Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

L’hard rock dalle sonorità vintage e psichedeliche, in questi anni ha trovato molti estimatori ed il fiume di gruppi che inonda il mercato si è diviso in vari torrenti musicali di cui i principali sono quelli che portano al blues ed allo psych rock.

Come da tradizione sono però i gruppi statunitensi quelli che regalano le migliori soddisfazioni, con una serie di realtà dall’alto tasso psichedelico come questo trio di San Diego che di nome fa Joy e che arriva al suo secondo bellissimo lavoro.
Guidato dal chitarrista e cantante Zachary Oakley, anche produttore dell’album, la band si completa con il fantastico batterista Thomas DiBenedetto e dal bassista Justin Hulson, creatori di questo manifesto al psych rock, colmo di sonorità fuzz e sporcato da iniezioni di blues acido.
Oakley fa prodigi con la sua sei corde ricordando non poco il mood hendrixiano e i brani sono caratterizzati da un’aura di jam tipica del genere.
Numerosi sono gli ospiti che intervengono a valorizzare le varie canzoni, tutti musicisti della scena come il drummer Mario Rubacala (Earthless, OFF!), Brendan Dellar, chitarrista dei Sacri Monti e soprattutto quella macchina di riff che risulta Parker Griggs, axeman e leader dei clamorosi Radio Moscow.
Da Misunderstood, passando per Evil Woman e la cover degli ZZ Top Certified Blues, l’album è un trip rock blues psichedelico dall’alto tasso elettrico, la sei corde spara riff saturi, mentre Help Me e Red White And Blues ci aprono la strada per la clamorosa Peyote Blues, song acustica che mischia Led Zeppelin e southern rock in pieno effetto collaterale da funghi allucinogeni, ed il risultato non ci fa smettere di danzare, penzolando in pieno trip settantiano.
Gypsy Mother’s Son conclude il lavoro, il più lungo dei brani raccolti nel disco non può che essere una jam di rock adrenalinico e psichedelico, che ci trascina a suon di watts al gran finale.
Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

TRACKLIST
1. I’ve Been Down (Set Me Free)
2. Misunderstood
3. Evil Woman
4. Going Down Slow
5. Certified Blues (ZZ Top – Cover)
6. Help Me
7. Red, White and Blues
8. Peyote Blues
9. Ride Along!
10. Gypsy Mother’s Son

LINE-UP
Zachary Oakley – Guitar & Vox
Justin Hulson – Bass
Thomas DiBenedetto – Drums

http://www.facebook.com/JOYBANDOFFICIAL”>JOY – Facebook

Atomikylä – Keräily

Si sentono abbastanza distintamente gli impianti sonori dei Dark Buddha Rising o degli Oranssi Pazuzu, poiché le loro radici sono lì, e possiamo perfino spingerci a dire che Keräily sia un disco di psichedelia rituale e che sarebbe la somma perfetta dei due dischi, ma c’è molto di più.

A Tampere, in Finlandia, ci deve essere qualcosa nell’aria o nelle droghe che fa sì che tanti suoi cittadini suonino psichedelia pesante come gli Oranssi Pazuzu o psichedelia rituale come i Dark Buddha Rising.

Gli Atomikylä sono un’unione di alcuni dei membri di questi due grandi gruppi, unione nata dalla divisone di uno spazio prove comune, il Wastement, un nome un programma. Lo scopo di questo gruppo è la liberazione della nostra mente e del nostro corpo attraverso il suono, per mezzo di una psichedelia brutale e sognante allo stesso tempo. I tre pezzi di questo disco sono tre esplorazioni, tre viaggi astrali, dove il nostro corpo arriva a vedere se stesso dall’alto. Le canzoni sono progressive, nel senso che sono serpenti che crescono e vanno a cercare un posto al sole su pietre roventi. La musica qui viene teorizzata ed eseguita come fuga dalla normalità, sia morale che dei sensi, per cercare di liberarsi annientandosi nel suono e nella sua fisicità neuronica. Il disco è una meraviglia continua, un liberi tutti che giova moltissimo alla composizione davvero psichedelica. Non ci sono influenze, non ci sono pressioni, vi è solo il creare. Si sentono abbastanza distintamente gli impianti sonori dei Dark Buddha Rising o degli Oranssi Pazuzu, poiché le loro radici sono lì, e possiamo perfino spingerci a dire che Keräily sia un disco di psichedelia rituale e che sarebbe la somma perfetta dei due dischi, ma c’è molto di più. Qui la ripetizione sonica diventa mantra per accedere ad un piano sonoro superiore, cambiando il proprio stato da materiale ad immateriali, issandoci su forme mentali alterate, oltre la terra la meta. Di questo percorso non abbiamo né la meta né la direzione, ma solo il piacere della scoperta, esplosioni durante la calma, mutazioni sonore. Il nome del gruppo deriva da un campo base abbandonato di operai per la costruzione di una centrale atomica negli anni ottanta. Presto questo luogo chiamato Atomikylä divenne la patria degli sbandati e dei drogati, una repubblica degli emarginati, dove la legge non entrava e nemmeno usciva, per poi essere distrutto pochi anni orsono. Emarginazione mentale, fuga dal normale che porta a una quasi volontaria e comprensibilissima autoesclusione che si sublima in questa musica, bella, tremenda e confusa.

