Planet Of Zeus – Live In Athens

Live In Athens è un ottimo supporto per fare la conoscenza dei Planet Of Zeus o comunque per per saggiarne le potenzialità on stage.

Dopo dieci anni dall’uscita del debutto Eleven The Hard Way, i greci Planet Of Zeus immortalano una loro perfomance su dischetto ottico.

Trattasi del concerto tenutosi al Gagarin205 di Atene lo scorso 12 maggio, raccolto in un doppio cd a riassumere la fin qui una onorata carriera di un gruppo molto popolare nel proprio paese.
Per chi non conoscesse la band ed il suo sound, questo è un ottimo modo per riempire la lacuna data l’ottima resa live dei brani pescati dai vari lavori che hanno visto i Planet Of Zeus alle prese con un metal moderno dai rimandi stoner.
Ruvida il giusto senza perdere quall’appeal melodico che fa la differenza, la band ellenica dà vita ad un buon concerto, molto seguito dal pubblico di casa, sciorinando una forma invidiabile e diciotto brani per cento minuti di musica rock dal buon piglio, battente bandiera a stelle e strisce e quindi rivolta ai fans dei nomi più noti provenienti dal deserto americano.
I Planet Of Zeus non inventano nulla, suonano metal/rock, pesante e melodico e lo fanno alla grande, coinvolgendo gli astanti con le pesanti scariche stoner di brani come Macho Libre, A Girl Named Greed, Devil Calls My Name, Leftlovers e i due brani che concludono lo show, la massiccia The Beast Within e il rock’n’roll di Vigilante.
La band gira come una macchina perfettamente oliata, il pubblico si diverte e il live man mano che passano i minuti prende sempre più le sembianze dell’evento, almeno per chi sta sopra e sotto il palco.
Live In Athens è un ottimo supporto per fare la conoscenza dei Planet Of Zeus o comunque per per saggiarne le potenzialità on stage.

Tracklist
CD1 :
1.Unicorn without a horn
2.Macho Libre
3.Doteru
4.The Great Dandolos
5.A Girl Named Greed
6.Loyal To The Pack
7.Devil Calls My Name
8.Something’s Wrong
9.Them Nights
10.Your Love Makes Me Wanna Hurt Myself
11.Little Deceiver
CD2 :
12.Stab Me
13.No Tomorrow
14.Leftovers
15.Woke Up Dead (William H. Bonney)
16.Vanity Suit
17.The Beast Within
18.Vigilante

Line-up
Serafeim “Syke” Giannakopoulos – Drums, backing vocals
Babis “Bizen” Papanikolaou – Vocals, guitar
Stelios “Yog” Provis – Guitar, backing vocals
Giannis “JV” Vrazos – Bass

PLANET OF ZEUS – Facebook

SOBERNOT

Il video di “Nowhere to run”, dall’album “Silent Conspiracy”.

Il video di “Nowhere to run”, dall’album “Silent Conspiracy”.

The chilean groove metal band Sobernot – formed by César Vigouroux on vocals, Pablo La’Ronde on guitar and backing vocals, Joaquín Quezada on bass and Felipe Sobarzo on drums – releases a new music video of his single “Nowhere to run”, from their debut album “Silent Conspiracy” (2018), produced by Pablo La’Ronde.

The production of this work was in charge of Abysmo Films, which has worked with bands like Arch Enemy, Lacrimosa, Therion, Helloween, among others.

The video talks about the different forms of violent submission that human being can be capable of inflicting on another without any remorse, showing that “the world is turning into madness” as the lyrics says.

Vigouroux adds: “the first version of the video included very violent clips for the general public, we had to censor several of these images and replace them with other less explicit images of violence. The original uncensored video has not yet found where to house it, but it is probably in Some place without restrictions like Dailymotion, Vimeo or some gore site The fans even recommended us to do it in porn sites where you can upload practically anything, but I don’t know if ending up watching porn after our music video it’s a very good transition. Or maybe yes? hahaha”.

Sobernot releases this video in the context of his “Nowhere to run tour 2018/2019”.

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Fanpage: https://www.facebook.com/sobernot
Instagram: https://www.instagram.com/sobernotband
Official Website: https://www.sobernot.net

Green River – Rehab Doll

I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente.

Ristampa di lusso per l’unico disco su lunga distanza dei Green River.

Uscito originariamente nel 1988, Rehab Doll può essere considerato la summa e contemporaneamente il punto più alto della loro carriera: sintomo di un’epoca che stava cambiando musicalmente, a parte le note vicende future dei suoi membri, l’album è un piccolo capolavoro per quanto riguarda la musica e la sintesi fra post punk ed un hardcore altro. Registrato da Jack Endino, vero e proprio fautore di un certo suono, Rehab Doll è un compendio di un certo alternativo americano che in quegli anni da un lato annoverava gruppi come i Black Flag e dall’altro lato i Green River, che stavano facendo qualcosa di veramente differente. Rispetto a Dry As A Bone qui la musica è maggiormente strutturata, le canzoni mutano molto nel loro divenire, e la carica distorsiva è preponderante. Rehab Doll è un disco irripetibile di un gruppo che, oltre che anticipare alcune istanze musicali come il grunge, ha saputo proporre una sintesi molto riuscita fra post punk e il rock. La musica dei Green River non nasce con loro ma è originale la proposta musicale che fanno, di grande importanza ancora adesso. Ascoltando Rehab Doll si può facilmente comprendere come questo disco sia ancora avanti di anni ai giorni nostri e, cosa più importante, sia bellissimo dalla prima all’ultima canzone. Questa ristampa di lusso della Sub Pop comprende gli otto brani originali, più alcune versioni dei brani presi dalle cassette di prova di Jack Endino, e due inediti, un documento prezioso e occasione per poter riascoltare un capolavoro quanto mai attuale. I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente. Qualcosa a Seattle si stava muovendo e non sarebbe finito tanto presto.

Tracklist
01. Forever Means
02. Rehab Doll
03. Swallow My Pride
04. Together We’ll Never
05. Smilin’ and Dyin’
06. Porkfist
07. Take a Dive
08. One More Stitch
09. 10000 Things
10. Hangin’ Tree
11. Rehab Doll
12. Swallow My Pride
13. Together We’ll Never
14. Smilin’ and Dyin’
15. Porkfist
16. Take a Dive
17. Somebody
18. Queen Bitch

SUB POP – Facebook

Overkill – The Wings Of War

Sono invecchiati bene gli Overkill, senza tradire fans vecchi e nuovi, rimanendo fedeli ad un certo modo di fare metal, ma migliorando e curando ogni particolare di album in album, così che ancora oggi possono competere con quelle nuove leve che. al cospetto di un lavoro come The Wings Of War, arrancano alle spalle della band statunitense.

