E’ fuor di dubbio che brani come Get Out e Signs travolgano con una carica ed un’orecchiabilità irresistibili, ma il rock’n’roll che piace a noi vive e si rigenera lontano da lavori come Rear View Mirror.
Supportati nientemeno che da Alice Cooper , il quale dichiara di essere un loro accanito fan, tornano sul mercato i rockers irlandesi Skyfever con il loro nuovo ep di quattro brani intitolato Rear View Mirror.
Noto per essere incluso nelle playlist di famosi stadi inglesi come Stamford Bridge ed Anfield, il gruppo di Dublino licenzia queste quattro bombe da classifica dal grande appeal, adatto per ascolti distratti e cori cantati sotto la doccia dopo il primo ascolto.
Si tratta di rock da spararsi in auto mentre il canale radio d’ordinanza ci ricorda la classifica di quello che più piace in giro per il mondo, magari tra un singolo pop ed uno rap, innocuo come tutto quello che è mero music business.
Diventeranno ancora più famosi gli Skyfever? Direi che le carte in regola ci sono tutte, citando più o meno tutto quello che è passato negli ultimi vent’anni di rock commercialmente perfetto, passando dal mid tempo ruffiano alla scarica adrenalinica, dalla dose equilibrata di elettronica a quella più pop oriented.
E’ fuor di dubbio che brani come Get Out e Signs travolgano con una carica ed un’orecchiabilità irresistibili, ma il rock’n’roll che piace a noi vive e si rigenera lontano da lavori come Rear View Mirror.
Tracklist
1.Get Out
2.Signs
3.Sunny Days
4.Kings
Line-up
Luke Lang—Vocals
Tyson Harding—Guitars
Brian Clarke—Guitars
Ciaran O’Brien—Bass
Karl Hand—Drums
When Reality Disarticulates è il biglietto da visita di questo notevole trio che agisce con il monicker Asymmetric Universe: da segnare sul taccuino perché la sensazione è che questo sia solo l’avvio di un percorso artistico molto interessante.
Per gli amanti del metal e del rock strumentale, una nuova e giovane band si affaccia sulla scena tricolore: sono i torinesi Asymmetric Universe, all’esordio autoprodotto con quattro brani racchiusi in un ep intitolato When Reality Disarticulates.
Federico Vese (Chitarra), Nicolò Vese (Basso) e Gabriele Bullita (Batteria) danno alle stampe diciannove minuti di musica progressiva contaminata da vari generi ed influenze lontanissime tra loro come il progressive metal, il jazz, la fusion e la musica orchestrale ed elettronica.
Di queste proposte, specialmente in contesti più estremi come il death metal più tecnico, ne abbiamo ascoltate un bel po’ nel corso degli anni, quindi la relativa novità della proposta, a mio parere, è messa in secondo piano da una prova di grande spessore a livello strumentale e dalla comunque ottima fruibilità all’ascolto di questi primi quattro brani; questi giovani musicisti piemontesi, infatti, dimostrano una sorprendente maturità nell’amalgamare una pregevole tecnica con una forma canzone perfettamente delineata, così da essere compresa anche da chi non è un grande estimatore della musica strumentale.
Echi crimsoniani si intrecciano con progressive e metalliche partiture care ai Dream Theater, inframezzate o legate a forti accenni jazz/fusion, tra l’opener Trees Houses Hill, la funambolica Hermenuetic Shock e gli arcobaleni di note che colorano gli spartiti di Off The Beaten Track e The Clouds Passing By. When Reality Disarticulates è il biglietto da visita di questo notevole trio che agisce con il monicker Asymmetric Universe: da segnare sul taccuino perché la sensazione è che questo sia solo l’avvio di un percorso artistico molto interessante.
Tracklist
1.Trees Houses Hill
2.Hermenuetic Shock
3.Off The Beaten Track
4.The Clouds Passing By
Wolf God si inserisce in una discografia con pochi eguali a livello qualitativo e, considerando che siamo arrivati all’album numero nove per i Grand Magus, tanto di cappello.
Il ritorno dei Grand Magus si intitola Wolf God, atteso dai fans e dagli addetti ai lavori come una delle più importanti uscita dell’anno, almeno per quanto riguarda l’anima più epica del metal odierno.
Perché, parliamoci chiaro: il trio svedese con le sonorità doom/stoner di inizio carriera non ha più nulla a che spartire, perché la band è quanto di più heavy metal si possa trovare in giro oggigiorno, una potentissima e travolgente macchina da riff, scolpiti sulle montagne e cresciuti tra le foreste dove regna il dio lupo.
Ovvio che i mid tempo su cui è strutturato gran parte dell’album porta inevitabilmente a qualche passaggio più rallentato ed evocativo, ma i Grand Magus continuano nel loro dinamismo compositivo che ha caratterizzato l’ultimo periodo, con picchi epici che ne fanno i sovrani del genere (Dawn Of Fire).
La produzione cristallina e potente esalta le caratteristiche dei brani, ed una tracklist impeccabile rende Wolf God un’altra montagna metallica targata Grand Magus: epica, dalle linee melodiche perfettamente inserite in un contesto metallico possente, in cui la voce di Janne JB Christoffersson sembra nata per questo sound.
La virtù maggiore della proposta dei Grand Magus è proprio quella di risultare personale e riconoscibile in un genere tradizionale come l’heavy epic metal, grazie a quel tocco che viene dal passato remoto dei musicisti coinvolti (va ricordato che JB Christoffersson e Ludwig Witt hanno militato negli Spiritual Beggars).
