Nucleus / Macabra – Fragmented Self

Fragmented Self è un’uscita di buona fattura che consente di fissare il punto sul progresso di queste due interessanti band estreme.

Menzione d’obbligo con diversi mesi di ritardo sull’uscita per questo split album, che vede alle prese due realtà piuttosto consolidate della scena death statunitense, i Nucleus ed i Macabra.

I Nucleus provengono da Chicago ed in questo quinquennio di attività si sono già messi in buona evidenza con il full length Sentient dello scorso anno; i tre brani presentati confermano quanto detto passando dal brutal di Fragment al putrido death doom di Assimilation (brano davvero notevole) per ritornare di nuovo ad infierire con il triturante incedere di Beacon, traccia comunque meno brillate delle precedenti anche in virtù di qualche scelta ritmica opinabile.
I Macabra sono guidati dal ben noto Mark Riddick (Fetid Zombie) che fin dalla fondazione della band, risalente al 2011, si accompagna al vocalist franco belga Adrian Weber; a differenza dei compagni di split la forma di death che viene proposta è più composita e dissonante e, di conseguenza, più dispersiva.
In tal senso, se Ellipsis of Self non è che convinca moltissimo, si rivela senza’altro più interessante Breath Thief, che possiede spunti più ariosi grazie al prevedibilmente ottimo lavoro di chitarra di Riddick; Handle with Pain vede un notevole rallentamento dei ritmi ed anche qui, come nel precedente brano, appaiono rimembranze, non so quanto volute, dei primissimi Septic Flesh.
In sostanza, Fragmented Self è un’uscita di buona fattura che consente di fissare il punto sul progresso di queste due interessanti band estreme: personalmente preferisco i Nucleus, che magari sono meno imprevedibili ma più compatti nella loro proposta rispetto ai Macabra, ai quali non mancano certo sprazzi di notevole brillantezza, a tratti opacizzati a livello ritmico dall’assenza di una batteria “umana”, cosa che in ambito death più che in altri generi si fatica a digerire.

Tracklist:
1. Nucleus – Fragment
2. Nucleus – Assimilation
3. Nucleus – Beacon
4. Macabra – Ellipsis of Self
5. Macabra – Breath Thief
6. Macabra – Handle with Pain

Line-up:
NUCLEUS
Dave Muntean – Vocals, Guitars
Dan Ozcanli – Vocals, Guitars
Ryan Reynolds – Bass
Pat O’Hara – Drums

MACABRA
Adrien “Liquifier” Weber – Vocals and text
Mark Riddick – Guitar, bass, drum programming, keyboard, and visuals

NUCLEUS – Facebook

MACABRA – Facebook

Twingiant – Blood Feud

La progressione è incessante e senza scadimenti o cedimenti, anzi più ci si addentra dentro il disco più si viene ammaliati da questo suono, che renderà felice chi ama la musica pesante e pensante.

Devastazione completa operata mediante un uso massiccio di sludge e stoner all’ennesima potenza.

I Twingiant vengono dalla calda Phoenix, Arizona, sono attivi dal 2010 e questo è il loro terzo album sulla lunga durata. Il loro suono è molto pesante, un riuscito connubio fra potenza, lentezza ed una maestosità tipica di quei gruppi che hanno un passo differente rispetto alla maggior parte degli altri. Ascoltandoli si può percepire nettamente la grande capacità compositiva, che li porta a scrivere ed a suonare canzoni di ampio respiro, che ampliano la mente dell’ascoltatore mediante un potente rumore. Blood Feud è il racconto di un massacro, che procede ora lento ora veloce, ma che inesorabilmente spezza tendini e mette fine a molte vite. La progressione è incessante e senza scadimenti o cedimenti, anzi più ci si addentra dentro il disco più si viene ammaliati da questo suono, che renderà felice chi ama la musica pesante e pensante. I Twingiant hanno un tocco personale e riconoscibile, essendo uno dei migliori gruppi del genere, e il loro disco sarà una gioia per molte tormentati sonori. Le tracce si susseguono in maniera mirabile, costruendo un filo narrativo che le unisce in modo ben strutturato e complesso, granitico e terribile. Ci sono vari livelli in questo disco, e pur apprezzandolo fin dal primo ascolto, si riesce a cogliere sempre qualcosa di diverso ad ogni passaggio successivo. Alcuni momenti sono epici, come se ci trovassimo davvero nel Giappone medioevale, e la vita fosse solo una questione di affilatura della spada.

