Helheim – Rignir

Un lavoro strepitoso, di straordinaria fattura e di impressionante innovazione, ma non di immediata lettura. Lungi dall’album quindi, fugaci spettatori da un ascolto e via e dall’udito poco sensibile.

Risplende nuovamente la mitologia norrena, attraverso gli oltre 54 minuti di Rignir.

E come la tradizione spesso impone, ci viene trasmessa oralmente, attraverso i testi (rigorosamente in norvegese) del nuovo album degli Helheim. L’Edda del quartetto di Bergen, si dipana su 8 tracce, di puro ottimo Black Viking che non tradisce i fan, ma (mai come in quest’album) trova sinergie musicali con sonorità Gothic Rock (a modello di Joy Division e Bauhaus, per intenderci) e a tratti anche psichedeliche.
In Rignir, album decisamente più maturo rispetto ai precedenti (e sicuramente meno energico e violento se paragonato a Kaoskult, ad esempio), i nostri hanno maggiormente dedicato attenzione a dinamiche musicali più proprie di altri generi; brani più lenti, più doom, spesso costruiti su mid-tempo cadenzati, alternati a melodie melanconiche che sfiorano la tragicità, vengono qui spesso preferiti alle velocità tipiche del Black Metal.
Un album sicuramente più ricercato rispetto a tutta la produzione precedente. Sonorità che ballano tra l’Epic, il Viking, il Gothic Rock britannico e, a tratti, cupe psichedelie, vengono qui ben amalgamati – metaforicamente – in una lega musicale, dove il Black Metal rappresenta il metallo e, il resto, ne costituisce il mercurio.
V’gandr basso e voce (famoso anche per aver collaborato con Hoest nei Taake e con Infernus nei Gorgoroth), H’grimnir, chitarra e voce (ed autore anche della cover dell’album…), Hrymr alla batteria, costituiscono, oramai da 27 anni, il cuore degli Helheim. Con Reichborn alla prima chitarra, oggi giungono al loro decimo full-lenght.
Il primo brano, onestamente, può inizialmente portare un po’ fuori strada, spiazzando l’ascoltatore; la title-track di Viking ha davvero poco, e nulla di Black. E’ il vero pezzo Gothic Rock, suonato alla perfezione intendiamoci, ma, concedetemelo, più un brano accostabile ai Bauhaus, cantato dal Bowie più psichedelico. Il clean (come del resto per tutto l’album) la fa da padrone, pertanto non aspettatevi – se non per brevi tratti – l’imperversare dello scream o di un graffiante growl, sgorganti dall’ugola di un truce energumeno nordico armato d’ascia, nel nostro immaginario vichingo.
Ma è già con il secondo brano (Kaldr) che l’epicità maestosa dell’Helheim sound emerge prepotentemente. Il brano più Viking/Black di tutto l’album: brevi accelerazioni che danzano con i mid-tempo tipici del Black, e un H’grimnir in gran forma, con uno scream che forse avrà perso un po’ di potenza rispetto al passato, ma sempre e comunque di deciso impatto.
Un oscuro lentissimo psicotico arpeggio introduce Hagl. Un brano che a tratti pare un vero tributo ai Pink Floyd per il suo cadenzare psichedelico ed allucinogeno, e al primo post-punk dei Cure; corroborato da un’estrema oscura goticità che pervade i primi tre lentissimi e lamentosi minuti del brano (circa 10 in tutto), che fungono poi da preambolo al Viking dei successivi, introdotto dal rumorismo dell’insert di una cupa grigia pioggia nordica.
Con Snjova e Isud, l’imponenza della struttura Viking è davvero emblematica (come a dire sperimentiamo quanto si vuole, ma ricordatevi che i veri re del Viking Metal siamo noi); un canto che ci proietta all’epopea di Erik il Rosso o del terribile Ragnarr Loðbrók. Se nel primo brano lo scream Black è del tutto assente, in Isud appare e scompare fugacemente, con lo scopo – molto probabilmente – unicamente di “graffiare” l’udito dell’ascoltatore, e fargli percepire un tocco di malignità, piuttosto che permettergli di sublimare il fascino di uno degli elementi più tipici del genere in quanto tale.
Dà eco alle precedenti, Vindarblastr, che con il suo ottimo sostenuto blast beat Black, fa da sfondo ad una voce clean adornata dal tipico sottofondo di cupi cori, quasi liturgici, oramai radicata caratteristica dei Nostri.
Stormvidri è cupa e fredda come una giornata tipo, in quel di Bergen. Un affresco, a tinte Black, che esprime tutta la malinconica “meteorologia” della città norvegese, immersa nella fredda poggia dei fiordi (non a caso Rignir – rain).
Chiude il lavoro Vetrarmegin, il pezzo assolutamente più Black dell’album che, sopra un ossessivo tempo da marcia quasi militaresca, uno scream che sostituisce il clean delle precedenti tracce in toto, ed il classico sottofondo di cori Helheimiani, ci conduce per mano verso la fine di un viaggio epico, cupo e freddo, tra le desolate lande della contea di Hordaland.

Tracklist
1. Rignir
2. Kaldr
3. Hagl
4. Snjóva
5. Ísuð
6. Vindarblástr
7. Stormviðri
8. Vetrarmegin

Line-up
V’gandr – Bass, Vocals
Hrymr – Drums, Drum programming
H’grimnir – Vocals, Guitars (rhythm)
Reichborn – Guitars (lead)

HELHEIM – Facebook

Autori Vari – Mister Folk Compilation Vol. VI

Un viaggio che vi regalerà immense sorprese, una meravigliosa porta per entrate in un reame fantastico e tutto da esplorare con ripetuti e compulsivi ascolti, guidati dalle ottime scelte di un ragazzo come Fabrizo che con passione e competenza ama l’underground e lo fa conoscere attraverso la sua webzine e con queste magnifiche raccolte in download libero.

Come ogni anno torna la raccolta del miglior sito italiano di folk e viking metal in Italia, misterfolk.com, gestito dall’infaticabile Fabrizio Giosuè, autore anche dei fondamentali testi Folk Metal e Tolkien Rocks.