La band svedese si conferma tra i sovrani del genere e rimane poco da scrivere davanti a brani di una forza metallica sovrumana come Wolf God, A Hall Clad In Gold, l’epica To Live and Die in Solitude e la distruttiva e motorheadiana He Sent Them All to Hel: anche Wolf God si inserisce in una discografia con pochi eguali a livello qualitativo e, considerando che siamo arrivati all’album numero nove, tanto di cappello.
Tracklist
01. Gold and Glory
02. Wolf God
03. A Hall Clad in Gold
04. Brother of the Storm
05. Dawn of Fire
06. Spear Thrower
07. To Live and Die in Solitude
08. Glory to the Brave
09. He Sent Them All to Hel
10. Untamed
Line-up
Janne JB Christoffersson – Vocals, Guitars
Mats Fox Hedén Skinner – Bass
Ludwig Witt – Drums
Di un album come Shehili resta sempre ben in evidenza la sua natura metallica, una potente tempesta di sabbia musicale che travolge senza trovare ostacoli, esaltata da raffinate sinfonie che passano agevolmente dal classico symphonic prog metal al sound intriso della tradizione musicale araba.
Parlare di Shehili in poche righe non è assolutamente facile a causa della quantità debordante di musica dalla quale si viene travolti che rende questo quinto e ultimo lavoro dei tunisini Myrath un capolavoro di progressive/power/folk metal.
Shehili è il nome di un vento che soffia nel Sahara, e che, insieme ad antiche leggende, porta con sé questi nuovi dodici brani firmati da una band unica, protagonista di un sound che oltre al power/progressivo di Kamelot e Dream Theater si profuma di antiche pozioni e fragranti essenze provenienti dal deserto, affascinante luogo di leggende e misteri che antichi popoli si tramandano da millenni.
L’ascolto dell’album si rivela così un’emozione unica, tra percussioni tribali, strumenti del folklore tunisino, ritmiche power/prog e songwriting impeccabile: un’esperienza da non perdere per chi ama la musica ed il suo universo senza barriere, quando al comando c’è la bellezza dell’arte, qui portata alla sublimazione da un sound dai mille risvolti e dettagli che si presentano davanti a noi fin dalle prime note dell’intro Asl, foriera di rossi tramonti sulla sabbia del deserto, prima che Born To Survive ci spalanchi del tutto le porte di questa sontuosa opera metal.
Di un album come Shehili resta comunque ben in evidenza la sua natura metallica, una potente tempesta di sabbia musicale che travolge senza trovare ostacoli, esaltata da raffinate sinfonie che passano agevolmente dal classico symphonic prog metal al sound intriso della tradizione musicale araba.
Il singolo Dance, la successiva Wicked Dice, brano dall’appeal eccezionale, la sinfonica ed orientaleggiante Lili Twil,Mersal e la conclusiva title track risplendono nella notte del deserto come le più fulgide delle stelle in questo firmamento musicale chiamato Myrath.
Tracklist
01.Asl (Intro)
02.Born To Survive
03.You’ve Lost Yourself
04.Dance
05.Wicked Dice
06.Monster In My Closet
07.Lili Twil
08.No Holding Back
09.Stardust
10.Mersal
11.Darkness Arise
12.Shehili
Nuovo ep dei rockers svedesi Jesus Chrüsler Supercar, alle prese con quattro cover di brani storici di Bob Dylan, Danzig, Motorhead ed MC5.
Una bomba rock ‘n’ roll è questo nuovo ep (supportato da un documentario che vede la band registrare i brani in studio) degli svedesi Jesus Chrüsler Supercar, band di Stoccolma attiva dal 2011.
Il quartetto si nutre di death metal e di rock’n’roll, tra Entombed, Motorhead e The Hellacopters, e sforna quattro cover che, adattate allo stile del gruppo, risultano in pratica altrettante nuove mazzate che si incastrano nei denti come asce nel tronco di un albero.
Il sound schizzato, drogato, dal groove micidiale, fa la differenza oltre a rendere questi classici del rock delle vere esplosioni death’ n’ roll.
Si parte con Love Sick classico di Bob Dylan trasformato in un mid tempo pesantissimo che lascia un retrogusto stoner, così come Coming Down è spavalda e rocciosa come il suo originale creatore, Glenn Danzig. Overkill segue la sottile linea bianca del santo patrono del rock’n’roll Lemmy, mentre Ramblin’ Rose è uno spettacolare tributo ai seminali MC5 suonato alla maniera dei Jesus Chrüsler Supercar.
Il risultato è un ep nato per divertirsi e far divertire e che raggiunge con disinvoltura l’obiettivo, in attesa di un nuovo lavoro sulla lunga distanza.
Tracklist
1.Love Sick
2.Coming Down
3.Overkill
4.Ramblin’Rose
Mattia Gosetti ed i suoi Sirgaus hanno dato vita ad un’altra imperdibile opera, avvincente e da seguire fino alla fine come se si trattasse di un’epica pellicola cinematografica.
A questo punto diventa molto difficile considerare i Sirgaus una semplice rock band: il suo leader e compositore a distanza di un anno circa torna con un’altra opera ispirata alla storia del suo paese (Cibiana), del bellunese e della storica repubblica di Venezia.
Ormai da considerarsi un cantastorie moderno, Gosetti racconta attraverso la sua musica le vicende di un giovane fabbro partito da Cibiana (paese che, con le sue numerose miniere di ferro, forni e officine è uno dei maggiori produttori di palle di cannone) con il suo carico da consegnare nei più importanti scali della repubblica.