Tracklist
1.Throttled
2.Poison Control Party Line
3.Ride The Gun
4.Re-fossilized
5.Shadow of South Mountain
6.Formerly Known As
7.Last Man Standing
8.Kaishakunin

Line-up
Jarrod – Bass/Vocals
Nikos – Lead/Rhythm Guitar/Backup Vocals
Tony- Lead/Rhythm Guitar/Backup Vocals
Jeff – Drums

TWINGIANT – Facebook

The Sleeplings – Elusive Lights of the Long-forgotten

Con una sorpresa dopo l’altra, Elusive Lights of the Long-forgotten ci mostra una band che a spallate butta giù barriere e fortini in cui si barricano i generi musicali per fornirci una panoramica musicale il più ampia possibile.

Non è così semplice descrivere la musica creata da questo trio danese chiamato The Sleeplings, attivo da una decina d’anni e con un primo album targato 2008.

La band di Århus torna tramite la Marrowphone Recordings con Elusive Lights of the Long-forgotten, album di rock alternativo che tra il suo spartito accoglie e coccola molte sfumature ed ispirazioni da generi diversi, creando un sound originale, magari leggermente dispersivo ma oltremodo affascinate.
Con una sorpresa dopo l’altra, Elusive Lights of the Long-forgotten ci mostra una band che a spallate butta giù barriere e fortini in cui si barricano i generi musicali per fornirci una panoramica musicale il più ampia possibile.
Rock, alternative, progressive, indie e pop, con tutte le loro aperture e varianti, fanno da infinita cornice a questa raccolta di brani creata da Steen Lauridsen (batteria), Peter Just Rasmussen (piano, basso e tastiere) e Jesper Kragh (chitarra, basso voce) aiutati da una manciata di ospiti e tanto anticonformismo musicale che li porta a viaggiare tra la musica degli ultimi cinquant’anni.
L’opener Dead Horse, scelta come singolo, è probabilmente la più lineare tra le tracce proposte, essendo una canzone progressivamente alternative che ci da il benvenuto nel mondo del gruppo danese.
Apothecary, Mary The Quiet, la splendida Broken Light Spectre e via tutte le altre saltano tra un genere e l’altro e con abilità ci deliziano, con citazioni che vanno dai Beatles agli Smashing Pumpkins, dai Gentle Giant e Pink Floyd agli Waterboys, in un quadro ad acquarello dove le note sono come i colori usati da un pittore un po’ pazzo ma assolutamente geniale.
E i The Sleeplings di genialità ne hanno da vendere e come per i veri geni la loro opera va assimilata e compresa.

Tracklist
1. Dead Horse
2. Apothecary
3. Faye Valley Skeleton
4. Mary the Quiet
5. Fog Walkers
6. Broken Light Spectre
7. James
8. Long-forgotten

Line-up
Steen Lauridsen – drums
Peter Just Rasmussen – pianos, keys, double bass
Jesper Kragh – guitars, basses, vocals

THE SLEEPLINGS – Facebook

Darrel Treece-Birch – Healing Touch

Tradizione e soluzioni moderne conferiscono al sound una buona alternativa alle note liquide di molti passaggi, rendendo l’ascolto rilassato ma non troppo, con le strade si alternano tra lunghi rettilinei ed impervie salite sullo spartito che Treece-Birch ha riempito di note a tratti sfuggenti.

Dopo le fatiche sull’ultimo splendido album dei Ten (Gothica), il tastierista e polistrumentista Darrel Treece-Birch torna con un nuovo album solista dal titolo Healing Touch.

Il successore dell’ottimo One More Time, uscito lo scorso anno, è un’opera interamente strumentale, con il musicista britannico che questa volta fa tutto da solo.
Improntato chiaramente su suoni tastieristici, Healing Touch è un album dall’impatto atmosferico molto accentuato, con l’anima dei Pink Floyd che aleggia sulle composizioni con ancora più forza rispetto alle passate release.
Treece-Birch passa dunque agevolmente dall’hard rock dei Ten alle sue opere che sono assolutamente da annoverare nel progressive rock, quadri dai tenui colori autunnali come questo nuovo lavoro licenziato proprio nella stagione che prepara l’anima e la natura alle ristrettezze invernali.
L’album parte con la lunga opener God’s Prescription, una sorta di preparazione atmosferica al viaggio che l’ascoltatore intraprende insieme al musicista e che porta inevitabilmente ad una sorta di sound contemplativo dalle sfumature rock.
Tradizione e soluzioni moderne conferiscono al sound una buona alternativa alle note liquide di molti passaggi, rendendo l’ascolto rilassato ma non troppo, con le strade si alternano tra lunghi rettilinei ed impervie salite sullo spartito che Darrel ha riempito di note a tratti sfuggenti.
Cast It Out, le pulsazioni elettroniche di Re-Boot e tutta la seconda parte dell’album che si posiziona sul “lato oscuro della Luna”, fanno ormai parte del sound in cui il musicista britannico si trova più a suo agio con una menzione particolare per le suggestive sfumature dai rimandi sci-fi di The Release.
Healing Touch è un lavoro per chi ama il rock progressivo strumentale, i Pink Floyd e quel rock atmosferico figlio di tempi nei quali un’opera del genere trovava tutto il tempo per essere assimilata.

