Temperance – The Earth Embraces Us All

Un lavoro nel quale sono rare le cadute di tensione, basterebbe dimenticare Amaranthe e Nightwish e continuare ad osare.

Personalmente trovo delizioso il titolo cha la band ha dato a questo nuovo lavoro in studio. L’immagine de ‘La Terra Abbraccia tutti noi’ evoca sensibilità all’ambientalismo, implica scienza e filosofia insieme, mente e cuore.

Sono convinto che facciamo parte di una grande Unità, e mi piace constatare che questi validissimi ragazzi italiani ce l’abbiano messa tutta per rendere The Earth Embraces Us All una creatura capace di comprendere le diverse sfaccettature connaturate nell’esistenza stessa. Ed è molto bello anche l’artwork realizzato da Gustavo Sazes (Kamelot, Arch Enemy, Morbid Angel). Rispetto ai brani più immediati dei primi due lavori, in The Earth… troviamo alcune composizioni molto più elaborate, elementi nuovi, come ad esempio il violino, che accentua la vena prog della band. Consideriamo pure che i Temperance hanno già alle spalle una discreta serie di concerti con artisti tra i quali Nightwish, Luca Turilli’s Rhapsody, Dragonforce, Within Temptation. L’elemento che risalta immediatamente in questo nuovo lavoro è la varietà. Ottime miscele di riff, parti più elettroniche e altre folk, le vocals cristalline di Chiara Tricarico che regge degnamente e amplifica le innumerevoli suggestioni. Meno convincente (a tratti) l’aggressività di Pastorino al microfono che si alterna non sempre con successo tra scream raschiato e (quasi) growl. Il sipario si apre con gli oltre 6 minuti della sinfonica e orecchiabile A Thousand Places, brano fra i meno originali del lotto comunque impreziosito dalle parti di violino a inizio traccia e dal sax nel finale. La seconda traccia At The Edge Of Space, più canonica, ma ancora molto orecchiabile ed efficace. La folkeggiante Unspoken Words saltella giocosamente mentre la successiva Empty Lines ricalca la vena del power-prog più nordico. Mi fa sempre strano ascoltare i testi in italiano (Maschere) nel quale affrontano lo svelamento del nostro io, un messaggio positivo, ma che implica sofferenza. In Haze c’è un bel groove, la modernità incontra schemi e stili indubbiamente già sfruttati. La power ballad Fragments of Life si fa ben godere, poi irrompe Revolution che di rivoluzionario non ha nulla, ma spinge bene e si stampa in mente. Con gli 8 minuti di Advice From A Caterpillar ci troviamo finalmente con un titolo curioso e con un brano in cui la temperanza si manifesta decisamente. Qui la band sperimenta la fusione tra metal prog e musica classica, spruzzando il tutto con un pizzico di follia jazz ottimamente arrangiata. La dolce Change The Rhyme è caratterizzata da soavi melodie accompagnate dal piano e da vocals ispirate. Finale con la suite The Restless Ride, altro pezzo da novanta di prog metal sinfonico in cui la sezione ritmica decide la marcia, accarezzata dalle tastiere e interrotta da climi altalenanti tra quiete e impetuosità.
Notevole l’impianto sonoro e creativo messo su dai Temperance, con imponenti atmosfere e ottima perizia nell’esecuzione, e la sontuosità tenuta sapientemente sempre sotto controllo. Un lavoro nel quale sono rare le cadute di tensione, basterebbe dimenticare Amaranthe e Nightwish e continuare ad osare.

TRACKLIST
1. A Thousand Places
2. At The Edge Of Space
3. Unspoken Words
4. Empty Lines
5. Maschere
6. Haze
7. Fragments Of Life
8. Revolution
9. Advice From A Caterpillar
10. Change The Rhyme
11. The Restless Ride

LINE-UP
Chiara Tricarico – lead vocals
Marco Pastorino – lead guitars & backing vocals
Sandro Capone – rhythm guitar
Luca Negro – bass
Giulio Capone – drums

TEMPERANCE – Facebook

Sabaton – The Last Stand

L’epicità valorizzata da orchestrazioni melodiche sopra le righe, la fierezza e l’impatto uniti ad un approccio da true defenders sono ancora ben in vista nel sound del battaglione Sabaton.

Tornano i guerrieri di Falun con l’ottavo lavoro sulla lunga distanza di una carriera che li ha visti arrivare fino ai vertici nelle preferenze degli amanti del power metal epico e, in questi anni di suoni moderni e contaminazioni varie che imbastardiscono (spesso con ottimi risultati, chiariamolo) il nostro amato metal, non è cosa da poco.

La band svedese si è appunto costruita una reputazione che solo i gruppi con una marcia in più e benedetti dal dio metallo possono vantarsi d’avere, e poco conta se questo The Last Stand dividerà la critica e forse i fans, l’epicità valorizzata da orchestrazioni melodiche sopra le righe, la fierezza e l’impatto uniti ad un approccio da true defenders sono ancora ben in vista nel sound del battaglione Sabaton.
Un album scritto per intero in tour, con una miriade di date live che hanno tenuto la band in giro per il mondo praticamente dall’uscita del precedente Heroes, non hanno minato lo spirito con cui i Sabaton si approcciano al power metal epico con cui sono diventati uno dei gruppi più amati e seguiti della scena, confermato da un’opera che se lascia qualcosa indietro per quanto riguarda furia e durezza metallica, si impreziosisce valorizzando l’aspetto melodico.
Peter Tägtgren ha prodotto l’album, una garanzia per la qualità dei suoni di The Last Stand, che letteralmente esplodono metallici e sontuosamente orchestrali, attraversando i secoli tra scontri e battaglie vissute in diverse epoche storiche.
Dai 300 guerrieri di Sparta, alla prima guerra mondiale, dalla Scozia dei clan (Tunes Of War docet), ai samurai nel Giappone degli imperatori, The Last Stand trascina in epoche e fatti dove i comuni denominatori sono sangue e valore, eroi vincenti o sconfitti, sempre sotto il segno dei guerrieri di Falun.
Se il sound del gruppo aveva bisogno di una rinfrescata, l’uso più marcato delle melodie ed un’occhiata all’hard rock (che ricordo in Svezia è tradizione, ancora prima del successo dei suoni estremi), direi senz’altro che la band ha raggiunto il suo scopo, forte di brani dal grande appeal (su tutti la splendida Blood of Bannockburn), non facendo mancare gli inni epici per cui sono diventati famosi e che già dall’opener Sparta faranno crogiolare i vecchi fans della band.
I cori vi inviteranno come sempre ad urlare al cielo la vostra fiera appartenenza al popolo metal, le tastiere di scuola hard rock smuoveranno i vostri fondo schiena, le ritmiche faranno sbattere le vostre teste e le asce sanguineranno quando entreranno nel petto del nemico.
Da un album del genere pretendere di più è puro eufemismo…

TRACKLIST
1. Sparta
2. Last Dying Breath
3. Blood of Bannockburn
4. Diary of an Unknown Soldier
5. The Lost Battalion
6. Rorke’s Drift
7. The Last Stand
8. Hill 3234
9. Shiroyama
10. Winged Hussars
11. The Last Battle

LINE-UP
Joakim Brodén-Vocals
Chris Rörland-Guitars
Pär Sundström-Bass
Hannes Van Dahl-Drums

SABATON – Facebook

Devin Townsend Project – Transcendence

Transcendence suona imponente e vasto e, malgrado la spinta interiore verso il sovrumano, Devin permane dentro un ambito fondamentale: l’heavy metal.

Trascendenza: in filosofia, la condizione o la proprietà di essere trascendente, di esistere al di fuori o al di sopra di un’altra realtà.

Devin Really Hevy Townsend, (Steve Vai, Strapping Young Lad, The Devin Townsend Band, Ziltoid The Omniscient, Casualties of Cool) poliedrico musicista canadese, ha sperimentato fusioni di più generi, elevando e modernizzando il concetto di heavy metal. Per il sottoscritto rappresenta un esempio lampante di chi ha ricevuto l’immenso dono della creatività, perciò consacrato all’arte e al cambiamento. Uscire dalla zona di comfort, sperimentare i contrari, esprimere tutto ciò nelle sue composizioni, rappresenta evidentemente tutti aspetti della sua individualità.
In Transcendence (bellissima la copertina ad opera di Anthony Clarkson) c’è probabilmente un nuovo approccio alla vita, in parte anche alla musica, perché Mr. Townsend non è poi così estraneo alla realtà sensibile che lo circonda. Tutto nell’album è amplificato, maestoso, sinfonico, come proveniente dall’Universo, da una dimensione ultraterrena, sconfinata. Un’opera che scandisce il tempo di una colossale colonna sonora. Si avverte immediatamente una disposizione d’animo più positiva che in passato, l’amalgama è molto densa, le emozioni che scaturiscono durante l’ascolto sembrano voler legare l’essere umano al Tutto. Volutamente evito la recensione track by track perché ci troviamo alle prese con un flusso di sensazioni tutte in stretta relazione, durante le quali si alternano vette appassionanti a parti più monotone, ma che per nostra fortuna si risollevano con energia e originalità. Su tutte cito solo Failure, le bellissime Higher e Stars e la coda di From The Heart. Si chiude con l’apprezzabile cover Transdermal Celebration dell’alternative rock band Ween.
Se avete già apprezzato i precedenti lavori, amerete questo tipo di sonorità spaziali. Viaggerete tra le stelle accompagnati da cori celestiali, suoni pomposi, piccoli sprazzi djent, cori femminili (ancora a carico di Anneke Van Giersbergen) e ritmiche alternate. Le (poche) parti di chitarra solista sono squisite, ma le sonorità sviluppate dal genio di Vancouver negli ultimi anni sono state aggiornate e potenziate da un approccio fresco e moderno.
Registrato al Armoury Studios, prodotto e mixato dallo stesso Townsend e da Adam ‘Nolly’ Getgood (Periferie, Animals As Leaders), Transcendence suona imponente e vasto e, malgrado la spinta interiore verso il sovrumano, Devin permane dentro un ambito fondamentale: l’heavy metal. E a noi sta molto bene così.