Inizia così un’epica avventura che porterà il protagonista a Tripoli dove s’innamorerà di una schiava, per poi dopo due anni partire insieme a lei verso Cipro dove un terribile assedio tiene sotto scacco la città di Famagosta, difesa da Marcantonio Bragadin.
I due amanti avranno il compito di avvisare Venezia dell’invasione che, in seguito, formata una lega santa sconfiggerà la flotta di Alì Pascià nel golfo di Patrasso, nella corso della sanguinosa battaglia di Lepanto.
La musica che accompagna questo avvincente racconto risulta più sinfonica rispetto all’ultimo lavoro, rivelandosi ricca di atmosfere che profumano degli aromi esotici dei luoghi degli avvenimenti, tra mare e terra.
Al fianco di Gosetti troviamo come sempre la cantante e consorte Sonia Da Col, il chitarrista Silvano Toscani, Diego Gosetti ai cori e Valeriano De Zordo alla voce, per più di un’ora tra rock, metal sinfonico e folk d’autore, con il marchio Sirgaus ben in evidenza, sinonimo di musica mai banale e di testi curatissimi che si abbinano ai suoni senza forzature, creando un altro binomio perfetto.
Come scritto sono le sfumature epiche ad emergere in La Bales de Canone in brani intensi come Con Il Veneto Nel Nostro Cuore, la splendida ed esotica Cipro 1570, L’Assedio DI Famagosta e le cinematografiche La Lega Santa, La Battaglia Delle Echinadi e La Vittoria di Lepanto, trittico che rappresenta il picco qualitativo di questo nuovo album.
Mattia Gosetti ed i suoi Sirgaus hanno dato vita ad un’altra imperdibile opera, avvincente e da seguire fino alla fine come se si trattasse di un’epica pellicola cinematografica.
Tracklist
01.Cronache di un serenissimo passato
02.Con il Veneto nel nostro Cuore
03.Oea
04.Crea il tuo destino
05.La bales de canon
06.Cipro 1570
07.L’assedio di Famagosta
08.Discesa nella vita
09.La Lega Santa
10.La battaglia delle Echinadi
11.La vittoria di Lepanto
12.Acqua libera
13.Sotto i spighe de Roan
Line-up
Mattia Gosetti – Basso, voce, synth, programming
Sonia Da Col – Voceù
Silvano Toscani – Chitarra
Diego Gosetti – Cori
Valeriano De Zordo – Voce, interprete nel concept di Marcantonio Bragadin, politico veneziano del XVI secolo.
Ashes To Animation è un buon lavoro, anche se fuori tempo massimo, perchè la band sa come muoversi tra le note che hanno fatto la fortuna dei gruppi citati, amalgamando il classic rock dei Led Zeppelin con il metal dei Black Sabbath e le note provenienti dalla scena grunge e dai suoi massimi esponenti.
Esordio sulla lunga distanza per questo quartetto proveniente da Cincinnati, ma che nei primi anni novanta avrebbe potuto trovare casa in quel di Seattle.
Infatti gli Static Tension suonano hard rock che prende ispirazioni dagli anni settanta, salta tutto il decennio successivo e ritrova vigore tra la pioggia incessante che bagna la città nello stato di Washington.
Un buon lavoro questo Ashes To Animation, che negli anni di maggior successo della scena grunge sarebbe stato sentito e risentito più volte, inserito tra quelli delle grandi firme e di chi ci provava e poi spariva nel nulla, con tutti i cliché al posto giusto per solleticare i fans di Soundgarden, Pearl Jam e Alice In Chains.
Di suo la band dell’Ohio ci mette tanto rock vecchia scuola, riff sabbathiani e a tratti qualche ritmica più intricata che prende le sembianze di jam in cui troviamo schegge di blues rock e progressive, come in Serpentine e In Spite. Ashes To Animation è un buon lavoro, anche se fuori tempo massimo, perché la band sa come muoversi tra le note che hanno fatto la fortuna dei gruppi citati, amalgamando il classic rock dei Led Zeppelin con il metal dei Black Sabbath e le note provenienti dalla scena grunge e dai suoi massimi esponenti.
Il problema è che un lavoro del genere probabilmente passerà inosservato ai più, mentre venticinque anni fa avrebbe fatto scrivere fiumi di parole sulle riviste di settore.
Tracklist
1.Kindling
2.Bury My Body
3.No Return
4.In Spite
5.Absence
6.Got To Give
7.serpentine
8.Blank Silhouette
9.Where’s The Air?
10.Bloody Shadow
Line-up
Rob Rom – Vocals
Greg Blachman – Guitar, Vocals
Brian Spurrier – Bass
Anthony Sager – Drums, Percussion
Album da maneggiare con molta cura, questa nuova opera firmata da Embury risulta un lavoro di non facile comprensione al primo approccio: i brani spostano gli equilibri del sound tra metal e rock, death, industrial e hardcore, continuando imperterriti in un’altalena di sonorità cangianti.
I Tronos non sono altro che l’ennesimo progetto di uno dei musicisti più importanti nella storia del metal estremo mondiale, Shane Embury.
Celestial Mechanics, un altro lavoro che risulta tutto fuorché facile, vede Embury (alle prese con voce e chitarra) collaborare con il produttore Russ Russell (chitarra, voce e synth) e Dirk Verbeuren (batteria): una formazione a tre aiutata da ospiti di spicco come Dan Lilker, Billy Gould e Troy Sanders (basso), Denis ‘Snake’ Belanger (voce) ed Erica Nockall (voce, violino).