Tracklist
1.God’s Prescription
2.From The Mouth
3.Cast it Out
4.Re-Boot
5.The Fruits Of The Spirit
6.The Stand
7.The Release
8.The Expanse
9.No Fear Here
10.God’s Medicine

Line-up
Darrel Treece-Birch – All Instruments

DARREL TREECE-BIRCH – Facebook

Igorrr – Savage Sinusoid

C’è tantissimo qui, e descriverlo è davvero impossibile, deve essere un’esperienza personale, basti dire che è una delle migliori cose musicali che vi potrebbe capitare fra le mani, un unicum al mondo, forse nell’universo, perché è a quest’ultimo che Savage Sinusoid si riferisce.

Come in un immenso videogioco musicale o un divertissement molto corposo e di valore, ecco il nuovo disco di Igorrr, il progetto del geniale multi strumentista francese Gautier Serre.

La sua musica è completamente libera, slegata da ogni pregiudizio di genere, o per accontentare il pubblico, ma scaturisce libera dalla sua genialità. Che Gautier sia geniale non lo si scopre certamente oggi, ma con questo Savage Sinusoid potrebbe aver toccato il suo apice creativo fino ad oggi almeno. Il disco non ha uno sviluppo, ma è caos messo in musica. Il caos ha solo per noi piccoli occidentali un’accezione negativa, mentre in molte altre culture è sinonimo di creatività e di sviluppo, come lo è in natura, si veda la relativa teoria. E in questo disco è esattamente così, si passa dall’oltranzismo in quota Meshuggah, alla drum and bass più scalciante, dal djent maggiormente spinto al death metal futurista. Parlare di generi non ha però molto senso qui, perché ci si trova di fronte ad un potentissimo flusso di coscienza sonoro, un vento che soffia impetuoso e e fortissimo, un’ordalia di suoni che grazie alla bravura di Gautier acquista un senso compiuto e non diventa mai confusione. Non ci vuole una mente aperta bisogna solo aprirla di fronte a tanta abbondanza e ad un disegno totalmente differente, una potente visione ed un immaginario floridissimo. C’è tantissimo qui, e descriverlo è davvero impossibile, deve essere un’esperienza personale, basti dire che è una delle migliori cose musicali che vi potrebbe capitare fra le mani, un unicum al mondo, forse nell’universo, perché è a quest’ultimo che Savage Sinusoid si riferisce.

Tracklist
1.Viande
2.ieuD
3.Houmous
4.Opus Brain
5.Problème d’émotion
6.Spaghetti Forever
7.Cheval
8.Apopathodiaphulatophobie
9.Va te foutre
10.Robert

IGORRR – Facebook

We All Die! What A Circus! – Somnium Effugium

L’album è davvero molto curato e la limpidezza dei suoni ne favorisce l’assimilazione, anche perché qui è netta la sensazione d’essere al cospetto di un artista con la A maiuscola e non di un pur valido assemblatore di suoni.

Devo ammettere che le ultime uscite nelle quali mi sono imbattuto mi hanno parzialmente riconciliato con i dischi strumentali, specialmente quelli basati su un melodico e riflessivo post rock.

