Era Of Disgust – Teratogenesi

Venti minuti di squassante metal estremo che si muove crudele tra lo spartito di Teratogenesi.

Teratogenesi è il primo lavoro degli Era Of Disgust, band nata a Torino intorno al 2014, ma solo ora sul mercato con questo ep autoprodotto composto da cinque devastanti brani di deathcore, ma non solo.

I soliti problemi nella line up hanno rallentato la carriera del gruppo che, assestatosi con una formazione che vede Davide Di Girolamo e Filippo Peinetti alle chitarre, Saverio Bello alla voce, Sandro Pirrone al basso e Simone Merlenghi alla batteria, è ora pronto ad incendiare palchi.
Deathcore dicevamo, ma anche death metal classico e qualche sconfinamento nel brutal, per un sound che sprigiona violenza ad ogni nota, potentissimo e senza compromessi, tra ritmiche marziali che accelerano quando le sfuriate estreme prendono la strada del death metal tradizionale, un ottimo uso di growl e scream e chitarre compresse che deflagrano in urla elettriche lancinanti, tra attitudine classica e moderna.
Questo in poche parole è quello che vi troverete ad affrontare quando le prima note di Black Haze vi prepareranno allo tsunami estremo in arrivo quando il growl darà via al massacro.
Broken Shoulder è il singolo estratto da Teratogenesi, animato da un demone death, lo stesso che vive nelle note di Brutal Truth e Morbid Angel, o più semplicemente dei Thy Art Is Murder, il gruppo più vicino al concetto di musica estrema dei nostri.
Venti minuti di squassante metal estremo che si muove crudele tra lo spartito di Drowning ( a mio avviso il brano più violento, veloce ed intenso dell’ep), Infernal Mood, e P.O V., le altre tre bombe sonore firmate Era Of Disgust.
Un esordio davvero promettente, e un’altra band da seguire nel vasto panorama del metal estremo made in Italy: date un ascolto a queste cinque tracce e mettetevi con noi in attesa di un full length che a questo punto è il naturale approdo per gli Era Of Disgust.

Tracklist
1.Black Haze
2.Broken Shoulder
3.Drowning
4.Infernal Mood
5.P.O.V

Line-up
Davide Di Girolamo – guitar
Filippo Peinetti – Guitar
Saverio Bello – Vocals
Sandro Pirrone – Bass
Simone Merlenghi – Drum

ERA OF DISGUST – Facebook

Black Rose – A Light In The Dark

Il gruppo è protagonista di un album piacevole, melodico e grintoso in ugual misura, graffiante e raffinato quanto basta per soddisfare gli amanti dell’hard & heavy melodico e classico.

Gli svedesi Black Rose festeggiano, a distanza di venticinque anni dal primo album (Fortune Favours the Brave), con l’uscita di un nuovo lavoro sempre incentrato su un hard rock a metà strada tra l’hard & heavy e il più melodico AOR.

Con al microfono il nuovo arrivato Jakob Sandberg, il gruppo affronta la sesta prova sulla lunga distanza con il piglio dei veterani e A Light In The Dark risulta il classico album di matrice scandinava, nel genere terra maestra nei suoni melodici ancora prima di quelli estremi.
Ma non aspettatevi melensaggini, perchè i Black Rose schiacciano sul pedale quando serve, graffiano e ci consegnano un lavoro grintoso pur con i suoi momenti dove con eleganza l’hard rock melodico si prende il suo spazio tra i suoni taglienti di brani metallici come Sands Of Time o la title track.
Gli Europe dei primi album sono la band che più ispira questo lavoro, anche se l’heavy metal di scuola tradizionale alza la temperatura del sound, con cori dal taglio epico e solos che sono lampi di luce nel buio.
Bellissima Web Of Lies, mid tempo ispirato ai Dio, e di scuola Scorpions le ritmiche con cui la band dà inizio alla trascinante Ain’t Over ‘til It’s Over, che si trasforma in una canzone da arena rock in pieno stile anni ottanta.
Il gruppo capitanato dai due Haga (Peter alla batteria/tastiere e Anders al basso) è protagonista di un album piacevole, melodico e grintoso in ugual misura, graffiante e raffinato quanto basta per soddisfare gli amanti dell’hard & heavy melodico e classico.

Tracklist
1.Sands of Time
2.Hear the Call
3.Carry On
4.We Come Alive
5.A Light in the Dark
6.Web of Lies
7.Ain’t Over ‘til It’s Over
8.Powerthrone
9.Don’t Fear the Fire
10.Love into Hate

Line-up
Anders Haga – Bass
Peter Haga – Drums, Keyboards
Thomas Berg – Guitars
Jakob “Jacke” Sandberg – Vocals (lead)

BLACK ROSE – Facebook

The Sponges – Official Demo

Oggi va di moda la parola old school per descrivere una proposta che guarda al passato e l’hard rock suonato dai The Sponges è sicuramente da inserire nel filone classico, con le ispirazioni che seguono il passato da cover band dei gruppi citati, ai quali andrebbero aggiunti i primi UFO.

E’ un hard’n’heavy che guarda gli anni settanta/ottanta, pregno di ardore metallico, il sound offerto da questo gruppo proveniente dal trevigiano chiamato The Sponges.

Questi cinque brani compongono il demo di inediti con cui il giovane quartetto lascia definitivamente il mondo delle cover band (Led Zeppelin, Deep Purple e Judas Priest) per lasciare alla propria musica il compito di rappresentarli.
Oggi va di moda la parola old school per descrivere una proposta che guarda al passato e l’hard rock suonato dai The Sponges è sicuramente da inserire nel filone classico, con le ispirazioni che seguono il passato da cover band dei gruppi citati, ai quali andrebbero aggiunti i primi UFO.
Warrior è una marcia hard rock rocciosa che perde qualcosina in impatto nel ritornello, mentre la seguente Run Or Burn risulta più metallica, un crescendo dai toni priestiani che si aggiudica la palma di miglior brano del demo.
La ballatona Love Is Gone spezza la tensione, prima che Song 4 torni a caricare di elettricità l’atmosfera e un riff potentissimo di scuola Zakk Wilde apra la conclusiva My Fucking Brain, il brano più “moderno” di questo primo lavoro targato The Sponges.
L’impatto non manca, i musicisti fanno del loro meglio per dare una loro personalità ai brani, quindi l’inizio è senz’altro positivo, e  noi attendiamo fiduciosi ulteriori sviluppi.

