Smokey Fingers – Promised Land

Con Promised Land, gli Smokey Fingers continuano il loro elettrizzante viaggio nella musica a stelle e strisce.

Non capita spesso di scrivere di southern rock sulle pagine di MetalEyes, ma, come un temporale estivo, ecco che si palesano sulla mia scrivania tre album di rock americano ed il mio orgoglio sudista se ne giova assai.

Due statunitensi (e non potrebbe essere altrimenti) e, con grande sorpresa, una tutta italiana sono le band che in questo periodo mi hanno regalato un po’ di quella splendida musica che dalle terre rurali e dalla frontiera americana nasce e si rigenera.
Negli Stati Uniti il genere è una tradizione che, nella provincia, si tramanda di generazione in generazione, ma provateci voi a partire da Lodi e trasformare le pianure del nord Italia nelle assolate terre del sud.
Gli Smokey Fingers ci sono riusciti alla grande, e con passione e talento continuano il loro viaggio nella musica americana, tra southern, blues e country rock, iniziato con il primo lavoro (Columbus Way) e ora in continua marcia verso la terra promessa con questo bellissimo ed emozionante Promised Land.
E di viaggio si tratta per davvero, visto che molti dei brani inseriti nell’album sono stati pensati proprio nell’ottica di un percorso on the road lungo gli States e in quei paesi dove il genere è nato e trova la sua naturale collocazione.
Con queste premesse, Promised Land non può che risultare uno scrigno di emozioni per chi si allontana per cinquanta minuti dalla vita di tutti i giorni, con l’intento di assaporare il profumo delle vaste distese della frontiera, con la polvere ed il sole che brucia gli occhi, la fresca brezza di tramonti infiniti e l’odore del whisky che attanaglia le narici all’entrata nei bar persi per le routes, tra coyotes e serpenti a sonagli.
Questo è southern rock classico, tra poesia sudista, riff di incendiario hard blues che marchierebbe un cavallo ed atmosfere collaudate certo, ma assolutamente reali, tanto da non far rimpiangere gli album blasonati dei gruppi americani di nuova generazione.
Malinconico come solo il southern sa essere (Last Train), ruvido quanto basta per essere apprezzato anche dagli amanti dell’hard rock (Black Madame, Thunderstorm), intriso di blues rock (Damage Is Done, Turn It Up), Promised Land è il naturale proseguimento del viaggio degli Smokey Fingers nella musica americana: inutile farvi il solito elenco di band a cui i nostri rockers si ispirano, al primo accordo tutto vi sembrerà chiaro e limpido come l’acqua di fuoco fatta girare nel bicchiere in un polveroso saloon.

TRACKLIST
01. Black Madame
02. Rattlesnake Trail
03. The Road Is My Home
04. Damage Is Done
05. The Basement
06. Last Train
07. Floorwashing Machine Man
08. Stage
09. Turn It Up
10. Thunderstorm
11. Proud & Rebel
12. No More

LINE-UP
Gianluca “Luke” Paterniti – lead & backing vocals
Diego “Blef” Dragoni – electric & acoustic guitars, banjo
Fabrizio Costa – bass
Daniele Vacchini – drums & percussions

SMOKEY FINGERS – Facebook

The Outlaws – Legacy Live

Legacy Live è il perfetto sunto della carriera di uno dei gruppi storici del southern rock classico

Si parla di southern rock sulle pagine di MetalEyes, pallino del sottoscritto e genere che negli States equivale alla canzone melodica in Italia, non solo per popolarità ma soprattutto come forma culturale di un paese dai molti Stati e dalle mille contraddizioni.

Una storia, quella della musica nata nel sud, che dura da cinquant’anni e che ha visto i gruppi più famosi diventare delle autentiche star, con in testa gli dei Lynyrd Skynyrd della famiglia Van Zant e poi una dietro l’altra numerose band, tra cui i The Outlaws.
Nati nel 1972 a Tampa, in Florida i The Outlaws sono diventati in poco tempo uno dei gruppi più amati della scena: la loro storia è stata attraversata da numerosi cambi di line up, tragedie ed un successo che ha avuto il suo apice con i primi album usciti nel decennio settantiano e continuato nei primi anni ottanta; poi il calo fisiologico, un primo ritorno inaspettato, vari album live e una serie di compilation che hanno mantenuto inalterata la popolarità, specialmente tra gli amanti del genere.
L’interesse per il southern rock, risvegliatosi negli ultimi anni con i ritorni di alcuni gruppi storici e grazie alla nascita di alcune ottime band, che hanno riscosso un enorme successo in patria (Blackberry Smoke e Whiskey Myers su tutti), hanno rinvigorito pure il sestetto di Tampa, fuori con questo nuovo doppio live e con un tour che li porterà in giro per i teatri statunitensi tra settembre e la fine dell’anno.
Il gruppo, capitanato dal frontman Henry Paul, ci porta per due ore in giro per la frontiera americana, tra atmosfere western, rock pregno di blues e classiche ballate dal retrogusto country in un ennesimo rito, dove il rock sudista si crogiola con una delle sue massime espressioni.
Da una band con così tanti anni sulle spalle e molti brani diventati classici del genere ci si aspetta una rivisitazione dei più importanti momenti e così accade anche in Legacy Live, alternando qualche brano più recente a titoli che sono punti fermi della storia del gruppo come There Goes Another Love Song, (Ghost) Riders In The Sky, la leggendaria Freeborn Man e l’inno South Carolina.
Legacy Live è il perfetto sunto della carriera di uno dei gruppi storici del southern rock classico, genere amato da almeno cinque generazioni là, dove il sole brucia le gole bagnate dal whiskey, il vento trasporta le palle di fieno e i tramonti sono spettacoli indimenticabili vicino al fuoco che arde e scalda i cuori.