Così, dopo il bellissimo lavoro degli americani In Lights, tocca a questo progetto solista del portoghese João Guimarães dal monicker piuttosto bizzarro, We All Die! What A Circus!.
Nonostante le ingannevoli premesse, il sound offerto dal musicista lusitano è quanto mai ortodosso nel suo dipanarsi liquido, melodico e spesso riflessivo tanto da andare a sconfinare più volte l’ambient; indubbiamente il post rock si presta maggiormente a tale formula, proprio perché la rarefazione del sound porta inevitabilmente a sonorità che sono per loro natura strumentali, mentre le aperture melodiche, quando sono di eccelsa qualità come in questo caso, imprimono alla musica un loro marchio ben definito.
A comprovare quanto affermato è sufficiente l’ascolto di Effugium IV che, dopo un avvio tenue e sommesso, si libera poi in un magnifico assolo di chitarra che la dice lunga sul gusto melodico di cui è in possesso Guimarães.
L’album è davvero molto curato e la limpidezza dei suoni ne favorisce l’assimilazione, anche perché qui è netta la sensazione d’essere al cospetto di un artista con la A maiuscola e non di un pur valido assemblatore di suoni.
Il senso della musica, quando non è supportata dalle parole, è in fondo proprio quello di evocare quanto promesso con i titoli dell’album o dei brani, o comunque di tenere fede a quanto dichiarato dai musicisti in fase di introduzione del disco.
In questo caso, Guimarães ci suggerisce che i temi dell’album sono il sogno della fuga e la fuga stessa, dato che in un mondo disseminato di confini e di rovine, dentro e fuori di noi, la necessità di fuggire diviene impellente.
Somnium Effugium è la colonna sonora che ci accompagna in questo stato che oscilla tra l’onirico ed il reale, con i brani intitolati Somnium improntati ad un ambient piuttosto inquieta, mente gli episodi denominati Effugium sono più orientati al post rock, e in quanto tali portatori di splendide melodie chitarristiche venate di una profonda malinconia.
João regala oltre tre quarti d’ora di pennellate sonore di stupefacente profondità, inducendo alla riflessione e alla commozione, e comunque lasciando un segno profondo in chi desidera lasciarsi avvolgere dalla musica creata da questo musicista dotato di rara sensibilità.
Anche se è proprio grazie alle band più celebrate che questo stile è uscito da uno status di nicchia, il mio consiglio è quello di rivolgere l’attenzione a questi nomi minori e magari misconosciuti, la cui freschezza tiene ben alla larga il manierismo ed il rischio di tediosità che ne consegue.

Tracklist:
1.Somnium I
2.Effugium I
3.Effugium II
4.Somnium II
5.Effugium III
6.Effugium IV
7.Somnium III

Line-up
João Guimarães

WE ALL DIE! WHAT A CIRCUS! – Facebook

Persecutory – Towards The Ultimate Extinction

Towards The Ultimate Extinction è un lavoro che definire estremo è un eufemismo: gli amanti del true black metal probabilmente sono i più indicati all’ascolto ma, pane per i loro denti, lo troveranno pure i fans del thrash metal old school.

Una tempesta musicale senza compromessi, black metal feroce che si allea con il thrash ed il death per tormentarvi fino a che le vostre già deboli resistenze crolleranno sotto i colpi dei quattro demoni turchi chiamati Persecutory.

Towards The Ultimate Extinction è un attacco delle forze del male contro il mondo, le urla delle anime dannate trasformate in guerrieri oscuri arrivano direttamente dall’inferno, mentre accelerazioni pazzesche, mid tempo distruttivi ed impatto devastante sono solo alcune delle armi usate dalla band proveniente da Istanbul.
I Persecutory non conoscono pietà, ma solo la crudele e sadica rabbia con cui travolgono già dall’opener Pillars Of Dismay, seguita dagli undici minuti in pieno inferno descritti dalla title track un brano lunghissimo che passa da litanie black/doom a ripartenze true black metal e devastanti e potentissime iniezioni thrash old school.
Quattro loschi demoni al servizio del metal estremo, un’efferata prova di forza che non lascia scampo e non fa prigionieri con Awakening The Depraved Era e la conclusiva Maelstroms Of Antireligious Chaos che, come un vento oscuro ed atomico, spazza via gli ultimi sopravvissuti, anime che vengono spazzate via dalla forza dei Persecutory.
Towards The Ultimate Extinction è un lavoro che definire estremo è eufemismo: gli amanti del true black metal probabilmente sono i più indicati all’ascolto ma, pane per i loro denti, lo troveranno pure i fans del thrash metal old school.

Tracklist
1.Pillars Of Dismay
2.Towards The Ultimate Extinction
3.Till Relentless Salvation Comes
4.Along The Infernal Hallways
5.Awakening The Depraved Era
6.Hegemony Of The Ruinous Impurity
7.Maelstroms Of Antireligious Chaos

Line-up
Tyrannic Profanator – Vocals
Infectious Torment – Guitars, Bass
Vulgargoat – Guitars, Vocals
A.D.B – Drums

PERSECUTORY – Facebook

GREYFELL

Il video di Spirit of the Bear, dall’album Horsepower (Argonauta Records).

Il video di Spirit of the Bear, dall’album Horsepower (Argonauta Records).

https://www.youtube.com/watch?v=foVMmozPJwg

Professor Emeritus – Take Me To The Gallows

Take Me To The Gallows è un buon lavoro incentrato su un heavy/doom classico tra Dio, Black Sabbath e Candlemass, un album dallo spirito underground ma sicuramente da non perdere per gli amanti del genere.

Sicuramente avari di informazioni ma non di buona musica, i Professor Emeritus sono una band di Chicago che, tramite la No Remorse Records, licenzia questo esempio riuscito di heavy metal classico dalle forte tinte epic doom, sulla falsariga di superstar del genere come Dio e Candlemass.