TRACKLIST
1. Truth
2. Stormbending
3. Failure
4. Secret Sciences
5. Higher
6. Stars
7. Transcendence
8. Offer Your Light
9. From The Heart
10. Transdermal Celebration

LINE-UP
Devin Townsend – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards, Programming
Dave Young – Keyboards, Guitars
Mike St-Jean – Keyboards
Brian Waddell – Bass
Ryan Van Poederooyen – Drums

DEVIN TOWNSEND – Facebook

Gloomy Grim – The Age of Aquarius

Un lavoro vario, dalle ottime idee e che non manca di soprendere

Negli anni novanta le storiche band che permisero al symphonic black metal di trovare la meritata notorietà furono seguite da una schiera di figliastri blasfemi tra cui i finlandesi Gloomy Grim, realtà oscura nata dalla mente di Agathon, cantante e tastierista nonché ex componente di Barathrum e Thy Serpent ed altri meno conosciuti gruppi estremi.

il 1996 è l’anno di nascita della band di Helsinki, vent’anni di metal estremo dai rimandi satanici, con l’esordio targato 1998 (Blood, Monsters, Darkness) ed una serie di album (quattro) che si interrompe otto anni fa, all’uscita di Under the Spell of the Unlight.
Tornano in pista,  dunque, dopo un lungo lasso di tempo i Gloomy Grim, e lo fanno con questo ottimo lavoro, The Age Of Aquarius, continuando la tradizione che vuole il sound del gruppo come un ottimo esempio di black metal sinfonico, squarciato da tempeste di raw black metal ed impreziosito da atmosfere dark/gotiche e spettacolari cambi di tempo tanto che non è azzardato avvicinarli al prog estremo.
Durata perfetta per assaporare per intero l’opera, The Age Of Aquarius riporta il gruppo nel regno oscuro delle band cardine del genere, il vento gelido che attraversa l’album si placa dove il quintetto di demoni estraggono dal cilindro note oscure pregne di umori gotici ed orrorifici in un delirio di musica estrema molto suggestiva.
Stiamo parlando di black metal, ed allora non mancano furiose accelerazioni ed epiche cavalcate, lenti ma potentissimi condensati di metallo nero, ed un’aura maligna che come nebbia ricopre le varie songs.
Un lavoro vario, dalle ottime idee e che non manca di sorprendere, il lavoro di Agathon sulle voci (scream e growl) è da applausi e la parte sinfonica risulta perfettamente inserita nelle trame estreme dei brani, con particolare attenzione per le parti oscure, gotiche ed inquietanti.
Non ci sono punti deboli in questo lavoro, sicuramente adatto anche a chi non ha grossa dimestichezza con il genere, per le reminiscenze classiche delle sei corde (The Shameful Kiss) e un’impronta dark/gothic ispiratissima.
Un’opera che nella sua interezza sbaraglia non pochi concorrenti ma che ha in A Lady In White, One Night I Heard A Scream, Time e Light of Lucifer Shine on Me le perle nere di questo gioiello estremo.

TRACKLIST
1. The Rise of the Great Beast
2. Germination
3. A Lady in White
4. Beyond the Hate
5. One Night I Heard a Scream
6. The Shameful Kiss
7. The Mist
8. Time
9. Light of Lucifer Shine on Me
10. Trapped in Eternal Darkness

LINE-UP
Agathon – Vocals
Suntio – Drums
Lord Heikkinen- Guitars
Nuklear Tormentörr- Bass
Micko Hell – Guitars

GLOOMY GRIM – Facebook

Teodasia – Reloaded

La musica dei Teodasia prende davvero il volo, lasciando sentieri già tracciati da una miriade di gruppi e cercando una propria strada fatta di rock/prog/metal sinfonico e squisitamente raffinato.

I Teodasia sono una band veneta in attività da una decina d’anni, con un full length (Upwards del 2012) ed un paio di ep alle spalle, ed il loro symphonic metal dai rimandi gotici vedeva nella singer Priscilla Fiazza uno dei suoi punti di forza.

Ora cambia tutto e dietro al microfono troviamo una dei talenti vocali dello stivale, Giacomo Voli, singer di cui Iyezine vi ha parlato in occasione del suo disco solista uscito lo scorso anno, ed un nuovo chitarrista nella persona di Al Melinato che rimpiazza il pur bravo Fabio Compagno.
Rivoluzione o ricambio naturale che sia, fatto sta che il gruppo, ora un quartetto completato dai superstiti Nicola Falsone al basso e Francesco Gozzo alle pelli, presenta i nuovi arrivati con questo nuovo lavoro, una raccolta di brani già editi e rifatti per l’occasione, più tre canzoni nuove di zecca.
Inutile raccontarvi della bravura del nuovo singer, un altro enorme talento nato nelle nostre bistrattate terre quando si parla di musica metal, specialmente dai fans sempre pronti a rincorrere le band straniere perdendosi gioiellini come questo Reloaded.
La musica del gruppo perde completamente la componente gotica per acquistare molta più energia hard & heavy, i vecchi brani, già belli nella stesura originale, ma rifatti su misura per il nuovo singer, si vestono di metal sontuoso, melodico, a tratti epico, elegante ed estremamente coinvolgente.
Voli regala emozioni a profusione, teatrale quando il sound lo richiede (spettacolare su Lost Words of Forgiveness), inarivabile quando la sua ugola spazia sulle scale sinfoniche prodotte dai suoi compari che non mancano di impreziosire la propria musica di tagli progressivi di altissima qualità.
La musica dei Teodasia prende davvero il volo, lasciando sentieri già tracciati da una miriade di gruppi e cercando una propria strada fatta di rock/prog/metal sinfonico e squisitamente raffinato.
Questo lavoro funge da anticipazione per il nuovo Metamorphosis, in uscita in autunno, drizzate le orecchie perché qualcosa mi dice che saranno meraviglie sonore.

TRACKLIST
1. Broken
2. Rise
3. Temptress
4. Hollow Earth
5. Revelations
6. Lost Words of Forgiveness
7. Ghosts
8. Land of Memories, pt. 1
9. Land of Memories, pt. 2
10. Reloaded

LINE-UP
Francesco Gozzo – Drums
Nicola Falsone – Bass
Alberto Melinato – Guitars
Giacomo Voli – Vocals

TEODASIA – Facebook

Whispered – Metsutan – Songs of the Void

Metsutan porta gli Whispered ad un livello più alto, passando dallo status di ottima cult band a punto fermo del melodic death metal

Tornano i quattro samurai di Tampere con il terzo lavoro sulla lunga distanza, un altro ottimo ed alquanto esaltante lavoro che amalgama in una forma originale il death metal melodico scandinavo ed il folk della terra del sol levante.

Vi avevamo parlato dei Whispered due anni fa in occasione dell’uscita di Shogunate Macabre, un album che aveva confermato le buone idee e la qualità del gruppo capitanato da Jouni Valjakka, cultore delle tradizioni nipponiche e con l’idea geniale di fonderle al metal estremo nato proprio nella penisola scandinava.
Epico, sinfonico e coinvolgente più che mai Metsutan- Songs Of The Void non tradisce le attese, continuando a sorprendere per il suo piglio battagliero, le stupende melodie date dagli strumenti tradizionali, non facendo assolutamente mancare quella carica estrema che, se continua a rimandare al sound dei Children Of Bodom, lo surclassa per coinvolgimento ed epicità.
Le cavalcate velocissime in puro death metal style, i solos iper tecnici, gli stacchi atmosferici che riempiono di orgoglio orientale le canzoni dell’album, invitano alla battaglia a colpi di katana, affilate come rasoi e taglienti come i solos che squarciano i brani, molti dei quali valorizzati da chorus epici e dal piglio cinematografico in un delirio di nobile metallo estremo.
Gran lavoro in fase di songwriting, il gruppo rifila quasi un’ora di musica a suo modo originale, specialmente dove l’anima nipponica prende il sopravvento e travolge in tutta la sua gloriosa epicità.
Bloodred Shores Of Enoshima, ultimo brano dell’album è quanto di più sinfonicamente epico troverete nel genere, undici minuti di sferragliante metallo impreziosito da atmosferiche parti folk, una bellissima colonna sonora per i molti film nipponici arrivati sul grande schermo in questi ultimi anni.
Ma Metsutan non si ferma certo a questo splendido brano, tutto il lavoro è avvolto da un’aura epico estrema magniloquente e le songs risultano una più bella dell’altra in un susseguirsi di colpi di scena, accelerazioni power, splendide melodie folk e sinfonie da far impallidire i più famosi act del metal sinfonico.
Kensei, Warriors Of Yama, Victory Grounds Nothing, vi catapulteranno in un mondo dove il sangue, l’onore e la cultura della spada sono le uniche compagne dei valorosi guerrieri giapponesi, in un devastante e perfetto tsunami di melodic death power folk metal da applausi.
Il miglior album del gruppo finlandese ed un acquisto obbligato per gli amanti del genere, Metsutan porta gli Whispered ad un livello più alto, passando dallo status di ottima cult band a punto fermo del melodic death metal, non considerarli è come fare harakiri.