Il sound di Celestial Mechanicsè un connubio di generi e suoni che vanno dal metal estremo al post rock, una musica cangiante, in un’atmosfera assolutamente moderna valorizzata da un songwriting di alto livello.
Album da maneggiare con molta cura, questa nuova opera firmata da Embury risulta un lavoro di non facile comprensione al primo approccio: i brani spostano gli equilibri del sound tra metal e rock, death, industrial e hardcore, continuando imperterriti in un’altalena di sonorità cangianti.
Il peso specifico dei musicisti impegnati nel progetto fa sì che tutto abbia un suo perfetto sincronismo, con l’album che a tratti ricorda in qualche particolare i tanti lavori passati del leggendario bassista dei Napalm Death.
L’album va considerato l’ennesimo sfogo del talento inesauribile del nostro, che magari potrà anche non avere un seguito, ma che si colloca perfettamente nell’ambito delle opere di spessore della musica estrema contemporanea.
Tracklist
1. Walk Among The Dead Things
2. Judas Cradle
3. The Ancient Deceit
4. The Past Will Wither And Die
5. A Treaty With Reality
6. Voyeurs Of Nature’s Tragedies
7. Birth Womb
8. Premonition
9. Beyond The Stream Of Consciousness
10. Johnny Blade
Won’t They Fade? è un album che ha bisogno però di orecchie allenate all’ascolto di generi diversi tra loro per essere apprezzato, pena il rischio di apparire un minestrone fine a sé stesso: a voi l’ardua sentenza…
Secondo lavoro sulla lunga distanza per gli Shuffle, quintetto transalpino che ha già all’attivo un ep di debutto licenziato nel 2012 (Desert Burst), ed il primo full length datato 2015 (Upon The Hill).
Il gruppo cerca di uscire dai soliti cliché del metal moderno creando un sound vario ed alternativo, partendo da una base post rock e progressiva e ristrutturandola con iniezioni neanche troppo velate di metal alternativo, post rock e nu metal.
Ne esce un lavoro vario con i brani che si differenziano uno dall’altro uscendo dai confini di un genere preciso, a volte forzando un po’ troppo nel variare a tutti i costi la formula.
Gli Shuffle convincono di più quando l’anima progressiva prende il sopravvento e ne escono brani potenti ed a loro modo estremi, con uno scream dai rimandi core che violenta l’elegante spartito di cui può vantarsi questo lavoro. Won’t They Fade? risulta così un ascolto piacevolmente vario nel suo mescolare input e generi di cui si compone il metal/rock degli ultimi anni, passando per brani come Paranoia Of The Soul, brano che dal nu metal in stile P.O.D. ed Hed PE passa agevolmente all’alternative progressivo di band come A Perfect Circle e Porcupine Tree. Won’t They Fade?è un album che ha bisogno però di orecchie allenate all’ascolto di generi diversi tra loro per essere apprezzato, pena il rischio di apparire un minestrone fine a sé stesso: a voi l’ardua sentenza.
Tracklist
1. Spoil The Ground
2. Switch To The Otherside
3. Checkmate Fool
4. Faded Chalk Lines
5. Oh Glop D’Eternitat
6. Paranoia Of The Soul
7. Behind Ur Screen
8. Wintertide
9. Virtual Hero
Line-up
Jordan – Lead Voice, Guitars
Sullivane – Keyboards, Backing Vocals
Jonathan – Bass, Backing Vocals
Antoine – Samples, Backing Vocals, Percussions
Grantoine – Drums, Percussions
Un album riuscito, anche in presenza delle spigolose ed intricate vie della tecnica, che il gruppo dimostra a tratti di saper maneggiare senza stancare l’ascoltatore, il cui ascolto è consigliato agli amanti del thrash moderno e del death core tecnico e progressivo.
Quelli della Raising Legend Records continuano a proporci ottime realtà nate specialmente nel loro paese, il Portogallo.
E’ il momento degli Equaleft, band proveniente da Oporto e fautori di un thrash metal moderno pregno di groove e molto tecnico, con passaggi progressivi al limite del djent.
Il quintetto, attivo dal 2004, arriva con We Defy al secondo lavoro sulla lunga distanza, cinque anni dopo il precedente Adapt & Survive ed un ep uscito una decina d’anni fa. We Defy alterna momenti ipertecnici ad altri più lineari che poi sono il punto di forza di un album che non cede proprio grazie a questi chiaroscuri che impediscono all’ascoltatore di rimanere imbrigliato nelle tele di brani come la title track, uno di quelli che più si avvicinano al djent.
Quando gli Equaleft decidono di picchiare decisi e diretti, il thrash/groove metal moderno prende il sopravvento, rallentato da macigni sonori in cui il growl di matrice deathcore è un grido abissale.
Da questo lato Mindset è uno dei brani più riusciti dell’intero lavoro, così come la devastante Strive e la progressiva Fragments.
Un album riuscito, anche in presenza delle spigolose ed intricate vie della tecnica, che il gruppo dimostra a tratti di saper maneggiare senza stancare l’ascoltatore, il cui ascolto è consigliato agli amanti del thrash moderno e del death core tecnico e progressivo.