TRACKLIST
1.Katkos
2.Risteily
3.Pakoputki

LINE-UP
V. Ajomo – Guitar, Vocals
T. Hietamäki – Bass
J. Rämänen – Drums
J. Vanhanen – Guitars, Vocals

ATOMIKYLA – Facebook

Earthset – In a State of Altered Unconsciousness

Un meraviglioso e inaspettato trattato della musica contemporanea, bolognese innanzi tutto e italiana infine.

Master Of Reality, dal primo istante non ci si confonde, soprattutto dal vero grigio che non solo dalla copertina trapela.

E’ una risolvibile equazione algebrica che spiega per lo più come affrontare un periodo dimesso, in cui nessuno più ha apparente interesse. Ottimo mixaggio, suoni curati e melodie coinvolgenti e non banali, che tra un onda e l’altra ricordano agli appassionati del genere post(-post) grunge i My Vitriol e i Biffy Cliro: The Absence Theory ne è un esempio, uno su 11, numero perfetto per concentrarsi sul singolo ascolto di ogni traccia. Le ballate Epiphany e Ouverture si traducono in veri e propri viaggi sonori che Valeria Ferro di Onda Rock riesce perfettamente a definire : (…)un disco lineare e flessibile, capace di scorrere fino al suo epilogo come un vertiginoso continuum.. Siamo infatti alla sincope iniziale di So What che dà quindi una spinta a rimbalzarci tra le pareti dei nostri stessi pensieri. E funziona!: chitarre sguainate si aprono e l’aria si rende anche più densa ed esotica con la seguente Skizofonia, ovvero 6 minuti circa di strumentali, con giusti tempi tra crescendo e spamnung . Gone ne è l’eco che si trasmuta in un ‘altra forma (e colore ) ancora; siamo tutti presi e contenti di vedere come anche questo grigiore sappia creare i suoi spazi di euforia pura!!
Astray è ancora un gioiellino che non perde il suo carattere (modalità vagamente Pearl Jam) visto che per un primo ascolto, ad un certo punto, le ultime tracce potrebbero diventare di difficile assimilazione. La tenerezza della dissonanza allo stato puro crea le necessarie vertigini e le chitarre ancora una volta ci suggeriscono la fatica . E’ una discesa/ascesa che fa felici tutti, fanatici o meno del genere, e il taglio o accento buckleyano forse rende tutto più dolce, almeno dall’aspetto con cui Circle Sea chiude un meraviglioso e inaspettato trattato della musica contemporanea, bolognese innanzi tutto e italiana infine. In attesa del prossimo Ep, già in lavorazione, intanto gustiamoci questo, impreziosito dall’artwork di Mauro Belfiore.

TRACKLIST
1.Ouverture
2.Drop
3.The Absence Theory
4.rEvolution of the Species
5.Epiphany
6.So What?!
7.Skizofonìa
8.Gone
9.A.S.T.R.A.Y.
10.Lovecraft
11.Circle Sea

LINE-UP
Luigi Varanese: basso, coro
Costantino Mazzoccoli : chitarra, coro
Emanuele Orsini: batteria
Ezio Romano: chitarra, voce

EARTHSET – Facebook

Black Rainbows – Stellar Prophecy

I Black Rainbows, con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta

E’ ora di dare a Cesare quel che è di Cesare, in questo caso è venuto il momento di spazzar via il vostro provincialismo quando si parla di rock per dare la giusta importanza ad una scena italiana che ormai può tranquillamente guardare dall’alto molte realtà europee ed andare a braccetto con quelle britanniche e statunitensi.