Tracklist
1.Warrior
2.Run Or Burn
3.Love Is Gone
4.Song 4
5.My Fucking Brain

Line-up
Alessandro Russo (Rusho) – Vocals
Davide Zanella – Drums
Sat – Guitars
Andrea Zanella – Guitars

THE SPONGES – Facebook

Wombbath – The Great Desolation

Nove brani compongono questa colonna sonora di morte violenta e trucida, tra riff che sono asce affilate che spaccano teste e staccano arti, con solos di lancinante sofferenza e un growl abissale che comanda le operazioni.

Death metal old school, oscuro, macabro e violentissimo, un abisso in musica di scuola svedese, puro come il sangue di vergini torturate in nome di una diabolica ferocia.

The Great Desolation segna il ritorno dei Wombbath, band estrema scandinava attiva dai primi anni novanta, in pieno sviluppo e successo del genere ma con soli tre album pubblicati più un buon numero di lavori minori, conseguenza di dieci anni di inattività.
The Great Desolation torna dunque sul mercato estremo dopo tre anni dal precedente Downfall Rising, addirittura ventidue anni dopo il debutto Internal Caustic Torments, licenziato dal gruppo nel lontano 1993.
Pochi ma buoni i lavori sulla lunga distanza di questo combo che in tutta onestà suona death metal vecchia scuola, di chiara ispirazione a primi Entombed e Dismember, senza compromessi, potente ed oscuro quanto basta per soddisfare i palati dei deathsters orfani degli storici Left Hand Path, Clandestine e Like An Everflowing Stream.
Niente di nuovo, anzi: l’odore di muffa è quello che usciva dai suoni più oscuri degli anni novanta, e l’album risulta così un macigno estremo che, se lascia qualcosa in personalità, non può che soddisfare gli amanti dello swedish death metal.
Nove brani compongono questa colonna sonora di morte violenta e trucida, tra riff che sono asce affilate che spaccano teste e staccano arti, con solos di lancinante sofferenza e un growl abissale che comanda le operazioni.
Embrace Death, Born Of Filth e Hail Of The Obscene, varia nelle sue intuizioni melodiche e brano top dell’opera sono i momenti migliori: l’impatto c’è, l’esperienza trentennale dei protagonisti pure.

Tracklist
1. Embrace Death
2. The Great Desolation
3. Footsteps Of Armageddon
4. Born Of Filth
5. Punisher Of Broken Oaths
6. The Weakest Flesh
7. Cold Steel Salvation
8. Hail The Obscene
9. Harvester Of Sin

Line-up
Håkan Stuvemark – Guitar
Jonny Pettersson – Vocals
Al Riglin – Guitar
Henrik Åberg – Drums
Johan Momqvist – Bass

WOMMBATH – Facebook

Astray Valley – Unneth

La furia con la quale la band affronta la tempesta estrema risulta indirizzata verso un melodic death metal dal taglio moderno, ma dalle ritmiche che in alcuni casi toccano lidi thrash metal ed una chitarra che ricama ottimi solos melodici.

Due singoli usciti in pochi mesi, nuvoloni che si addensano sopra i nostri cieli prima che la tempesta di suoni moderni si accanisca su di noi, e ci riversi una fitta e grigia pioggia metallica dal titolo Unneth.

Licenziato dalla sempre attenta e presente Wormholedeath, Unneth è l’esordio degli Astray Valley, quartetto spagnolo formato dalla cantante Clau Violette, dal chitarrista Joan Aneris, dal bassista Jorge Romero e dal batterista Erny Roca.
Metal moderno, potente e melodico, una serie di scudisciate estreme interpetrate magistralmente dalla singer, dotata di un eclettismo vocale che le permette di alternare una splendida voce pulita a rabbiosi sfoghi estremi, in un contesto musicale che passa agevolmente dalle violente trame metalliche ad evocativi passaggi rock elettronici, atmosfericamente vicini agli ultimi Lacuna Coil.
Ma, se la famosa band italiana ha sempre tenuto a freno la rabbiosa anima metallica, gli Astray Valley sfogano appunto gli istinti bellicosi, con scariche adrenaliniche accompagnate da bordate estreme potenti, senza perdere colpi e attenuando la sempre presente parte melodica, importantissima nell’economia del sound.
Lontano a mio avviso dai soliti cliché compositivi del metalcore, la furia con la quale la band affronta la tempesta estrema risulta indirizzata verso un melodic death metal dal taglio moderno, ma dalle ritmiche che in alcuni casi toccano lidi thrash metal ed una chitarra che ricama ottimi solos melodici.
Unneth risulta così un lavoro vario, la calma prima dell’ennesima sfuriata si riempie di sfumature elettroniche, tra rock e dark valorizzando una raccolta di brani intriganti e ben congegnati.
Hollow, Constellations, Singularity e Oblivion sonoi brani migliori di un esordio meritevole dell’attenzione degli amanti dei suoni metallici moderni: la band spagnola è l’ennesimo ottimo acquisto da parte della Wormholedeath.

Tracklist
1. Entity
2. Hollow
3. The Wilderness
4. Parallel Visions
5. Mera
6. Waters Of Skylah
7. Constellations
8. Lun
9. Singularity
10. Ethereal
11. Northlights
12. Pathways
13. The Collapse
14. Oblivion
15. Polarity

Line-up
Clau Violette – Vocals
Joan Aneris – Guitars
Jorge Romero – Boss
Erny Roca – Drums

ASTRAY VALLEY – Facebook

Disconnected – White Colossus

Groove, prog metal, core ed alternative: sembra più facile a dirsi che a farsi e invece i Disconnected riescono nell’impresa di far convivere il tutto in questo lotto di brani che entusiasmano, perfetti nell’uso abbondante delle linee melodiche senza sembrare far sembrare d’essere alle prese con la solita boy band con ambizioni da classifica.