Siamo arrivati al sesto episodio, e i precedenti cinque erano davvero validi, oltre che essere in download libero allo scopo di valorizzare e far conoscere il validissimo sommerso di questi due sottogeneri del metal. In questa raccolta si possono ascoltare brani di gruppi di elevata qualità e sarebbe ingiusto citarne uno in particolare; allora ecco qui la lista completa con le loro nazionalità: Heidra (DK), Dyrnwyn (ITA), Bucovina (RO), Kanseil (ITA), Nebelhorn (D), Calico Jack (ITA), Alvenrad (NL), Storm Kvlt (D), Sechem (SPA), Bloodshed Walhalla (ITA), Ash Of Ash (D), Draugul (M), Evendim (ITA), Duir (ITA), Aexylium (ITA), Kaatarakt (CH), Balt Huttar (ITA), Moksh (IND).
Fra questi nomi ci sono formazioni che abbiamo già ascoltato e recensito su queste pagine, e altre che saranno ottime e gradite scoperte. La compilation racchiude in sé lo spirito della webzine, ovvero ricercare le perle nascoste di folk e viking metal, descrivendo l’ottimo momento che stanno attraversando. In molti luoghi, e forse anche vicino a voi, ci sono giovani e meno giovani che stanno compiendo un viaggio molto interessante attraverso sonorità e tematiche che si rifanno al passato, che non sono mero escapismo ma la ricerca di un qualcosa che si possa narrare con il metal come punto cardinale. Questi suoni sono caldi, coinvolgenti, belli e colpiscono al cuore, distogliendoci dalla modernità e riportandoci in un luogo che la nostra anima già conosce, senza negare le asperità di un passato che è comune. Musicalmente la compilation presenta una ricchezza non scontata e come i cinque episodi precedenti è di alto livello, ma questo sesto episodio rende chiaro che la maturità di questi sottogeneri sta producendo autentici capolavori, sia dal punto di vista della composizione e dell’esecuzione sia del pathos. Con questo regalo di Mister Folk si può spaziare da covi di pirati all’Antico Egitto, da villaggi delle valli del Nord Italia all’Isola di Smeraldo, da campi di battaglia dove svetta l’aquila romana fino alla remota India. Un viaggio che vi regalerà immense sorprese, una meravigliosa porta per entrate in un reame fantastico e tutto da esplorare con ripetuti e compulsivi ascolti, guidati dalle ottime scelte di un ragazzo come Fabrizio che, con passione e competenza, ama l’underground e lo fa conoscere attraverso la sua webzine e con queste magnifiche raccolte in download libero. Una menzione speciale per il bellissimo e consueto artwork di Elisa Urbinati, sempre molto elegante ed minimalmente affascinante.

MISTER FOLK – Facebook

MISTER FOLK COMPILATION Vol. VI

Bölthorn – Across The Human Path

Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

In questo gran revival vichingo degli ultimi anni, fra serie tv e gruppi metal che si rifanno a questa epopea, arrivano da Parma come un colpo di Mjölnir i Bölthorn, semplicemente il miglior gruppo italiano di viking melodic death metal in circolazione.

Le influenze sono chiare e ci portano dalle parti degli asgardiani Amon Amarth, con quella mistura particolare di death metal melodico con influenze viking. La bellezza di Across The Human Path sta proprio nel groove incessante, nella capacità di creare una certa atmosfera, che non è solo derivativa, ma che porta in sé qualcosa di innovativo e di antico al tempo stesso. Il suono di questi parmensi non è inedito, ma lo fanno ad un livello molto superiore rispetto alla maggior parte dei gruppi del genere o sottogenere. Si parte con un’ottima produzione che fa risaltare la loro preparazione tecnica e la sapienza compositiva: i Bölthorn creano un pathos particolare, un sentire che ricorda i migliori dischi del genere, quel ritrovarsi fianco a fianco nella neve con i guerrieri durante una battaglia, o guardare il mare dagli scogli di un fiordo immaginando cosa ci possa essere al di là delle onde. In alcuni momenti l’assalto melodic death metal diventa struggente, compenetrando quella malinconia che ha contraddistinto i vichinghi, quella profonda conoscenza della vita che porta ad affrontarla a viso aperto, difficoltà per difficoltà, giorno per giorno. Il cantato è in growl, ma è molto chiaro e rende molto bene, il gruppo è preparato , preciso e con un’impronta personale e ben definita. Le canzoni sono quasi tutte di ampio respiro per sviluppare al meglio le profonde trame sonore. I Bölthorn nascono dalla volontà di Ivan (già nei Dust, Dream’s Echo ed Ironcross Project) di creare un progetto inizialmente da studio: Rob degli Angerfish e Drake dei Ny Mind si trovano subito in sintonia con lui e quindi il tutto avanza fino alla registrazione del disco presso l’Audicore Studio di Fontevivo in provincia di Parma. Il risultato è un lavoro mai scontato, ben suonato e ottimamente composto, che emoziona e che piacerà molto a chi ama queste sonorità e questo immaginario, ma anche molto fruibile per chi non le conoscesse ancora. Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

Tracklist
1. Intro
2. Sentinel
3. For Honor
4. Thor
5. Curse of Time
6. Warriors
7. Midgaard
8. The Lair of the Beast
9. The Kaleidoscope

Line-up
Ironcross – Composer, Guitar, Bass and Drum
Drake – Vocals
Röb – Composer, Guitar

BOLTHORN – Facebook

VV.AA. – A TRIBUTE TO BURZUM

La Compilation di cover della band di Vikernes – in uscita il 21 Novembre per il noto Antichrist Magazine – contiene ben 17 band provenienti da tutto il mondo (compresa una special guest d’eccezione: la bellissima e misteriosamente gotica pianista e compositrice berlinese, Katarina Gubanova). Ce n’è per tutti i gusti. Dai Burzum elementali e primevi dell’Omonimo e di Aske, passando poi per tutte le fasi di ispirazione Ambient, sino ad arrivare al periodo Folk/Viking dei giorni nostri.

Ad essere sincero, ho sempre pensato che il Tributo alla band icona di turno, dovesse per forza essere un omaggio a chi oggi non esiste più.