Eccovi servita la diciannovesima bomba sonora targata Overkill.

Gli storici thrashers del New Jersey tornano a distanza di poco più di un anno dal massiccio The Grinding Wheel con un nuovo lavoro che conferma una freschezza compositiva ed una verve invidiabile per un gruppo arrivato a quasi quarant’anni di attività.
The Wings Of War, licenziato in questi primi mesi del nuovo anno, si candida come uno dei migliori lavori in ambito thrash metal per quello che, si spera, sia un 2019 ricco di soddisfazioni per un genere dato per morto centinaia di volte ma sempre resuscitato dalle sue calde ceneri, grazie anche ai vecchi ed indomabili leoni come il gruppo di Bobby “Blitz” Ellsworth e D.D. Verni, autore di un assalto sonoro senza soluzione di continuità che alterna e amalgama sapientemente thrash metal, heavy, hardcore, tradizione e modernità in un delirio metallico che a tratti entusiasma.
Sono invecchiati bene gli Overkill, senza tradire fans vecchi e nuovi, rimanendo fedeli ad un certo modo di fare metal, ma migliorando e curando ogni particolare di album in album, così che ancora oggi possono competere con quelle nuove leve che. al cospetto di un lavoro come The Wings Of War, arrancano alle spalle della band statunitense.
Last Man Standing apre le danze e si viene catapultati nel mezzo della mischia, con Blitz che comanda le operazioni dall’alto di una forma invidiabile ed un’attitudine commovente, supportato da una band compatta e riottosa che fin da subito fa capire che qui si fa dannatamente sul serio.
L’album vive di ruggiti metallici come Head Of A Pin, il crescendo metallico di Distortion e Welcome To The Garden State, brano thrash/punk irresistibile, allinterno di una tracklist che convince ed esalta dalla prima all’ultima nota.
The Grinding Wheel, il bellissimo Live in Overhausen uscito pochi mesi fa ed ora questo nuovo lavoro: per gli Overkill continua la festa, unitevi anche voi, non ve ne pentirete.

Tracklist
1. Last Man Standing
2. Believe In The Fight
3. Head Of A Pin
4. Bat Shit Crazy
5. Distortion
6. A Mother’s Prayer
7. Welcome To The Garden State
8. Where Few Dare To Walk
9. Out On The Road-Kill
10. Hole In My Soul

Line-up
Bobby “Blitz” Ellsworth – Vocals
D.D. Verni – Bass, Backing Vocals
Dave Linsk – Lead and Rhythm Guitars
Derek Tailer – Rhythm Guitars, Backing Vocals
Jason Bittner – Drums

OVERKILL – Facebook

Overkind – AcheroN

Un grande disco di metal moderno ed originale, orgogliosamente privo di schemi prefissati, con ex membri dei Fatal Destiny.

Quando il nome scelto dice tutto.

Obiettivo di questa nuova band scaligera è quello di portare avanti una concezione artistico-musicale del tutto libera da vincoli o limiti, nel costante rifiuto di ogni tipo – al di là dei generi, appunto: Overkind – di staticità, quanto a linguaggio sonoro. Niente etichette, soltanto musica: questa la parola d’ordine del quartetto veronese. Le dodici parti di Acheron, album liberamente ispirato alla Divina Commedia dantesca, è un concept che dimostra l’immortale attualità anche nel nostro presente dei contenuti racchiusi nel capolavoro dell’Alighieri. E, se pensiamo che siamo in presenza d’un disco di debutto, il livello è già molto alto. I precedenti, in ambito dantesco, non mancavano (dai Metamorfosi di Inferno sino a The Divine Comedy dei Black Jester), e tuttavia gli Overkind realizzano un qualcosa di estremamente personale. Anche sotto il profilo compositivo: abbiamo infatti qui una entusiasmante commistione di ascendenze hard-sinfoniche alla Queen, dark-doom alla Ghost, prog metal in stile Dream Theater e thrash nella vena dei Metallica più sofisticati, non senza opportuni innesti di suoni moderni (per capirci: a metà strada fra Timoria, Alter Bridge, Muse e Foo Fighters). Davvero un grande esordio, già assai maturo e coinvolgente.

Tracklist
1- Acheron
2- Love Lies
3- Cerberus
4- Interlude
5- Anger Fades
6- Flames
7- Hollow Man’s Secret
8- My Violent Side
9- All Is Gray
10- End of a Souless Thief
11- Traitor’s Letter
12- The Fiend

Line up
Andrea Zamboni – Vocals / Piano
Filippo Zamboni – Bass
Tino Fracca – Drums
Riccardo Castelletti – Guitars

OVERKIND – Facebook

Simulacro – SuperEgo

Mai come in questo caso si può affermare che la riedizione di un lavoro sia ben più che opportuna, non fosse altro che per il fatto di poter ascoltare da parte dei Simulacro brani che per certi versi si possono considerare quasi degli inediti.

Nel 2016 i Simulacro non pubblicarono solo il loro secondo full length Echi dall’Abisso, ma non troppo tempo prima vide la luce anche l’ep SuperEgo che, sia per la sua reperibilità solo in formato digitale, sia per la quasi sovrapposizione con l’altro album finì in qualche modo per essere ignorato.

La Third I Rex, etichetta che ha curato l’ultima uscita della band sarda, colma questa lacuna offendo il formato fisico di quel lavoro che ne diviene un valore aggiunto all’interno della discografia.
In poco più di venti minuti il trio isolano offre due magnifici brani come SuperEgo e Et in arcadia ego che fotografano al meglio lo stile di un gruppo capace di manipolare al meglio la materia black aggiungendovi anche sentite e mai banali liriche in italiano (utilizzate in tale occasione per la prima volta). Queste due tracce dimostrano anche la varietà stilistica dei Simulacro, in grado di muoversi nell’alveo più tradizionale del genere così come spaziare su lidi più atmosferici e melodici senza perdere le coordinate di base e, soprattutto, facendolo con spiccata personalità. La stessa cover che chiude questo breve ep la dice lunga sull’approccio del gruppo sardo, visto che Roma Divina Urbs è un magnifico brano inciso originariamente dagli Aborym quando questi erano ancora, seppure sui generis, un gruppo black prima di trasformarsi nell’obliqua entità dark industrial attuale.
Pertanto, mai come in questo caso si può affermare che la riedizione di un lavoro sia ben più che opportuna, non fosse altro che per il fatto di poter ascoltare da parte dei Simulacro brani che per certi versi si possono considerare quasi degli inediti.
Se Echi dall’Abisso era stata nel 2016 una delle uscite più interessanti in ambito estremo nazionale, SuperEgo giunge a puntellare il valore di un band che potrebbe avere in serbo ancora molte sorprese in futuro.