TRACKLIST
1.Chi No Odori
2.Strike!
3.Exile Of The Floating World
4.Sakura Omen
5.Kensei
6.Our Voice Shall Be Heard
7.Tsukiakari
8.Warriors Of Yama
9.Victory Grounds Nothing
10.Bloodred Shores Of Enoshima

LINE-UP
Jouni Valjakka – Vocals, Guitar
Mikko Mattila – Guitar
Kai Palo – Bass
Jussi Kallava – Drums

WHISPERED – Facebook

Almanac – Tsar

Un album imperdibile per gli amanti dei suoni power orchestrali e di chi ha amato i Rage in questa nobile versione con la Lingua Mortis Orchestra

Che Victor Smolski abbia lasciato i Rage è cosa risaputa ed il musicista bielorusso non ha perso tempo, rimboccandosi le maniche e chiamando a se un manipolo di musicisti della scena fondando gli Almanac, band figlia degli ultimi Rage, quelli più orchestrali.

Tsar è il primo album di questa nuova creatura che vede Smolski in compagnia di Enric Garcia alle tastiere, la sezione ritmica composta da Michael Kolar alle pelli e Armin Alic al basso, più tre eccezzionali vocalist: Andy B. Franck (Brainstorm, Ivanhoe e Symphorce), David Readman (Voodoo Circle, Pink Cream 69) e Jannette Marchewka.
Unite le forze con la prestigiosa Orchestra Filarmonica di Barcellona, il gruppo ha dato vita ad un esordio spumeggiante che, pur prendendo spunto dal passato del chitarrista ( i Rage con la Lingua Mortis Orchestra), trova subito la propria strada, fatta di un power orchestrale, dal mood cinematografico e da molte sfumature classic metal.
L’uso dei tre cantanti fa la differenza, così come il flavour epicissimo che il concept su cui si sviluppa l’opera è costruito, valorizzato dalle fughe chitarristiche di un Smolski che si dimostra come uno degli axeman migliori degli ultimi anni, almeno in campo power metal.
La storia è di quelle impegnative, le gesta e le vicende di Ivan IV di Russia, conosciuto come Ivan il Terrribile, sovrano crudele vissuto nel sedicesimo secolo di cui Tsar racconta la vita, iniziando con la splendida title track proprio dalla sua infanzia.
Da Self-Blinded Eyes in poi Tsar è un susseguirsi di power metal dalle ritmiche serrate, epico e magniloquente, orchestrato perfettamente dalla famosa filarmonica ed irrobustito da fiero metallo, dove la chitarra dell’axeman bielorusso si incendia e dona regale musica heavy.
Grande prova dei tre vocalist coinvolti, degli assi nel genere e si sente con prove a tratti sontuose, mentre la storia coinvolge sempre più, permettendo a Tsar di risultare un lavoro affascinate, perfettamente bilanciato tra la raffinatezza e la magniloquenza della parte orchestrale e la carica travolgente del power metal.
Per chi si approccia all’opera è un attimo arrivare alla fine con la voglia di rituffarsi tra le note di Children Of The Future, dell’intensa No More Shadows, nell’oscuro doom epico di Reign Of Madness e della straordinariamente potente Flames Of Hate.
In conclusione Tsar risulta un album imperdibile per gli amanti dei suoni power orchestrali e di chi ha amato i Rage in questa nobile versione con la Lingua Mortis Orchestra; la speranza è che questa nuova avventura del chitarrista bielorusso non rimanga confinata a questo lavoro, sarebbe un vero peccato.

TRACKLIST
1. Tsar
2. Self-Blinded Eyes
3. Darkness
4. Hands Are Tied
5. Children Of The Future
6. No More Shadows
7. Nevermore
8. Reign Of Madness
9. Flames Of Hate

LINE-UP
Andy B. Franck: Vocals
David Readman: Vocals
Jeannette Marchewka: Vocals
Victor Smolski: Guitars
Enric Garcia: keyboards
Michael Kolar: Drums
Armin Alic: Bass

ALMANAC – Facebook

Hypersonic – Existentia

Settanta minuti di power metal sinfonico sopra le righe, un masterpiece che si preannuncia come opera irrinunciabile per gli amanti del metallo melodico e power.

Settanta minuti di power metal sinfonico sopra le righe, un masterpiece che si preannuncia come opera irrinunciabile per gli amanti del metallo melodico e power, suonato e cantato alla grande e valorizzato da due fenomenali special guest: Michele Luppi (Secret Sphere, Vision Divine, Whitesnake) e Tommy ReinXeed Johansson (ReinXeed, Golden Resurrection).

Si parla del nuovo lavoro dei nostrani Hypersonic, in uscita su Revalve in questa metà dell’anno di grazia 2016, al secondo lavoro sulla lunga distanza e con tutte le carte in regola per salire sul podio delle migliori realtà del genere.
La firma con Revalve porta, a cinque anni dal’ultima uscita, a Existentia, un album davvero riuscito ed emozionate, un viaggio attorno all’esistenza dell’uomo prima e dopo la morte, perciò cari miei guerrieri del metal epico, lasciate all’entrata scudi e spadoni ed inoltratevi nel concept maturo ed intimista creato dai cinque musicisti catanesi, che non mancheranno di cavalcare e correre su e giù per le strade impervie della vita, così come su quelle misteriose della morte.
Il sound non manca di sorprendere, la band non rinuncia a picchiare duro con ritmiche veloci ed assolutamente power, mentre le armonie tastieristiche sono arcobaleni di note sinfoniche ed eleganti e la voce femminile (Alessia Rapisarda) rapisce senza intonare canti operistici tanto cool di questi tempi.
Per niente facile riuscire a mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore per un’ora abbondante, ma gli Hypersonic ci riescono, grazie soprattutto ad un songwriting straordinario su cui sono costruite le canzoni che compongono Existentia.
Power metal sinfonico, ma molto progressivo, Existentia vive di due anime che giocano tra i suoi solchi, la prima aggredisce con le classiche sonorità power care alle maggiori band europee, la seconda più elegante e progressiva si riempie degli umori cangianti di chi ha valorizzato il genere dalle reminiscenze prog, passando dai maggiori gruppi nostrani (Labyrinth, Vision Divine) ai loro colleghi d’oltralpe (Kamelot, Reinxeed e Royal Hunt).
Ne esce un lavoro bellissimo, dove la band non rinuncia ad inserire vocals in growl che drammatizzano il mood di brani come Life’n Death e Love Is Pain, ma non rinuncia all’eleganza e la raffinatezza dei migliori act del genere con stupendi ricami che i tasti d’avorio di Dario Caruso cuciono su questo esempio di metallo regale (As An Angel).
Conquista già dal primo ascolto Existentia e non potrebbe essere altrimenti, l’alternanza di luci e ombre potenza power ed eleganza prog risulta un mix di micidiale musica splendidamente metallica, dove la sezione ritmica sa imprimere la sua rabbiosa aggressione in veloci e potentissime cavalcate (Francesco Caruso al basso e Salvo Grasso alle pelli) e la chitarra trafigge con solos taglienti (Emanuele Cangemi).
Di questi tempi, in cui il genere ha perso l’appeal di qualche anno fa, la scena nostrana ci regala opere entusiasmanti, di cui Existentia non è che l’ultimo straordinario esempio non lasciatevelo sfuggire.

TRACKLIST
01. Principium
02. The First Sound Of Life
03. The Eyes Of The Wolf (feat. Michele Luppi)
04. As An Angel
05. Blind Sins (feat. Jo Lombardo)
06. Living In The Light (feat. Tommy ReinXeed)
07. Embrace Me (feat. Roberta Pappalardo)
08. Love Is Pain (Heartbroken)
09. God’s Justice
10. Life’n Death
11. Pilgrim’s Path
12. Prayer In The Dark
13. The Meaning Of…
14. …Existence

LINE-UP
Salvo Grasso – Drums, Vocals
Emanuele Gangemi – Guitars
Francesco Caruso – Bass
Alessia Rapisarda – Vocals (female)
Dario Caruso – Keyboards

HYPERSONIC – Facebook

Winterhorde – Maestro

Chiunque si professi amante della buona musica deve ritagliarsi, almeno per un po’, un’oretta al giorno per cogliere appieno ogni sfumatura e godersi senza distrazioni un lavoro che difficilmente si schioderà dalla top ten di quest’anno.

Gli israeliani Winterhorde potrebbero esser presi ad emblema di ciò che si intende per progressione artistica: partiti come band dedita ad un symphonic black sulle tracce di Dimmu Borgir et similia (Nebula, 2006) ed approdati poi ad una forma parzialmente più evoluta ed avanguardista, ma ancora legata a tratti di matrice  estrema (Underwatermoon, 2010), giungono infine alla quadratura del cerchio con Maestro, tramite il quale, quasi in ossequio al titolo scelto, impartiscono una spettacolare quanto sorprendente lezione della durata di oltre un’ora a base di musica “progressiva” nel senso più autentico del termine.