Un ossequioso dono sacrificale ad un’entità musicale del passato e che oggi esiste solo nei ricordi e nelle memorie dei fan. In realtà, continuo ad essere contraddetto e smentito, dalla valanga di album-tributo che escono ogni giorno, dedicati a compositori, strumentisti e band ancora molto attive, ai giorni nostri. Il Tributo spesso viene definito come l’atto che viene compiuto per adempiere ad un obbligo (in genere di carattere morale) verso qualcuno, a riconoscenza dei suoi meriti; forse sarebbe più azzeccato omaggiare il ricordo, di chi oggi non c’è più, o almeno non risulta essere più in attività…Vero è che la parola Tributo (dal latino “tributus”, derivazione di “tribus” – Tribù), spesso identifica anche l’appartenenza alla tribù. Oggi come tutti sappiamo, i Burzum non sono più in attività (l’ultima produzione risale al 2015, con il singolo Thulean Mysteries, dopodiché più nulla sino alla dichiarazione ufficiale di giugno di quest’anno di Mr. Varg Vikernes, nella quale ci informava che il progetto fosse giunto al termine, dopo ben 27 anni). In questo contesto, collocherei l’album, oggetto della recensione, ergendolo a simbolo di un’esigenza popolare, sicuramente maturata negli anni, di poter esprimere, sia tutta la devozione della tribù del Black Metal verso il loro idolo indiscusso, sia una sorta di necessità atta a sottolineare la “proprietà” (in senso ovviamente lato) dell’immensa opera che ci ha lasciato. Come a dire :”devoti alla nostra divinità e proprietari/custodi di ciò che ci ha lasciato in eredità”.
La Compilation di cover della band di Vikernes – in uscita il 21 Novembre per il noto Antichrist Magazine – contiene ben 17 band provenienti da tutto il mondo (compresa una special guest d’eccezione: la bellissima e misteriosamente gotica pianista e compositrice berlinese, Katarina Gubanova). Ce n’è per tutti i gusti. Dai Burzum elementali e primevi dell’Omonimo e di Aske, passando poi per tutte le fasi di ispirazione Ambient, sino ad arrivare al periodo Folk/Viking dei giorni nostri. Dall’Olanda gli ottimi blacksters Yaotzin, ci propongono Hvis lyset tar oss, in una versione fedelissima della title-track del capolavoro datato 1994. I truci tedeschi Khald, band della nera regione di Baden-Württemberg, rileggono Jesus’ Tod (in lingua madre Jesu død) dall’album Filosofem (1996), uno dei più grandi lavori dell’artista norvegese in ambito Black e Dark Ambient, in maniera leggermente più sinfonica (l’iniziale tremolo di Vikernes viene qui principalmente sostituito dai synth), perdendo un po’ il Raw, ma ottenendo comunque un pezzo di uguale impatto. Balzo in avanti negli anni (siamo nel 2010) con gli ucraini Atra Mors e con Belus’ død, tratta ovviamente da Belus (2010), primo album pubblicato dopo la scarcerazione di Varg, e originariamente uscito con il titolo Den Hvite Guden (“Il Dio Bianco”, in lingua norvegese), e quindi ennesima revisione del riff già presente su Dauði Baldrs (per scelta, Vikernes decise qui di ripetere paro paro il riff della canzone del 1997). Molto Black classico e poco Burzum di quegli anni, ad onor del vero. Malinconia e ricordi nella cover degli americani Aetranok che dei 10 minuti ed oltre di A Lost Forgotten Sad Spirit (dall’ep Aske del 1993) fanno copia ed incolla (da notare la voce del singer Meretrix, davvero simile a Burzum) e meritano l’acquisto del loro nuovo album “Kingdoms of the Black Sepulcher” uscito per la Symbol of Domination. Prima song tratta dall’album eponimo del 1992 (Feeble Screams from Forests Unknown) per gli olandesi Myrkur Skógur, riletta in chiave più moderna; la cover risulta piacevole, ma il suono più pulito ne impoverisce un po’ la cupa atmosfera degli esordi del signore di Bergen. I terribili “chiodati” vichinghi Wan dalla vicina Svezia, giocano facile e rivivono Stemmen fra tårnet (Aske) “alla scandinava”; il risultato è un pezzo che pare fuoriuscito direttamente dal 1993. I sinfonici germano/norvegesi Dynasty of Darkness scelgono Dunkelheit (titolo originale “Burzum”, da Filosofem), ovviamente il brano più Ambient dell’album, senza però perdersi in troppo arzigogolate ruffiane armonie, mantenendo la terrificante desolazione, che il brano originale esprime in ogni sua singola nota. Chi ama il tremolo ama My Journey To The Stars (Burzum). Qui i bravissimi germanici Mournful Winter sciorinano una tecnica sopraffina, senza però far perdere alla song il pathos originale. Con curiosità e attenzione critica mi appropinquo all’ascolto della cover di Han Som Reiste (da Det som engang var – 1993) il capolavoro strumentale dell’artista con l”A” maiuscola. I Colotyphus (Ucraina) purtroppo ne rovinano l’arcano fascino medioevale, riducendo il pezzo ad un classico (e scontato) brano di Dark Ambient sinfonico. Il sapiente utilizzo del basso non come semplice base ritmica, ma come strumento portante di tutto l’eterno corpo della canzone (più di 11 minuti) e gloriosa anima di dimenticate epopee guerresche, fece la fortuna di Glemselens Elv (Belus) ergendola ad uno dei più fulgidi esempi di Viking Metal (molto Bathoriano ad onor del vero). Purtroppo il seppur bravissimo duo dell’Arizona (Unholy Baptism) cede alla tentazione, e dà risalto alle sole chitarre per riproporre il meravigliosamente ossessivo giro di basso, così in evidenza nel brano originale. Un peccato perché, davvero, gli autori di …On the Precipice of the Ancient Abyss, sono un ottimo gruppo da tenere d’occhio. I terrificanti Bestia si cimentano nel tentativo di ripetere il successo primevo di Beholding The Daughters Of The Firmament (Filosofem); il brano, sicuramente uno dei più funerei e doom di tutto l’album, appariva già da principio inadatto al quartetto estone, fautore di un Black Metal con influenze Brutal Death; il pezzo viene rivisitato, ritmato ed infarcito di synth, facendone un buon pezzo Black, ma che nulla c’entra con l’originale. Anche il cantato schizoide di Vikernes, viene qui sostituito da uno dei più classici scream. Peccato. La brevissima War (da Burzum), vero pezzo Bathoriano appartenente alla First Wave of Black Metal, è stato scelto dai bravissimi Chaoscraft. Qui i greci dimostrano di sapere il fatto loro e di conoscere molto bene le loro origini e le loro fonti ispiratrici. Resta un mistero conoscere il motivo per il quale, per il pezzo Vanvidd (Fallen – 2011), sia stata chiamata una band di Melodic Death, invece che scegliere una tra le miriadi di band Black provenienti dalla Colombia. Qui i Thy Unmasked di Bogotà, ce la mettono tutta, ed il risultato ovviamente non poteva che essere un mix di Black e Death; bello si, ma lontano dalle idee di Varg. Quando ho letto Uruk-Hai ho pensato (con piacere) immediatamente ai bravissimi corpsepaint blacksters spagnoli; in realtà di tratta di un’altra band, ossia i Medieval Dark Ambient austriaci. Scelta comunque azzeccata per il brano Hermoðr á Helferð (Dauði Baldrs – 1997), che si collocherebbe alla perfezione tra le fila delle produzioni della one-man band di Linz. Un lungo salto nel 2012, per ascoltare la cover di Valgaldr, da Umskiptar, uno degli album più folk viking metal del Nostro. Scelta azzeccata con gli ungheresi Eclipse of The Sun, band che propone un sound molto ricco e variegato, tra il Folk, il Gothic e il Doom. Eccellente. Il Bielorusso Darkus (alias Stanislaŭ Semeniaha), unico membro dei blackster Imšar, si cimenta con un brano tratto da Det som engang var, ossia En Ring Til Å Herske. Il brano si sa, è nero e funereo come la morte stessa, drammaticamente lento e angosciosamente ripetitivo, e fortunatamente Mr. Darkus non ne storpia troppo la lugubre natura mortuaria; forse un po’ meno andante e un po’ più adagio, e sarebbe stato perfetto. Special guest a chiusura della compilation, la pianista berlinese Katarina Gubanova che, grazie al magico utilizzo dei suoi polpastrelli, rilegge Ea, Lord of the Depths (da Burzum) in chiave sinfonica per pianoforte: brano curioso e ammaliante, chiude un devoto tributo al Re del Male, spesso non proprio centrato, ma nel complesso un buon prodotto per i fan dei Burzum e per chi vuole scoprire nuove realtà Black, sino ad oggi ancora poco conosciute.