TRACKLIST
CD 1
1. Intro
2. There Goes Another Love Song
3. Hurry Sundown
4. Hidin’ Out In Tennessee
5. Freeborn Man
6. Born To Be Bad
7. Song In The Breeze
8. Girl From Ohio
9. Holiday
10. Gunsmoke
11. Grey Ghost

CD 2
1. South Carolina
2. So Long 3. Prisoner
4. Cold Harbor
5. Trail Of Tears
6. It’s About Pride
7. Waterhole
8. Knoxville Girl
9. Green Grass & High Tides Forever
10. (Ghost) Riders In The Sky

LINE-UP
Henry Paul – guitars, vocals
Monte Yoho – drums
Chris Anderson – lead guitar, vocals
Randy Threet – bass, vocals
Dave Robbins – keyboards, vocals
Steve Grisham – lead guitar, vocals

THE OUTLAWS – Facebook

Whiskey Myers – Mud

La band giunge al quarto album più in forma che mai e non era facile supporre che, dopo i fasti di Early Morning Shakes, Cannon e compagni tornassero con un lavoro così suggestivo.

Premessa: Cody Cannon è il più grande vocalist dietro al microfono di una southern rock band di questi primi anni del nuovo millennio, e questo porta già i Whiskey Myers ad avere una marcia in più sulle altre realtà, giocandosela alla pari con i loro alter ego Blackberry Smoke.

Se poi sommiamo un songwriting ispiratissimo che porta il gruppo, con il nuovo lavoro, ad esplorare una varietà di atmosfere e sfumature che passano dalle tragiche trame semi acustiche della title track al solare andamento sostenuto dai fiati della gradevole Lightning Bugs And Rain’, e al rock pregno di blues e soul di Deep Down In The South (e siamo solo alla quarta traccia), capirete bene che siamo al cospetto di un’altra perla in arrivo sul binario del rock sudista dalla ridente cittadina di Palestine, Texas.
Prodotto da Dave Cobb, che i rockers di nuova generazione ed ispirazioni settantiane ricorderanno sui lavori degli splendidi Rival Sons, Mud esce prepotentemente dalle paludi e, ripulito dalla melma, corre verso la frontiera nelle sue vesti di emozionale, tradizionale, semplicemente perfetta musica rock americana, tra folk, blues, bluegrass e southern d’autore.
La band giunge al quarto album più in forma che mai e non era facile supporre che, dopo i fasti di Early Morning Shakes, album uscito un paio di anni fa, Cannon e compagni tornassero con un lavoro così suggestivo.
Pura poesia southern, Mud è forse il disco più introspettivo ed intenso del gruppo americano, pregno di un’atmosfera malinconica che esce dagli strumenti anche nei brani più movimentati ed elettrici (Some Of Your Love).
C’è spazio pure per un ospite d’eccezione e Frogman, blues rock elettrico, richiama chi ha aiutato nella stesura del brano i cinque cowboy di Palestine: Rich Robinson ed i suoi Black Crowes.
In Hank, Cannon tira fuori dal cilindro una prestazione magnifica , mentre la band si congeda con la ballad Good Ole Days, che profuma di distillerie clandestine prese d’assalto, prima che il tramonto sull’album si sia trasformato in una notte stellata ed il tasto play funga da nuova alba per questo ennesimo, bellissimo capitolo della storia discografica di una grande band.

TRACKLIST

1. On The River
2. Mud
3. Lightning Bugs and Rain
4. Deep Down In The South
5. Stone
6. Trailer We Call Home
7. Some Of Your Love
8. Frogman
9. Hank
10. Good Ole Days

LINE-UP

Cody Cannon – Vocals, Guitars
Cody Tate – Guitars, vocals
John Jeffers – Guitars
Gary Brown – Bass
Jeff Hogg – Drums

VOTO
8.50

URL Facebook
http://www.facebook.com/whiskeymyers

FILTH IN MY GARAGE

I Filth In My Garage sono uno dei gruppi italiani di musica pesante e pensante che maggiormente stanno impressionando in questi ultimi tempi. Prima di travolgervi con il loro assalto sonoro durante l’Argonauta Fest che si terrà il 7 maggio 206 alle Officine Sonore a Vercelli, ecco qui una loro intervista:

iye Come è nato il gruppo?

I Filth In My Garage sono intanto 5 amici accomunati da una grande passione per la musica e per tutto ciò che ruota intorno ad essa.
Nascono nell’ormai lontano 2008, fondati da Matteo (chitarra), Stefano (voce) e Luca (ex batterista) così per gioco, poi le cose si sono evolute e nel 2010 sono entrati nella band anche Giacomo alla seconda chitarra e Simone al basso.

iye Quali sono le vostre influenze sonore?

Senza ombra di dubbio la band che più ci ha influenzato sono i Poison the Well, ma ti cito anche Cave In, Norma Jean, The Ocean e Hot Snakes.

iye Come siete approdati su Argonauta?