Ed in effetti queste sono le maggiori influenze del gruppo statunitense, ovviamente con i sempre presenti Black Sabbath nella versione con al microfono il grande e compianto Ronnie James, al quale il bravissimo singer MP Papai fa riferimento.
Così tra brani più classicamente heavy come l’opener Burning Grave o Chaos Bearer, ed altri rallentati e nobilitati da un’epicità tradizionalmente doom metal come le bellissime He Will Be Undone e la conclusiva Decius, davvero ispirata, Take Me To The Gallows risulta un ottimo prodotto per gli amanti del doom classico degli anni ottanta, arricchito dal tocco epico del Dio d’annata, il cui spirito rivive grazie ad un vocalist che con bravura ne segue il percorso artistico.
L’album, che arriva dall’underground e da esso trova vigore, è assolutamente consigliato a chi non si ferma ai soliti storici nomi.

Tracklist
1. Burning Grave
2. He Will Be Undone
3. Chaos Bearer
4. Take Me to the Gallows
5. Rats in the Walls
6. Rosamund
7. Decius

Line-up
MP Papai – Vocals
Lee Smith – Guitar, Bass
Tyler Herring – Guitar
Rüsty Glöckle – Drums

PROFESSOR EMERITUS – Facebook

Omega Machine – The End That Comes With Omega Machine

Un disco che apre nuovi spiragli al modo di fare musica pesante in Italia, una prova granitica che regala momenti esaltanti ma soprattutto che spinge a sentirne il contenuto a volume molto alto.

Notevole disco di esordio per questo potente e fantasioso gruppo di industrial metal torinese.

La loro musica è maestosa come la storia che raccontano in questo disco, ovvero la narrazione di un’improvvisa invasione aliena e del tentativo di difesa da parte dell’umanità, ma nulla si può contro l’Omega Machine. Il suono è poderoso e molto potente, con una produzione che ne rende benissimo la profondità. L’immaginario di questo disco è la sci–fi di serie b degli anni sessanta, come si può ben evincere dalla copertina di SoloMacello. Nel disco viviamo benissimo questa battaglia fra i terrestri e gli invasori, anche mediante suoni provenienti da questa guerra estrema. Industrial metal ma non solo, perché gli Omega Machine spaziano per molti generi e soprattutto lo fanno a modo loro, mettendo sempre qualcosa di personale nel calderone bollente del loro suono. Per cui si passa da cose alla Dillinger Escape Plan a nervose colate laviche simili a quelle di Souls At Zero dei Neurosis. Gli Omega Machine sanno benissimo come fare un disco di musica pesante, molto maturo per essere un esordio. Verrete catturati da questi corridoi sonori, da queste mille curve diverse, da stop and go o da momenti totalmente saturi di potenza con il gruppo torinese che sfiamma. Un disco che apre nuovi spiragli al modo di fare musica pesante in Italia, una prova granitica che regala momenti esaltanti ma soprattutto che spinge a sentirne il contenuto a volume molto alto.

Tracklist
1.Gloomy Gait of the Frightstrider
2.Xenoferox Megalodeimos
3.To Neuter a World
4.Crushmoured Assault Raid
5.It Came to Vomit Liquid Fire
6.Terrorstorm Over the Oceanic Battlefront
7.Rust Infector – Aberration Among Monsters
8.Annihilatory Siege of Planet Earth / The End That Comes

Line-up
Kaizer Blasted Kosmos: guitars, programming, samples, synths
Nebular Sub-Terror: bass

OMEGA MACHINE – Facebook

ALCHIMIA

Il video di “Waltz Of The Sea”, dall’album “Musa”.

Il video di “Waltz Of The Sea”, dall’album “Musa”.

I Mediterranean Atmospheric Post Metallers ALCHIMIA rivelano il videoclip ufficiale del brano “Waltz Of The Sea”, estratto dal loro full-length di debutto “Musa”.

Il video è stato prodotto da Sanda Movies (Novembre, Shores Of Null, Adimiron) ed è stato girato tra Roma e Napoli.

Il mastermind di Alchimia, Emanuele Tito ha commentato : “Lavorare con Sanda Movie ed il suo team di professionisti è stata un bella esperienza, cosi come magnifica è stata la location scelta, il fiordo di Crapolla a Napoli. Devo dire che recitare è stato molto divertente, e penso che il personaggio interpretato in un certo senso mi assomigli : affronta un percorso difficile durante il processo di scrittura della sua composizione. La sua musa ispiratrice lo guida durante un percorso sofferto e molto personale, che lo porta ad un finale inaspettato, guardate il video e capirete di cosa parlo …”

Lost Moon – Through The Gates Of Light

La band sforna un lavoro intenso ed originale, perché le influenze ben presenti vengono rimodellate dal trio creando una gettata hard rock/stoner a tratti pesantissima.