Tracklist
1. Yaotzin (Netherlands) Hvis lyset tar oss
2. Kâhld (Germany) Jesus’ Tod
3. Atra Mors (Ukraine) Belus’ Dod
4. Aetranok (USA) A Lost Forgotten Sad Spirit
5. Myrkur Skógur (Netherlands) Feeble Screams from Forests Unknown
6. Wan (Sweden) Stemmen Fra Taarnet
7. Dynasty of Darkness (Germany / Norway) Dunkelheit
8. Mournful Winter (Germany) My Journey To The Stars
9. Colotyphus (Ukraine) Han Som Reiste
10. Unholy Baptism (USA) Glemselens Elv
11. Bestia (Estonia) Beholding The Daughters Of The Firmament
12. Chaoscraft (Greece) War
13. Thy Unmasked (Colombia) Vanvidd
14. Uruk-Hai (Austria) Hermodr A Helferd
15. Eclipse of The Sun (Hungary) Valgaldr (Song of the Fallen)
16. Imšar (Belarus) En Ring Til Å Herske
17. + special guest:
Katarina Gubanova (Germany) Ea, Lord of the Depths

ANTICHRIST MAGAZINE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=cHNZE0s4w_8

Dyrnwyn – Sic Transit Gloria Mundi

I Dyrnwyn suonano un viking folk metal molto epico con melodie struggenti, cantato in italiano e molto particolare.

Avevamo lasciato i Dyrnwyn con il loro ep Ad Memoriam del 2015, un disco che li aveva proiettati in alto nella scena viking folk metal, con i loro racconti molto coinvolgenti sull’Antica Roma.

Con questo nuovo lavoro in uscita per SoundAge Productions i nostri avanzano ulteriormente con un’opera molto convincente e curatissima in tutti i particolari. I Dyrnwyn fanno un viking folk metal molto epico, con melodie struggenti, cantato in italiano e molto peculiare. Traggono ispirazione dai grandi del genere, ma poi sviluppano una poetica tutta loro, già ben presente in nuce nei dischi precedenti, ma che arriva al suo culmine in questo Sic Transit Gloria Mundi. Come già scritto per il precedente disco la band ci porta sul campo di battaglia degli antichi romani, che sono stati uno dei popoli più complessi e multiformi della storia. Il fascino di questi conquistatori (anche se noi liguri non li abbiamo mai amati molto, si deve ammettere che ci hanno dato tanto) è narrato alla perfezione grazie all’uso del folk metal dalla forte connotazione epica, con un uso perfetto dei tempi e con aperture melodiche che rendono molto affascinante il tutto. Il viking folk metal annovera fortunatamente molti gruppi e molte tendenze diverse, ma ciò che ci danno i Dyrnwyn non è rintracciabile altrove. Canzone dopo canzone si viene totalmente avviluppati in un vortice che sale fino al cielo dove stanno gli dei, che possono essere sia benevoli che malevoli, comunque ben differenti dalle menzogne cristiane. Potrebbe forse essere inteso come escapismo l’andare a cercare un fortissimo punto di contatto con il mondo dell’Antica Roma come questo disco, e forse è proprio una fuga da questi tempi davvero brutti ed oscuri, ma è comunque bello perdersi in un disco come questo, che va ben oltre la musica. Il cantato in italiano è davvero un valore aggiunto alla musica dei Dyrnwyn, e la stessa musica è di alto livello, essendo una narrazione essa stessa. Sic Transit Gloria Mundi è un disco molto maturo ed appassionante, frutto del lavoro di un gruppo dalle idee molto chiare che si rivela fra le migliori realtà italiane in campo viking folk metal.

Tracklist
1. Sic Transit Gloria Mundi
2. Cerus
3. Parati Ad Impetvm
4. Si Vis Pacem…
5. …Para Bellum
6. L’Addio Del Primo Re
7. Il Sangue Dei Vinti
8. Feralia
9. Assedio Di Veio CCCXCVI

Line-up
Thierry Vaccher: vocals
Alessandro Mancini: guitars
Alberto Marinucci: guitars
Ivan Cenerini: basso
Ivan Coppola: drums
Jenifer Clementi: flute
Michelangelo Iacovella: keyboards

DYRNWYN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=yCh01kLN6Og

SKÁLD – Ep

Un lavoro molto interessante e piacevole, che ha il notevole pregio di farci ascoltare una musica che viene direttamente da un altro tempo ,e che come tutte le musiche antiche va ben oltre il significato che diamo attualmente alla musica.