Il metal moderno ha ancora parecchie frecce da scoccare, lo dimostra questo ottimo lavoro intitolato White Colossus, debutto dei francesi Disconnected.

La band transalpina si approccia al metal con un sound che mette subito in risalto la buona tecnica dei musicisti coinvolti, regalandoci uno degli esempi più riusciti nell’uso della doppia voce (pulita e growl) e usa a suo piacimento l’uso del metal estremo progressivo e dell’alternative.
Un ibrido davvero riuscito, un sound che amalgama alla perfezione stili all’apparenza lontani in un crescendo emozionale e melodico che non può non lasciare stupiti chi si metterà in gioco con la musica del gruppo proveniente da Troyes.
Groove, prog metal, core ed alternative: sembra più facile a dirsi che a farsi e invece i Disconnected riescono nell’impresa di far convivere il tutto in questo lotto di brani che entusiasmano, perfetti nell’uso abbondante delle linee melodiche senza sembrare far sembrare d’essere alle prese con la solita boy band con ambizioni da classifica.
Stupenda Wounded Heart, strepitoso il crescendo emozionale di Feodora, devastante la furia che a tratti si impossessa di Blame Shifter, così come le ritmiche tra groove e metalcore di For All Our Sakes e la marziale spinta modern metal della conclusiva Armageddon.
La particolarità di White Colossus è che tutti i brani sono attraversati da un’anima alternative che rende la proposta personale e di elevata qualità, in un mix riuscito di Architects, Alter Bridge e Gojira.

Tracklist
1. Living Incomplete
2. Blind Faith
3. Wounded Heart
4. White Colossus
5. Feodora
6. Losing Yourself Again
7. Blame Shifter
8. For All Our Sakes
9. The Wish
10. Armageddon

Line-up
Adrian Martinot – Composer/Guitars
Ivan Pavlakovic – Singer/Songwriter
Aurélien Ouzoulias – Drums
Romain Laure – Bass
Romin Manogil – Guitars

DISCONNECTED – Facebook

Wonderworld – III

Con III gli Wonderworld si candidano come una delle massime espressioni nel genere, mostrando d’essere assolutamente in grado di competere con i gruppi di punta dell’hard rock classico internazionale.

Torna il trio italo/norvegese che, sotto il monicker Wonderworld, vede le gesta del nostro Roberto Tiranti al basso ed ovviamente al microfono, Ken Ingwersen alla chitarra e Tom Arne Fossheim alla batteria.

Ancora una volta il gruppo delizia gli ascoltatori con la sua personale rivisitazione dell’hard rock classico, elegante, raffinato e a tratti progressivo, melodico e pregno di ispirazioni hard blues di scuola Deep Purple, Glenn Hughes.
I tre musicisti, come ormai ci hanno abituato, lasciano il loro talento al servizio di questi ennesimi dieci gioiellini, classici ma rivestiti di un’aura fuori dal tempo, perfetti nel continuare la tradizione del rock duro di classe anche nel nuovo millennio.
La voce di Tiranti è sicuramente l’asso nella manica della band: interpretativo, sanguigno e dall’appeal in dote solo ai grandi, ma i suoi compagni non sono da meno con un Ingwersen in stato di grazia, preciso e raffinato, senza perdere in potenza con riff scolpiti nella storia del genere e Fossheim che lega il tutto con il suo drumming granitico.
Un’altra piacevole raccolta di brani rock dunque, nella quale melodie, gustosi solos e refrain da brividi ci accompagnano nel mondo dell’hard rock di classe, presi per mano da splendide perle come Stormy Night, Brand New Man e Stay Away From Me.
Con III Wonderworld si candidano come una delle massime espressioni nel genere, mostrando d’essere assolutamente in grado di competere con i gruppi di punta dell’hard rock classico internazionale ed una vera e propria garanzia per gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
01. Background Noises
02. Stormy Night
03. Big Word
04. Crying Out For Freedom
05. A Mountain Left To Climb
06. Brand New Man
07. Rebellion
08. The Last Frontier
09. Stay Away From Me
10. There Must Be More

Line-up
Roberto Tiranti – Vocals, Bass
Ken Ingwersen – Guitars, Backing vocals
Tom Arne Fossheim – Drums, Backing vocals

WONDERWORLD – Facebook

Omega Diatribe – Trinity

Il quintetto ci va giù pesante senza soluzione di continuità per quasi un’ora di mid tempo potentissimi, accelerazioni ritmiche da infarto con cambi di tempo perfetti per mantenere l’attenzione dell’ascoltatore.

Un macigno sonoro di dimensioni bibliche in arrivo dall’Ungheria tramite Metal Scrap, che ci presenta il nuovo album di questi cinque cannibali musicali che agiscono sotto il monicker di Omega Diatribe.

Cannibali perché la band fagocita metal estremo, lo metabolizza e lo vomita pregno di groove, passando con disinvoltura da parti di devastante deathcore al più corposo e meno marziale groove metal.
Gli Omega Diatribe sono in giro a far danni dal 2013, la loro discografia in cinque anni vede tre full length ed un paio di ep, non male, segno che di cose da dire ne hanno molte e lo fanno tramite una proposta estrema ed intensa, pur con i limiti che il genere impone.
Niente di nuovo quindi, ma sicuramente d’impatto, tanto che Trinity risulta una montagna di metal estremo moderno che si muove producendo terremoti devastanti.
Con doppia voce, ma lontana dal solito clichè growl/voce pulita, il quintetto ci va giù pesante senza soluzione di continuità per quasi un’ora di mid tempo potentissimi, accelerazioni ritmiche da infarto con cambi di tempo perfetti per mantenere l’attenzione dell’ascoltatore, sempre in guardia per i duri colpi inferti dal gruppo.
Ci vuole il fisico per assorbire le bordate deathcore che gli Omega Diatribe sparano senza pietà con neanche troppo velate ispirazioni a Meshuggah, Gojira e i Machine Head più arrabbiati.
Il quintetto ungherese non le manda certo a dire, travolge tutto con riff ultra heavy risultando uno schiacciasassi impazzito di groove death metal, magari non originalissimo ma sicuramente debordante ed ottimamente suonato, e tanto basta.