A dispetto dei detrattori e dei metallari duri e puri che hanno visto gli anni novanta come la morte dei suoni classici in favore di approcci più moderni e cool, questo decennio rimane il più importante per lo sviluppo della musica rock insieme agli anni settanta, un periodo di rinascita che ha portato all’attenzione degli ascoltatori una manciata di scene diventate, con il tempo, ispirazioni primarie per i gruppi del nuovo millennio.

Dall’hard rock al metal estremo, passando per il grunge, lo stoner ed il metal moderno, l’ultimo decennio del ‘900 per chi ha avuto la fortuna di viverlo musicalmente rimarrà il fulcro di quello che, in seguito, si è sviluppato.
I Lost Moon sono nati verso il finire di quel periodo e da lì hanno sviluppato il loro sound per mezzo di tre album (Lost Moon del 2001, King Of Dogs del 2007 e Tales Form The Sun licenziato tre anni fa) e ora tornano con questo nuovo lavoro, Through The Gates Of Light ottimo esempio di hard stoner rock che da quel prende lo spirito e qualche ispirazione e, grazie ad un songwriting vario, ci regalano trentacinque minuti di musica di grande livello.
I due fratelli Paolucci (Stefano – chitarra e voce – e Pierluigi – batteria),  con il fido Adolfo Calandro (basso), prendono in ostaggio lo stoner rock e lo lasciano tra le mani dell’hard rock settantiano, la psichedelia ed il southern rock e, con la guida dell’alternative metal, lo torturano fino trasformarlo in un’entità anomala ed impossibile da descrivere in senso assoluto.
La band sforna un lavoro intenso ed originale, perché le influenze ben presenti vengono rimodellate dal trio creando una gettata hard rock/stoner a tratti pesantissima.
Si passa così dalle digressioni tooliane della strumentale Through The Gates Of Light, ai Black Label Society e Kyuss della successiva Dawn, dalle sferzate metalliche di Prayer a Pilgrimage, brano che rispecchia il credo musicale dei Lost Moon esibendo una panoramica esaustiva su tutte le sfumature della loro musica.
Sempre Black Label Society ed Alice In Chains li ritroviamo in I Got A Drink e in Light Inside, mentre un sitar beatlesiano apre la conclusiva Visions, canzone che ricorda le armonie acustiche degli Zeppelin.
Album davvero bello, Through The Gates Of Light è l’imperdibile ultimo sussulto dell’anno per quanto riguarda il genere.

Tracklist
1.Through the Gates of Light
2.Dawn
3.Prayer
4.Pilgrimage
5.I Got Drunk Again
6.Light Inside
7.The Day we Broke the Spell
8.Visions

Line-up
Stefano Paolucci – Guitars .Vocals
Pierluigi Paolucci – Drums
Adolfo Calandro – Bass

LODT MOON – Facebook

Modern Day Outlaw – Day Of Reckoning

Sorprende che un gruppo del genere non sia ancora stato catturato da una label, ma poco importa, questi sono dei veri adepti del southern metal, quindi assolutamente da supportare.

Il southern metal è quella esplosiva che sta facendo, a discapito dei detrattori, la storia del rock in questo inizio di millennio.

Insomma, chiamatelo come volete, ma il sound di questi fenomenali Modern Day Outlaw è quanto di più perfetto il fan dell’ hard rock moderno possa chiedere alla sua band preferita: Southern State Of Mind è il loro primo full length (assolutamente da recuperare) uscito cinque anni fa, a cui fa seguito questo ep che, spero faccia da apripista ad un eventuale lavoro su lunga distanza, visti i risultati che ne scaturiscono, ovvero quattro bombe southern metal, più la cover di The Ride del grande Mysterious Rhinestone Cowboy alias David Allan Coe, un’icona country southern blues, che gli amanti del genere conoscono bene e che collaborò con i tre quarti dei Pantera all’album Rebel Meets Rebel.
Sparatevi senza ritegno queste cinque adrenaliniche tracce e per quasi venti minuti sarete rivoltati come calzini dalla forza dirompente dei Modern Day Outlaw e delle loro Revved Up! (Alter Bridge meets Black Label Society), Good Day Too Die ( i Lynyrd Skynyrd metallici di God & Guns), Headwake e Movin’ On che portano le atmosfere nella grigia Seattle violentata dai Pantera e spettacolarizzata dal meglio di Soundgarden ed Alice In Chains.
Sorprende che un gruppo del genere non sia ancora stato catturato da una label, ma poco importa, questi sono dei veri adepti del southern metal, quindi assolutamente da supportare.