Tracklist
1.Before Sunrise
2. Once Upon a Failure (ft. André Ribeiro from Sullen and Sollar – guitar solo)
3. We Defy
4. Mindset
5. Endless
6. Strive
7. Overcoming
8. Fragments
9. Realign (ft. Nuno Cramês “Veggy” – guitar solo)
10. Disconnected
11. Uncover the Masks (ft. José Pedro Gonçalinho – saxophone)
Line-up
Miguel “Inglês“ – Vocals
Bernardo “Malone“ – Guitar
Miguel Martins – Guitar
Marco Duarte – Drums
André Matos – Bass
Meridiem dei progsters austriaci Avem è un lavoro collocabile tra quelli di matrice progressiva, moderna e pregna di umori che alternano sfumature alternative, metal e dark.
I viennesi Avem firmano per Wormholedeath che licenzia il loro primo album sulla lunga distanza intitolato Meridiem, un lavoro collocabile tra quelli di matrice progressiva, moderna e pregna di umori che alternano sfumature alternative, metal e dark.
Dietro al microfono la voce grintosa della singer Nora Bendzko a cui alle sue spalle agiscono quattro musicisti che sanno unire una buona tecnica strumentale, obbligatoria se si suona il genere e feeling di stampo rock, per un risultato che in generale soddisfa.
Potrebbero storcere il naso gli ormai obsoleti puristi del genere, fuorviati dall’atmosfera alternative di molti dei brani presenti, ma è un dettaglio che non inficia le buone sensazioni che lasciano brani come l’opener Sun-Chaser, Bermuda o Whispers On The Wind.
Progressive metal moderno dunque, un ramo dell’immenso albero progressivo che sta regalando ottimi lavori in questi ultimi anni e che viene alimentato da band come gli Avem, andando oltre ai soliti schemi e confezionando lavori di grande respiro, freschi, metallici e maturi.
Il piglio aggressivo e drammatico di Lost Cosmonaut si scontra con il rock progressivo attraversato da ritmiche sapientemente congegnate di Earth-Shaker o le sfumature tooliane di Sonder in un’alternanza di suoni ed atmosfere che rendono questa ora di musica un ascolto ampiamente soddisfacente per chi ama il genere.
Gli Avem risultano una band dalle potenzialità enormi, vedremo in futuro la direzione che prenderà la loro musica, aperta a qualsiasi tipo di evoluzione, per ora promossi senza riserve.
Tracklist
01.Sun Chaser
02.How I Got My Wings
03.Bermuda
04.Star Gazer
05.Lost Cosmonaut
06.Phantoms
07.Earth Shaker
08.Whispers On The Wind Feat. Andreas Gammauf
09.Chernobyl
10.Storm Facer Feat. Alexander Hirschmann
11.Sonder
12.LDV
Difficile segnalare una canzone rispetto ad un’altra, in un’opera come The Magic Door che va ascoltata nella sua interezza per cogliere al meglio significati e dettagli musicali che ne fanno un lavoro originale ed assolutamente da approfondire per apprezzarne ancor più l’essenza.
La Black Widow Records, storica label genovese conosciuta in tutto il mondo per la qualità artistica delle proprie proposte, licenzia questo bellissimo lavoro intitolato The Magic Door, dietro il quale si cela un profondo concept dai rimandi esoterici e con connotazioni alchemiche, astronomiche ed astrologiche.
La copertina raffigura i sette epigrafi della porta corrispondenti a Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio, il Sole e V.I.T.R.I.O.L., mentre la porta magica si riferisce alla storia di Villa Palombara, residenza del marchese Massimiliano Palombara e dell’alchimista Francesco Giuseppe Borri
Un viaggio musicale dai tratti folk, intriso di magia e leggende, cultura e studi su argomenti fuori dai soliti schemi che la musica moderna ci offre, accompagnato dalla voce della cantante Giada Colagrande: dieci brani colmi di eleganza e magia, da ascoltare nella penombra, lasciandosi trasportare da note celtiche, arpeggi fuori dal tempo che riempiono lo spazio di note che strumenti come arpa, chitarra classica, viola ricamano nel tempo e nella nostra mente.
Difficile segnalare una canzone rispetto ad un’altra, in un’opera come The Magic Door che va ascoltata nella sua interezza per cogliere al meglio significati e dettagli musicali che ne fanno un lavoro originale ed assolutamente da approfondire per apprezzarne ancor più l’essenza.
Tracklist
1.Intro
2.Saturnine Night
3.Jupiter’s Dew
4.Water Of Mars
5.Venus The Bride
6.Ancient Portal
7.Marcury Unveiled
8.Sun In A Flame
9.Vitriol
10.Epilogue
L’opera non cala di tensione in tutta la sua durata: atmosfere macabre e cavalcate heavy si inseguono in brani perfettamente strutturati nei quali l’influenza primaria rimane Steve Sylvester e la sua leggendaria creatura, a cui Cristian Mustaine rende il doveroso tributo.
Realtà consolidata nella scena metal nostrana da anni di attività e sette full length, tornano i Blood Thirsty Demons, one man band dalle sonorità horror metal creata dal polistrumentista e songwriter Cristian Mustaine.
….In Death We Trust è il nuovo ed ottavo lavoro su lunga distanza per la band lombarda, licenziato dalla The Triad Rec in co-produzione con la C.M. Releases e composto da nove brani per cinquanta minuti di horror metal old school, ispirato dai gruppi che hanno fatto la storia del genere, italiani ed internazionali come Death SS, King Diamond e Mercyful Fate e con quell’attitudine tutta italiana ispirata alla tradizione dark e occulta che fa della nostra nazione una vera scuola per chi suona il genere. ….In Death We Trust continua sulla falsariga dei lavori precedente che hanno portato i Blood Thirsty Demons all’attenzione dei fans dell’horror metal, con lugubri tastiere che creano la giusta atmosfera e l’heavy metal di matrice old school a dominare la scena.