Ci siamo avvicinati ad Argonauta grazie ad una band che già faceva parte di questa realtà, ossia i Selva, band a nostro parere validissima nonché grandissimi amici.
Seguiamo Argonauta da moto tempo, sappiamo che lavorano come si deve perciò abbiamo deciso di provare questa strada.

iye Cosa vi aspettate dall’Argonauta Fest?

Un sacco di band fighe e una bella situazione dove poter conoscere gente e nuove band. Non vediamo l’ora di suonare in un contesto simile.

iye Progetti futuri?

Per intanto abbiamo il tour da portare avanti. Ci siamo presi una piccola pausa nel mese di Aprile dopo una dozzina di date nel giro di un mese e mezzo da dopo la presentazione del disco, riprenderemo con i live poi a Maggio fino praticamente alla fine di Giugno e parallelamente ci metteremo sicuramente a scrivere roba nuova.
Poi si vedrà, insomma …

filth

Glorior Belli – Sundown (The Flock That Welcolmes)

Sundown è un ulteriore passo di un’evoluzione ardita e continua, dove la musica non è mai ovvia, ma sempre fatta per dare piacere e metalliche sensazioni.

Dalla sempre interessante scena francese il ritorno dei Glorior Belli, uno dei gruppi più versatili e validi dell’esagono.

Quinto disco per questo gruppo che partendo e tenendo sempre ben presente il patrimonio del black metal ha esplorato e sperimentato l’unione con vari generi. Negli ultimi due dischi è fortissima la commistione con il southern metal e con lo sludge, non tanto nella resa sonora quanto nella composizione. I Glorior Belli fanno musica gustosa e possente, con un grande groove che il black metal all’interno del suo nucleo, ma che prende svariate direzioni. Sundown è un ulteriore passo di un’evoluzione ardita e continua, dove la musica non è mai ovvia, ma sempre fatta per dare piacere e metalliche sensazioni. Nel loro suono c’è anche un po’ di sludge e persino di blues, grazie alle passioni del fondatore e multi strumentista Infestvvs aka Billy Bayou. Un ottimo disco di musica pesante a trecentosessanta gradi.

TRACKLIST
1.Lies-Strangled Skies
2.World So Spurious
3.Rebels In Disguise
4.Thrall of Illusions
5.Sundown (The Flock That Welcomes)
6.Satanists Out of Cosmic Jail
7.Upheaval In Chaos Waters
8.We Whose Glory Was Despised

GLORIOR BELLI – Facebook

Mr.Bison – Asteroid

Stoner rock suonato molto bene da due chitarre e una batteria, con una forte influenza hard e southern rock.

Stoner rock suonato molto bene da due chitarre e una batteria, con una forte influenza hard rock e southern rock.

I Mr.Bison vengono da Cecina per migliorare la nostra triste vita, con un suono che non può non farti muovere, molto rock nella sua essenza profonda, e molto stoner nel suo outfit. Dal debutto del 2011 sono cambiate un po’ di cose per questo gruppo che sta compiendo un percorso molto valido nell’ambito stoner rock, senza lasciarsi influenzare dall’esterno. Asteroid è il loro lavoro più potente e strutturato, con una fortissima vocazione rock nella totalità del genere. I Mr.Bison hanno un groove loro molto bello e particolare, e pur non facendo un genere originale lo fanno molto bene, con molti elementi diversi. Il disco è molto piacevole e vario, induce a diversi ascolti ed è il lasciapassare per gustarseli dal vivo.

TRACKLIST
1.BLACK CROW
2.WISKER JACK
3.FULL MOON
4.HANGOVER
5.BURN THE ROAD
6.RUSSIAN ROULETTE
7.RESIST
8.CANNIBAL
9.PRISON
10.HELL

MR.BISON – Facebook

Redwest – Crimson Renegade

Tirate fuori dall’armadio i vostri vecchi pantaloni di pelle, fornitevi di cinturone e cappello e partite all’avventura nel far west con i nostrani Redwest ed il loro primo lavoro, Crimson Renegade.

Tirate fuori dall’armadio i vostri vecchi pantaloni di pelle, fornitevi di cinturone e cappello e partite all’avventura nel far west con i nostrani Redwest ed il loro primo lavoro, Crimson Renegade.