Tracklist
1.Reved Up!
2.Good Day to Die
3.Headwake
4.Movin’ On
5.The Ride

Line-up
Kirk Sarmento – Drums
Jake Nicholson – Guitars
Sergio Cesario – Guitars
Ron Brown – Vocals
Rob Palladino – Bass

MODERN DAY OUTLAW – Facebook

Fister & Chrch – Split

La Crown and Throne Ltd pubblica questo notevole split album a tutto sludge, che vede quali protagoniste due band statunitensi, i Fister ed i Chrch.

La Crown and Throne Ltd, label di Denver, pubblica questo notevole split album a tutto sludge, che vede quali protagoniste due band statunitensi, i Fister ed i Chrch.

I Fister sono in circolazione già da diverso tempo ed hanno una discografia molto ricca con all’attivo tre full length ed almeno una decina di uscite più brevi; in questo brano intitolato The Ditch, il trio di St.Louis inizia senza fare sconti sparando un primo terzo piuttosto feroce ed ossessivo, per poi aprirsi leggermente e placarsi ulteriormente indulgendo in rarefatti arpeggi: la combinazione appare efficace, nonostante lo schema sia ripetuto nell’arco della durata della traccia (venti minuti) con una certa puntualità, in virtù di un’intensità che, specialmente nei momenti più robusti, appare in grado di fare la differenza.
I Chrch (non ci siamo dimenticati una u, ma è la band che ha deciso di eliminarla dal proprio monicker da un paio d’anni) arrivano da Sacramento e rispetto ai compagni di split sono decisamente meno prolifici ma anche autori di uno sludge che propende molto più verso il funeral, riuscendo a colpire in virtù di un sound maggiormente elaborato ed impattante emotivamente; i sedici minuti di un brano come Temples costituiscono una prova di forza notevole ed il suo incedere a tratti dolente, a volte colmo di cupa e rabbiosa disperazione, punteggiato da uno screaming femminile lacerante, ci offre la sensazione d’essere al cospetto di una realtà di livello potenzialmente superiore alla media e, a tale proposito, questo occasione si rivela un buon pretesto per recuperare quanto prima il full length Unanswered Hymns, uscito nel 2015.
Lo split album in questione assolve alla perfezione al proprio compito, quello di portare alla luce gruppi di sicuro spessore ma che, a causa dell’affollamento che ormai è comune ad ogni genere, anche quelli dai connotati maggiormente underground, faticano a mettersi in evidenza al di fuori di delle aree geografiche d’appartenenza.

Tracklist:
1. Chrch – Temples
2. Fister – The Ditch

Line-up:
Fister
Kirk Gatterer – Drums
Marcus Newstead – Vocals (additional), Guitars
Kenny Snarzyk – Vocals (lead), Bass

Chrch
Ben – Bass
Shann – Guitars
Chris – Guitars, Vocals (backing)
Eva – Vocals
Adam – Drums

FISTER – Facebook

CHRCH – Facebook

Defeated Sanity – Prelude To The Tragedy

I brani di Prelude To The Tragedy sono delle mazzate notevoli, a tratti valorizzate da intricate parti tecniche, per poi perdere il filo quando i musicisti tedeschi elaborano intricate e cervellotiche parti tecniche su un tappeto estremo da fine del mondo.

Ristampa in vinile curata dalla Xenokorp di Prelude To The Tragedy, devastante lavoro brutal death metal uscito nel 2004 dalle menti dei tedeschi Defeated Sanity.

Band, quella berlinese, che all’assalto brutale aggiunge una tecnica invidiabile, e l’album si inserisce di prepotenza tra le opere di genere che molti avvicinano al death metal progressivo ma che poco hanno a che spartire con il genere.
I Defeated Sanity sono attivi già dai primi anni novanta ed hanno una discografia di tutto rispetto, con cinque album pubblicati tra cui questo Prelude To The Tragedy, un buon numero di lavori minori e l’ultimo Disposal of the Dead/Dharmata uscito lo scorso anno.
L’album è il primo full length del gruppo, ben accolto dalla scena underground estrema per il suo martellamento senza soluzione di continuità, tecnicamente di alto livello anche se, come quasi sempre in queste opere, la voglia di strafare finisce per condizionare un songwriting che sarebbe già stato notevole.
Prelude To The Tragedy infatti è un massacro sonoro niente male, la band svolge il suo compito in modo feroce e brutale e i brani sono delle mazzate notevoli, a tratti valorizzate da intricate parti tecniche, per poi perdere il filo quando i musicisti tedeschi elaborano intricate e cervellotiche parti tecniche su un tappeto estremo da fine del mondo.
Origin e Cryptopsy, un briciolo di Suffocation e l’album parte e non si ferma più, tra infernali blast beat, arzigogolate trame chitarristiche e growl bestiale: in questa versione troviamo, come contenuti extra, il brano Expectoration Of Fear, Drifting Further nella versione demo del 2002 e Apocalypse Of Filth/Collapsing Human Failures, traccia tratta dallo split del 2003 con gli Imperious Malevolence.
Se siete amanti del brutal tecnico e vi siete persi l’uscita originale, questa versione in vinile potrebbe farvi gola, la tecnica c’è, la violenza pure.