Il retaggio sinfonico resta fortemente connesso alla struttura compositiva del gruppo mediorientale ma, in questo caso, costituisce un tessuto che avvolge ed arricchisce il lavoro d’insieme piuttosto che rappresentare la classica la soluzione ad effetto volta solo a mascherare, in molti lavori, ampi vuoti creativi.
Il raggiungimento di un simile risultato non arriva per caso ed una delle chiavi di volta è stato sicuramente un pesante ritocco della line-up che ha visto, in particolare, l’ingresso in formazione del cantante Igor “Khazar” Kungurov, il quale, con le sue splendide tonalità pulite duella incessantemente con lo screaming/growl del vocalist e fondatore Z.Winter, finalizzando il lavoro rutilante di una band capace di spaziare con una disinvoltura disarmante tra diverse sfumature stilistiche senza mai appesantire l’ascolto.
Chi ha avuto la ventura di ascoltare quel capolavoro che risponde al titolo Blessed He with Boils degli americani Xanthochroid troverà non poche affinità, specie nei passaggi più accelerati ed in certe repentine aperture atmosferiche, ma i Winterhorde ci mettono di loro un trademark più classico, riconducibile persino a Savatage/Trans Siberian Orchestra nelle frequenti orchestrazioni e, comunque, meno estremo, con una ricerca costante della melodia che non necessità del ricorso a dissonanze o a colpi ad effetto per attrarre l’attenzione dell’ascoltatore.
Mi rendo conto, scrivendone, quanto sia complesso provare a descrivere a parole questo disco, pertanto mi limiterò a dire che chiunque si professi amante della buona musica deve ritagliarsi, almeno per un po’, un’oretta al giorno per cogliere appieno ogni sfumatura e godersi senza distrazioni un lavoro che difficilmente si schioderà dalla top ten di quest’anno.
Anche citare un brano piuttosto che un altro riesce difficile, in quanto Maestro è un’opera di rara compattezza qualitativa, in cui non viene sprecata una nota che non sia funzionale al risultato finale: obbligato a scegliere tra tanta abbondanza, opto per The Heart of Coryphee, la traccia più lunga del lavoro nonché quella che farei ascoltare a qualcuno che mi chiedesse di proporgli un frammento dell’album per farsene un’idea, mentre tutto sommato la traccia meno brillante è proprio la conclusiva Dancing in Flames, in virtù di certe venature circensi che non sono mai state nelle mie corde.
Maestro è l’album che porta i Winterhorde su livelli inattesi ai più: probabilmente il tempo trascorso dall’ultimo lavoro su lunga distanza è stato sfruttato per focalizzare e finalizzare al meglio gli obiettivi, a dimostrazione del fatto che quasi sempre la fretta è nemica della qualità; non resta che assaporare questa splendida opera con la speranza che sia solo l’inizio di una nuova fase della carriera del gruppo israeliano.

Tracklist:
1. That Night in Prague
2. Antipath
3. Worms of Souls
4. They Came with Eyes of Fire
5. Chronic Death
6. The Heart of Coryphee
7. A Dying Swan
8. Maestro
9. Through the Broken Mirror
10. Cold
11. Dancing in Flames

Line-up:
Z.Winter – Vocals
Igor “Khazar” Kungurov – Vocals, Acoustic Guitar
Dima “Stellar” Stoller – Guitars
Omer “Noir” Naveh – Guitars
Sascha “Celestial” Latman – Bass, Saxophone, Acoustic Guitar
Alexander “Morgenrot” Feldman – Keyboards, Theremin
Maor “Morax” Nesterenko – Drums

WINTERHORDE – Facebook

Constraint – Enlightened By Darkness

Atmosfere folk, potenza metallica, dolci ed intimiste ballate e stupende aperture sinfoniche, fanno di Enlightened By Darkness un debutto imperdibile per gli amanti del genere

Mi rendo perfettamente conto che una webzine come la nostra, la cui missione primaria è supportare la scena underground, non solo metallica e non solo nazionale, possa essere tacciata di buonismo verso le giovani band che si affacciano sul mercato ma, partendo dal presupposto che Iyezine non è legata ad alcun vincolo con label italiane o straniere, quello che esce dagli articoli dei collaboratori, come in questo caso, è assolutamente frutto di un giudizio libero ed incondizionato.

Una premessa doverosa, perché anche quest’album, come molti ultimamente targati Italia, è un disco davvero bello e ben fatto e, in un genere come il symphonic metal dove sembra che tutto sia già stato detto e scritto, trovare una band al debutto con un lavoro di così ottima fattura non può che far estremo piacere.
La band si chiama Constraint, proviene da Modena e dal 2011 suona il genere interpretando i brani dei gruppi più famosi come Nightwish, Epica ed Evanescence.
Una gavetta obbligatoria per chiunque muova i primi passi nel mondo musicale, ma la voglia di suonare la propria musica, specialmente se si è musicisti di talento, prima o poi prende il sopravvento, ed allora i Constraint nel 2012 iniziano a mettere insieme idee e note e dopo quattro lunghi anni Enlightened By Darkness può finalmente fare la gioia di tutti gli amanti del symphonic metal.
Il lavoro, autoprodotto, ha trovato nell’Atomic Stuff un buon trampolino di lancio e le note sinfonicamente eleganti di Behind The Scenes, opener dell’album, possono riempire di metallo orchestrale ed operistico una mezz’ora abbondante della nostra stressante vita, per sognare insieme all’incantevole voce della bravissima Beatrice Bini, singer in linea con le interpreti del genere.
Sotto l’aspetto puramente musicale Enlightened By Darkness, non fatica a convincere, l’appeal dei brani è altissimo ed il gruppo, intelligentemente, alterna brani dal mood quasi radiofonico, ad altri dove squisite atmosfere folk alzano notevolmente la qualità del disco, come in un viaggio a spasso nel tempo tra le strade chiuse dai grattacieli, passeggiando nelle notti gotiche, per ritrovarsi in un attimo ai piedi di un castello medievale, illuminato dalle torce appese alle torri fortificate.
Prodotto perfettamente agli Art Distillery Studios da Claudio Mulas, l’album non manca di potenza metallica, equilibrata, raffinata ma pur sempre forgiata nell’acciaio, la sei corde e la sezione ritmica non mancano di spingere quando l’aria si fa pressante (The Birth), mentre i tasti d’avorio ricamano tele sinfoniche su cui la singer si destreggia da par suo, lasciando a tratti i toni operistici per un approccio più moderno.
Atmosfere folk, potenza metallica, dolci ed intimiste ballate e stupende aperture sinfoniche, fanno di Enlightened By Darkness un debutto imperdibile per gli amanti del genere e dei Constraint l’ennesima band da supportare senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Behind The Scenes
2. Talking Dumbs
3. The Ending Of Time
4. Illusion Of A Dream
5. The Birth
6. Breathing Infinity
7. Enlightened By Darkness
8. Autumn Hymn
9. Oniria

LINE-UP
Beatrice Bini – Vocals
Alessio Molinari – Guitars
Simone Ferraresi – Keyboards
Federico Paglia – Bass
Alessandro Lodesani – Drums

CONSTRAINT – Facebook

Fuzz Orchestra – Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà I Suoi

Tutto funziona, ma sembra mancare la possibilità di intravedere ulteriori sviluppi

A quattro anni dall’ottimo “Morire Per La Patria”, la Fuzz Orchestra, power trio strumentale composto da Luca Ciffo, Fabio Ferrario e Paolo Mongardi, ritorna per Woodworm Label con gli otto brani di Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà I Suoi. Il nuovo capitolo, combinando le idee della band con estratti sonori provenienti da film socio-politici anni ’60-’70 e con partiture sviluppate per l’occasione da Enrico Gabrielli (accompagnato dai suoi Esecutori Di Metallo Su Carta: Bucci, Santoro, De Gennaro, Manzan), propone una sequenza di attacchi sonori compatta e uniforme.

Il mix metal/orchestrale di Nel Nome Del Padre, procedendo inesorabile fra colpi di pistola, parole allucinate e un galoppare sonico che travolge e trascina via, introduce l’incombente incalzare ed evolvere (parte centrale più calma, finale angosciante) della feroce Todo Modo.
Il cerebrale svilupparsi della ipnotica e cadenzata Born Into This (gustosissimi gli inserti di fiati), invece, apre alle atmosfere funeree generate da L’Uomo Nuovo (l’ossatura del pezzo è data dal nero vuoto generato dall’ospite Riccardo Gamondi), lasciando che a seguire siano il sofferto e tortuoso dipanarsi della scura e inquietante Una Voce Che Verrà e l’epic metal deviato su binari intellettuali e socio-politici dell’ottima Il Terrore E’ Figlio Del Buio.
La fantasmatica Lamento Di Una Vedova, infine, concedendo una breve pausa fatta di polvere ed ectoplasmi, cede il compito di chiudere al lento trascinarsi della tetra e pesante The Earth Will Weep.