Nato intorno all’area milanese nel 2009, il quartetto di cow boy dal grilletto facile, propone un interessante hard rock dalle atmosfere western, una commistione di metal, southern e suoni che si rifanno alle colonne sonore del maestro Morricone, molto affascinante e ben fatto.
Arrivano a questo debutto dopo due mini cd, Spaghetti Western Metal del 2009, seguito da Play Your Hand del 2012, ed ora Il Lurido, La Straniera, Il Randagio, ed Il Losco sono pronti per investirci con il loro sound proveniente dalla frontiera, dove la vita non vale un dollaro bucato e non vengono risparmiati né buoni, né brutti, né cattivi, mentre Ringo è sempre in cerca della sua vendetta.
Riuscito ed originale, il sound prodotto rivela un buon talento per le atmosfere da cinema di genere, quel spaghetti western tutto italiano, che tante soddisfazioni ha dato, non solo nel mondo del cinema, ma con le colonne sonore del grande Morricone anche nella musica.
Sembra davvero di camminare lungo la via di un paese sperduto nella frontiera americana, dove entrare in un saloon per bere un goccio può rivelarsi una pessima idea e incocciare lo sguardo sbagliato, si può solo risolvere con un duello allo scoccare del mezzogiorno, mentre il caldo ed il sudore fanno scivolare le mani sulla colt, unica compagna fidata di una vita appesa al filo delle pallottole.
Crimson Renegade scorre che è un piacere, le ritmiche metal rock, ben si amalgamano alle atmosfere western create dal gruppo e le songs risultano varie e dal buon appeal.
Si passa infatti da brani più ruvidi, a altri dove ci si addentra nelle armonie acustiche molto southern, che i Redwest sono maestri nel arricchire di gradevoli trame folk e cinematografiche, con citazioni eccellenti (A Fistful Of Dollars, al maestro Morricone), riusciti duetti vocali tra Il Lurido e La Straniera (la titletrack), riffoni metallici dal buon impatto (C.H.F.), ed allegre ballate solari come la conclusiva Poker, song da serate festaiole nei saloon, dove birra e whiskey scorrono a fiumi ed i pistoleri si possono sollazzare sotto le gonne di prorompenti signorine strette nei corpetti che fanno esplodere i seni prosperosi.
Appunto Poker chiude questo ottimo lavoro, molto originale (non sono molte le band che uniscono metal/rock a suoni western, mi vengono in mente i soli power metallers Spellblast, ed i rockers tedeschi Skip Rock) e davvero ben eseguito, lanciando il gruppo milanese come convincenti portabandiera del western metal.
Ed ora, dopo l’ennesimo duello si sale in sella al vecchio ronzino, l’appuntamento è qualche miglio più in la, un altro paese, con nuove avventure ed altre bottiglie di whiskey da svuotare.

TRACKLIST
1. Crimson Renegade
2. C.F.H.
3. The Ballad Of Eddie W
4. Morning Ghost
5. Fire
6. Bullet Rain
7. Eternity
8. The Dreamcatcher
9. A Fistful Of Dollars
10.Golden Sands
11.Poker (bonus track)

LINE-UP
Il Lurido – Vocals & Harmonica
La Straniera – Backing Vocals
Il Randagio – Guitars
Il Losco – Bass

REDWEST – Facxebook

Hollow Leg – Crown

Un disco praticamente perfetto, un’opera incentrata sul serpente Set che sta dominando il mondo, un suono che come un serpente si snoda e torna su stesso, per alzarsi verso il cielo.

Un disco praticamente perfetto, un’opera incentrata sul serpente Set che sta dominando il mondo, un suono che come un serpente si snoda e torna su stesso, per alzarsi verso il cielo.

Terzo disco per gli Hollow Leg, secondo su Argonauta Records. Rispetto a ad Abysmal del 2013 la ricerca di un suono che possa essere infestato da vari generi continua. La base di impasto è lo sludge stoner, ma questo disco, come gli Hollow Leg stessi, sono fortemente southern, sia per la loro provenienza floridiana che per la loro musica. La produzione perfetta, anche grazie alla masterizzazione di Sanford Parker dei Corrections House, mette in primo piano questo miracolo sonoro, che senza tanti effetti od acrobazie toglie la patina a qualcosa di davvero antico e lo rende in musica. Tutto il disco non ha un momento di cedimento, la lancetta rimane sempre in alto, creando un’atmosfera davvero unica. Un altro grosso valore di Crown è la ragione per la quale è stato concepito. Questo disco parla di Set e di come il dio serpente sta dominando il mondo. La sua dominazione è sottile, eppure è sotto i nostri occhi in qualsiasi momento della nostra vita. Le stigmate del serpente sono possessione e schiavitù, che sono le parole d’ordine del nostro sistema economico e di vita. Solo il serpente può mangiare la sua corona, e noi lo riforniamo quotidianamente di energia. Tutto ciò lo ritroviamo in Crown, un disco che ha davvero un peso specifico, una forza incredibile, come un gas che passa sotto le porte ed arriva ovunque. I riferimenti possono essere trovati volendo, ma gli Hollow Leg sono unici e questo disco lo conferma. La prima edizione sarà limitata a 250 copie in vinile colorato.

TRACKLIST
SIDE A
1.Seaquake
2.Coils
3.The Serpent in the Ice
4.Atra
5.Side B
6.Electric Veil
7.Seven Heads
8.New Cult

LINE-UP
Brent
Tim
Scott
Tom

HOLLOW LEG – Facebook

Isaak – Sermonize

Sermonize è l’avanguardia della Genova Pesante e lo sarà per un bel pezzo.

Tornano impetuosamente gli Isaak, gran gruppo genovese di stoner rock e tanto altro.