Tracklist:
1. SuperEgo
2. Et in arcadia ego
3. Roma Divina Urbs

Line-up:
Xul – Lead Screaming and Clean Vocals/Guitars/Synthesizers/Programming
Ombra – Bass/Backing Vocals
Anamnesi – Drums/Backing Vocals/Lyrics in “Et In Arcadia Ego”

Guests:
Stefano Porcella – Tromba
Dora Scapolatempore – Arpa in “Roma Divina Urbs”

SIMULACRO – Facebook

Hecate Enthroned – Embrace of the Godless Aeon

Chi apprezza queste sonorità non potrà fare a meno di ascoltare con moderata soddisfazione l’incedere familiare di alcuni brani ben costruiti, all’interno di un lavoro la cui carenza di personalità non viene sufficientemente compensata da una adeguata brillantezza compositiva.

Quando una band fin dai suoi esordi viene subito additata quale copia di un’altra di successo emersa precedentemente, tale nomea diviene poi molto difficile da scrollarsi di dosso.

Certo che quando si parla di un gruppo come gli Hecate Enthroned, in giro ormai da un quarto di secolo, tutto questo appare paradossale ma è in effetti innegabile che la band inglese abbia vissuto la propria carriera sotto l’ombra ingombrante dei Cradle of Filth, finendo sempre per trovarsi un passo indietro rispetto alle mosse di Dani e soci, anche nei momenti può opachi attraversati da questi ultimi.
Questo ultimo album, Embrace of the Godless Aeon, è solo il secondo negli ultimi 15 anni per gli Hecate Enthroned, e se questo poteva indurre a pensare ad un’evoluzione stilistica o ad uno scostamento rispetto ai propri modelli ci si sbaglia di grosso, perché alla fine tutto appare per assurdo più filthiano di quanto non lo sia oggi la stessa band del Suffolk.
Chiaramente, chi apprezza queste sonorità non potrà fare a meno di ascoltare con moderata soddisfazione l’incedere familiare di brani ben costruiti come Revelations in Autumn Flame e Silent Conversations with Distant Stars, o apprezzabilmente solenni come Erebus and Terror, all’interno di un lavoro la cui carenza di personalità non viene sufficientemente compensata da una adeguata brillantezza compositiva. Lo stesso ricorso ad una voice femminile come quella di Sarah Jezebel Deva, protagonista nei migliori album dei Cradle Of Filth, non è certamente un qualcosa che possa far presupporre un distacco, anche parziale, dal solco stilistico seguito in tutti questi anni.
Poi, a ben vedere, come spesso ribadiamo in tali contesti, la derivatività di una proposta non è mai un ostacolo insormontabile a patto che ciò sia associato ad un impeto ed una freschezza capaci di spazzare via gli strati di polvere che ricoprono sonorità ascoltate centinaia di volte negli ultimi vent’anni.
Per esemplificare ciò che intendo, basti confrontare questo parto degli Hecate Enthroned con quello dei coreani Dark Mirror Ov Tragedy, capaci di inserire su uno scheletro compositivo altrettanto debitore delle band guida del symphonic black tutti quegli elementi di interesse e le brillanti intuizioni melodiche che, purtroppo, si rinvengono solo in minima parte in in questo discreto e poco più Embrace of the Godless Aeon.

Tracklist:
1. Ascension
2. Revelations in Autumn Flame
3. Temples That Breathe
4. Goddess of Dark Misfits
5. Whispers of the Mountain Ossuary
6. Enthrallment
7. The Shuddering Giant
8. Silent Conversations with Distant Stars
9. Erebus and Terror

Line-up:
Nigel – Guitars
Dylan Hughes – Bass
Andy – Guitars
Pete – Keyboards
Gareth Hardy – Drums
Joe Stamps – Vocals

HECATE ENTHRONED – Facebook

BRUJERIA

Il video di “Amaricon Czar”.

Il video di “Amaricon Czar”.

Gli extreme metallers BRUJERIA hanno pubblicato un nuovo singolo, successore del loro famigerato 7” “Viva Presidente Trump!”. La title track del 7” “Amaricon Czar” può essere ascoltata qui: .

Il vinile colorato in edizione limitata può essere acquistato a questo indirizzo http://nuclearblast.com/brujeria-amariconczar

“Amaricon Czar” 7″ – Tracklist
01. Amaricon Czar
02. Lord Nazi Ruso

Inoltre, i BRUJERIA annunciano il loro nuovo tour in Europa e Regno Unito a maggio 2019. Due le date in Italia: 14/05 Roma – Traffic Live Club e 15/05 Milano – Legend Club.

BRUJERIA
VENOMOUS CONCEPT (US/UK)
AGGRESSION (CA)
SANGRE (US)
03.05. NL Tilburg – Netherlands Deathfest*
04.05. NL Sneek – Het Bolwerk
05.05. B Roeselare – De Verlichte Geest
06.05. D Hanover – MusikZentrum
07.05. D Bremen – Tower
08.05. D Berlin – Cassiopeia
09.05. CZ Brno – Melodka
10.05. CZ Prague – Futurum
11.05. D Munich – Feierwerk
12.05. A Dornbirn – Schlachthaus
13.05. CH Sion – Le Port Franc
14.05. I Roma – Traffic Live Club
15.05. I Milano – Legend Club
17.05. F Colmar – Le Grillen
18.05. F Paris – Petit Bain
20.05. UK London – The Underworld Camden
21.05. UK Manchester – Rebellion
22.05. UK Glasgow – Cathouse Rock Club
23.05. UK Birmingham – Mama Roux’s
24.05. F Dommarien – La Niche
25.05. D Mannheim – MS Connexion Complex
26.05. D Essen – Turock
*solo BRUJERIA

L’album più recente dei BRUJERIA, “Pocho Aztlan”, è la prima uscita della band da “Brujerizmo”, pubblicato nel 2000 su Roadrunner. È stato registrato nel corso di molti anni e in diversi studi in tutto il mondo. Il risultato finale è stato mixato da Russ Russell (NAPALM DEATH, THE EXPLOITED).