A ribadire lo stato di grazia del rock nazionale ci pensano i romani Black Rainbows, ormai da più di dieci anni in giro con il loro rock psichedelico contaminato da elettrizzante stoner; la band, attiva dal 2005, è giunta al quinto lavoro sulla lunga distanza, un viaggio lisergico nel mondo delle sette note, iniziato con Twilight in the Desert del 2007, per proseguire con Carmina Diabolo del 2010, Supermothafuzzalicious!! del 2011, ed il bellissimo Hawkdope dello scorso anno, con in mezzo un ep, due split ed un singolo.
Vi ho elencato tutta la discografia perché sono sicuro che, se non conoscete il gruppo capitolino e siete amanti del genere, dopo l’ascolto di questo ultimo lavoro farete di tutto per rifarvi del tempo perduto, ed ascoltare tutta la musica prodotta da questo trio di psychedelic rockers nostrani.
Giuseppe Guglielmino (basso), Alberto Croce (batteria) e Gabriele Fiori (chitarra, voce e tastiere), con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo (Hawkwind, MC5, Led Zeppelin, Black Sabbath) e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta come Monster Magnet, Kyuss, QOTSA: ne esce un sound che può tranquillamente essere considerato un viaggio nella musica rock dalle connotazioni space e psichedeliche, dove perdere la strada che riporta alla realtà spazio temporale è facile e pericolosissimo.
Electrify e Woman ci introducono al meglio nel mondo di Stellar Prophecy: l’opener è un brano diretto, molto rock’n’roll, mentre con Woman si entra nel mondo di Black Sabbath e Hawkwind.
Golden Widow regala undici minuti di pura psichedelia space, una danza lisergica tra le stelle, una lunga passeggiata tra le scie di supernova in caduta libera, nella galassia che si apre nelle menti sotto l’effetto di sostanze illegali, il primo dei due brani capolavoro che può vantare Stellar Prophecy.
Evil Snake, It’s Time To Die e Keep The Secret tornano all’hard rock stonerizzato, sempre accompagnate da chitarre ipersature, una perfetta amalgama tra MC5, Monster Magnet e Kyuss e ci preparano al secondo capolavoro, la conclusiva The Travel, un crescendo emozionale allucinante, quasi dieci minuti di apoteosi psych/stoner/doom lisergico da infarto, un incubo elettrico di enormi proporzioni, la colonna sonora della caduta di un asteroide sulla terra.
Stellar Prophecy si conclude così, con il vocalist che cammina sulle macerie, in un paesaggio diventato lunare, splendido ed emozionante finale di un disco stupendo, fatelo vostro.

TRACKLIST
1. Electrify
2. Woman
3. Golden Widow
4. Evil Snake
5. It’s Time To Die
6. Keep The Secret
7. The Travel

LINE-UP
Giuseppe Guglielmino – Bass
Alberto Croce – Drums
Gabriele Fiori – Vocals, Guitars, Keyboards

BLACK RAINBOWS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=Po3b3qW4Xck

Atom Made Earth – Morning Glory

I sette brani di cui si compone Morning Glory formano una lunga jam che vi trascinerà in un vortice di suoni e colori irresistibile

Premessa: Il rock è morto, anzi no!