Il nuovo capitolo discografico della Fuzz Orchestra, riprendendo in tutto e per tutto il sound del passato, presenta come quasi unica variazione l’aggiunta della componente orchestrale. Il risultato è assolutamente solido e convincente (tutti i pezzi esploderanno nelle vostre orecchie e vi appassioneranno, garantito), ma, allo stesso tempo, mette in luce come il sommare sonorità metal/noise con estratti sonori provenienti da film, incominci ad essere un’idea ormai difficile da rinnovare in maniera originale. Tutto funziona, ma sembra mancare la possibilità di intravedere ulteriori sviluppi.

TRACKLIST
01. Nel Nome Del Padre
02. Todo Modo
03. Born Into This
04. L’Uomo Nuovo
05. Una Voce Verrà
06. Il Terrore E’ Figlio Del Buio
07. Lamento Di Una Vedova
08. The Earth Will Weep

LINE-UP
Luca Ciffo
Fabio Ferrario
Paolo Mongardi

FUZZ ORCHESTRA – Facebook

Rhapsody Of Fire – Into The Legend

Album entusiasmante di una band unica, arrivata all’undicesima opera ed ancora in grado, dopo tanti anni, di regalare emozioni forti

Si torna a viaggiare sulle ali del drago con il nuovo lavoro di una delle band più illustri del panorama metal europeo, i nostrani Rhapsody Of Fire, l’altra metà dei Rhapsody (come sapete Luca Turilli, dopo lo split con il gruppo ha formato i Luca Turilli’s Rhapsody) band che, fin dal sorprendente debutto del 1997 (Legendary Tales), ha dato lustro all’Italia metallara.

Quasi vent’anni sono passati ormai da quel bellissimo lavoro, ed il gruppo non ha mai smesso di portare avanti la propria proposta, un symphonic power epico, barocco e dall’input cinematografico che ha fatto scuola e ha portato il nome della band nella storia del metal classico.
Into The Legend è il secondo lavoro in studio dopo la scissione, e segue Dark Wings of Steel di due anni fa, opera che vedeva la band intraprendere una strada più lineare e colma di epicità alla Manowar, risultando meno sinfonico e più improntato sulle sei corde.
Il nuovo lavoro torna in parte al sound dei primi album, rinverdendo i fasti delle due parti di Symphony of Enchanted Lands e tornando ad un’impronta palesemente barocca.
Inutile dire che il risultato soddisfa in pieno le aspettative dei molti fans del gruppo, le orchestrazioni tornano ad essere protagoniste indiscusse su un tappeto di power metal veloce ed epico, dove non mancano le classiche cavalcate che la voce di Lione valorizza, accompagnata da cori classici e ospiti solisti dal mood operistico.
Un album mastodontico, come da sempre ci ha abituati questo ambizioso gruppo di musicisti: magari talvolta prevedibile, non scalfisce comunque la fama consolidata dei Rhapsody Of Fire nel creare musica epica, sognante e tremendamente piena.
Un’altalena di emozioni, tra fughe metalliche in compagnia di orchestrazioni cinematografiche, l’uso smisurato di strumenti classici, cori, solos fusi nella fiamma sprigionata dall bocca del drago e tanta fierezza metallica, sprofondando in un mondo parallelo, dove non c’è spazio per la pochezza della vita moderna.
Ed è qui che la band è da sempre maestra, riuscendo per più di un’ora nella non sempre facile impresa di portare l’ascoltatore a vivere le atmosfere fantasy, come davanti allo schermo di una sala cinematografica, immagini nitide che si formano nella mente all’ascolto della tempesta di suoni creati dalla band.
Detto che la prova di Lione è da applausi, confermandosi come uno dei più bravi vocalist in circolazione nel genere, che Alex Holzwarth è la solita macchina da guerra dietro al drumkit, che Staropoli incanta ai tasti d’avorio e che Roberto De Michelis spara solos fiammeggianti, l’album è un saliscendi di metal operistico, di rabbiose ripartenze power ed atmosfere dal mood folk, con il flauto di Manuel Staropoli (fratello di Alex) a portarci in un emozionante viaggio nel tempo (A Voice in the Cold Wind) o a cavalcare verso la gloria (Valley Of Shadow).
Bellissima la suite finale, The Kiss Of Light, diciassette minuti di riassunto del credo musicale del gruppo, tra parti veloci, atmosfere sognanti, voci liriche e barocche, ed un Lione sontuoso nell’assecondare tutte le sfumature di un brano perfettamente in bilico tra irruenza metal, dolci parti folcloristiche e classiche fughe sinfoniche.
Album entusiasmante di una band unica, arrivata all’undicesima opera ed ancora in grado dopo tanti anni, di regalare emozioni forti, entrate anche voi nella leggenda.

TRACKLIST
01. In Principio
02. Distant Sky
03. Into the Legend
04. Winter’s Rain
05. A Voice in the Cold Wind
06. Valley of Shadows
07. Shining Star
08. Realms of Light
09. Rage of Darkness
10. The Kiss of Life

LINE-UP
Alex Staropoli – Keyboards, Harpsichord, Piano
Fabio Lione – Vocals
Alex Holzwarth – Drums, Percussion
Roberto De Micheli – Guitars

RHAPSODY OF FIRE – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
, entrate anche voi nella leggenda.

Norhod – Voices From The Ocean

I Norhod si muovono in un genere dove ormai l’originalità è una chimera ma che, se suonato a questi livelli, è ancora capace di regalare opere entusiasmanti.

Dopo il bellissimo The Efflorescence dei russi Ephemeral Ocean, si continua a navigare in acque agitate, la tempesta che ci aveva accompagnato per tutto il viaggio, dopo un’apparente schiarita è tornata a farsi intensa, il mare si è rinforzato e la nostra prua ha ricominciato ad essere torturata dalla forza delle onde, spinte da una tempesta di death metal sinfonico e power, questa volta con il suo nucleo temporalesco nato in Italia e precisamente a Lucca.

Una tempesta di suoni bombastici, sinfonie dal mood cinematografico in una mareggiata di ritmiche power, tuoni e lampi death metal, accompagnano il secondo lavoro dei Norhod, altra band spettacolare da annoverare tra le migliori realtà del genere proposto e figlia di una scena italiana che ormai può tranquillamente sedersi al tavolo con le sorelle europee.
La WormHoleDeath non se li è fatti sfuggire, e questo sontuoso Voices From The Ocean arriva in questo inizio anno a ribadire l’ottima salute che gode il metallo nazionale.
La band, nata nel 2009, dopo vari cambi nella line up, nel 2012 da alle stampe il primo ep autoprodotto, quel Arianrhod che non passa innosservato e ad aspettarli c’è la firma per la label italiana che produce il primo full length, The Blazing Lily, uscito nel 2013.
La forza di questo lavoro sta nell’aver saputo, da parte della band, creare un’opera che in poco più di mezzora, scarica un’impressionate sequela di hit, otto brani, uno più bello dell’altro che alternano, dirompente metallo sinfonico a stupende ed ariose tracce acustiche, dal sapore folk, interpretate dalla splendida voce di Clara Ceccarelli, sirena dall’ugola che ammalia, accompagnata dalle notevoli voci maschili, perfette sia nel growl di stampo death che nelle cleans (ad opera, quest’ultime, dell’ospite Francesco cavalieri dei Wind Rose).
Voices From The Ocean vive di questa alternanza, tra la furia sinfonica e la calma, portata dalla tempesta che si allontana, la forza sprigionata da dio Nettuno si placa, per tornare rigenerata ed ancora più aggressiva in un susseguirsi di emozionanti sali e scendi tra le onde dell’oceano.
Sezione ritmica che viaggia a mille, orchestrazioni da brividi e finalmente ballad che non danno l’impressione di riempitivi, ma sono perfettamente incastonate in questo album che ha il sapore dell’avventura.
I Norhod si muovono in un genere dove ormai l’originalità è una chimera ma che, se suonato a questi livelli, è ancora capace di regalare opere entusiasmanti; le influenze e le similitudini con band più famose, lasciamole ad altri, così come un inutile track by track, fate vostro Voices From The Ocean e per mezzora navigate nelle pericolose acque dell’oceano con i Norhod.

TRACKLIST
1. Storm
2. Endless Ocean
3. The Abyss of Knowledge
4. July Rain
5. Bleeding Path
6. Son of the Moon (A Moon Tale – Part VI)
7. Farthest Dream
8. Last Chant

LINE-UP
Clara Ceccarelli – Vocals
Giacomo “Jev” Casa – Growl
Giacomo Vannucci – Guitars
Andrea “Bistru” Stefani – Guitars
Michele Tolomei – Keyboards
Matteo Giusti – Bass
Francesco Aytano – Drums

NORHOD – Facebook

Odyssea – Storm

Album che non può mancare nella collezione di ogni true defenders che si rispetti, ma assolutamente consigliato anche a chi apprezza la buona musica, Storm vi regalerà un’ora di nobile metallo progressivo ed incendiario, suonato e prodotto a meraviglia.

Mentre scrivo questo articolo, sotto l’effetto delle splendide note sprigionate da Storm, secondo lavoro del progetto Odyssea, la playlist di fine anno dei collaboratori di Iyezine è già in bella mostra sulle nostre pagine virtuali, altrimenti, come non inserire un album così bello nella mia personale classifica di questo stancante, drammatico ed oscuro 2015?