Tracklist
1.Souls Collide
2.Filius Dei
3.Trinity
4.Spinal Cord Fusion
5.Divine of Nature
6.Replace Your Fear
7.Oblation
8.Chain Reaction
9.Denying Our Reality
10.Compulsion
11.Wraith
12.Tukdam

Line-up
Gergo Hajer – Guitar
Tamás Höflinger – Guitar
Ákos Szathmáry – Bass
Tamás Kiss – Drums
Milán Lucsányi – Vocals

OMEGA DIATRIBE – Facebook

Mortify The Flesh – Caverns of the Unwanted

I Mortify The Flesh liberano tutti gli istinti repressi in questo primo episodio di una carriera partita bene e che, speriamo, regali ancora violente scariche death metal dai rimandi brutal di matrice americana.

Arrivano all’esordio discografico i tedeschi Mortify The Flesh, band che ha mosso i primi passi addirittura nel 2006.

I molti cambi di line up che hanno portato alla formazione attuale, sono i colpevoli del ritardo di ben dodici anni sulla pubblicazione di un loro lavoro, ora finalmente sul mercato a confermare le ottime potenzialità del gruppo originario di Einbeck.
Caverns of the Unwanted è composto da cinque brutali episodi estremi, un violento e rabbioso impatto che deflagra per una ventina di minuti, tra velocità proibitive, solos urlanti dolore, blast beat e growl che si avvicinano al grind.
L’opener Unleash The Apoclypse e la title track sono i due brani trainati dell’ep e fulgido esempio della proposta del gruppo, che risulta un devastante terremoto sonoro, nel quale le ritmiche tecnicamente sopra la media sono la gettata di cemento armato su cui è posato un sound dall’impatto sicuramente dei più brutali, tenuto su livelli portentosi fino alla fine.
Il quartetto, ora composto da Yasin Yilmaz alle pelli, Torsten Müller alla chitarra, Sascha Mordtmann al basso e Michael Vössing a ringhiare come un orco malvagio al microfono, libera tutti gli istinti repressi in questo primo episodio di una carriera partita bene e che, speriamo, regali ancora violente scariche death metal dai rimandi brutal di matrice americana.

Tracklist
1.Unleash the Apocalypse
2.Impaled Human’s Labyrinth
3.Thoughts of Killing
4.Caverns of the Unwanted
5.Demo Track

Line-up
Yasin Yilmaz – Drums
Torsten Müller – Guitars
Michael Vössing – Vocals
Sascha Mordtmann – Bass

MORTIFY THE FLESH – Facebook

Ribspreader – The Van Murders – Part 2

Un delirio di metal estremo old school, come la ditta Rogga Johansson insegna, perfetto nel suo genere, travolgente ed assolutamente degno della fama del suo creatore.

Questo è il periodo in cui lo stakanovista del metal estremo, Rogga Johansson, invade il mercato con le sue molteplici collaborazioni, che puntualmente ogni paio d’anni ci investono con tutta la loro attitudine ed impatto old school.

Ed infatti il buon Rogga come comune denominatore mantiene in tutti i gruppi con cui suona l’attitudine vecchia scuola, quindi anche i Ribspreader (per chi ancora non conoscesse il progetto) si collocano tra le band dal sound tradizionale.
Questo  è uno dei progetti più longevi di Johansson, essendo attivo dal 2003, con l’esordio Bolted To The Cross licenziato l’anno dopo e che vedeva all’opera al fianco del musicista svedese Andreas Carlsson ed il grande Dan Swanö.
Sono passati quattordici anni e sei lavori sulla lunga distanza e, per il settimo sigillo griffato Ribspreader, Johansson rispolvera la coppia The Cleaner e Mr. Filth, macabri personaggi apparsi sull’album licenziato nel 2011, The Van Murders.
Il titolo non poteva che essere The Van Murders-Part 2 e ad accompagnare il mastermind troviamo questa volta Kjetil Lynghaug alla chitarra solista e Brynjar Helgetun alla batteria, per mezzora di swedish death metal.
Diretto e devastante come un missile sottomarino dritto nella poppa di un transatlantico, l’album è un delirio di metal estremo old school, come la ditta Rogga Johansson insegna, perfetto nel suo genere, travolgente ed assolutamente degno della fama del suo creatore.
Una cascata di riff e solos scolpiti negli annali del death metal scandinavo, una serie di brani che, senza compromessi ci riportano ai primi anni novanta, trovano nei Ribspreader il trio perfetto per tornare a fare male, rispettosi di tutti i cliché del genere ma forniti di un songwriting per cui, dall’opener Departure LA fino alla conclusiva Travelling Band Of The Dead, l’album è un susseguirsi di spettacolari esempi di death metal made in Svezia.
Bellissimo lavoro, The Van Murders-Part 2 è sicuramente la migliore opera fin qui pubblicata quest’anno da Rogga Johansson, ma state certi che non finirà qui.

Tracklist
1.Departure LA
2.Flesh Desperados
3.Back on Frostbitten Shores
4.Equipped to Kill
5.Meat Bandit
6.The Cleaners Theme
7.The Cleaners Theme 2
8.Come Out and Play Dead
9.Travelling Band of the Dead

Line-up
Rogga Johansson – Guitars, bass, vocals
Kjetil Lynghaug – Lead guitars
Brynjar Helgetun – Drums

RIBSPREADER – Facebook

Captain Black Beard – Struck By Lightning

Dalla Svezia, terra di tradizione melodica e non solo estrema, giungono i Captain Black Beard, fin dal 2009 a dispensare grande rock melodico.