Nuovo progetto francese di riscoperta filologica della musica degli skald, i cantastorie vichinghi che tramandavano le gesta dei figli di Odino.

Ultimamente i vichinghi sono molto di moda (anche se la cosa sta scemando), soprattutto per il telefilm Vikings che narra in maniera storicamente raccapricciante le gesta di una delle prime ondate di invasioni in Europa ed oltre. Gli Skaldscandinavi erano figure che incrociavano musica, magia e tanto altro, simili ma differenti rispetto ai bardi, e ci sono giunte a noi un pugno di testimonianze realmente chiarificatrici. Una di esse, la più conosciuta a livello mondiale, è l’Edda in prosa, raccolta dell’islandese Snorri Sturluson, e ancora meno sono le pagine sulla musica degli Skald. Non si sa molto, ma è fuori di dubbio che le loro musiche grazie a ritmi serrati e con particolari modulazioni canore gutturali e non, inducevano il pubblico alla trance, poiché la società vichinga ricercava molto l’esperienza fuori da sè stessi, anche con l’uso di funghi allucinogeni e non solo nel caso dei guerrieri berserk. In questo lavoro edito da Decca, la famosa major di musica classica, troviamo questo trio di cantori specializzato in canto Skald, accompagnati da musicisti che suonano strumenti che si rifanno a quell’epoca. La ricerca filologica è notevole, ed è la caratteristica più importante del disco, dato che tutto viene ricostruito nei minimi dettagli, e non è un’operazione fatta con approssimazione o faciloneria. In questi tre pezzi dell’ep abbiamo un assaggio del disco che uscirà il prossimo novembre, e che sarà un’opera molto coinvolgente e straniante rispetto alla musica moderna che siamo abituati ad ascoltare. La bravura dei tre cantori è pari alla loro preparazione specifica, e anche la parte musicale è notevole. I testi in islandese antico si rifanno alla Völuspá e al Gylfaginning, due parti della Edda. I tre brani sono un qualcosa di molto interessante, che fanno capire quale sarà la cifra stilistica del lavoro, la produzione è assai accurata, ed infatti su di loro puntano sia la Decca Records e la Universal, e non è un investimento da poco, visto anche i tre video che hanno tratto dall’ep. Un lavoro molto interessante e piacevole, che ha il notevole pregio di farci ascoltare una musica che viene direttamente da un altro tempo ,e che come tutte le musiche antiche va ben oltre il significato che diamo attualmente alla musica.

Tracklist
1. Gleipnir
2. Ódinn
3. Rún

Line-up
Justine Galmiche
Pierrick Valence
Mattjö Haussy

SKALD – Facebook

Bloodshed Walhalla – Ragnarok

Drakhen prende i Bathory e Quorthon come modello ma va ben oltre, costruendo una musica davvero epica e pregna di significato, come quando si riporta alla luce un manoscritto antico che fa parlare di nuovo colui o coloro che lo scrissero.

Torna il polistrumentista Drakhen con la sua incarnazione Bloodshed Walhalla e il suo viking folk metal dalla grande attrattiva.

La vita di Bloodshed Walhalla comincia nel 2006, con l’intento di creare un gruppo per rifare le canzoni dei Bathory nel loro periodo viking metal. Draken è molto prolifico e dopo i primi tre demo arriva il debutto su lunga distanza nel 2010 con The Legends Of A Viking, un disco molto importante per il genere viking metal alle nostre latititudini, che porta avanti il discorso musicale e soprattutto culturale iniziato da Quorthon in Svezia conquistando poi tutto il mondo. Nel 2012 Bloodshed Walhalla compare sul tributo ai Bathory Voices From Valhalla – A Tribute To Bathory dell’inglese Godreah Records, con il bellissimo brano The Sword. Nel 2014 esce l’ep Mather, cantato in lucano, che precede Thor del 2017, uno dei più bei lavori viking folk metal sia italiano che europeo. Ed eccoci arrivati a Ragnarok, che vede l’approdo del progetto di Draken su Hellbones Records, ed è di nuovo magia. Dopo aver introdotto con l’ep Mather il moog nel suo novero di strumenti, Draken porta la sua musica ad un livello ancora superiore rispetto al già ottimo Thor. Bisogna però dire che quella di Bloodshed Walhalla non è solo musica, ma un qualcosa di atavico che vive dentro di noi e che aspetta un detonatore come questo disco per uscire. Nelle quattro lunghe tracce che arrivano a totalizzare 64 minuti il vichingo di Matera ci porta spiritualmente e non solo, in mezzo ai vichinghi, con i loro usi e costumi, immergendosi in quella natura che abbiamo ucciso e che non fa più parte della nostra visione di vita, se non in termini di affari e sfruttamento. Ragnarok è la perfetta dimostrazione di cosa possa essere il viking metal che tanti disprezzano o snobbano, mentre chi lo ama è orgogliosamente consapevole che non è un genere per tutti. C’è qualcosa in questa musica, e Ragnarok ne è pienamente intriso, in questa commistione fra chitarre distorte, con la batteria che avanza impetuosa e spesso con la doppia cassa, un cantato ora aggressivo ora sognante, e le tastiere che si fondono perfettamente con il resto, che rimanda ad un’atavica magia, un archetipo rimasto sopito per troppo tempo e che vuole risvegliarsi. Ragnarok è magnifico, come è più di Thor, e continua una visione musicale pressoché unica in Italia e non solo. Drakhen prende i Bathory e Quorthon come modello ma va ben oltre, costruendo una musica davvero epica e pregna di significato, come quando si riporta alla luce un manoscritto antico che fa parlare di nuovo colui o coloro che lo scrissero. Le canzoni sono tutte di ampio respiro e francamente bellissime. Un disco che lascerà un segno in tempi dominati dal nulla.

Tracklist
1. Ragnarok
2. My Mother Earth
3. Like Your Son
4. For My God

Line-up
Drakhen: vocals, all instruments

BLOODSHED WALHALLA – Facebook

Kormak – Faerenus

I Kormak sono una delle band italiane più interessanti uscite negli ultimi anni: epici, potenti, dolci o devastanti, a seconda della necessità.