Passo indietro, per presentare questo progetto nato dalle menti di due dei più grandi musicisti che la scena metal italiana può vantare, il chitarrista Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle, Vanexa, ex-Labyrinth) e Roberto Tiranti (Wonderworld, ex-Labyrinth, ex-Vanexa), partito nel 2004 con il primo album Tears in Flood e ora tornato alla grande dopo più di un decennio e dopo le tante avventure musicali dei due protagonisti.
Dopo il successo delle opere di Tobias Sammet con il progetto Avantasia, di opere metal dai mille ospiti ne sono uscite davvero tante, alcune davvero belle, altre meno, perciò non è certo una novità questo Storm dove, intorno ai due musicisti principali, si raccoglie una buona fetta del meglio che il genere può vantare su e giù per lo stivale e non solo.
Infatti, oltre al songwriting che, sia chiaro, risulta eccellente, è un piacere trovare così tanti, ottimi musicisti, uniti in un’opera (lasciatemelo dire) tutta italiana, confermando l’elevata qualità che ormai ha raggiunto la scena metallica tricolore in ogni sua parte e in qualsiasi genere e sottogenere volgiamo la nostra attenzione.
Alessandro Del Vecchio, Alex De Rosso, Davide Dell’Orto, Giorgia Gueglio, Christo Machete, Mattia Stancioiu, Peso, Simone Mularoni, Wild Steel sono solo una piccola parte dei musicisti che hanno contribuito a fare di Storm una meraviglia power prog metal dalle mille idee e dalle mille sfumature, dove suoni classici si mescolano ad intuizioni futuriste, cavalcate power amoreggiano con ritmiche hard rock e si appartano con digressioni progressive, il tutto agli ordini della splendida voce di Tiranti, tornato a fare metal dopo il bellissimo lavoro solista uscito all’inizio dell’anno e dalla sei corde di un Gonella ispiratissimo e sempre più guitar heroes.
E come novelli Ulisse ci imbarchiamo in questo viaggio tra mari in tempesta, burrasche improvvise che scaricano fulmini pregni di elettricità, come se gli dei del metallo volessero rendere questo ascolto, un’Odissea, un epico girovagare tra i suoni nobili della nostra musica preferita, travolti da onde che senza pietà si infrangono e distruggono prue ed alberi a colpi di songs travolgenti come l’opener No Compromise, l’epica cavalcata Anger Danger, lo spettacolare duetto tra la Gueglio ed il buon Del Vecchio in Ice, la devastante title track, prima che le sirene di Ride ci ipnotizzino, liberati dall’entrata in campo della voce di Tiranti e da uno splendido e arioso refrain.
L’album regala ancora emozioni, in un susseguirsi di passaggi e cambi di atmosfere che hanno, nelle tastiere moderniste e dalle reminiscenze sci-fi di Apocalypse pt2, uno strumentale rotto solo dalla voce recitata della Gueglio, andando a concludere il nostro epico viaggio con Fly, canzone ripresa dal primo lavoro, e dalla versione alternativa dell’opener No Compromise.
Album che non può mancare nella collezione di ogni true defender che si rispetti, ma assolutamente consigliato anche a chi apprezza la buona musica, Storm vi regalerà un’ora di nobile metallo progressivo ed incendiario, suonato e prodotto alla perfezione.
Fatelo vostro e partite per questa affascinante e pericolosissima avventura in compagnia di questi grandi musicisti, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
01. No compromise
02. Anger danger
03. Understand
04. Ice
05. Freedom
06. Galaxy
07. Storm
08. Ride
09. Tears in the rain
10. Apocalypse pt II
11. Fly 2015 (bonus track)
12. No compromise alternative (bonus track)

LINE-UP
Pier Gonella – guitars
Roberto Tiranti – vocals

Guests:
Andrea Ge – drums
Alessandro Bissa – drums
Alessandro Del Vecchio – vocals
Alessio Spallarossa – drums
Alex De Rosso – guitars
Andrea De Paoli – keyboards
Anna Portalupi – bass
Carlo Faraci – vocals
Christo Machete – drums
Davide Dell’Orto – vocals
Dick Laurent – guitars
Emilio Ranzoni – guitars
Francesco La Rosa – drums
Gandolfo Ferro – vocals
Giorgia Gueglio – vocals
Giulio Belzer – bass, vocals
Mattia Stancioiu – drums
Mistheria – keyboards
Oscar Morchio – bass
Peso – drums
Simone Mularoni – guitars
Steve Vawamas – bass
WildSteel – vocals

ODYSSEA – Facebook

Vanden Plas – Chronicles of the Immortals: Netherworld II

Un gruppo del genere nobilita il metal in senso lato e dovrebbe vedere i suoi lavori ben conservati sulla mensola di ogni appassionato, a prescindere dal genere preferito. Arte senza se e senza ma.

Tornano a distanza di un anno i grandiosi Vanden Plas con la seconda parte del concept tratto da Le Cronache degli Immortali, trilogia fantasy scritta da Wolfgang Hohlbein, fan della band a cui tempo fa propose la trasposizione in musica della sua opera.

L’album è clamoroso, come d’altronde la prima parte e come negli anni la band di Kaiserslautern ci ha abituato, iniziando dallo stupendo debutto Colour Temple, uscito nel 1994, per proseguire nel corso del ventennio con una serie di album dalla qualità superiore, forse poco considerata, specialmente dagli addetti ai lavori, colpevoli molto spesso di rincorrere le new sensation del genere lasciando le briciole ai veri artisti dello spartito.
Poco male, il gruppo tedesco nel corso degli anni ci ha deliziato con album straordinari (su tutti The God Thing del 1997 e Christ O del 2006) e non contento ha portato la propria arte sul palcoscenico di un teatro, per reinterpretare opere immortali come Jesus Christ Superstar, The Rocky Horror Show e La Piccola Bottega degli Orrori.
La storia su cui la band ha creato questo stupendo arabesco di suoni vede come protagonista Andrej Delàny, cavaliere immortale che trova, al ritorno nel suo paese di origine situato in Transilvania, solo distruzione e morte.
L’unico sopravvissuto alla strage (Frederic) lo informa che il colpevole è un cardinale, alla guida di tre cavalieri dalle armature dorate e che tra i pochi sopravvissuti, fatti prigionieri c’è anche suo figlio.
Inizia così l’avventura, che vedrà i due sulle tracce dei cattivi, tra mille avventure e scontri, in cui Andrej scoprirà di essere parte di una stirpe di cavalieri immortali, diretti discendenti dei vampiri transilvani.
L’album, come la prima parte, non fa che ribadire l’immenso talento del gruppo, con un Andy Kuntz sontuoso, interprete magnifico delle avventure dei nostri eroi, che sommato alla bravura strumentale dei fratelli Andreas e Stephan Lill (rispettivamente batteria e chitarra), al basso di Torsten Reichert e ai tasti d’avorio del fenomenale Günter Werno, fanno dei Vanden Plas un gruppo di inestimabile valore, alle prese con un’opera che ci investe con una valanga di emozioni.
Diviso in nove visioni, l’album si apre con My Universe, dove la voce teatrale di Kuntz ci introduce alla seconda parte del concept, accompagnata da un poderoso riffone metallico a far coppia con le tastiere di Werno.
Si entra nel cuore dell’opera e il gruppo incanta, Godmaker’s Temptation e Stone Roses Edge sono prog metal songs teatrali e sontuose, magnifico il lavoro dei tasti d’avorio nella seconda che concede un refrain molto Dream Theater ed una sezione ritmica ruvida.
Blood Of Eden emoziona in un turbine di suoni tra pianoforte, fiati e violoncello ed una voce femminile che accompagna Kuntz, nel dialogo tra il cavaliere e la sua defunta consorte e si va via, con la mente persa in quei luoghi nascosti da una spessa coltre di nebbia, portati dalle scale musicali del gruppo che continua a deliziare con atmosferiche parti melodiche e fughe dure come l’acciaio, dove la doppia cassa spinge sull’acceleratore e lo spirito metallico esce, immortale come il protagonista, in tutta la sua leggendaria fierezza (The Last Fight).
La conclusiva Circle Of The Devil, musicalmente risulta un sunto di tutto il ben di dio racchiuso in questo lavoro, parte orchestrale che lascia spazio alla furia metallica per tornare ai suoni dell’opener, per una conclusione degna di un’opera dall’elevato tasso qualitativo.
Un gruppo del genere nobilita il metal in senso lato e dovrebbe vedere i suoi lavori ben conservati sulla mensola di ogni appassionato, a prescindere dal genere preferito. Arte senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Vision 11even- In My Universe
2. Vision 12elve- Godmaker’s Temptation
3. Vision 13teen- Stone Roses Edge
4. Vision 14teen- Blood of Eden
5. Vision 15teen- Monster
6. Vision 16teen- Diabolica Comedia
7. Vision 17teen- Where Have the Children Gone
8. Vision 18teen- The Last Fight
9. Vision 19teen- Circle of the Devil

LINE-UP
Torsten Reichert – basso
Andreas Lill – batteria
Stephan Lill – chitarre
Günter Werno – tastiere
Andy Kuntz – voce prog metal

VANDEN PLAS – Facebook

Crimson Chrysalis – Enraptured

Il nuovo lavoro supera e di tanto le più rosee aspettative sui Crimson Chrysalis, incoronando René Van Den Berg come una delle migliori interpreti del rock sinfonico internazionale.

Due anni fa Crimson Passion Cry giunse come biglietto da visita per questa ottima band sudafricana, capitanata dalla bravissima René Van Den Berg, passionale e carismatica singer, dotata di una splendida voce e valorizzata da un buon lotto di canzoni.