Dalla Svezia, terra di tradizione melodica e non solo estrema, giungono i Captain Black Beard, fin dal 2009 a dispensare grande rock melodico, con tre album all’attivo e collaborazioni illustri come Bruce Kulick (Kiss, Union) e Mats Karlsson sul secondo lavoro (Before Plastic).

Il quartetto, dopo essersi esibito con icone dell’hard rock (Joe Lynn Turner, Robin Beck e House Of Lords), è tornato in studio con la nuova cantante Liv Hansson e con l’aiuto del produttore Jona Tee, noto tastierista degli H.E.A.T., pubblica questo bellissimo quarto lavoro intitolato Struck By Lightning.
Hard rock di gran classe dunque, supportato dalla bellissima e a tratti grintosa voce della bionda vichinga al microfono, ed impreziosita dal gran lavoro dei tre musicisti, anima di questa ottima realtà melodica svedese: Robert Maid al basso, Christian Eck alla chitarra e Vinnie Stromberg alla batteria.
Una produzione scintillante ed un songwriting ispirato fanno il resto e Struck By Lightning può così esplodere nei vostri padiglioni auricolari, composto da dieci folgoranti tracce di hard rock nobilitato da melodie AOR d’alta scuola.
D’altronde su al nord il genere lo sanno suonare eccome, facendo proprie le ispirazioni che vengono da Gran Breatagna e Stati Uniti ed elaborandole come tradizione insegna.
Così fanno anche i Captain Black Beard in brani top come l’opener e primo video All The Pain, perfetto benvenuto nella nuova incarnazione della band con l’arrivo della Hansson.
L’album non conosce pause, la sei corde graffia così come la voce, le tastiere disegnano tappeti colorati di note melodiche sopra le righe alternando taglienti brani di rock duro come Pefect Little Clue, a momenti di rock in cui la classe si respira in ogni nota.
Gotta Go, Dead End Street e la title track incendiano lo spartito, la prova della vocalist rimane di altissimo livello, i cori aprono orizzonti melodici dove perdersi è un attimo e sio arriva alla fine con la voglia matta di ricominciare a sognare, tra grinta e melodia rock confezionata a dovere dai Captain Black Beard.
Album di alto livello, Struck By Llightning si posiziona molto in alto nelle preferenze tra i lavori di hard rock melodico usciti in questa prima metà dell’anno, e non così scontato trovare di meglio, fidatevi.

Tracklist
01.All The Pain
02.Perfect Little Clue
03.Believer
04.Picture Life
05.Gotta Go
06.Out Of Control
07.Dead End Street
08.Struck By Lightning
09.Nobody Like You
10.Straight Outta Hell

Line-up
Robert Maid – Bass
Christian Eck – Guitars
Vinnie Stromberg – Drums
Liv Hansson – Vocals

CAPTAIN BLACK BEARD – Facebook

Heavenblast – Stamina

Gli Heavenblast si considerano una band heavy prog, ed in effetti molte delle trame che si ascoltano sull’album si rifanno ad un progressive spinto dalla potenza dell’heavy power, ma i molti cantanti a disposizione, un buon talento per le melodie ed un’attitudine a non lasciare nulla di scontato nel songwriting porta la band ad esplorare con successo diversi modi di suonare musica rock/metal.

Chiudete gli occhi e lasciatevi rapire da queste nove canzoni che vanno a comporre Stamina, ultimo lavoro lontano undici anni dal precedente degli Heavenblast, gruppo originario di Chieti attivo addirittura da metà anni novanta, ma per vari motivi con solo due full length all’attivo in precedenza,: l’esordio omonimo licenziato nel 2003, il precedente Flash Back, datato 2007.

Aiutata da un buon numero di ospiti sia in fase strumentale che al microfono, la band composta dalla cantante Chiara Falasca, dal chitarrista Donatello Menna, dal tastierista Matteo Pellegrini e dal batterista Alex Salvatore dà vita ad un elegante affresco di hard & heavy, partendo dalle molte melodie hard rock, seguite da cavalcate power metal e da bellissime parti progressive per un risultato interessante e dalla non facile lettura.
Gli Heavenblast si considerano una band heavy prog, ed in effetti molte delle trame che si ascoltano sull’album si rifanno ad un progressive spinto dalla potenza dell’heavy power, ma i molti cantanti a disposizione, un buon talento per le melodie ed un’attitudine a non lasciare nulla di scontato nel songwriting porta la band ad esplorare con successo diversi modi di suonare musica rock/metal, sia essa potente e veloce oppure raffinata ed intrisa di umori rock progressivi.
Ne esce un album vario in cui le strade intraprese sono molte e la band gioca a suo modo con le proprie ispirazioni in un caleidoscopio di note dall’alto livello tecnico e qualitativo.
Peccato per una produzione leggermente inferiore alla qualità espressa da brani sorprendenti come Purity, Alice In Psychowonderland, Don’t clean up this blood e la title track, dettaglio che non compromette l’ottima impressione suscitata da questo nuovo lavoro firmato Heavenblast.

Tracklist
1.Mind Introuder
2.Purity
3.Alice In Psychowonderland
4.We Are State
5.The Rovers
6.Don’t Clean Up This Blood
7.Sinite Parvulos Venire Ad Me
8.S.T.A.M.I.N.A.
9.Canticle Of The Hermit

Line-up
Chiara Falasca – Vocals
Donatello Menna – Guitars
Matteo Pellegrini – Keyboards, Piano
Alex Salvatore – Drums

HEAVENBLAST – Facebook

Adramelech – Pure Blood Doom

Una ferale mazzata death metal vecchia scuola, un monolite estremo che non conosce pause, ispirato dai gruppi che misero l’Europa a ferro e fuoco negli anni prima dell’avvento del nuovo millennio.

Band storica della scena death metal finlandese, gli Adramelech non ebbero grossa visibilità, tormentati dai continui cambi di formazione e superati in popolarità da leggende come Amorphis, Demigod ed Impaled Nazarene.