Sermonize è a partire dalla fantastica copertina di Richey Beckett un disco potente e fresco, con un fortissimo gusto di southern. Personalmente quando ascolto gli Isaak mi sembra che siano stati fra i pochissimi gruppi che abbiano recepito pienamente la lezione dei Kyuss, ovvero rendono benissimo la sensazione di deserto che era nella musica degli americani. Infatti questo disco ha un groove desertico e caldo che lo rende speciale. Di gruppi stoner o dintorni ve ne sono moltissimi, ma la sensazione di movimento e di compattezza che hanno questi genovesi lo hanno in pochi. La loro musica compie evoluzioni melodiche immersa nella calda sabbia del deserto e quando meno te lo aspetti scatta fuori dalla sua tana per azzannarti alla gola, ed ucciderti dolcemente. Già il disco di debutto era stato ottimo, ed ancora prima i Gandhi’s Gunn, la loro incarnazione pre Isaak, erano passi avanti. Sermonize porta il discorso ad uno se non due livelli superiori, sia per la composizione diventata più dura e personale, che per l’esecuzione più intensa che mai.
Gli Isaak hanno acquistato malizia e scaltrezza, riuscendo a rendere il disco un fortino senza punti deboli, dove tutti fanno il loro compito alla perfezione suonando uno stoner rock che in Italia non fa nessuno e che avrà sicuramente molta eco anche all’estero, visti anche i numerosi concerti fuori dai nostri confini che hanno fatto.
Sermonize colpisce a fondo e come un’endorfina ne vorresti ancora ed ancora.
Melodie e compattezza, sono questi i punti di forza del disco, che si può ascoltare su livelli differenti, ponendo l’accento su di un giro di chitarra o su una rullata particolare, se non sulla gran voce di Giovanni Boeddu in costante crescita . Da registrare l’entrata nel gruppo di Gabriele Carta al basso al posto di Massimo “ Maso “ Perasso, l’uomo Taxi Driver che proprio insieme agli Isaak fa parte di quel gruppo di persone che hanno fatto tanto per la Genova pesante, portando grandi gruppi e proponendo ottima musica in maniera accessibile a tutti.
Sermonize è l’avanguardia della Genova pesante e lo sarà per un bel pezzo.

TRACKLIST
1 – Whore Horse
2 – The Peak
3 – Fountainhead
4 – Almonds & Glasses
5 – Soar
6 – Showdown
7 – Yeah (Kyuss)
8 – Lucifer’s Road (White Ash)
9 – Lesson n.1
10 – The Frown Reloaded
11 – The Phil’s Theorem
12 – Sermonize

LINE-UP
Giacomo H Boeddu :Vocals
Andrea Tabbì De Bernardi : Drums / Vocals
Francesco Raimondi : Guitars
Gabriele Carta : Bass

ISAAK – Facebook

RebelDevil – The Older The Bull, The Harder The Horn

Se siete amanti del southern metal, rompete il salvadanaio e correte dal vostro fornitore di fiducia, perché quest’anno di album così non ne sentirete molti.

Beh, se esiste una band per cui vale la pena parlare di super gruppo, questi sono i nostrani RebelDevil, strordinario quartetto di southern metal composto da vere leggende della scena tricolore: Dario Cappanera alla sei corde (Strana Officina), Gianluca Perotti al microfono (Extrema), Alessandro Paolucci al basso (Raw Power) e Ale Demonoid alle pelli.

Partiti intorno al 2008 da un’idea di Cappanera e Perotti, la band esordì con “Against You” portando con sé un po’ di sano metal southern, colmo di groove, direttamente dagli stati del sud, di quell’America della quale la musica della band è debitrice.
Il nuovo lavoro continua su queste coordinate ed il rock sudista, ipervitaminizzato da scariche metalliche e ingrassato da quantità letali di groove, abbinato al talento dei protagonisti, regala momenti di puro godimento, vero sballo rock’n’roll.
La tradizione southern rock, unita alla potenza del metal stonerizzato, ormai a tutti gli effetti uno dei generi più seguiti in questi ultimi anni, viene enfatizzato dal songwriting del gruppo, questa volta perfetto, e le dieci canzoni che compongono il lavoro chiamano in causa tutta l’esperienza dei musicisti coinvolti i quali, pur non facendo mistero delle loro influenze, sparano bordate di rock americano notevoli.
Black Label Society, Corrosion Of Conformity, Pantera e Down, sono le influenze che più si evidenziano nella musica di questo trascinante lavoro, che vede un Perotti straordinario sia nei brani più diretti, sia sopratutto nelle due semiballad (Alone In The Dark e Angel Crossed My Way) dove risulta perfetto anche nell’uso delle clean vocals.
Cappanera è il solito macina riff, e la sezione ritmica tutta sudore e polvere deborda con una prova “grassa” e a tratti pesante come un macigno.
Brani dai refrain entusiasmanti abbinano pesantezza e melodia, anthem di metal sudista che non oso pensare che danni potrebbero fare sul versante live (Crucifyin’ You e Freak Police da questo lato sono devastanti), vengono accompagnate da sfuriate dal sapore thrash (Rebel Youth, Religious Fantasy) che aggiungono adrenalina al clima da battaglia desertica di questo trascinante ed esaltante The Older The Bull, The Harder The Horn.
Se siete amanti del genere, rompete il salvadanaio e correte dal vostro fornitore di fiducia, perché quest’anno di album così non ne sentirete molti, garantito.

Track List:
1 – Rebel Youth
2 – Sorry
3 – Freak Police
4 – Remember
5 – Religious Fantasy
6 – The Older the Bull, the Harder the Horn
7 – Angel Crossed My Way
8 – Crucifyin’ You
9 – Alone in the Dark
10 – Power Rock ‘n’ Roll

Line-up:
Gielle Perotti – voce
Dario Cappanera – chitarra
Alessandro Paolucci – basso
Ale Demonoid Lera – batteria

REBELDEVIL – Facebook

Southern Drinkstruction / Carcharodon – Pizza Commando

“Pizza Commando” è un disco che nasce dall’amicizia e dalla voglia di fare musica e, infatti, i risultati sono ottimi grazie a queste grandi premesse.