In generale l’opera non cala di tensione in tutta la sua durata, atmosfere macabre e cavalcate heavy si inseguono in brani perfettamente strutturati, l’influenza primaria rimangono Steve Sylvester e la sua leggendaria creatura, a cui Cristian Mustaine rende il doveroso tributo in tracce come la title track, Message From The Dead o Killed By The Priest.
Una menzione particolare vanno anche ai suoni di ispirazione doom/dark della bellissima My Last Minute e la conclusiva …My Soul To Take, quattordici minuti di sunto compositivo della musica creata dal mastermind.
I Blood Thirsty Demons si confermano con questo nuovo lavoro si confermano come buon punto di riferimento per gli amanti dell’horror metal di scuola Death SS.
Tracklist
1. AL II,63
2. I’m Dead!!
3. My Last Minute
4. …In Death We Trust
5. Message From The Dead
6. The Only Road
7. Cry On My Tomb
8. Killed By The Priest
9. …My Soul To Take
Line-up
Cristian Mustaine – all the instruments and vocals
Versione rimasterizzata e deluxe ad opera della Roxx records per Search And Destroy, secondo album dei Philadelphia, storica band cristiana attiva nella prima metà degli anni ottanta.
Torniamo a parlare di rock cristiano d’annata grazie ad una nuova uscita targata Roxx Records:
trattasi di Search And Destroy, secondo lavoro dei Philadelphia, attivi dall’alba degli anni ottanta in quel di Shreveport, Louisiana.
Il gruppo cristiano infatti nacque nel 1981 per arrivare all’esordio tre anni dopo con Tell the Truth… pubblicando in seguito questo lavoro, uscito originariamente nel 1985, creandosi così un buon seguito, specialmente nei tanti concerti che lo vide impegnato in quel periodo.
Poi un lungo silenzio fino al 2015 ed all’uscita del singolo No Compromise che anticipava il nuovo album, licenziato tre anni fa ed intitolato Warlord.
L’impegno nella scena cristiana ha caratterizzato la storia dei Philadelphia, ora un trio composto dallo storico chitarrista Phil Scholling, dal batterista Brian Martini e dal bassista cantante Brian Clark ex Survivor come il batterista.
Il sound di Search And Destroysi colloca perfettamente nell’hard & heavy dell’epoca, brani più hard rock oriented si alternano con rocciosi anthem metallici, i Philadelphia molto attenti alle melodie, raggiungevano un buon livello qualitativo grazie ad un egregio lavoro sui solos, molto ispirati e sempre graffianti, mentre brani di classic rock più radiofonico lasciavano spazio ad ispirate tracce heavy che strizzavano l’occhio al Regno Unito.
Una buona dose di grinta si evince nella title track posta come opener, in Judgement Day e nell’esplosiva Fastrack, ma è comunque tutto l’album che gira a pieno regime anche se l’età è avanzata e Search And Destroycome suoni e approccio al genere rimane confinato nella prima metà degli anni ottanta.
Una riedizione assolutamente gradita per gli amanti del decennio ottantiano e del classic metal statunitense.
Tracklist
1.Search and Destroy
2.Bobby’s Song
3.Oh My Boy
4.Judgement Day
5.Mirror Man
6.Fastrack
7.Showdown
8.Decision Time
Line-up
Brian Clark – Bass, Vocals
Brian Martini – Drums, Percussion
Phil Scholling – Guitars
Tra le trame sonore dell’album si riconosce più di una influenza di matrice death/thrash/brutal, e se gli Accursed Spawn non inventano nulla si rivelano una macchina da guerra da non sottovalutare.
In Canada il metal estremo di matrice death/thrash lo sanno suonare davvero bene, a testimonianza di una scuola ben delineata e che riserva sempre gradite sorprese per gli amanti dell’headbanging.
Gli Accursed Spawn trovano la loro strada musicale attraverso un death metal feroce e senza compromessi, potenziato da accelerazioni thrash e da un sound che dal groove necessario per fare la differenza oggigiorno.
Attivo dal 2010, il gruppo di Ottawa arriva al primo full length tramite la PRC Music, e questo assalto sonoro intitolato The Virulent Host non fa prigionieri, intenso e devastante come deve essere un’opera del genere.
Palla lunga e pedalare quanto si vuole, ma Interrogated Bludgeonment o Cesium 137 sono bombardamenti sonori che non mancano di freschezza ed una dose insana di violenza brutale che colpisce nel segno.
Tra le trame sonore dell’album si riconosce più di una influenza di matrice death/thrash/brutal, e se gli Accursed Spawn non inventano nulla si rivelano una macchina da guerra da non sottovalutare.
Ascoltando Rupert The King ci si mette di fronte a quel mostro musicale che è il metal in una delle sue più potenti e riuscite versioni, un esempio di heavy/thrash che sgorga dagli altoparlanti come sangue da un arto tagliato.
L’uscita di GL Perotti dagli Extrema dopo trent’anni di storia del metal tricolore è notizia ormai archiviata da tempo, ma lo storico cantante non ha perso troppo tempo e, chiamati a raccolta tre musicisti dal curriculum “importante” come il batterista Manuel Togni (Aleph, Soulphureus, Spellblast, Uli Jon Roth, Blaze Bayley, Kee Marcello e Doogie White) e i due Franzè, Simone al basso e Stefano alla chitarra solista (Dennis Stratton, Blaze Bayley e Will Hunt), ha dato vita ai Mortado, praticamente un’esplosione di sonorità metalliche di matrice heavy/thrash che sarebbe riduttivo definire old school, anche se la tradizione e la classicità del sound sono fuor di dubbio ed alimentano l’atmosfera generale di Rupert The King.