La data di nascita del gruppo è di quelle da brividi : era infatti il 1991, in un periodo nel quale venne scritta la storia del metal estremo nord europeo, mentre nel 1996, dopo un paio di demo ed altrettanti ep, venne licenziato tramite la Repulse di Dave Rotten il debutto sulla lunga distanza Psychostasia.
Ancora due album prima del lungo silenzio non ancora terminato, di cui Pure Blood Doom è il penultimo, ora riproposto completamente rimasterizzato grazie alla Nuclear Abominations records.
Uscito originariamente nel 1999 e seguito sei anni dopo da Terror of Thousand Faces, l’album risulta una ferale mazzata death metal vecchia scuola, un monolite estremo che non conosce pause, ispirato dai gruppi che misero l’Europa a ferro e fuoco negli anni prima dell’avvento del nuovo millennio.
Parliamo di Grave, Vader e Sinister, quindi pochi riscontri con il classico sound finlandese/scandinavo e più in linea con il genere suonato nel centro Europa: Pure Blood Doom non conosce pause, tra mid tempo, riff granitici e atmosfere pesanti ed oscure.
Formato da nove terremotanti tracce che sono lo specchio del death metal suonato negli anni novanta, Pure Blood Doom fu ancora una volta frenato dai problemi interni al gruppo che non consentirono un’adeguata promozione al disco.
Un’ottima occasione per rivalutare l’album e la band finlandese vi viene data dalla Nuclear Abominations Records, quindi è d’obbligo fermarsi un attimo, guardarsi indietro e riscoprire questo gioiello estremo.

Tracklist
1.Centuries of Murder
2.Thule
3.Abomination 459
4.Season of the Predator
5.Thingstead
6.Lord of the Red Land
7.Evercursed
8.The Book of the Black Earth
9.Spawn of the Suffering

Line-up
Jarkko Rantanen – Drums
Jari Laine – Guitars, Bass
Ali Leiniö – Bass, Guitars, Vocals

https://www.facebook.com/Adramelech-216261348385371/

Descrizione Breve
Uscito originariamente nel 1999 e seguito sei anni dopo da Terror of Thousand Faces, l’album risulta

Autore
Alberto Centenari

Voto
75

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Death Metal 7.50

Derdian – DNA

DNA va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni, ma un’opera che ancora una volta conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Come mia abitudine vado contro il trend che vuole il metal in crisi qualitativa: anche quest’anno le opere che hanno arricchito le discografie degli amanti dei suoni classici non mancano di certo, magari meno glorificate dagli addetti ai lavori rispetto agli anni d’oro, ma pur sempre in grado di risplendere sugli scaffali degli ormai “pochi” negozi di settore.

Per quanto riguarda l’ormai sfavillante scena tricolore direi che mancavano proprio i Derdian a spingere il power progressive metal verso un altro anno da ricordare e, puntualmente, il gruppo milanese è tornato con questo nuovo monumentale lavoro dal titolo DNA.
Due cosine risaltano subito all’attenzione di chi con mano tremante infilerà il dischetto ottico nel lettore: il ritorno dietro al microfono di Ivan Giannini, uno dei singer più dotati della scena e l’uscita in regime di autoproduzione, davvero strano per un gruppo da oltre vent’anni in pista con album di altissima qualità ed un passato alla corte della storica label Magna Carta.
D’altronde anche DNA conferma l’assoluto valore di questa nostra splendida realtà, un gruppo che dal 2014, anno di uscita di Human Reset, ha infilato tre straordinarie opere come appunto Human Reset, Revolution Era (con Giannini temporaneamente sostituito da vocalist come Fabio Lione, Ralph Scheepers, Henning Basse e Terence Holler, tanto per nominarne alcuni) ed ora questo monumento al power prog sinfonico di oltre un’ora di saliscendi emozionali, cavalcate power, spettacolari trame progressive, il tutto nella più assoluta armonia e varietà stilistica con il sestetto che passa dal power al prog, dal folk all’hard & heavy, da atmosfere epiche ad parti swing ed ariose armonie dove le melodie sono regine incontrastate con una naturalezza straordinaria.
DNA è tutto qui, se vi basta, magari per convincervi andate direttamente alla traccia sette, quella Elohim che stupisce con lo swing che spezza l’epica cavalcata in crescendo; ma l’album va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni; un’opera che con l’aiuto di piccoli capolavori come la title track, Never Born, Red And White o Part Of This World conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Tracklist
1.Abduction
2.DNA
3.False Flag Operation
4.Never Born
5.Hail to the Masters
6.Red and White
7.Elohim
8.Nothing Will Remain
9.Fire from the Dust
10.Destiny Never Awaits
11.Frame of the End
12.Part of This World
13.Ya nada cambiara

Line-up
Enrico “Henry” Pistolese – Guitars, Vocals (backing)
Salvatore Giordano – Drums
Marco “Gary” Garau – Keyboards
Dario Radaelli – Guitars
Marco Banfi – Bass
Ivan Giannini – Vocals

DERDIAN – Facebook

Walkyrya – The Invisible Guest

Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya.

I Walkyrya, band in arrivo dalla provincia di Potenza, firmano per Time To Kill Records dopo tre album autoprodotti (il debutto omonimo licenziato nel 2002, The Banished Story uscito nel 2005, ed il precedente End Line datato 2015) e rilasciano il quarto lavoro di una carriera nata sul finire degli anni novanta e caratterizzata da un sound che ad ogni album ha cambiato pelle, arrivando a quello massiccio e pregno di groove di The Invisible Guest.

I “nuovi” Walkyrya suonano un thrash metal che alterna influenze classiche ed ispirazioni moderne, con un growl che a tratti si avvicina per impatto a quello usato nel death, per poi virare su fronti più melodici che non lasciano dubbi sull’impatto e la potenza di questa nuova raccolta di brani ricchi di refrain e chorus dal piglio classico ed attitudine live.
I Walkyrya affrontano il genere di petto, brani come l’opener Black Hills o All The Time ci presentano un quartetto che, senza andare troppo per il sottile, ci travolge con un muro di note dal groove micidiale, non mancando di velocizzare quel tanto che basta le ritmiche per omaggiare il thrash tradizionale.
Evil Clown ed Out Of Brain, altre due bombe lanciate sulle nostre teste dal gruppo, evidenziano le molte influenze che fatte proprie per dare vita a The Invisible Guest, partendo da Testament e Metallica per passare a Black Label Society e Pantera.
Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya; non perdete tempo e fatelo vostro, soprattutto se siete amanti delle band che hanno ispirato la band lucana.