Lontane dai deliri di certi scribacchini che, alla scomparsa di una bella fetta delle icone rock che hanno imperversato negli ultimi trent’anni di storia della musica contemporanea, hanno creduto di celebrare la messa funebre al genere, ed immersi nelle vicissitudini di una scena underground mai così prolifica e dall’altissima qualità, le ‘zine di riferimento continuano imperterrite a presentarvi realtà di spessore provenienti da ogni parte del mondo.
A fare la voce grossa c’è anche il nostro paese, troppo spesso dimenticato soprattutto dai fans nati sul territorio nazionale e che all’ombra delle luci accese su spettacoli indecorosi trasmessi in tv, o a festival imbruttiti da una ricerca spasmodica del nuovo re del pop melodico, risulta patria di splendide realtà in tutti i generi con cui il rock ed il metal si nutrono.
Morning Glory conferma l’ottima salute che gode il rock nel nostro paese e ci presenta una band formata da quattro straordinari musicisti che, senza barriere e schemi prestabiliti, inglobano nel proprio sound diverse atmosfere, sfumature ed ispirazioni creando musica totale ed assolutamente progressiva.
Non smetterò mai di affermare che album come questo secondo lavoro del gruppo marchigiano sia quanto di più progressivo il rock del nuovo millennio possa riservare ai suoi estimatori, splendidamente strumentale ma intenso, cangiante e tecnicamente ineccepibile.
Non è assolutamente semplice trovare un lavoro di sole note, dove il canto sarebbe un di più, ci pensano gli strumenti a raccontare l’emozionante viaggio che gli Atom Made Earth hanno memorizzato sul loro navigatore musicale in un crescendo di sorprese che vi accompagneranno per tutta la durata dell’opera e la voglia irrefrenabile che avrete di schiacciare il tasto play ancora una volta.
Accompagnato dalla bellissima copertina curata dall’artista argentino Hernàn Chavar, registrato da Gianni Manariti e masterizzato dall’ex leader dei Khanate James Plotkin, Morning Glory è un album di rock progressivo che, da una forte base pinkfloydiana si dirama in più direzioni, e come un fiume in piena trascina con sé svariati mood, passando con disinvoltura dai Goblin allo stoner rock degli anni novanta, da soluzioni funky care a band come i Primus a divagazioni alternative e post rock inglobate in un sound che sprizza psichedelia da tutti i pori.
I sette brani di cui si compone Morning Glory formano una lunga jam che vi trascinerà in un vortice di suoni e colori irresistibile, confermando come detto non solo l’assoluto valore del gruppo di Ancona, ma l’inesauribile falda aurifera di cui si nutre la scena underground dello stivale.

TRACKLIST

1.Noil
2.Thin
3.October Pale
4.Reed
5.Baby Blue Honey
6.staC
7.Lamps Like An African Sun

LINE-UP

Daniele Polverini – Guitars, Loop, Synth, Effects
Nicolò Belfiore – Keyboards, Synth, Piano
Testa “Head” – Drum, Percussions
Lorenzo Giampieri – Bass

ATOM MADEEARTH – Facebook

Psychedelic Witchcraft – The Vision

The Vision è quello che dice il titolo, ovvero una bella visione di un tempo andato e di sensazioni dimenticate ma estremamente piacevoli.

Secondo disco per l’emergente Virginia Monti che cambia band ed etichetta per il suo nuovo disco.

I Psychedelic Witchcraft sono un gruppo giovane fondato nel marzo 2015 che, con la vecchia line up, aveva pubblicato per la Taxi Driver il 10″ di esordio Black Magic Man, che era andato presto esaurito, ed è anche un pezzo da collezione poiché vi era la playlist sbagliata. Il nuovo lavoro per Soulseller Records mette maggiormente in risalto l’aspetto settantiano del gruppo, che riesce a riportare molto bene un certo clima musicale che si muoveva fra hippy ed occultismo, senza estremizzare come i Coven, e con solide basi musicali. Virginia ha una voce ed un eclettismo canoro che le permette di spaziare molto bene fra i vari registri, ed il resto del gruppo è notevole. I Psychedelic Witchcraft ci portano in un mondo dove si luce e tenebre si fondono e la ricerca è costante, senza mai rimanere fermi. The Vision è quello che dice il titolo, ovvero una bella visione di un tempo andato e di sensazioni dimenticate ma estremamente piacevoli. In un settore dove ci sono molti dischi simili, questo spicca per solidità e per l’avere una Virginia Monti che fa la differenza. Addentratevi in un’oscura luce e in sottili piaceri.

TRACKLIST
1. A Creature
2. Witches Arise
3. Demon Liar
4. Wicked Ways
5. The Night
6. The Only One That
7. War
8. Different
9. Magic Hour Blues

LINE-UP
Virginia Monti – Vocals
Riccardo Giuffrè – Bass
Jacopo Fallai – Guitar
Daniela Parella – Drums

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – Facebook

Le Scimmie – Colostrum

Il risultato è forte ed oscuro, quasi un magia sessuale e musicale che scaturisce da una parte della nostra psiche molto forte e che giace addormentata, ma che quando urla esce fuori pesantemente.

Se si volesse dare un nome ed una connotazione alla musica de Le Scimmie si potrebbe dire stoner estremo, o ambient stoner.