Album di debutto per i baresi Kormak, che fanno un ottimo folk death metal, con intarsi gothic e la splendida voce della cantante Zaira De Candia, che è davvero un valore aggiunto.

I Kormak nascono nel 2015 e con calma e tanto lavoro sono arrivati ad un debutto che è un ottimo biglietto da visita Una delle loro caratteristiche più importanti è quella di saper cambiare registro musicale in un tempo brevissimo, passando da un leggiadro suon odi flauto ad un massacro con doppie casse e tanto sangue sparso, il tutto fatto sempre con una forte personalità. Il suono sa mutare, ma soprattutto sa sempre trovare il suo corso naturale dove poi sgorgare in maniera impetuosa e forte. Zaira è una moderna furia che si abbatte sull’ascoltatore, ma tutto il gruppo è molto ben affiatato. La cifra stilistica deve molto all’epicità, infatti il nome viene dalla saga islandese Kormaks risalente al tredicesimo secolo. Folk e viking metal, ma non solo, perché in alcune canzoni si rinviene un passo death notevole e assai incisivo. I Kormak sono un gruppo che ha grandi potenzialità che vengono esibite in questo disco, ma la sensazione è che abbiano ancora molto da mostrare. La produzione è buona e valorizza la potenza di questo gruppo riuscendo a non disperderla. In definitiva, i Kormak sono una delle band italiane più interessanti uscite negli ultimi anni: epici, potenti, dolci o devastanti, a seconda della necessità. Faerenus era il luogo della pazzia, nel quale le paure diventavano materiali e i Kormak solo la guida ideale per condurci in questo mondo sotterraneo.

Tracklist
1 – Amon
2 – March of Demise
3 – Sacra Nox
4 – The Goddess’ Song
5 – The Hermit
6 – Faerenus
7 – Patient N° X
8 – July 5th
9 – Eterea El

Line-up
Zaira de Candia – Vocals/Whistle Flutes
Alessandro Dionisio – Guitar
Alessio Intini – Guitar
Francesco Loconte – Bass
Dario Stella – Drums

KORMAK – Facebook

Gwydion – Thirteen

Il suono di Thirteen è molto maturo, con un buon bilanciamento di potenza e melodia per creare un impatto il più epico possibile, con un ampio uso di cori.

Da Lisbona tornano i veterani viking folk metal Gwydion, attivi dal 1995, qui al loro quarto album.

Il suono di Thirteen è molto maturo, con un buon bilanciamento di potenza e melodia per creare un impatto il più epico possibile, con un ampio uso di cori. Il gruppo portoghese è convinto dei propri mezzi, lo mostra nel disco, e con questa sicurezza forgia un suono che si distingue nel mare magnum del viking folk rock. Il nome viene dalla mitologia gallese, e non basterebbe questo spazio per parlarne, per cui ricercate per conto vostro, perché il viking folk metal è anche questo, ovvero dare spunti per belle ricerche storiche e la storia di Gwydion è molto interessante. Tornando alla musica del gruppo portoghese, il disco narra di battaglie e lotte senza quartiere, con la musica perfettamente calata in questo contesto. Essendo una band non proprio giovanissima, i Gwydion puntano moltissimo sulla resa che il disco avrà dal vivo, ed infatti il tutto è costruito per essere poi trasposto sul palco. Il suono è calibrato, la voce è un growl non pesante, e i cori molto puliti e ben composti le fanno da contraltare, con gli strumenti che si cimentano in vari stop and go che non spezzettano affatto il suono, ma anzi lo rinforzano per arrivare al climax del ritornello. Questo disco è ciò che vuole essere, ovvero un battaglia sonora, un assalto all’arma bianca, che riprenda l’estetica e l’etica vichinga. I Gwydion sono tra i veterani del suono viking folk metal europeo e ne sono uno dei migliori interpreti per quanto riguarda la parte melodica che si unisce alla parte più veloce, interpretandolo in maniera pienamente epica. Un disco che potrebbe essere un buon inizio per chi ancora non conosce questo suono, ma che piacerà ovviamente anche agli ascoltatori più esperti.

Tracklist
01.Heathen
02.793
03.Balverk Warfare
04.Strength Remains
05.King’s Last Breath
06.Revenge
07.Under siege
08.Shield Maiden’s Cry
09.Thirteen Days
10.Oh Land Of ours – Al Andaluz
11.Voyage
12.Allah’s Tagides

Line-up
Pedro Dias – Vocals
Daniel César – Keyboards
Miguel Kaveirinha – Lead Guitar
João Paulo – Rhythm Guitar
Bruno Henriques – Bass
Pedro Correia – Drums

GWYDION – Facebook

Nebelhorn – Urgewalt

Una lunga intro orchestrale ci invita a fare quattro passi nel mondo antico e fiero di questo polistrumentista tedesco; il sound proposto ricalca i cliché del viking metal, quindi l’album è composto da sette brani tirati, epici e battaglieri, con le classiche cavalcate in cui ritmiche black fanno da struttura al clima guerresco dei brani.

I Nebelhorn sono la one man band del guerriero Wieland, aiutato in questi anni da vari musicisti nel completare le sue opere ma fiero avventuriero solitario tra le foreste delle terre germaniche.

Il progetto, attivo dal 2004, ha visto Nelbelhorn protagonista di un primo ep e due full length prima di prendersi una lunga pausa e tornare dopo undici anni con il nuovo album intitolato Urgewalt.
Una lunga intro orchestrale ci invita a fare quattro passi nel mondo antico e fiero di questo polistrumentista tedesco; il sound proposto ricalca i cliché del viking metal, quindi l’album è composto da sette brani tirati, epici e battaglieri, con le classiche cavalcate in cui ritmiche black fanno da struttura al clima guerresco dei brani.
Cantato rigorosamente in lingua madre, Urgewalt è il classico lavoro ben fatto e stimolante per gli amanti del genere.
Boschi imbiancati sporcati dal sangue dei soldati, capanne di villaggi bruciate sulla riva di torrenti cristallini dove i cadaveri vengono portati a valle dalla corrente, erba schiacciata dal peso delle armature e spade spezzate conficcate nel pesanti scudi, sono le immagini che evocano brani metallici ed epici come la title track, Ägirs Zorn o la furia estrema sprigionata da Muspellheim .
Le influenze sono quelle dei soliti gruppi storici a cui tutti si ispirano in quest’ambito, Bathory in testa, e  l’album scorre piacevole senza grossi colpi di scena, ma mantenendo comunque una buona qualità, con Wieland e la sua creatura che non mancheranno di soddisfare la voglia di sangue e battaglie epiche degli amanti del viking metal d’assalto.