Tracklist
1. Black Hills
2. Open Grave
3. All The Time
4. Drive Angry
5. Evil Clown
6. Venom Tears
7. Out Of Brain
8. March Or Die

Line-up
Vince Santopietro – vocals
Federico Caggiano – Guitar, chorus
Arcangelo Larocca – Bass
Tiziano Casale – Drums

WALKYRYA – Facebook

Euphoreon – Ends Of The Earth

Primi In Flames e Dark Tranquillity, Children Of Bodom e tanto heavy metal: Ends Of The Earth convince dall’alto di un’ottima alchimia tra la tradizione classica e quella più estrema, con atmosfere incentrate su epiche cavalcate metalliche ed oscure trame estreme.

La scena melodic death metal continua a sfornare album classici, anche se il trend di questi ultimi anni tende a modernizzare il sound, avvicinandolo come impatto al metalcore per renderlo il più americano possibile.

Se questo sia un male o un bene non sta a noi giudicare tra le righe di questo articolo, atto a presentare questo duo formato da Eugen Dodenhoeft (basso, voce, chitarra ritmica e batteria) e Matt Summerville (chitarra solista e voce) che, sotto il monicker Euphoreon, ci fa partecipi di un ottimo esempio di death metal melodico ed heavy, assolutamente focalizzato sul metal più classico ed epico.
Primi In Flames e Dark Tranquillity, Children Of Bodom e tanto heavy metal: Ends Of The Earth convince dall’alto di un’ottima alchimia tra la tradizione classica e quella più estrema, con atmosfere incentrate su epiche cavalcate metalliche ed oscure trame estreme.
Sette lunghi brani vengono attraversati da umori elettrici di natura estrema ed armonie che valorizzano la scalata al monte Fato, epico traguardo che i nostri eroi raggiungono spinti dalla forza di brani come l’opener Euphoria o Zero Below The Sun.
Mirrors, brano top di questo lavoro, vive di umori orchestrali che fanno da tappeto al death/power del duo, così come la notevole Oblivion e il gran finale heavy metal di The Grand Becoming.
La voce non si schioda (fortunatamente) da un growl classico e il sound, nel suo essere estremamente melodico non manca di impatto e potenza, rendendo così Ends Of The Earth un lavoro pienamente riuscito e consigliato agli amanti del death metal melodico di stampo classico.

Tracklist
1.Euphoria
2.Ends of the Earth
3.Zero Below the Sun
4.Mirrors
5.Cravenness
6.Oblivion
7.The Grand Becoming

Line-up
Eugen Dodenhoeft – Bass, Guitars (rhythm+lead), Drums
Matt Summerville – Guitars (lead), Vocals

EUPHOREON – Facebook

Tortharry – Sinister Species

Se vi piace il genere e non ascoltate praticamente altro, i Tortharry sono una band che non tradisce e vi regalerà mezzora abbondante in compagnia del suo death metal d’assalto di scuola Suffocation, Bloodbath e Dying Fetus.

Torna dopo cinque anni dall’ultimo devastante lavoro un nome storico della scena estrema est europea, magari poco conosciuto se non ai fans incalliti del death metal, ma attivo dai primi anni novanta.

Si chiamano Tortharry, sono un terzetto che vede la luce nel 1991, anno in cui rilasciano il primo demo, mentre l’esordio sulla lunga distanza vede la luce tre anni dopo.
E’ il 1994 infatti quando cui la band licenzia When the Memories Are Free, primo di una serie di sette lavori con cui arrivano al 2013, anno di uscita dell’ultimo Follow, predecessore di questo macigno estremo e brutale intitolato Sinister Species.
Niente di clamoroso si intende, ma assolutamente valido sotto l’aspetto dell’impatto che non si attenua per tutta la durata di un’opera che si avvicina al brutal ma mantiene i piedi ben saldi nel death metal old school.
Martin “Lemy” Vacek (basso), Dan “Heatley” Pavlík (chitarra e voce) e Jiří “Panther” Rosa (batteria) il loro mestiere lo sanno fare, su questo non ci sono dubbi, magari peccano nel seguire la stessa formula in ogni brano, ma il genere è questo, i tre musicisti danno l’anima e Sinister Species risulta così il classico lavoro per chi ama il genere e non ascolta praticamente altro.
I Tortharry sono una band che non tradisce e vi regalerà mezzora abbondante in compagnia del suo death metal d’assalto di scuola Suffocation, Bloodbath e Dying Fetus: promossi con sufficienza piena.

Tracklist
1.Intro
2.Odd Man Out
3.False Superiority
4.Crossroads
5.Without a Break
6.By Devil’s Side
7.Self-Sale
8.Perpetual Delay
9.Deceitful Sermons
10.Sinister Species

Line-up
Martin “Lemy” Vacek – Bass, Vocals (backing)
Dan “Heatley” Pavlík – Vocals, Guitars
Jiří “Panther” Rosa – Drums

TORTHARRY – Facebook

Craneium/Black Willows – Split

Licenziato in una splendida versione in vinile bianco e in edizione limitata dall’etichetta genovese, questo ottimo split ci presenta due modi diversi di approcciarsi allo stoner/doom metal, genere che di questi tempi incontra i favori degli appassionati.

Split di spessore marchiato BloodRock Records con due realtà europee che si muovono nel magma sonoro di ispirazione stoner/doom, i finlandesi Craneium e gli svizzeri Black Willows.