La leggenda dei BRUJERIA è proliferata per quasi tre decenni. Quando la band è emersa per la prima volta a Los Angeles nel 1989, la città era sull’orlo del caos. Daryl Gates governava la polizia di Los Angeles con il pugno di ferro, supervisionando una legione di assaltatori in divisa blu che spaccavano teschi marroni e neri ad ogni occasione. Rodney King, le rivolte del ’92 e la propaganda anti immigrati del governatore della California Pete “Pito” Wilson erano all’orizzonte. Gli agitatori messicani-americani dei BRUJERIA hanno catturato l’umore delle minoranze della città con il famigerato e ampiamente bandito debutto del 1993, Matando Güeros (“Uccidere i bianchi”), diventando rapidamente la risposta spagnola ai primi maestri grindcore TERRORIZER e NAPALM DEATH. Guidati dal paroliere e genio Juan Brujo, si vociferava alternativamente che i BRUJERIA fossero dei satanici signori della droga o membri di band metal affermate. La verità, come sempre, stava da qualche parte nel mezzo.

“Pocho Aztlan” è il primo nuovo album dei BRUJERIA in 16 anni. Il titolo si traduce in “terra promessa sprecata”, una combinazione di Aztlán, la leggendaria casa ancestrale degli Aztechi, e il termine pocho, che i messicani nativi usano per riferirsi – non sempre gentilmente – alle loro controparti nate negli Stati Uniti. Lo stesso Brujo è un pocho, un uomo intrappolato tra due mondi. Molti pochos non sono esattamente accettati a braccia aperte in Messico. Nel frattempo, sono troppo spesso considerati cittadini di classe B nella loro terra adottiva americana. Brujo ha trasceso entrambi gli scenari attraverso il potere del grindcore e del death metal senza compromessi dei BRUJERIA. I suoi testi interamente in spagnolo sono tanto vividi quanto efficaci: racconti in buona fede dalle prime linee della guerra alla droga, il divario razziale e la battaglia per il confine. “Un sacco di canzoni dei BRUJERIA sono storie vere”, dice Brujo. “E se non sono ancora accadute, accadranno”.

“Pocho Aztlan” può essere acquistato qui: http://nblast.de/BrujeriaPochoAztlanNB

www.brujeria.com
www.facebook.com/brujeria
www.nuclearblast.de/brujeria

Electric Mary – Mother

Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente.

In Australia hanno un tocco particolare per il rock in tutte le sue forme, ma in particolare per quelle più ruvide e vicine allo spirito del blues.

Gli Electric Mary sono appunto australiani e fanno un ottimo hard rock, molto bene suonato e dominato dalla bellissima voce di Rusty, fondatore del gruppo nel 2003. Da una sua particolare visione musicale nasce questa band che con Mother arriva al quarto album, con un seguito sempre maggiore in tutto il mondo. La gente che ama il gruppo oceaniano troverà in Mother un approdo sicuro, un hard rock di alta qualità che vive di momenti diversi, alcuni quasi stoner, altri molto blues, che è poi un po’ la cifra stilistica che lega il tutto. Il suono è ciò che fa smuovere i cuori di molti amanti dell’accezione più ruvida del rock, dove la strada diventa bollente e ci fa muovere gli stivali. Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente. C’è un qualcosa di sensuale e di fisico nelle note di Mother, un richiamo alla nostra vera natura, un riportarci là dove ci sono polvere e sudore. Il gruppo ruota benissimo dietro alla voce blues e maledetta del cantante, e si arriva ad un livello alto; infatti la band ha suonato in giro per il mondo con nomi molto importanti e nella loro Australia sono molto famosi, anche quella nazione ha una grande attenzione per gruppi come gli Electric Mary, dalla formula musicale in apparenza semplice ed in realtà di grande effetto. Non si trova nulla fuori posto in questo disco, tutto scorre bene, ma per ottenere un tale effetto il lavoro è grandissimo e deve essere strutturato molto bene. Venticinque anni fa questo disco avrebbe venduto moltissimo e gli Electric Mary sarebbero stati fissi in America; i tempi sono cambiati, ma un album così apre ancora i cuori di chi ama questi suoni stradaioli e da bar fumosi. L’hard rock continua a produrre buone cose grazie a realtà come queste, figlie della passione e della preparazione tecnica.

Tracklist
1 Gimme Love
2 Hold Onto What You Got
3 How Do You Do It
4 Sorry Baby
5 The Way You Make Me Feel
6 It’s Alright
7 Long Long Day
8 Woman

Line-up
Rusty – vocals
Pete Robinson – guitar and vocals
Alex Raunjak – bass guitar
Brett Wood – guitar and vocals
Paul “Spyder” Marrett – drums

ELECTRIC MARY – Facebook

Owl Company – Iris

Iris è un album che si ascolta piacevolmente, composto da tredici brani potenti ma molto attenti alle melodie, specialmente nei chorus e che, se fosse uscito qualche anno fa, avrebbe sicuramente trovato maggiore attenzione da parte di fans e addetti ai lavori.

Il Brasile metallico ha quasi sempre parlato la lingua del metal classico e di quello estremo, partendo da due punti fermi come Sepultura e Angra, le band che hanno portato alla ribalta più di altre il metal nato nella terra del samba e del calcio.

Gli Owl Company, invece propongono un alternative rock dai molti spunti metallici, ma legato a doppia mandata con il sound americano arrivato dopo l’enorme successo del rock di Seattle negli anni novanta e chiamato appunto post grunge.
Dei Creed più metallici o, se preferite, dei Nickelback meno commerciali e più rispettosi della tradizione settantiana, ipervitaminizzati da anni di alternative metal, gli Owl Company non deluderanno i fans del genere con questo loro secondo album intitolato Iris, licenziato dalla Eclipse Records dopo il debutto autoprodotto intitolato Horizon uscito lo scorso anno.
Niente di originale dunque, solo del buon rock alternativo, orfano di MTV, ma pur sempre nei cuori dei rockers della generazione a cavallo dei due millenni, ora leggermente in ombra rispetto alle desertiche sonorità stoner.
Iris è un album che si ascolta piacevolmente, composto da tredici brani potenti ma molto attenti alle melodie, specialmente nei chorus e che, se fosse uscito qualche anno fa, avrebbe sicuramente trovato maggiore attenzione da parte di fans e addetti ai lavori.
Boogie Man, Antagonist, Broken Paradigm e Shades sono i brani che spingono l’album verso un giudizio più che buono, se il rock alternativo statunitense fa parte dei vostri abituali ascolti Iris potrebbe essere una piacevole sorpresa.