Accompagnata dalla sempre presente Elben Schutte e da un manipolo di ottimi musicisti, la band di Pretoria, licenzia questo secondo lavoro, qualitativamente superiore al già buon debutto e assolutamente sopra le righe per interpretazione e songwriting.
La musica dei Crimson Chrysalis rimane elegante e raffinata, un symphonic rock d’autore, ma questa volta accompagnata da una forte connotazione sinfonica e drammatica, valorizzata dall’interpretazione di Rene e dall’intervento di graditi ospiti che mettono l’accento ad un’opera sontuosa.
Con tutti i crismi per essere considerata(musicalmente) un’opera rock, Enraptured dilaga tra orchestrazioni, accenni metallici, ed ottime e sentite ballate, dove a farla da padrona è la prova della cantante sudafricana, interprete praticamente perfetta, macchina emozionale alla pari della musica creata, a tratti magniloquente ed epica, molte volte nobile ed elegante.
Una raccolta di brani che producono valanghe di brividi, forti di uno stato di grazia in tutte le sue componenti, Enraptured vive di momenti musicali altisonanti, ad iniziare dalle due songs che vedono impegnate le ospiti di cui accennavo, Andrea Casanova( Rainover) sulla splendida Elegy e Jessica Mercy (Anaria) sulla bombastica Burning Fire With Fire.
Il resto è Symphonic Rock da applausi dall’opener Soul Stalker, passando per Sacred Vow, Fear, la ballad Virgin Death e la chiusura lasciata alla cover di Poison, famoso brano del mostro sacro Alice Cooper in versione sinfonica e dark.
Il nuovo lavoro supera e di tanto le più rosee aspettative sui Crimson Chrysalis, incoronando Rene Van Den Berg come una delle migliori interpreti del rock sinfonico internazionale.

TRACKLIST
01. Soul Stalker
02. Surrender
03. Elegy (ft. Andrea Casanova)
04. Sacred Vow
05. Infinity
06. Burning Fire With Fire (ft. Jessica Mercy)
07. Enlightenment
08. Fear
09. The Raven
10. Virgin Death (The classical rendition)
11. Grace
12. Poison

LINE-UP
Keyboards and programming: Elben Schutte
Guitars: Mauritz Lotz, Cobus Schutte
Bass: Cobus Schutte, Denny Lalouette
Drums & percussion: Vinnie Henrico
Strings: Serge Cuca, Miro Chakaryan, Jacques Fourie, Camelia Onea, Waldo Luc Alexander, Evert van Niekerk, Lizelle le Roux, Leoni Greyling, Dorota Drews (violin); Vladimir Ivanov, Judith Klins, Violetta Miljkovic (viola); Susan Mouton, Carel Henn, Maciej Lacny, Laurie Howe, Toni Ivanov, Kerryan Wisniewski (cello)
Solo cello: Susan Mouton
Solo violin: Serge Cuca, Miro Chakaryan
French horn: Shannon LaBonte Armer
African drummers on “Burning fire with fire”: Thabo Legae, Mandla Ngwenya, Enock Hlatswayo, Bonginkosi Ngwenya, Gregory Mkhabela.
Xhosa vocals on “The Raven”: The Gugulethu tenors
Strings & French horn scoring & sheet music: Marlene Hay & Evert van Niekerk
Lead vocals: René van den Berg, except “Elegy” ft. Andrea Casanova (Rainover) & “Burning fire with fire” ft. Jessica Mercy (Anaria).
Backing & choir vocals: Ruan Xen, René van den Berg & Elben Schutte, Amryl Twigg, Elzanne Crause, Adolph de Beer

CRIMSON CHRYSLAIS – Facebook

Stormy Atmosphere – Pent Letters

Pent Letters è opera di musica progressive dove strepitose parti sinfoniche, atmosfere gotiche ed elettrizzante metal, formano un caleidoscopio di suoni, un clamoroso tuffo nella parte nobile della nostra musica preferita.

Opera mastodontica, questo secondo lavoro della band Israeliana, al secolo Stormy Atmosphere, in attività dal 2002, ma con solo due lavori licenziati: il primo, ColorBlind del 2009 e appunto questo maestoso Pent Letters.

Prendendo spunto da una manciata di capolavori letterari come Il ritratto di Dorian Grey di Oscar Wilde, Il Conte Di Montecristo di Dumas ed Il Faust di Goethe tra gli altri, la band costruisce un’opera di musica progressive dove strepitose parti sinfoniche, atmosfere gotiche ed elettrizzante metal, formano un caleidoscopio di suoni, un clamoroso tuffo nella parte nobile della nostra musica preferita, interpretata in modo strepitoso dai musicisti del gruppo, protagonisti di prove da urlo, valorizzate da emozionati brani, dove la teatralità prende il sopravvento e si alterna con mirabolanti vortici di musica progressiva.
Impreziosito dal contributo di Tom S. Englund, vocalist degli Evergrey, l’album vive come un’opera teatrale, davvero interpretata dai due vocalist del gruppo: la stupenda
Dina Shulman, dotata di un’ugola strepitosa e carismatica che letteralmente ipnotizza l’ascoltatore e l’ottimo Teddy Shvets, protagonista di una prova emozionale, mattatore tanto quanto la sua partner, con duetti che lasciano a bocca aperta, così che, chiudendo gli occhi vi ritroverete al cospetto di un palco, con i due vocalist a dispensare perle di recitazione, in una rappresentazione teatrale entusiasmante.
Il sound su cui è strutturato Pent Letters, non può che correre dietro ai due assi al microfono, una sinfonia progressiva alimentata da soluzioni metalliche, ed atmosfere gotiche, dove i musicisti del gruppo danno sfoggio di una maestria elevata, anche se è la musica che in Pent Letters incanta, calda, ricca di cambi repentini di atmosfere, fughe tastieristiche, sinfonie operistiche, solos che sparano lingue di fuoco, ritmiche veloci come il vento, o intricate come la tela di un ragno, che creano attimi entusiasmanti, costringendo i generi di cui l’album si nutre ad allearsi per far risplendere la musica di Pent Letters.
D’altronde non si può rimanere indifferenti alle trame di cui sono composti brani esagerati come Science Fiction, Historical Adventure, The Menippeah (epica, operistica, un capolavoro), Tragic Play (metallica, debordante e bombastica), songs che valorizzano un’opera che interamente incanta.
Ayreon, Dream Theater, la Turunen solista, Evergrey e Within Temptation, prendete i gruppi e gli artisti in questione, amalgamateli sapientemente ed avrete una minima idea di quello che vi aspetta all’ascolto di Pent Letters … il resto lo mettono i fantastici Stormy Atmosphere.

Tracklist:
1. Afterlight
2. The Way Home
3. First Day
4. Science Fiction
5. First Year
6. Historical Adventure
7. Hour
8. The Menippeah
9. While
10. Suspense
11. Gothic Dread
12. Decennary
13. Tragic Play
14. Outcome
15. Time

Line-up:
Teddy Shvets – Vocals
Dina Shulman – Female Vocals
Stas Sergienko – Guitars
Eduard Krakov – Keyboards
Max Man – Bass

Mattia Gosetti – Il Bianco Sospiro Della Montagna

A tratti epico, Il Bianco Sospiro Della Montagna, cresce col passare dei minuti ed accentua la vena drammatica della storia, le sinfonie si fanno sempre più pressanti fino all’epilogo, dove non manca la speranza, quel mood positivo che dà la forza per ricominciare

Premessa: se siete appassionati di musica, cioè quella sublime ed emozionante sequenza di note che portano a sognare o per meglio dire, entrare in un mondo parallelo, che viaggia a fianco ma molto distante dalla, troppe volte, cinica e faticosa vita reale, allora quest’opera d’arte (perchè questo è) concepita da Mattia Gosetti, non potrà che esaltarvi, commuovervi, farvi vivere più di un’ora tra le delicate ma insidiose atmosfere montane: quei monti dove l’artista è nato e cresciuto e che vengono glorificate dal talento suo e dei musicisti protagonisti di questa opera tra tradizione e rock, folk e sinfonie, immersi nel paesaggio silenzioso e ovattato delle alpi bellunesi.