Devastante split con due gruppi fra i più potenti e divertenti in Italia.
Uniti da una sincera amicizia e stima, nonché dagli stessi vizi ed abusi, i Southern Drinkstruction e i Carcharodon convolano finalmente e giustamente a nozze con questo disco equamente diviso.

Pizza Commando è una mazzata declinata in diverse maniere e stili, ma fondamentalmente si parla di metal e bassezze umane.
I due gruppi fanno un metal diverso ma che sta bene anche messo nello stesso disco, facendo apprezzare maggiormente la bravura e l’originalità di questi gruppi.
I Southern Drinkstruction, già recensiti su queste pagine, sono un gruppo romano nato nel 2005, grazie al chitarrista Pinuccio Ordnal, per suonare southern metal, thrash e death: hanno al loro attivo un Ep e due ottimi dischi tra cui il bellissimo “Drunk Till Death” del 2012.
I Carcharodon, anch’essi già da trattati da Iyezine in occasione del loro ultimo album “Roachstomper”, sono una band ligure che fa un metal molto affascinante ed originale, ricco di varie influenze e tante idee nuove.
Questo disco non si può propriamente definire uno split, poiché è vero che i due gruppi si dividono lo spazio, ma c’è anche un pezzo suonato insieme, Zuppa Romana, cover del grande gruppo tedesco anni ottanta Schrott Nach 8, oltre al fatto che come detto si tratta di due realtà molto coese.
Il risultato è un disco che il metal italiano, e non solo, non aveva mai sentito, qualcosa di davvero originale e godurioso, derivante non solo dall’addizione di due gruppi ma proprio dal loro comune sentire.
I Southern Drinkstruction si sono un po’ allontanati dal southern metal e si sono parecchio induriti, diventando ancora meglio di prima se possibile.
I Carcharodon, invece, sono uno strano animale a trenta teste e quattro apparati riproduttivi, con un suono nemmeno lontanamente paragonabile a qualche altro gruppo ed un futuro che saprà stupire.
Due gruppi che, quindi, sono cresciuti molto in questi anni e che non è esagerato definire grandi band.
Pizza Commando è un disco che nasce dall’amicizia e dalla voglia di fare musica e, infatti, i risultati sono ottimi grazie a queste grandi premesse.
Un bagno di sangue e pomodoro.

Tracklist:
1. Southern Drinkstruction – The South Face
2. Southern Drinkstruction – Cadillac Mammoths
3. Carcharodon – The Hornet and the Hunter
4. Carcharodon – From North to South
5. Southern Drinkstruction / Carcharodon – Zuppa Romana
6. Southern Drinkstruction – Vultur Montain
7. Southern Drinkstruction – My Only Words
8. Southern Drinkstruction – The Cursed Track
9. Southern Drinkstruction – Suck, Duck, Truck, Fuck
10. Southern Drinkstruction – Southern Drinkstruction
11. Carcharodon – Champagne and Caviar
12. Carcharodon – Cadillac Grinder
13. Carcharodon – Zombie Jesus
14. Carcharodon – Pit of Mammoths

Line-up:
Southern Drinkstruction
Francesco Basthard – Voce
Pinuccio Ordnal – Chitarra
Carlo Zorro – Basso
Andrea Eddie Vegenius – Batteria

Carcahrodon
Pixo – Voce e Basso
Boggio – Chitarra
Max – Chitarra
Zack – Batteria

SOUTHERN DRINKSTRUCTION – Facebook

CARCHARODON – Facebook

Corrosion Of Conformity – IX

Precisazione: non sono qui per convincervi che una della mie band preferite di sempre abbia fatto un album epocale, non sarebbe onesto né giusto nei vostri confronti, né voglio assolutamente, a dispetto dei santi, farvi partecipi dell’importanza che ha avuto nell’underground americano dal finire degli anni ottanta fino ai giorni nostri.