Una varietà di stili, impatto ed attitudine impressionante animano questa prima opera targata Mortado che, se in un primo momento attira l’attenzione per l’importanza del tipo dietro al microfono, con il passare del tempo non fa prigionieri, travolgendo con un songwriting ed una prova strumentale di altissimo livello.
Perotti canta con l’entusiasmo di un leone da troppo tempo ingabbiato , la sezione ritmica potente e chirurgica asseconda una chitarra solista che regala attimi di grande ispirazione heavy metal, chiamando in causa nomi altisonanti come Iron Maiden, Megadeth, Death Angel, ma che, proprio per la sua varietà, lascia spazio a soluzioni che pescano dagli Alice in Chains come dai fondamentali (per il background dello storico singer) Suicidal Tendencies.
Ascoltando Rupert The King ci si mette di fronte a quel mostro musicale che è il metal in una delle sue più potenti e riuscite versioni, un esempio di heavy/thrash che sgorga dagli altoparlanti come sangue da un arto tagliato.
La title track posta in apertura, Babylon’s Flag, la maideniana Venom, le devastanti Double Face e Secret Society, il canto sciamanico The Great Spirit, sono insieme alle altre adrenaliniche tracce quello che riesce a regalare GL Perotti con i suoi Mortado ed è decisamente tanta roba…
Tracklist
1.Rupert The King
2.In The Middle Of The Night
3.Babylon’s Flag
4.No Escape
5.Double Face
6.Dangerous Deal
7.The Great Spirit
8.Venom
9.The Art Of Soul
10.Secret Society
11.Blood Shover
Un songwriting di livello e il gran lavoro strumentale non fanno che confermare le ottime sensazioni che avevano destato i lavori precedenti e i Vultures Vengeance ne escono alla grande anche dalla prova su lunga distanza.
Anche per i romani Vultures Vengeance è arrivato il momento del debutto su lunga distanza dopo il primo demo ed un paio di ep (Where The Time Dwelt It uscito nel 2016 e Lyrids: Warning From The Reign Of The Untold pubblicato lo scorso anno) che ne avevano caratterizzato la discografia in questi primi dieci anni di attività.
Il quartetto capitanato dal leader e fondatore Tony T. Steele, impegnato in veste di chitarrista e cantante, lancia il suo grido di guerra tramite otto canzoni pregne di atmosfere epiche che si rifanno alla tradizione metallica anni ottanta, tramite un epic metal duro e puro, una manna per i defenders legati al genere.
Dimenticate quindi soluzioni care al power metal, The Knightlore ci presenta un sound ispirato dalla new wave of british heavy metal e dall’epic di Citith Ungol e Manilla Road, convincente ed orgogliosamente old school.
Fin dall’opener A Great Spark from the Dark la band ci scaraventa in un mondo parallelo, dove onore, sangue ed eroi trovano la loro ideale dimensione, raccontati per mezzo di un sound classico che non farà prigionieri tra gli amanti del genere e dei gruppi citati.
Un songwriting di livello e il gran lavoro strumentale non fanno che confermare le ottime sensazioni che avevano destato i lavori precedenti e i Vultures Vengeance ne escono alla grande anche dalla prova sulla lunga distanza, mentre le chitarre continuano a sanguinare come spade estratte dai corpi dei guerrieri nemici. Pathfinder’s Call, la title track, la furiosa Dead Men and Blind Fates riecheggiano epiche e metalliche contribuendo a rendere The Knightlore un’opera consigliata a tutti gli amanti del genere.
Tracklist
1. A Great Spark from the Dark
2. Fates Weaver
3. Pathfinder’s Call
4. The Knightlore
5. Lord of the Key
6. Dead Men and Blind Fates
7. Eye of a Stranger
8. Chained by the Night
Line-up
Tony T. Steele – Vocals / Guitars
Matt Savage – Bass
Tony L.A. Scelzi – Guitars
Matt Serafini – Drums
I Pristine hanno scritto il loro capolavoro, una nuova splendida opera che consacra la band norvegese come massima esponente del rock classico, con buona pace dei pur ottimi gruppi apparsi sulla scena negli ultimi vent’anni.
La sensazione che i Pristine non fossero una band comune era già forte all’indomani dell’uscita del terzo lavoro, Reboot, album che ha permesso alla musica del gruppo della monumentale cantante e songwriter Heidi Solheim di oltrepassare i confini della Norvegia e dare inizio alla conquista del mondo del rock di matrice hard blues o vintage (come si usa definirlo oggigiorno).
I primi due lavori, bellissimi ma poco conosciuti (Detoxing del 2012 e No Regret dell’anno successivo), hanno dato il via ad un crescendo qualitativo che ha portato i quattro rockers scandinavi (oltre alla Solheim la band è formata da Espen Elverum Jacobsen alla chitarra, Gustav Eidsvik al basso e Ottar Tøllefsen alla batteria) alla pubblicazione dello splendido Ninja un paio di anni fa, primo lavoro per il colosso Nuclear Blast, ed ora a superrsi con Road Back To Ruin, straordinaria raccolta di brani che, se porta qualche novità in seno ad un sound collaudatissimo, accomoda per un bel po’ la band sul trono del genere.