Tracklist
1.One Last Time
2.Boogie Man
3.Rise
4.Antagonist
5.Shattered Dreams
6.Daw of days
7.Broken Paradigm
8.Disconnected
9.Forbidden Ground
10.The Other Side
11.Shades
12.Doors

Line-up
Enrico Minelli – Vocals
Felipe Ruiz – Guitars
Bruno Solera – Guitars
Fabio Yamamoto – Bass
Thiago Biasoli – Drums

OWL COMPANY – Facebook

Warp – Warp

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco questo trio israeliano che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom.

Questa macchina macina riff chiamata Warp proviene da Tel Aviv e debutta con questa mezzora di stordente e psichedelico lavoro omonimo.

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco i tre musicisti israeliani che corrispondono a Itai Alzaradel (chitarra e voce), Sefi Akrish (basso e voce) e Mor Harpazi (basso e voce), un trio che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom con questa jam di mezzora divisa in otto brani potenti, drogati ed ispirati tanto dall’heavy rock settantiano, quanto dallo stoner/doom anni novanta.
Il riff viene rimesso sul trono del rock dagli Warp, stordente come i raggi del sole che scaldano la sabbia del deserto, accompagnato da liquide parti jammate dove psych e hard rock si fondono tra le rocce arroventate tra le quali stanno in agguato serpi e scorpioni micidiali in attesa del passaggio delle loro vittime.
Licenziato in cd dalla Reality Rehab Records ed in seguito nella versione in vinile dalla Nasoni Records, Warp ci fa viaggiare tra illusioni ottiche in cui appaiono oasi di musica fuori dal tempo, tra atmosfere dilatate, solos incisivi e blues sporco di hard rock stonato a caratterizzare brani come l’opener Wretched, Gone Man, Out Of My Life e la conclusiva Enter The Void.
Sleep, Orange Goblin, Radio Moscow sono i primi nomi che sovvengono tra gli indistinti miraggi che appariranno dopo le troppe ore trascorse al sole.

Tracklist
1.Wretched
2.Into My Life
3.Gone Man
4.”Confusion Will Be My Epitaph” Will Be My Epitaph
5.Intoxication
6.Out Of My Life
7.Hey Littly Rich Boy II
8.Enter The Void

Line-up
Itai Alzaradel – Lead Guitar, Vocals
Sefi Akrish – Bass Guitar, Vocals
Mor Harpazi – Drums, Vocals

Mike Tramp – Stray From The Flock

Stray From The Flock è dunque un lavoro consigliato non solo ai fans di Mike Tramp ma anche a chi ha piacere di ascoltare del buon rock melodico di matrice statunitense.

White Lion, Freak Of Nature, senza dimenticare la collaborazione con gli House of Lords sul bellissimo Sahara (1990) e la sua lunga carriera solista, arrivata con questo splendido Stray From The Flock all’undicesimo album in studio.

Parliamo ovviamente di Mike Tramp, singer di origine danese tornato con dieci nuovi brani raccolti in un album imperdibile per gli amanti dell’hard rock melodico.
Registrato all’Ark Studio in Danimarca e mixato in Svezia da Peter Masson, Stray From The Flock risulta, a detta di Tramp, un ritorno alle radici del rock’n’roll, ma diciamo che, molto probabilmente l’atmosfera che si respira è più quella di un album cantautorale, registrato su coordinate semi acustiche e arioso nel quale il vocalist dà sfoggio di tutto il bagaglio musicale che si porta dietro da anni, tra aor, west coast e rock che, come suggerisce l’artwork, disegna paesaggi da frontiera e sconfinate aree incontaminate.
La voce del cantante nordico aiuta ad immergersi in questo sogno ad occhi aperti, con l’aiuto di una raccolta di brani convincenti tra John Mellencamp ed un Tom Petty d’annata, uniti sotto l’egida di un rock melodico che solo raramente lascia le briglie e cavalca selvaggio.
Live It Out riassume le caratteristiche peculiari del nuovo album e, con Dead End Ride e One Last Mission, forma la sacra triade di Stray From The Flock che si avvale di una qualità tale da non scendere da un livello di eccellenza, consegnandoci un Mike Tramp in splendida forma.
Stray From The Flock è dunque un lavoro consigliato non solo ai fans dell’ex White Lion ma anche a chi ha piacere di ascoltare del buon rock melodico di matrice statunitense.

Tracklist
1.No End To War
2.Dead End Ride
3.Homesick
4.You Ain’t Free No More
5.No Closure
6.One Last Mission
7.Live It Out
8.Messiah
9.Best Days Of My Life
10.Die With A Smile On Your Face

Line-up
Mike Tramp – Guitars, Vocals

MIKE TRAMP – Facebook

SERENADE

Il video di Lullaby, dall’album Onirica (Revalve REcords).

Il video di Lullaby, dall’album Onirica (Revalve REcords).

Watch the brand new Serenade video Lullaby right here
Listen album on:
http://player.believe.fr/v2/3614978030654
https://www.revalverecords.com/Serenade.html
https://www.facebook.com/officialserenade/

The band was formed in 2009.
In 2012, its debut with the album “Wandering Through Sorrow” for Revalve Records, entirely written by former guitarist.
Strongly wanting to change the sound, with a new lineup, the band has gone from a gothic symphonic to a heavier metal with post-thrash, progressive and gothic influences.
Currently the band has finished recording the new album called “Onirica”, which reflects much more the components’ influences compared to the debut album.
Onirica is an ardent work by a heavy metal sound with symphonic touches and vague gothic atmospheres.
The album intents to bring the listener through an amazing journey into the dream world, hence the title “Onirica”, in the dreams and fears of the human soul.
Heavy riffs hold up catchy and dreamy melodies.
The voice ranges from lyric to modern with aggressive and soft interpretations and in two songs (“Kill Your Pain” and “Luceafarul”) is completed by the precious collaboration of Fabio Dessi, the voice of Arthemis.
Onirica is an album that proposes to keep alive the interest and the passion for metal music and hopes to break into the listener’s heart.
The band is formed by Claudia (vocals), Filippo (guitars), Alberto (guitars), Dario (bass), Leonardo (drums).
Each band’s members done and still doing many collaborations with italian and international bands and producers.
In particular, in 2015 Claudia has registered her voice in the latest Hollow Haze album “Memories of an Ancient Time” released for Scarlet Records, collaborating with Mats Leven, Rick Altzi and Amanda Somerville.