Tracklist
1.Auf Bifrösts Rücken
2.Urgewalt
3.Ägirs Zorn
4.Wilde Jagd
5.Muspellheim
6.Auf neue Lande
7.Funkenflug
8.Freyhall

Line-up
Wieland – All Instruments

NEBELHORN – Facebook

Gungnir – Ragnarök

Qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene nel quarto d’ora scarso di black epico offerto in questo ep.

I Gungnir sono una band greca votata ad un black metal in linea con l’offerta di qualità normalmente in arrivo dalla penisola ellenica.

Il gruppo è formato da un trio che, fin dal monicker prescelto e dallo stesso titolo del lavoro, dimostra d’avere le idee quanto mai chiare sul tipo di sound da perseguire, ovvero un viking black molto epico ed ispirato: questo ep d’esordio, Ragnarök, è piuttosto breve, con i suoi tre brani più intro ed outro, ma appare abbastanza esaustivo relativamente alla linea stilistica intrapresa dai Gungnir.
Our Swords for Thor, infatti, si snoda in linea con quanto fatto di recente e nel migliore dei modi dai connazionali Lloth, e questo è già di per sé un buon segnale: si tratta di una traccia intensa, epica e melodica alla quale non manca nulla per trascinare l’audience in sede live, e lo stesso si può dire tranquillamente anche per The Wanderer (forse ancora più melodica ed evocativa) e Fenrir (l’episodio più aspro del terzetto).
Del resto qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene in questo quarto d’ora scarso, esibendo i presupposti necessari per ritenere che il tutto possa riuscire anche per l’intera durata di un full length.

Tracklist:
1.Intro
2.Our Swords for Thor
3.The Wanderer
4.Fenrir
5.Outro

Line-up:
Ithonas – Vocals
Jim Havok – Bass, Guitars, Keyboards, Vocals
Yngve – Guitars, Drums, Vocals

GUNGNIR – Facebook


2016:

Nordheim – Rapthor

I Nordheim usano con ottimi risultati l’ironia come un’arma che riesce a cambiare sempre gli equilibri e sono la dimostrazione che facendo un metal senza compromessi si possa essere molto divertenti.

Nuovo disco per i canadesi Nordheim, fautori del folk death metal più ironico e potente che ci sia.

Mettendo l’amicizia ed il divertimento in cima alla lista delle priorità, il gruppo del Quebec riesce a confezionare un disco veloce, potente e molto divertente. Non discostandosi molto dal solco tracciato con i precedenti lavori, i Nordheim esprimono tutto il loro potenziale con un disco suonato come un raptosauro che travolge tutto, con ottimi intarsi di tastiere ed un affiatamento notevole. Il loro suono è una miscela esplosiva di tastiere, chitarre lanciate a mille con una sezione ritmica notevole, un cantato molto ben strutturato per un risultato che non è nulla di nuovo, ma che è di alta qualità. Inoltre dal vivo questi canadesi riescono sempre a regalare la loro pubblico una festa metallica. I Nordheim usano con ottimi risultati l’ironia come un’arma che riesce a cambiare sempre gli equilibri e sono la dimostrazione che facendo un metal senza compromessi si possa essere molto divertenti. Sicuramente questo disco deve essere ascoltato facendo un uso abbastanza smodato di sostanze alcoliche per poter cantare a squarciagola i cori. I Nordheim negli anni sono riusciti a costruirsi un zoccolo duro e fedele di fans, e RapThor è la dimostrazione musicale del perché li amino in molti. Velocità, ironia, attitudine metal e tanto tanto divertimento per un gruppo che riesce a non essere mai scontato.

Tracklist
1. Troll Riding a Raptor
2. Boobs and Bacon
3. Scroll of Lightning Bolt
4. Black Witch Rises
5. I Wish you were Beer
6. Strength became the Storm
7. Blood’s Shade
8. DragonThorn

Line-up
Warraxe – Vocals and Rythm Guitars
Fred – Lead Guitars
BenFok – Bass and Back Vocals
Lucas – Drum

NORDHEIM – Facebook

Vindland – Hanter Savet

Mirabile fusione di black e pagan, un’opera affascinante e ricca di antiche suggestioni.

Ritornano dopo sette anni i francesi Vindland con un’opera di pagan black metal di buon livello, ispirata, emozionante e coinvolgente; il disco in questione Hanter Savet è uscito nel 2016, è andato sold out e ora è stato ristampato con differente artwork, ma il contenuto è rimasto immutato, con nove brani per circa un’ora di grande musica.

La band, un trio, chitarra, vocals and drums, aveva già prodotto un demo (2007) e un EP (2009), ma ora per Black Lion Records compie il grande passo e memore delle proprie origini, la Bretagna nel nord ovest della Francia, esprime tutta la fierezza del suo popolo, abbandonando la lingua inglese e cantando in bretone. E’ come il ritorno di un guerriero dimenticato che vuole riappropriarsi del tempo perduto e fin dal primo brano Orin Kozh i bretoni esprimono tutta la loro furia e il loro gusto compositivo, intessendo su base black continui riff che denotano un grande gusto melodico; lo scream è convincente e deciso, le atmosfere evocative e fiere. Tutti i brani hanno grande forza, non ci sono filler, la band conosce l’arte di creare pagan black di gran classe e il pensiero corre a una leggenda norvegese di fine anni 90, i Windir del grande Valfar, che con la loro musica hanno emozionato nel profondo: i loro quattro full (Soknardair, Arntor, 1184 e Likferd) hanno rappresentato la quintessenza del pagan/viking black e, a mia memoria, nessuna band successiva ha mai raccolto la loro eredità. Ora i Vindland con la loro musica si avvicinano a quelle atmosfere e con il loro suono fanno riandare la memoria a quei gloriosi tempi. Un brano magnifico come Treuzwelus non può non “riscaldare” i cuori del vero ascoltatore di black, e l’alternarsi di furia e melodia con inserti di fisarmonica di Serr-noz lasciano stupiti di fronte alla capacità compositiva dei tre musicisti. E’ incredibile che una band non scandinava conosca così bene il segreto di coinvolgere l’ascoltatore in un affascinante turbinio di emozioni; non ci sono suoni post-metal, post-black, sludge,doom o altre forme di musica estrema, ma solo arrembante ed evocativo pagan black metal ricco di forza e gusto melodico: un fiume in piena che travolge tutto come nel brano Skorneg Du, dove la chitarra trova riff di altri tempi e la sezione ritmica non conosce ostacoli. Anche gli inserti folk e acustici inframmezzati nei brani sono ricchi di buon gusto e non spezzano la tensione e l’epicità del suono. Gli abbondanti undici minuti di Skeud ar gwez con i suoi iniziali arpeggi meditativi, tristi e melanconici, suggellano l’arte del trio bretone prima di una fluida e lunga cavalcata senza ritorno. Veramente un magnifico e inatteso lavoro che non lascerà tanto presto i vostri lettori di cd e la vostra anima.