Tracklist
1.Liquifying Cerebral Hemispheres
2.Drifting Further
3.The Parasite
4.Horrid Decomposition
5.Tortured Existence
6.Apocalypse Of Filth Collapsing Human Failures
7.Remnants Of The Dead
8.Prelude To The Tragedy
9.Expectoration Of Fear (bonus)
10.Drifting Further (bonus)
11.Apocalypse Of Filth/Collapsing Human Failures (bonus)

Line-up
Lille Gruber – Drums
Jacob Schmidt – Bass
Christian Kühn – Guitar
Josh Welshman – Vocals

DEFEATED SANITY – Facebook

Virgil & Steve Howe – Nexus

Nexus è un album carezzevole, dolcemente triste per gli avvenimenti che lo hanno preceduto, ma meritevole di essere apprezzato per quello che è, ovvero un bellissimo quadro musicale dai tenui colori.

Quello che doveva essere il primo frutto di unacollaborazione in famiglia, a lungo attesa, si è purtroppo trasformato in un album postumo.

Il figlio di Steve Howe (chitarrista degli storici Yes), Virgil, è mancato subito dopo la fine delle registrazioni di Nexus, album strumentale che il padre ha voluto comunque licenziare in accordo con la InsideOut; a due mesi dalla morte del polistrumentista e figlio d’arte, Nexus vede la luce e si porta con sé tutte le emozioni scaturite da questo tragico evento.
Virgil Howe, che ha lasciato questo mondo nel mese di settembre, ultimamente era impegnato come batterista nei Little Barrie: l’album, interamente strumentale, è un elegante viaggio nel mondo musicale di Virgil, anche valido tastierista e bassista nonché brillante compositore, aiutato dal genio chitarristico del padre, splendido interprete nel ruolo di una delle più grandi band che il mondo del rock abbia regalato ai suoi fedeli ascoltatori.
Nexus si anima di un arcobaleno di suoni delicati (progressive, space rock, digressioni jazz) nati con l’ausilio di piano e tastiere, protagonisti in tutto il suo svolgimento e valorizzato dagli interventi di Steve (Hight Hawk in questo senso è il picco del lavoro).
Ovviamente non mancano attimi in cui rivivono le sognanti trame progressive dello storico gruppo britannico, ma la personalità compositiva di Virgil porta il sound ad avvicinarsi maggiormente alla psichedelia , viaggiando delicata su nuvole composte da note di raffinato rock strumentale dove la bravura tecnica dei due Howe è al servizio delle emozioni.
Nexus è un album carezzevole, dolcemente triste per gli avvenimenti che lo hanno preceduto, ma meritevole di essere apprezzato per quello che è, ovvero un bellissimo quadro musicale dai tenui colori.

Tracklist
1. Nexus
2. Hidden Planet
3. Leaving Aurura
4. Nick’s Star
5. Night Hawk
6. Moon Rising
7. Passing Titan
8. Dawn Mission
9. Astral Plane
10. Infinite Space
11. Freefall

Line-up
Virgil – Keyboards, piano, synths, bass & drums
Steve – Acoustic, electric, & steel guitars

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ALICE COOPER

Il video di The Sound Of A.

Il video di The Sound Of A.

Da oggi è disponibile il video di “The Sound Of A”, il nuovo singolo del re dello shock rock ALICE COOPER. Il brano è estratto dall’ultimo album “Paranormal”, pubblicato la scorsa estate su earMUSIC.

Il brano ha una storia particolare, fu scritto dall’artista nel 1967, messo da parte e dimenticato per poi essere rispolverato da Dennis Dunaway, il bassista della Alice Cooper Band. Lo stesso Dennis l’ha riproposto al cantante chiedendo di tenerlo in considerazione per il nuovo album.

“The Sound Of A” sarà pubblicato il 23 febbraio 2018 su earMUSIC, pochi giorni prima del compleanno di Alice Cooper. Oltre al nuovo singolo saranno presenti quattro tracce live registrate durante lo show di Columbus del 6 maggio.