Folkstone – Diario Di Un Ultimo

Diario Di Un Ultimo è un bellissimo viaggio nei mondi costruiti dai Folkstone, i quali si confermano come uno dei più interessanti e peculiari gruppi nel panorama italiano e non solo.

Torna uno dei gruppi più interessanti del panorama underground italiano, i Folkstone, con il loro nuovo disco Diario Di Un Ultimo.

Il gruppo bergamasco, attivo dal 2004, ha fatto innamorare molti italiani e non solo del folk metal, con sonorità molto vicine al rock. I Folkstone sono forse l’anello di congiunzione tra l’underground ed il mainstream, e sono soprattutto un gruppo che regala pagine bellissime di poesia e musica in italiano. Fin dal primo disco l’ensemble folk metal ha portato avanti un discorso stilistico che ha avuto un’evoluzione incredibile, con l’importante svolta di Ossidiana del 2017, un disco che ha aperto un nuovo corso pressoché unico in Italia: con Ossidiana i Folkstone si sono avvicinati ad un forma maggiormente vicina al rock, con una spinta maggiore verso la poesia, perché i testi del gruppo sono piccoli e bellissimi componimenti, come lo sono sempre in passato ma ultimamente in maniera maggiore. L’importante per un gruppo è il progredire ed in questo i Folkstone sono bravissimi nel proseguire senza alcuna remora: Diario Di Un Ultimo è un’ulteriore e bellissimo avanzamento in un viaggio che si spera non si fermi mai. Questo disco arriva dopo alcuni cambi di formazione, e racconta il mondo visto dallo sguardo di un ultimo, un reietto agli occhi della società, uno che potrebbe essere un ribelle della montagna dei primi dischi dei Folkstone. Il gruppo mette tutto il cuore come sempre in questo lavoro pieno di vita, di canzoni e di assenza di rimpianti, del vivere questa breve vita tra valori e musica vera. Musicalmente il loro suono compie sempre nuovi passi senza mai snaturarsi, anzi forse rispetto ad Ossidiana si è sviluppato un discorso maggiormente aderente alle origini, ma al contempo c’è molto di quell’album in Diario Di Un Ultimo. I testi sono sempre introspettivi e con il cuore in direzione ostinata e contraria, aprono mondi, parlano di noi come di universi lontani e fanno vedere le cose da una prospettiva diversa e più aperta rispetto alla quotidianità. La scelta di cantare in italiano è premiante, perché si rivela qualcosa di peculiare e completamente originale: quando le parole si fondono con la musica scaturisce la magia dei Folkstone, che è davvero tanta e ti esplode nella mente e nel cuore. Come di consueto tutte le canzoni sono composte per essere vissute dal vivo, tra alcool e calore umano, sopra e sotto il palco. Chiude il lavoro I Miei Giorni, una delle canzoni più belle scritte dal gruppo, e vero e proprio manifesto di ciò che è il gruppo lombardo. Diario Di Un Ultimo è un bellissimo viaggio nei mondi costruiti dai Folkstone, i quali si confermano come uno dei più interessanti e peculiari gruppi nel panorama italiano e non solo.

Tracklist
01. Astri
02. Diario Di Un Ultimo
03. La Maggioranza
04. Elicriso ( Storia Di Un Pazzo )
05. Naufrago
06.Danza Verticale
07. La Collina
08. Una Sera
09. Spettro
10. In Assenza Di Rumore
11. Il Grammo Di Un’Ora
12. Fossile
13. Escludimi
14. I Miei Giorni

Line-up
Lorenzo Marchesi: voce
Roberta Rota: cornamuse, bombarde, voce
Maurizio Cardullo: cornamuse, flauti e bouzouki irlandesi, cittern, bombarde
Luca Bonometti: chitarre
Federico Maffei: basso
Edoardo Sala: batteria e percussioni
Marco Legnani: ghironda e strumenti a corde

FOLKSTONE – Facebook

Windswept – The Onlooker

Nessuna sperimentazione, nessun avanguardismo, solo raw Black selvaggio, potente e incompromissorio creato dal mastermind dei Drudkh, Roman Saenko, che urla la sua rabbia con forza e convinzione.

Personaggio di culto della scena Black Metal, l’ucraino Roman Saenko, insegnante di storia, è realmente instancabile e continua a proporci la sua personale visione della musica estrema; lo abbiamo conosciuto con gli Hate Forest nel 2001, interessante band che sciogliendosi diede poi vita ai Blood of Kingu, attratti dalla mitologia sumera e tibetana, autori dal 2007 al 2014 di tre opere vigorose e affascinanti, assolutamente da riscoprire.

Attratto anche da sonorità dark ambient, ha creato il progetto Dark Ages, ora dismesso, in cui su base solo strumentale ha dato “vita” ad argomenti come la peste, le eresie e i sortilegi (notevolissimo A chronicle of the plague del 2006). Per la maggior parte degli ascoltatori però il suo nome significa Drudkh, personalissimo progetto black, intriso di umori folk ed atmosfere est europee; band realmente magnifica che dal 2003 con Forgotten Legends ha realizzato una serie di dischi appassionati, dal grande impatto atmosferico e dal fascino peculiare, con testi tratti dalle opere di alcuni poeti ucraini come Taras Shevchenko ad impreziosire i brani fornendo ulteriore interesse nell’ascolto. La band è ancora attiva, con costante alto livello qualitativo, nonché tacciata anche di avere idee politiche estreme, sempre comunque negate con forza da Roman. Circondato quasi sempre dagli stessi musicisti, Thurios con lui fino dagli esordi del 2003 alle keyboards, guitars e vocals, Krechet al basso e Vlad alla batteria, Saenko arso dal sacro fuoco creativo ha dato vita nel 2017 al progetto Windswept (Spazzati dal vento) per liberare una voglia black ancora più viscerale e incompromissoria; non più temi folkorici, non più atmosfere avvolgenti e care alla natura incontaminata dell’est, ma solo black senza altre influenze; raw black senza necessità di avere tastiere nella struttura delle canzoni. La band con The great cold steppe (2017) e ora The Onlooker, intervallati nel 2018 dall’ EP Visionnaire, ci sferra tre attacchi di black metal senza compromessi, potente, viscerale; il nuovo disco presenta otto brani tutti del medesimo livello qualitativo, furiosi e pregni di tremolo picking. La capacità di Roman di costruire riff è notevole, forza e coinvolgimento non mancano e ogni brano colpisce il cuore di chi ama ascoltare Black Metal. Il sapore nostalgico e potente nelle linee chitarristiche (Stargazer), ci riporta indietro nel tempo facendoci ancora una volta apprezzare quello che vuol dire suonare sincero e freddo Black. Onore alla competenza del leader che dimostra ancora una volta la sua bravura e la sua arte.