Tracklist
1. Orin kozh
2. Treuzwelus
3. Serr-noz
4. Pedenn koll
5. Skleur Dallus
6. Morlusenn
7. Skorneg du
8. Skeud ar gwez
9. And the Battle Ended

Line-up
Camille Lepallec – guitars
Marc Le Gall – drums
Romuald Echival – vocals

VINLAND – Facebook

Wormwood – Ghostlands: Wounds from a Bleeding Earth

La band di Stoccolma ci trasporta nel proprio mondo, molto meno oscuro e misantropico rispetto alle abitudini del genere, privilegiando invece un impatto più diretto e ricco di ampie aperture epiche e melodiche.

Dalla Svezia ecco arrivare i Wormwood, portatori di un black metal melodico e dalle sfumature viking/folk.

Come sempre, in questi casi l’attenzione va posta sulla bontà compositiva ed esecutiva della proposta piuttosto che sulla sua originalità e, in tal senso, Ghostlands: Wounds from a Bleeding Earth non delude affatto: in circa un’ora la band di Stoccolma ci trasporta nel proprio mondo, molto meno oscuro e misantropico rispetto alle abitudini del genere, privilegiando invece un impatto più diretto e come detto ricco di ampie aperture melodiche.
L’album si snoda con grande efficacia, specialmente nei più efficaci ed incalzanti brani iniziali, lasciando sfogare al meglio una magnifica vena epica che, dopo una parte centrale pervasa maggiormente da una componente folk, con la comunque bella accoppiata Silverdimmans återsken / Tidh ok ödhe, per poi riprendere nuovamente con un incedere dai tratti più marcatamente viking.
Il fatto stesso che Rydsheim, chitarrista e fondatore della band assieme alla copia ritmica Borka/Jothun, suoni stabilmente dal vivo negli storici Månegarm non è certo un caso, e il risultato fa capire come l’influsso dei nomi più importanti sia stato sicuramente ben assimilato, perché non accade così frequentemente che un full length d’esordio si dimostri così maturo e ben focalizzato a livello compositivo.
Peccato solo che il posizionamento in scaletta, subito dopo l’intro, di un brano perfetto e di sfolgorante bellezza come The Universe Is Dying finisca leggermente per offuscare con la sua luce il resto di un lavoro che si mantiene, costantemente, su una soglia d’eccellenza senza denotare particoloari cali di tensione.
I Wormwood, con Ghostlands:Wounds from a Bleeding Earth, si propongono come nuovi potenziali protagonisti della fertile scena viking/folk black scandinava.

Tracklist:
1. Gjallarhornet
2. The Universe Is Dying
3. Under hennes vingslag
4. Godless Serenade
5. Oceans
6. Silverdimmans återsken
7. Tidh ok ödhe
8. Beneath Ravens and Bones
9. The Windmill
10. What We Lost in the Mist
11. The Boneless One
12. To Worship

Line up:
Borka – Bass
Johtun – Drums
Nox – Guitars
Rydsheim – Guitars
Nine – Vocals

WORMWOOD – Facebook

Helheim – landawarijaR

Un perfetto e affascinante incrocio tra sonorità viking black e suoni prog;una band unica !

Attivi fino dal lontano 1993, quando fu pubblicato l’omonimo demo, i leggendari Helheim all’alba del 2017 pubblicano il loro nono full e continuano a sviluppare il loro suono che testimonia sia liricamente che musicalmente l’attaccamento alle più profonde tradizioni norrene.

Da ogni nota di questo disco emerge la fierezza delle loro radici, l’epica spavalderia, la furia di antichi guerrieri che vogliono rivivere antiche atmosfere ormai dimenticate. In tutti questi anni di attività la band ha evoluto, pur restando ancorata al più puro viking/black, il proprio suono partendo dalla furia cieca di perle black come Jormundgand (1995) e Av norrøn ætt (1997), per poi incorporare altre influenze folk, heavy e progressive creando un loro personale suono; anche la stabilità della line up negli anni ha contribuito a rafforzare la loro personalità . Il disco è splendido! Fin dal primo brano (Ymr) si assiste a un continuo alternarsi di suoni prettamente black cupi ed oscuri con momenti più meditabondi e folkeggianti solcati da squarci melodici e atmosferici con evocative chitarre, come nella meravigliosa title track che ingloba in modo naturale echi prog d’annata, omaggiando la Premiata Forneria Marconi con il tema principale di Impressioni di Settembre; gli ascoltatori più “open minded” sicuramente si emozioneranno come il sottoscritto. Anche il passare da clean vocals a scream e chorus suggestivi contribuisce a creare un’opera magnifica che potrebbe ritagliarsi uno spazio tra le migliori di questo inizio anno. La ricerca melodica in ogni brano, mai banale, ritaglia sprazzi di grande gusto e sensibilità senza perdere mai l’urgenza e la forza distruttiva di questa grande band viking/black; e l’arte creata da questi artisti, libera da biechi vincoli commerciali, continua a librarsi fiera nel cielo …

TRACKLIST
1. Ymr
2. Baklengs mot intet
3. Rista blóðørn
4. landawarijaR
5. Ouroboros
6. Synir af heiðindómr
7. Enda-dagr

LINE-UP
V’gandr – Bass, Vocals
Hrymr – Drums, Drum programming
H’grimnir – Vocals, Guitars (rhythm)
Reichborn – Guitars (lead)

HELHEIM – Facebook