Il concept tratta la storia di un brigante ribelle, in lotta per la libertà del suo popolo e che tra le montagne combatte contro i signori della guerra, così come fece la nostra gente di montagna, tanti anni fa, difensori di labili confini ma non solo, di una nazione intera e che i nostri monti raccontano ad ogni passo, tra i bellissimi sentieri e i paesaggi di cui veniamo circondati ogni qualvolta le nostre mete e il nostro sguardo si spostano a nord.
Mattia Gosetti dimostra, ancora una volta di essere un musicista, ma sopratutto un compositore straordinario, accompagnato come sempre dalla splendida voce di Sonia Dal Col e da una manciata di musicisti oltremodo fantastici.
Un’operetta la chiama lui, uno stupendo affresco di musica universale che trasuda rock ma viene nobilitato da orchestrazioni e sinfonie, in un panorama tragico, drammatico, ma anche fiabesco, dove il candido colore della neve che scende copiosa riempe narici di aria gelida, così come i camini accesi di chalet persi tra i boschi e sicuri nascondigli per il brigante, si fanno caldi ripari dove l’aria e pregna dell’odore di legna che arde e riscalda, cuoce e abbraccia in caldi momenti di riposo.
La musica, la parte più importante, è emozionante tanto quanto la storia, l’orchestra e gli strumenti rock si alleano per donare una sequela di sfumature che con il passare dei minuti si fanno sempre più intense, i vari passaggi cantati a più voci tengono l’ascoltatore incollato alle cuffie, perso nelle trame di una storia affascinante, propio per il contesto originalissimo creato da Gosetti.
Il Bianco Sospiro Della Montagna è composto da diciotto movimenti: quasi inutile per un’opera del genere citare  dei titoli, anche se la poesia che sprigiona La Grande Nevicata mette i brividi, lasciando che i fiocchi si posino sul vostro stereo, mentre la splendida voce della Da Col colma il gap tra il vostro divano e le valli montane, circondate dal generale inverno.
A tratti epico, Il Bianco Sospiro Della Montagna, cresce col passare dei minuti ed accentua la vena drammatica della storia, minuto dopo minuto le sinfonie si fanno sempre più pressanti fino all’epilogo, dove non manca la speranza, quel mood positivo che dà la forza per ricominciare: il sole fa capolino dalle alte vette, il bianco della neve lascia il posto ai mille colori della primavera, metafora di un nuovo inizio per gli uomini, uniti, insieme.
L’opera verrà trasportata sul palco non solo, come sembra, nella provincia di Belluno, e il sogno di Mattia si appresta a diventare realtà. Auguri!

TRACKLIST
1.I Viaggiatori delle Stelle
2.Al Di La Della Foschia
3.Lo Straniero Silenzioso
4.Il Bianco Sospiro Della Montagna
5.Il Veterano Ribelle
6.La Città Del Nord
7.La Gitana Sperduta
8.Donata A Me
9.L’Oste Irriverente
10.Un Giudizio Clemente
11.Le Stagioni Di Una Veranda
12.La Grande Nevicata
13.A Lume Di Candela
14.Fuga Tra Le Montagne Innevate
15.Un Gesto Libero
16.La Reliquia Si Rivela
17.Discesa Dalla Montagna
18.Un Ultimo Bianco Sospiro

LINE-UP
Mattia Gosetti
Sonja Da Col
Mauro Baldissera
Salvatore Bonaccorso
Roberto Cian
Denis Losso
Marco Busin

SIRGAUS – Facebook

Sanctorium – The Depths Inside

Debutto clamoroso per la symphonic metal band russa Sanctorium.

Una premessa: Iyezine non ha la presunzione di giudicare e tranciare la musica delle band, ma cerca con i pochi mezzi a disposizione e tanta passione di dare supporto a qualsiasi realtà meriti l’attenzione nostra e di chi ha voglia di cliccare su di un nostro articolo, che sia metal, rock o elettronica poco importa, viene dato spazio a tutti, dall’autoproduzione, all’album promosso da qualsiasi etichetta ci chieda una mano per far conoscere le proprie proposte.

E’ cosi che, virtualmente, si viaggia per il mondo, partendo dall’Italia e soffermandosi su qualsiasi realtà meriti, a nostro modesto parere, un minimo d’attenzione, che sia in India piuttosto che in Australia, negli Stati Uniti, nei paesi scandinavi o, come in questo caso, in Russia.
Infatti è dall’estremo est europeo che provengono i bravissimi Sanctorium, autori di un debutto sulla lunga distanza davvero riuscito.
La band nasce addirittura dieci anni fa, nel 2006 esordisce con un demo e, prima di arrivare ai nostri giorni e all’uscita di The Depths Inside, rilascia un ep e due singoli.
Il nuovo album è un bellissimo esempio di symphonic gothic metal, maturo e debordante nella sua anima più metallica, l’altra faccia della stessa medaglia dove, dall’altra parte, la componente sinfonica è veramente sopra le righe, aiutata da una bravura strumentale stupefacente.
La parte del leone la fanno i due vocalist, Dariya “Eirene” Zhukova, soprano dalla voce magnifica e Sergey Muravyov, ottimo con il suo growl possente che ricorda non poco il Nick Holmes dei primi album dei Paradise Lost, accompagnati da musicisti spettacolari e da un songwriting che, anche se non brilla per originalità, regala una manciata di perle che stupiscono per il piglio e l’assoluta qualità.
E’ così che dopo la classica intro atmosferica, la voce della Zhukova irrompe sulle note della devastante 1000 Years, la parte metallica (aggressiva e dura come l’acciaio) si amalgama alla perfezione con quella sinfonica, le due voci così distanti tra loro iniziano la loro personale battaglia, una estremamente aspra, l’altra celestiale: bianco e nero, bene e male si scambiano il palcoscenico o all’unisono riempiono il suono di atmosfere ora tragiche e drammatiche, ora sognanti, per un risultato di enorme emozionalità.
La band fa il resto, gli elementi sinfonici addomesticano la furia metallica del combo in emozionanti parti, dove le cavalcate power/death degli strumenti elettrici vengono imprigionati in ammalianti passaggi orchestrali.
La devastante Alive, seguita dalla più ariosa Spirit, la sognante Maid Of Lake (con l’ospite Anastasia Simanskaya alla voce), la symphonic death Cancer Of Earth, la più gothic del lotto Rub Al’Khali, sono i brani più riusciti di un album bellissimo, suonato, cantato e prodotto in modo superbo: lascio a chi vorrà dargli un ascolto il compito di cercare similitudini ed influenze con band più famose, perché quest’opera merita la propria individualità.

Tracklist:
1. Intro
2. 1000 Years
3. Dragonqueen
4. Alive
5. Spirit
6. Maild of Lake
7. Cancer of Earth
8. Initiation of Al’Hazred
9. Silent Cry (Ballade)
10. Rub Al’Khali
11. Prayer

Line-up:
Alexey Sherbak – Guitars
Ilya Wilks – Bass
Evgeniy Nosov – Drums
Daria Zhukova – Vocals (female), Lyrics
Sergey Muraviev – Vocals (harsh), Lyrics
Olga Gavrilova – Keyboards
Alexandr Mutin – Guitars

SANCTORIUM – Facebook

Temperance – Limitless

Mettetevi comodi e partite con i Temperance per un viaggio spettacolare, che vi condurrà in questo spazio “senza limiti”.

Non era facile per i Temperance, band di Marco Pastorino dei Secret Sphere e della stupenda vocalist Chiara Tricarico, tornare in pista dopo i fasti del clamoroso debutto omonimo dello scorso anno, finito sulla mia personale playlist del 2014 come uno dei più riusciti lavori in ambito symphonic metal.

Squadra che vince non si cambia, ed allora ritroviamo la band al completo con i fratelli Capone e Liuk Abbott, supportati da Simone Mularoni (DGM) a mixare questo altro splendido esempio di metal dalle mille sfaccettature, ora sinfonico, ora con una marcata impronta elettronica, ora apertamente estremo, ma sempre irresistibile e dall’enorme appeal.
Certo è che l’effetto sorpresa che, lo scorso anno, aveva aggiunto valore ad un debutto di per sé eclatante, viene inevitabilmente a mancare ma, invece di fargli perdere qualche punto, accresce il valore di questo stupendo combo e delle loro composizioni.
Molto più presente rispetto al passato è la componente elettronica, specialmente nei primi brani, mentre quella estrema affiora piano piano, esplodendo in tutta la sua spettacolare violenza verso la metà del lavoro, andandosi ad amalgamare sapientemente con il suono sinfonico, marchio di fabbrica del gruppo nostrano.
Gran lavoro della sezione ritmica e sempre più notevole l’apporto del buon Pastorino, sia alla voce, supportando al meglio la splendida vocalist, sia nel songwriting, anche questa volta superlativo, confermandosi come uno dei maggiori talenti in circolazione, non solo all’interno dei nostri confini.
Una predisposizione melodica non comune, unita ad un uso delle linee vocali che definire perfetto è un eufemismo, fanno di Limitless un’altra prova sontuosa e l’opera, se accostata con le ultime prove delle band più famose, dimostra come i Temperance hanno tutte le carte in regola per diventare una dei nomi di punta del metal nazionale anche al di fuori dai patri confini, insieme ai Lacuna Coil, dimostrando che, quando c’è il talento, anche i nostri musicisti possono giocarsela alla pari se non superare le realtà straniere idolatrate, a volte a dispetto dei santi, dagli addetti ai lavori.
D’altronde, come non rimanere ammaliati dalla prova di una Tricarico sempre più convincente, che ci delizia su tredici brani meravigliosi, che rappresentano la perfetta commistione tra metal e sinfonia, armonia e violenza, eleganza pop e furia metallica, in una tempesta di emozioni.
Sinceramente non riesco a nominare un brano piuttosto che un altro, mettetevi quindi comodi e partite con i Temperance per questo viaggio spettacolare, vi basterà seguire la track list per lasciarvi condurre in questo spazio “senza limiti”.

Tracklist:
1. Oblivion
2. Amber & Fire
3. Save Me
4. Stay
5. Mr. White
6. Here & Now
7. Omega Point
8. Me, Myself & I
9. Side By Side
10. Goodbye
11. Burning
12. Get A Life
13. Limitles

Line-up:
Liuk Abbott – Bass
Giulio Capone – Drums, Keyboards
Marco Pastorino – Guitars (lead), Vocals
Sandro Capone – Guitars (rhythm) (2013-present)
Chiara Tricarico – Vocals (2013-present)

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