Ma, lasciatemelo dire, non considerare i Corrosion Of Conformity almeno una cult band o e magari dar mloro meno importanza di band pompate dal tirannico MTV, è peccato mortale. Ok, Mr. Pepper Keenan non appare sul disco (anche se, ad oggi in teoria, non ha ancora lasciato ufficialmente il gruppo) ma, fidatevi, IX è un album che (e non poteva essere altrimenti) spacca come pochi. I tre superstiti, Mike Dean, Reed Mullin e Woody Weatherman, che poi sono il trio originale del combo, in questo nuovo album tornano in parte alle origini, non dimenticando che, in fondo, dal debutto “Eye for an Eye” del 1984 di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta e i C.O.C., nel frattempo, hanno licenziato una marea di dischi, passando dall’hardcore degli esordi allo stoner/sludge delle ultime fantastiche produzioni, rilasciando capolavori come “Blind” (il disco più metal/alternative della loro discografia) nel 1991, “Deliverance” nel 1994 (quello della svolta stoner/southern dal quale Phil Anselmo ha attinto non poco per i suoi Down) e “America’s Volume Dealer nel 2000. I tre musicisti del North Carolina, in questo ultimo album, ripassano tutta la loro discografia, confezionando un lavoro che pesca dallo stoner ma anche dal loro primo amore, quell’hardcore che fornisce al sound un tocco selvaggio che, forse, è mancato nelle ultime uscite. Un ritorno al vero spirito underground quello dei Corrosion Of Conformity, i quali con coraggio lasciano la facile strada dello stoner con iniezioni southern, che oggi sembra piacere non poco (al sottoscritto, tantissimo), optando per un approccio che torna più diretto, meno freak e in linea con le prime produzioni. Certo, la mancanza di Keenan non è cosa da poco, ma i tre musicisti vanno per la loro strada con questo bellissimo macigno che definire rock’n’roll, alla fine, non sembra un’eresia. Rock’n’roll fatto dai Corrosion Of Conformity, ovviamente, e allora: bombe hardcore su un tappeto stoner e sludge, senza soluzione di continuità, pesanti come incudini e dal groove che prende spunto dai ribelli degli stati del Sud, un sound alternative che vi entra nelle viscere per rivoltarvi come calzini, dalla micidiale Brand New Sleep, cattedrale dedicata al doom/stoner, passando da The Nectar per arrivare alla fine di questa ennesima lezione impartita dai grandi C.O.C. Finale: probabilmente non vi avrò convinto, ma secondo me quest’album farà scuola, ne riparleremo fra un paio d’anni…

Tracklist:
1. Brand New Sleep
2. Elphyn
3. Denmark Vesey
4. The Nectar
5. Interlude
6. On Your Way
7. Trucker
8. The Hanged Man
9. Tarquinius Superbus
10. Who You Need to Blame
11. The Nectar Reprised

Line-up:
Mike Dean – Bass,Vocals
Reed Mullin – Drums,Vocals
Woody Weatherman – Guitars,Vocals

CORROSION OF CONFORMITY – Facebook

Hangarvain – Best Ride Horse

Esordio bomba per i napoletani Hangarvain con il loro Best Ride Horse, hard rock zeppo di influenze southern e post grunge.

Comincio ad avere un’età, e botte di vita come questo disco lasciano il segno su un vecchio sognatore metal/rocker come me che, per non farsi mancare nulla, deve anche spiegare le sensazioni provate nell’ascoltare una decina di canzoni che ti entrano nelle vene e cominciano a circolare nell’organismo: la pressione si alza, le tempie sembrano esplodere ed è quasi impossibile rimanere seduti e insomma, tutto questo quando non si è più dei ragazzini può anche far male …

La Red Cat immette sul mercato questa bomba sonora dei napoletani Hangarvain, dal titolo Best Ride Horse, dieci brani nei quali  l’hard rock americano ricamato di fantastiche sfumature southern ed il post grunge si incontrano e, amoreggiando, danno alla luce una creatura perfetta, una raccolta di hit da infilare nell’autoradio del vostro “cinquefette” (beh siamo in Italia, non scordiamolo) e partire liberi, dalla Valtellina alla Sicilia, trasformando le vie della nostra penisola nelle infinite super strade americane. Sergio Toledo Mosca è il fantastico cantore di tanta meraviglia, voce dal tiro micidiale che diventa malinconicamente southern nelle splendide ballad che profumano di Lynyrd Skynyrd, strappando più di una lacrima al vecchio di cui sopra. Alessandro Liccardo, alla sei corde, è invece colpevole di far saltare le coronarie a suon di riff su riff stracolmi di groove, per poi tornare ad imbastire accordi acustici al limite del roots; Alessandro Stellano al basso e Andrea Stipa alle pelli sono la gettata di cemento su cui è costruito il sound degli Hangarvain, una sezione ritmica tostissima, piena, sempre presente e aiutata da una produzione da top band ad opera dello sesso chitarrista. Dai primi due pezzi (Through the space and time e Get on) si intuisce subito che l’album non farà prigionieri, con due bordate hard rock trasudanti groove, con quel quid post grunge (su tutti i Creed) che piacerà anche ai più giovani, ma a mio parere sono le ballad a fare la differenza e la prima di queste è già un capolavoro (Turning back on my way). Free bird e Knock back doors tornano su ritmi sostenuti ma più vicini alla frontiera americana, mentre Way to salvation è l’ennesima buona ballad; Hesitation sorprende per l’uso della doppia voce, una creediana e l’altra che sembra provenire direttamente dai primi anni settanta, prima che Father to shoes ci avvolga nel più confortevole spirito southern: un brano capolavoro con inizio acustico e la chitarra che prende per mano il pezzo con riff da applausi a scena aperta. Last time e la conclusiva A life for Rock’n’roll mettono la parola fine a un disco di assoluta eccellenza, da far ascoltare e riascoltare a chi ci chiede perché amiamo tanto il rock: Best Ride Horse è la migliore risposta.

Tracklist:
1.Through the space and time
2.Get on
3.Turning back on my way
4.Free bird 5.Knock back doors
6.Way to salvation
7.Hesitation
8.Father shoes
9.Last time
10.A life for rock’n’roll

Line-up:
Sergio Toledo Mosca – Vocals
Alessandro Liccardo – Guitars,Backing Vocals
Alessandro Stellano – Bass, Backing Vocals
Andrea Stipa – Drums

Whiskey Myers – Early Morning Shakes

Terzo Album per una delle migliori realtà southern rock del nuovo millennio.