Tracklist
1. I’m Oldness and Oblivion (Intro)
2. Stargazer
3. A Gift to Feel Nostalgia
4. Disgusting Breed of Hagglers
5. Gustav Meyrink’s Prague
6. Insomnia of the Old Men
7. Times of No Dreamers & No Poets
8. Bookworm, Loser, Pauper

Line-up
K. Bass
V. Drums
R. Guitars, Vocals

WINDSWEPT – Facebook

Kamion – Gain

I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Una folle corsa senza freni con un mastodontico mostro a sei ruote, un muro d’acciaio e sangue che spazza via ogni ostacolo.

Gain è il debutto dei Kamion, uscito autoprodotto lo scorso anno e ora promosso dall’Atomic Stuff, label nostrana con cui il quintetto veneto ha iniziato a collaborare.
Mezzora di pesantissimo heavy/thrash rock è quello che ci propone il gruppo con Gain, lavoro composto otto brani pregni di groove, ripartenze veloci e mid tempo pesantissimi.
L’opener The Reaper apre le ostilità, come un micidiale predatore aspetta il momento giusto per colpire, tra bordate metalliche, sferzate thrash metal ed attitudine heavy rock.
Bruciante e diretta, Another God va a formare un’accoppiata vincente con l’opener, ma è tutta la tracklist di Gain che non perde un colpo, tra esplosioni di nitroglicerina metallica.
I Kamion vedono al microfono una vera tigre come Dodo, singer molto conosciuto nella scena veneta, i due chitarristi e fondatori Paul e Patch e la sezione ritmica composta dal bassista Lux e dal batterista Dan a formare un combo massiccio, ispirato dalla scena metal statunitense e da band come Black Label Society, Pantera ed Alice In Chains, influenze primarie del quintetto che marchiano brani granitici come Mr.Sucker e Going Wrong.
Un grande brano è anche la conclusiva Jungle, mix perfettamente bilanciato tra le band dell’orso Zakk Wilde e di Jerry Cantrell due dei musicisti più influenti della scena metal/rock a stelle e strisce degli ultimi trent’anni.
I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Tracklist
01. The Reaper
02. Another God
03. Queen Of Hate
04. Home
05. Mr. Sucker
06. Going Wrong
07. Escape
08. Jungle

Line-up
Dodo – Vocals
Paul – Lead Guitar
Patch – Rhythm Guitar
Lux – Bass
Dan – Drums

KAMION – Facebook

Amataster – Frammenti

Debutto col botto per la one-man band lucana. Un lavoro pressoché perfetto, un depressive black metal ricco di pathos e atmosfera, che non può e non deve passare inosservato.

Angoscia è l’unico sentimento che provo all’ascolto del debut ep degli italiani Amataster, uscito per l’italiana Masked Dead Records. Un sensazionale tuffo nella più profonda delle depressioni sonore, un viaggio introspettivo e melanconico, attraverso i più sconcertanti dolori che la vita possa causare.

La one-man band di John Poltergeist (già frontman dei depressive blacksters Eyelids) arriva dalla Basilicata e ci propone un meraviglioso Black Metal atmosferico ricco di pathos, che coinvolge totalmente l’ascoltatore, che vuole farsi travolgere da un’incalzante marea di afflizioni, affanni e sofferenze, attraverso 4 tracce della durata di poco più di venti minuti, ben architettate, quasi a voler tracciare un percorso personalmente interpretativo e assolutamente soggettivo della vita, qui dichiaratamente avara di gioie e di luce.
Così comincia l’avventura (anzi la disavventura) musicale con un brano – L’anima è in fiamme – tipicamente Black ma ricco di funeree ed annichilenti atmosfere. L’incipit delle liriche ci prepara sin da subito a quanto di più doloroso ci si può aspettare da questo disperato percorso attraverso le desolanti disillusioni della vita: “Guardate morire le vostre madri, Guardate soffrire i vostri cari, Bevo il loro sangue, lo sputo sulle vostre mani. Ora inginocchiatevi con me, piangete. Ecco questo è il dolore…” sono versi che ci raccontano molto di quanto sia il leitmotiv dell’album, soprattutto se si considera che vengono preceduti da un intro di synth che gioca meravigliosamente con una soave, ma incredibilmente melanconica, voce femminile, che introduce il Black di Mr. Poltergeist, costruito sul più tipico dei blast, e che alterna, alle oramai immancabili chitarre zanzarose, un lamento ed un pianto disperato di donna, che in maniera devastante, avvilirebbero e sconforterebbero anche l’animo più puramente ottimista.
Perché – la successiva traccia – si domanda John, e dopo un sospiro che pare provenire dai più profondi ed oscuri meandri dell’Inferno, parte un Black tiratissimo che danza armonicamente con gli insert di synth, che contribuiscono a creare un dicotomico connubio tra rabbia (il testo ne è carico sino al midollo) e ossessiva depressione. Rabbia, come detto, e furore sonoro, si avventano contro i nostri padiglioni auricolari, lasciandoci annichiliti, di fronte ad un Depressive che non ammette pause, lento sì in parte, ma pronto a reagire con impetuose sfuriate, proprio nel momento in cui l’ascoltatore sta per assopirsi, assuefacendosi all’atmosfera funerea, che permea tutto l’album…
Ferite dal passato alimentano il mio dolore” ci racconta la successiva Dono delle ombre che, immancabilmente, ci riporta al pensiero che si tratti di una possibile accusa verso una meschina vita, che congiura contro di noi, conducendoci all’odio imprescindibile verso chi ce l’ha donata. Un alchimia di mid e up tempo, sostengono l’attenzione, quasi a voler mantenere alta la nostra concentrazione sul testo, focalizzati su una consapevolezza sempre maggiore della tragicità dell’esistenza umana, che nulla merita, se non un carico incommensurabile di rabbia: “ormai sei solo un ricordo, c’è solo rabbia, in una gabbia” ; qui, nella rima baciata tra rabbia e gabbia, si individua una delle più classiche metafore sull’essenza umana, di chi la legge e la vive, nell’eterna bipartizione tra vita e prigione.
Un arpeggio che ci introduce all’ultima canzone – A.T. the Heart – accompagnato da un breve ma azzeccatissimo assolo, presentano il brano che più si avvicina al Depressive (tanto caro a molte band francesi). I lamenti strazianti di John non lasciano dubbi, sul significato della volontà di chiudere questo debutto nel migliore dei modi. Funerei passaggi , lente ed oscure atmosfere, dipingono ed affrescano l’opera del nuovo Goya della musica, principe della melodia depressiva, a cornice di una pittura che nel ‘700, portava tale nome.