In realtà Le Scimmie vanno ascoltate e soppesate fisicamente, poiché creano una barriera sonora che è una forza che ci porta in dimensioni diverse dalla nostra.
Nati a Vasto nel 2007 come devastante duo, Le Scimmie pubblicano nello stesso anno un ep chiamato L’Origine, per poi incidere nel 2010 la prima fatica su lunga distanza Dromomania. Il cammino era cominciato e con esso una certa evoluzione sonora, la creazione di un territorio potente e primordiale, una forza sonica notevole che scava dentro cose e persone. In alcuni passaggi si possono sentire in loro echi e lezioni degli Ufomammut, ma non è certamente un difetto, anche se sono solo alcuni passaggi e non vi sono copie od imitazioni.
Colostrum nasce dopo anni di silenzio ed un grosso cambiamento, ovvero l’ingresso nel gruppo di un terzo musicista, Simone D’Annunzio, da sempre dentro al mondo de Le Scimmie ed ora agli effetti sonori dopo una carriera spesa tra l’ambient ed il noise. Il risultato è forte ed oscuro, quasi un magia sessuale e musicale che scaturisce da una parte della nostra psiche molto forte e che giace addormentata, ma che quando urla esce fuori pesantemente. Ci sono maggiormente elementi ambient e di atmosfera rispetto a prima, e tutto è molto strutturato e funzionale. Un disco di terra e di sangue.

TRACKLIST
1. Colostrum
2. Crotalus Horridus
3. Triticum
4. Helleborus

LINE-UP
Angelo “Xunah” Mirolli.
Gianni Manariti.
Simone D’Annunzio.

LE SCIMMIE – Facebook

Earthless / Harsh Toke – Acid Crusher / Mount Swan

Quando due band di San Diego dedite al rock psichedelico uniscono le loro forze per dare vita ad uno split album, non può che scaturirne oltre mezz’ora di musica dall’alto tasso lisergico.

Quando due band di San Diego dedite al rock psichedelico uniscono le loro forze per dare vita ad uno split album, non può che scaturirne oltre mezz’ora di musica dall’alto tasso lisergico.

Gli Earthless e gli Harsh Toke presentano un brano ciascuno, che poi altro non sono se non lunghe jam nelle quali i ragazzi californiani danno sfogo alle loro personali ed allucinate visioni musicali.
I primi possiedono un tocco più blues e si fanno preferire, specie se si è alla ricerca di un sound pulito e ricco di sfumature che un’ottima produzione esalta fin nei minimi particolari, mentre i secondi rappresentano il volto più diretto e privo di fronzoli del genere, con una propensione verso sonorità più rallentate e distorte.
Entrambi i brani, alla fine, vivono sulla reiterazione di un giro di basso sul quale poi si vanno ad innestare tutti gli altri interventi strumentali con la struttura tipica delle jam sesssion: diciamo che la soluzione degli Earthless funziona leggermente meglio, intanto perché un po’ più breve e forse anche per il suo essere meno legata alla conditio sine qua non di un ascolto in uno stato di alterazione psicofisica.
Infatti, mi riesce difficile immaginare che il fan ideale di queste due band sia un tizio che vada avanti ad acqua minerale, ma va anche detto che l’effetto dopante è già abbastanza insito nella musica che Earthless ed Harsh Toke propongono, per cui sconsiglierei di ascoltare questo split album in cuffia prima di partecipare ad una competizione sportiva: la positività all’antidoping sarebbe inevitabile …

Tracklist:
1. Acid Crusher (EARTHLESS)
2. Mount Swan (HARSH TOKE)

Line-up:
Earthless
Isaiah Mitchell
Mike Eginton
Mario Rubalcaba

Harsh Toke
Austin Ayub
Richie Belton
Gabe Messer
Justin Figueroa

EARTHLESS – Facebook

HARSH TOKE – Facebook

Diana Spencer Grave Explosion – O

L’elemento forse più forte della loro musica è l’escapismo sonoro, il disegnare ampi territori nei quali la nostra mente possa correre libera. Un esordio molto positivo.

0 come tondo, espressione di perfezione geometrica anche nel suono, allucinazioni che ritornano in visioni cicliche.

I Diana Spencer Grave Explosion sono un gruppo pugliese di stoner, space, psych e pure fuzz, ed esordiscono con questo ep di tre pezzi, molto ben composto, sognante e fumoso. Come molti altri gruppi, i numi tutelari dei Diana Spencer Grave Explosion sono i soliti della musica pesante, dai Kyuss ai Neurosis con una spruzzata in alcuni momenti di post rock. La band suona molto dal vivo e ciò lo si nota durante l’ascolto. Ci sono elementi sia in nuce che effettivi che fanno pensare che il gruppo pugliese in futuro farà ancora meglio, poiché possiede solide basi. L’elemento forse più forte della loro musica è l’escapismo sonoro, il disegnare ampi territori nei quali la nostra mente possa correre libera. Un esordio molto positivo.