I Whiskey Myers, insieme ai Blackberry Smoke, sono sicuramente le due band dell’ultima generazione che più di altre stanno portando, nel nuovo millennio, i suoni e le atmosfere dei grandi che hanno fatto la storia del rock sudista, ricreando quel po’ di meritato interesse anche fuori dagli States, dove il genere non ha mai perso la propria popolarità, essendo una sorta di dottrina per l’americano della provincia.

Il gruppo texano, a sei anni dall’esordio “Road of Life”, complice il bellissimo secondo album “Firewater” di tre anni fa, è riuscito a crescere vertiginosamente in popolarità,trovandosi così in poco tempo a calcare i palchi dei festival più prestigiosi insieme alle band che del genere sono considerate le istituzioni. Capitanati dal vocalist e chitarrista Cody Cannon, personaggio dallo smisurato carisma, il gruppo arriva al terzo full-length con la consapevolezza di essere ormai una delle top band del southern sfornando un lavoro dal songwriting magnifico, pregno di hard rock, suoni roots e blues alcolico. Early Morning Shakes, a differenza del suo predecessore, mette in secondo piano l’approccio country per suoni più taglienti, le chitarre risultano graffianti il giusto per far risaltare il suono zeppeliniano, sempre presente nella band ma mai così in risalto: ne è la prova Hard Row To Hoe, dove il riff è uno stupendo copia/incolla di “Heartbraker” degli Zep. Cody Cannon conferma di essere perfetto cantore del suono americano, sia quando il sound si fa più duro, sia quando le atmosfere si rilassano e i Whiskey Myers ci emozionano con ballad nelle quali il country rock fa la sua comparsa e dove il blues prende il sopravvento, portandoci in viaggio verso territori musicali vicino ai Black Crowes dei fratelli Robinson. Cody Tate e John Jeffers sono una coppia di chitarristi eccezionali, capaci di ricamare i brani di ritmiche e solos affascinanti, ma anche di graffiare il giusto con personalità, facendo risultare il suono dei Whiskey Myers riconoscibile al primo ascolto. Così risulta piacevole abbandonarsi al suono americano di brani come Dogwood, Home, Reckoning, Lightning, Need A Little Time Off For Bad Behaviour senza per questo sminuire le altre song che compongono il lavoro entusiasmante di questa grande band, praticamente il meglio che oggi il southern rock possa regalare.

Tracklist:
01.Early Morning Shakes
02.Hard Row to Hoe
03.Dogwood
04.Shelter from the Rain
05.Home
06.Headstone
07.Where the Sun Don’t Shine
08.Reckoning
09.Wild Baby Shake Me
10.Lightning
11.Need a Little Time Off for Bad Behavior
12.Colloquy

Line-up:
Cody Cannon –Lead Vocals, Acoustic Guitars
Cody Tate – Lead Guitars, Vocals, Rhythm Guitars
John Jeffers – Rhythm Guitars
Gary Brown-Bass
Jeff Hogg-Drums

WHISKEY MYERS – Facebok

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Southern Drinkstruction – Drunk Till Death

Non c’è nemmeno bisogno di una reunion dei Pantera, ce li abbiamo noi.

Immaginate i caduti della battaglia di Gettysburg che, posseduti dai Pantera, dai Texas Hippie Coalition e dal demonio del thrash metal, invadono il mondo, una bandiera sudista garrisce al vento e il sangue scorre..

Tutto questo e molto di più sono i Southern Drinkstruction di Roma, una banda di alcolisti sonori che mischiano southern metal, thrash, heavy e death metal in un blend unico, potentissimo e molto ma molto piacevole.
I ragazzi sono al terzo episodio su supporto fonografico, dopo l’Ep “Southern Drinkstruction” del 2007, il full-length “Drink With Us” del 2009, di cui sono fiero possessore, e l’attuale Drunk Till Death.
Il disco è una botta sonora notevole, metal fatto con una freschezza ed una passione davvero invidiabile, la potenza non viene mai meno e il tutto è davvero molto coinvolgente.
Io ascolto molto metal e spesso mi capitano ottimi dischi, a volte mediocri, a volte pessimi, nonostante il grande impegno, ma questo è un disco che sento in macchina la mattina, quando mi bevo delle birre la sera, e mi fa tornare in mente i tempi dei Pantera, dei racconti di Valerio Evangelisti, il gusto del metallo e della sabbia.
I Southern Drinkstruction sono uno dei migliori gruppi italiani del genere e hanno una grande autoironia, cosa che a volte nel metal difetta; dalle paludi cajun, dai vicoli di New Orleans, dalle sabbie dell’Arizona, ecco spuntare i Southern Drinkstruction.
Non c’è nemmeno bisogno di una reunion dei Pantera, ce li abbiamo noi.
In beer we trust.

Tracklist:
1. Drunk Till Death
2. On Your Knees
3. 6-Strings Skull
4. Dirty Sanchez
5. Evil Skies
6. Nasty Jackass
7. Redneck Zombie Distillery
8. Motor 666
9. Cumming in Socks
10. Drink Whiskey, Make Justice!
11. The Man With No Name
12. Slide Or Die!
13. Death Bells

Line-up:
Eddie Vagenius – Drums
Pinuccio “Ordnal” Landro – Guitars
Southern Bastard – Vocals
Zorro – Bass

SOUTHERN DRINKSTRUCTION – Facebook