I Pristine non sono più il gruppo di una ragazza con un talento fuori dal comune nello scrivere e cantare canzoni rock, ma un gruppo di musicisti che dopo quattro ottimi album hanno prodotto il loro capolavoro, ovvero uno dei dischi più belli degli ultimi dieci anni di rock blues.
Una band moderna, senza paura di mettersi in gioco, capace di emozionare tanto quanto divertire, ora non solo in mano alla sua musa, ma animata da un gioco di squadra che mette in evidenza il gran lavoro di un chitarrista capace di far sanguinare la sua chitarra con una prestazione sontuosa, tra riff zeppeliniani e groove a potenziare brani mai così pregni di forza hard rock.
Sono l’opener Sinnerman, irresistibile brano rock’n’roll, la possente title track dai rimandi sabbathiani, la splendida Bluebird, l’emozionante ballad Aurora Sky, il capolavoro Blind Spot fino a Cause And Effect, blues da pellicole noir con l’orchestra d’archi The Arctic Philharmonic, ad accompagnare la Solheim verso l’immortalità.
I Pristine hanno scritto una nuova splendida opera potente, graffiante, sanguigna, raffinata ed elegante, che consacra la band norvegese come massima esponente del rock classico, con buona pace dei pur ottimi gruppi apparsi sulla scena negli ultimi vent’anni.
Tracklist
1. Sinnerman
2. Road Back To Ruin
3. Bluebird
4. Landslide
5. Aurora Skies
6. Pioneer
7. Blind Spot
8. The Sober
9. Cause and Effect
10. Your Song
11. Dead End
Più diretto rispetto alle più intricate ultime prove, il sound degli Origin era comunque valorizzato dalla tecnica stupefacente che ha reso il gruppo statunitense è diventato un punto di riferimento per gli amanti del genere.
Abiogenesis – A Coming into Existence è una sorta di prequel (come nella migliore tradizione delle saghe cinematografiche) della storia discografica degli Origin, una delle band più conosciute ed apprezzate nel technical death.
La band statunitense infatti tornata sul mercato dopo lo sfavillante ultimo lavoro (Unparalleled Universe) uscito lo scorso anno, mette mani su del materiale inciso prima della nascita del gruppo, ovviamente mai pubblicato e con l’aggiunta del primo ep uscito nel 1998 (A Coming into Existence) dando vita ad un nuovo album che, se non arriva al livello compositivo del disco uscito un paio di anni fa, poco ci manca.
Le tracce che compongono il primo cd intitolato Abiogenesis sono state scritte tra il 1990 ed il 1993, quindi siamo agli albori del genere, il sound alterna molti elementi grind ad un brutal death che già faceva intuire la grande tecnica in possesso degli Origin, un massacro sonoro senza soluzione di continuità che trova poi in A Coming Into Existence (posta nel secondo cd) la sua prima esplosione di furia iconoclasta data in pasto ai fans del genere.
Più diretto rispetto alle più intricate ultime prove, il sound degli Origin era comunque valorizzato dalla tecnica stupefacente che ha reso il gruppo statunitense è diventato un punto di riferimento per gli amanti del genere.
L’opera è sicuramente consigliata ai fans della band e del genere, risultando un buon modo per completare la collezione di cd targati Origin.
Tracklist
Disc 1 – Abiogenesis
1.Insanity
2.Mauled
3.Autopsied Alive
4.Spastic Regurgitation
5.Bleed as Me
6.Mind Asylum
7.Infestation
8.Murderer
Disc 2 – A Coming into Existence
1.Lethal Mainpulation the Bone Crusher Chronicles
2.Sociocide
3.Manimal Instincts
4.Inner Reflections the Pain from Within
Line-up
Paul Ryan – Guitars, Vocals (additional)
Clint Appelhanz – Bass, Guitars, Vocals (additional)
George Fluke – Drums
Jeremy Turner – Guitars, Vocals
Mark Manning – Vocals
Nihilist è composto da sei brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al metal moderno, un modo per spaccarsi il testone in headbanging sfrenati se si è fans del genere, da ignorare se questo modo di fare metal non raggiunge corde scaldate dai suoni classici e old school.
Quello che alcuni anni fa veniva descritto come alternative metal, definizione generica e non propriamente esatta per certe realtà, si è trasformato in groove metal, etichetta molto più modaiola ed ancora più astratta.
Alla fine anche i Beneath The Hollow, band in arrivo da Chicago, suonano metal moderno diviso tra un’anima thrash ed un altra core ed il loro ep, intitolato Nihilist, non fa altro che seguire i soliti cliché del genere, un metal estremo che non manca di melodie, sia in qualche passaggio strumentale che nell’alternanza tra scream/growl e voce pulita. Nihilist è composto da sei brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al metal moderno, un modo per spaccarsi il testone in headbanging sfrenati se si è fans del genere, da ignorare se questo modo di fare metal non raggiunge corde scaldate dai suoni classici e old school.
Il groove ovviamente non manca in brani come Killing Floor e Our Own Hell, con il quintetto statunitense che raggiunge lidi nu metal con Omens.
I Machine Head del controverso The Burning Red e i Pantera sono i gruppi che più ispirano i Beneath The Hollow, mentre le parti propriamente alternative ricordano note fuoriuscite nell’ultimo decennio del secolo scorso in quel di Seattle.
Tracklist
1.Killing Floor
2.Our Own Hell
3.Spineless
4.Nihilist
5.Omens
6.Doom