TRACKLIST
1. Space Cake
2. Avalanche
3. Long Death to the Horizon

LINE-UP
Piercarlo Resta – vocals, guitar.
Costantino Temerario – vocals, guitar, synth. Francesco Maria Antonicelli – vocals, guitar. Giampaolo Giannico – bass.
Gianluca Girardi – drums

DIANA GRAVE EXPLOSION – Facebook

Tusmørke – Fort Bak Lyset

Tutto è magnifico in questo disco.

Capolavoro tra prog e folk, per questi giganti norvegesi.

Disco davvero illuminante e bellissimo per questi bardi nordici che musicano le storie del folclore della zona di Oslo, soprattutto delle storie che trattano della morte e dei mondi dentro e fuori di noi. Tutto è magnifico in questo disco, innanzitutto un senso pervasivo e fantastico di grande prog, con composizioni curatissime in tutti i dettagli, mai noiose e con un sottobosco folk quasi metal. Tute le canzoni sono suonate e cantate come se fossero favole autosufficienti, che ci conducono nottetempo per stagni, fiumi e tronchi che nascondono altre vite ed altre storie. I Tusmørke hanno imparato moltissimo dalla psichedelia settantiana anatolica, ma hanno rielaborato personalmente il tutto dando vita ad una fantastica miscela. Fort Bak Lyset significa andare dietro alla luce, e la luce dei Tusmørke si fa seguire più che volentieri. Un lavoro straordinario, di un’atmosfera incredibile, dove tutto è bellissimo, e nel quale si può praticare un vero escapismo, cercandovi e trovandovi rifugio dalla pazzia del nostro mondo. In alcuni punti possiamo addirittura sentire odore di funky psichedelico, amazing.
Ennesimo ottimo disco norvegese non black metal, conferma che la Norvegia è una ricchissima terra musicale.

TRACKLIST
1. Ekebergkongen
2. Et Djevelsk Mareritt
3. De Reiser Fra Oss
4. Fort Bak Lyset
5. Spurvehauken
6. Nordmarka
7. Vinterblot

LINE-UP
Benediktator
Krizla
HlewagastiR
The phenomenon Marxo Solinas.
DreymimaðR.

TUSMØRKE – Facebook

Convulse – Cycle Of Revenge

Veterani della scena death metal finlandese, i Convulse non hanno avuto una storia facile e lineare, a partire dal debutto del 1991 World Without God, che li ha portati ben presto nel novero delle miglior band del genere.

Ai Convulse però ciò non bastava, dato che nel secondo album del 1994, Reflections, il death metal veniva accompagnato da fughe rock and roll, tanto da essere etichettati appunto come un gruppo death and roll. Ma c’è molto di più nelle musica di questo gruppo e lo possiamo ascoltare proprio in questo disco. La Svart Records li pubblica dal loro terzo disco del 2013, Evil Prevails, un’opera marcatamente death metal. Con questo quarto disco i finlandesi ampliano maggiormente i loro orizzonti ed arrivano a proporre un genere tutto loro, dove il death è la base ma si va lontanissimi, passando ora dal prog ora addirittura da cose più gothic. La voce rimane spiccatamente death, ma il resto dell’impianto è vario e caleidoscopico, addirittura psichedelico. Chi ascolta i dischi della Svart Records ovviamente non ama l’ovvio, e quindi eccoci serviti delle fantastiche escursioni nel mondo metal tutto.
Ci sono molte cose dentro questo disco, e gli stessi Convulse ci hanno creduto molto, dato che hanno impiegato molti mesi per scriverlo. Sta a voi pubblico giudicare questo disco, ascoltatelo e ragionate con la vostra testa, non con generi, tags od altro.

TRACKLIST
1.Cycle Of Revenge
2.God Is You
3.Pangaea
4.Fractured Pieces
5.Nature Of Humankind
6.Ever Flowing Stream
7.War
8.Into The Void

LINE-UP
Rami Jämsä – Guitar, Vocals.
Juha Telenius – Bass.
Rolle Markos – Drums.

CONVULSE – Facebook