Tracklist
1. L’anima è in fiamme
2. Perché?
3. Dono delle ombre
4. A.T. the Heart

Line-up
John Poltergeist – All instruments

AMATASTER – Facebook

Sergeant Thunderhoof – Terra Solus

Un viaggio a ritroso nel tempo, un’esplorazione musicale del cosmo, che attinge al cospirazionismo alieno con sonorità calde e valvolari, analogiche e vintage.

Gli inglesi Sergeant Thunderhoof già avevano impressionato in termini altamente positivi con Ride of the Hoof (2015).

Con questa quarta fatica, come sempre autoprodotta, la band britannica non fa altro che confermare – sin dalle bellissima copertina, stile Andromeda-Saturnalia – tutte le proprie indubbie qualità. Siamo in presenza di un heavy psych che guarda esplicitamente al passato (non di uno stoner moderno, come numerose volte in questi casi accade). In particolare, nelle otto tracce di questo Terra Solus, tutte di durata compresa tra i quattro e i nove minuti complessivi, si respira aria di fine anni Sessanta-primissimi Settanta. Arcadium, Pink Floyd, Astral Navigations e Dark paiono essere gli amori musicali del gruppo inglese, che ci dona un platter di suoni pesanti e ipnotici, scuri e fantascientifici. La scrittura è sempre abbastanza complessa, le ambientazioni sonore a tratti quasi siderali (vengono in mente pure i primi tre degli UFO oppure gli ultimi Move di Roy Wood, nonché gli Hawkwind degli esordi). Anche i titoli e testi dei vari brani confermano un’attitudine molto rock e spaziale. A livello lirico e ispirativo, i Sergeant Thunderhoof mettono inoltre in mostra testi molto colti ed intelligenti, complessi e sofisticati, consacrati per lo più a temi quali il cospirazionismo, gli Illuminati, la mitologia aliena e la tradizione esoterica ed astrologico-occulta. Vale davvero la pena di ascoltarli, nonostante non siano di facilissima reperibilità dalle nostre parti (ci si può rivolgere a Black Widow di Genova). Le edizioni in vinile, oltre ad essere magnifiche, rendono giustizia a tutto l’immaginario musicale e iconografico dei Sergeant Thunderhoof, un combo realmente senza tempo, capace di riportare in vita (nell’episodio conclusivo) pure certe ritmiche raga della Notting Hill di fine ’60.

Tracklist
1- Another Plane
2- Stellar Gate Drive
3- The Tree and the Serpent
4- B Oscillation
5- Diesel Breath
6- Priestess of Misery
7- Half a Man
8- Om Shaantih

SERGEANT THUNDERHOOF – Facebook

Dream Theater – Distance Over Time

Probabilmente ci si dovrebbe avvicinare a Distance Over Time senza farsi condizionare dal nome della band, lasciando che sia la musica a parlare per i protagonisti: in tal caso le soprese non mancheranno di certo svelando finalmente un nuovo grande album marchiato Dream Theater.

Il quattordicesimo album in studio dei Dream Theater, primo per InsideOut, segna un ritorno al passato e a quelle sonorità metalliche che segnarono le opere del gruppo di John Petrucci almeno fino al bellissimo e sottovalutato Train Of Thoughts.

Questa è la considerazione più logica per valutare un lavoro bello, intenso e finalmente “metal” come Distance Over Time, lontano anni luce dagli ultimi lavori e soprattutto dal prolisso e scialbo The Astonishing.
I cinque sovrani del metal progressivo, che oggi oltre a LaBrie, Petrucci e Myung, vedono ben saldi al loro posto l’ormai veterano Jordan Rudess e Mike Mangini (che a discapito dei suoi detrattori in questo lavoro si dimostra batterista all’altezza della situazione), si sono rinchiusi negli studi Yonderbarn di Monticello per creare questa monumentale opera che, appunto, torna a quel genere che se proprio non hanno inventato (i Rush sono i veri padri del prog metal) hanno portato al successo con i capolavori licenziati nei primi anni novanta.
La verità inconfutabile è che i Dream Theater si sono scrollati di dosso molte scorie progressive superflue, hanno imbracciato gli strumenti decisi a suonare ancora heavy metal inarrivabile sotto l’aspetto tecnico e questa volta supportato da una manciata di belle e robuste tracce.
Petrucci, che appare in stato di grazia come ai bei tempi, Rudess, a tratti ispirato dallo spirito di Jon Lord, e una sezione ritmica garanzia di evoluzioni mai fine a se stesse, accompagnano un LaBrie che non sarà al massimo delle sue prestazioni risultando però convincente dal punto vista emozionale (magari aiutato da qualche filtro di troppo, ma siamo davvero ai dettagli).
Distance Over Time è un album heavy metal, elegante come solo le band con uno spirito progressivo sanno creare e, soprattutto, godibile anche per chi non è un fan accanito del gruppo.
A tratti diretto e potente, l’album regala spettacolari brani come l’opener Untethered Angel, il capolavoro Fall Into The Light, il crescendo melodico di S2N e la progressione metallica del secondo passaggio chiave del lavoro intitolato Pale Blue Dot.
Probabilmente ci si dovrebbe avvicinare a Distance Over Time senza farsi condizionare dal nome della band, lasciando che sia la musica a parlare per i protagonisti: in tal caso le sorprese non mancheranno di certo svelando finalmente un nuovo grande album marchiato Dream Theater.

Tracklist
01. Untethered Angel
02. Paralyzed
03. Fall into the Light
04. Barstool Warrior
05. Room 137
06. S2N
07. At Wit’s End
08. Out of Reach
09. Pale Blue Dot
10. Viper King

Line-up
John Petrucci – Guitars
John Myung – Bass
James LaBrie – Vocals
Jordan Rudess – Keyboards
Mike Mangini – Drums

DREAM THEATER – Facebook