Il quartetto di Turku, attivo dal 2011, arriva a questo split dopo un ep, un primo split con i 3rd Trip ed il debutto sulla lunga distanza intitolato Explore The Void, uscito tre anni fa.
La proposta del gruppo è un classico stoner /doom dalle influenze che alternano ispirazioni sabbathiane e rock desertico suonato nella Sky Valley, quindi anni settanta e novanta che si incontrano nel nord Europa per una jam stonata e fumosa, tra chitarroni fuzz e riff hard & heavy.
La band finlandese non risparmia un tocco melodico ed un approccio “statunitense” che lascia sensazioni positivi, anche a chi non è avvezzo alla parte più underground del genere.
Due tracce (Your Law e Try, Fail, Repeat) bastano ai Craneium per convincere ed essere aggiunti alla lunga lista delle band da seguire.
Discorso diverso per Bliss, lungo rituale psichedelico suonato dagli svizzeri Black Willows, formazione di Losanna con due full length alle spalle: il debutto uscito nel 2013, intitolato Haze, e Samsara, secondo lavoro su lunga distanza licenziato un paio di anni fa.
Shamanic rock’n’roll lo chiamano loro, certo è che Bliss risulta una lunga ed inesorabile jam nella quale lentamente la nostra mente abbandona il mondo terreno per confondersi tra la lava doom che il combo lascia scivolare, un denso fiume che nasce dagli strumenti per scendere verso valle bruciata e dall’incedere che ricorda a tratti gli Electric Wizard.
Sicuramente più ostico che quello dei loro colleghi, il sound del gruppo svizzero risulta un potentissimo esempio di doom metal psichedelico, monumentale e dall’impatto sonoro e concettuale notevole.
Licenziato in una splendida versione in vinile bianco e in edizione limitata dall’etichetta genovese, questo ottimo split ci presenta due modi diversi di approcciarsi allo stoner/doom metal, genere che di questi tempi incontra i favori degli appassionati.

Tracklist
Side A
1.Craneium – Your Law
2.Craneium – Try, Fail, Repeat

Side B
3.Black Willows – Bliss

Line-up
Craneium:
Axel Vienonen – Bass, Vocals (track 2)
Joel Kronqvist – Drums
Andreas Kaján – Guitars, Vocals (track 1)
Martin Ahlö – Guitars

Black Willows:
Sacha Ruffieux -Bass
Don Schpak – Drums
Aleister Crowley – Vocals, Guitars

CRANEIUM – Facebook

BLACK WILLOWS – Facebook

Moanhand – Fawn

L’inizio dell’avventura nel mondo della musica estrema underground è iniziato e per i Moanhand le premesse per fare bene ci sono tutte.

Esordio per questa one man band russa chiamata Moanhand, creatura doom/sludge, black, hardcore metal del giovane musicista e compositore Roman Filatov.

Fawn è un ep di quattro brani che si nutrono di questa manciata di generi estremi creando un particolare sound, un’altalena infernale che oscilla tra lo sludge /doom dell’opener Mark The Plaguehand, con una buona ed evocativa voce pulita, e le sferzate black metal della potentissima Jeweled Claws, brano che continua la ricerca di Filatov della chiave che unisce sludge e black metal.
Con Raptured i toni si fanno ancora più estremi: una devastante sferzata black metal, che ricorda gli act scandinavi, mentre lo strumentale conclusivo Tower Of Dirt solca strade progressive e post hardcore.
Il coraggio non manca di sicuro al musicista russo, Fawn convince anche per la buona produzione che permette di ascoltare perfettamente le varie ispirazioni che Filatov ha assemblato nel sound creato.
L’inizio dell’avventura nel mondo della musica estrema underground è iniziato e le premesse per fare bene ci sono tutte: sicuramente ascoltare un solo brano del lavoro non permette d’avere un quadro preciso del credo musicale dei Moanhand, quindi il consiglio è di ascoltare Fawn in tutta la sua interezza.

Tracklist
1. Mark The Plaguehand
2. Jeweled Claws
3. Raptured
4. Tower Of Dirt (instrumental)

Line-up
Roman Filatov – vocals, guitars, bass

Konstantin Sigua – additional guitars
Nikolay Kirutin – drums on “Tower Of Dirt”

MOANHAND – Facebook

Nebelhorn – Urgewalt

Una lunga intro orchestrale ci invita a fare quattro passi nel mondo antico e fiero di questo polistrumentista tedesco; il sound proposto ricalca i cliché del viking metal, quindi l’album è composto da sette brani tirati, epici e battaglieri, con le classiche cavalcate in cui ritmiche black fanno da struttura al clima guerresco dei brani.

I Nebelhorn sono la one man band del guerriero Wieland, aiutato in questi anni da vari musicisti nel completare le sue opere ma fiero avventuriero solitario tra le foreste delle terre germaniche.

Il progetto, attivo dal 2004, ha visto Nelbelhorn protagonista di un primo ep e due full length prima di prendersi una lunga pausa e tornare dopo undici anni con il nuovo album intitolato Urgewalt.
Una lunga intro orchestrale ci invita a fare quattro passi nel mondo antico e fiero di questo polistrumentista tedesco; il sound proposto ricalca i cliché del viking metal, quindi l’album è composto da sette brani tirati, epici e battaglieri, con le classiche cavalcate in cui ritmiche black fanno da struttura al clima guerresco dei brani.
Cantato rigorosamente in lingua madre, Urgewalt è il classico lavoro ben fatto e stimolante per gli amanti del genere.
Boschi imbiancati sporcati dal sangue dei soldati, capanne di villaggi bruciate sulla riva di torrenti cristallini dove i cadaveri vengono portati a valle dalla corrente, erba schiacciata dal peso delle armature e spade spezzate conficcate nel pesanti scudi, sono le immagini che evocano brani metallici ed epici come la title track, Ägirs Zorn o la furia estrema sprigionata da Muspellheim .
Le influenze sono quelle dei soliti gruppi storici a cui tutti si ispirano in quest’ambito, Bathory in testa, e  l’album scorre piacevole senza grossi colpi di scena, ma mantenendo comunque una buona qualità, con Wieland e la sua creatura che non mancheranno di soddisfare la voglia di sangue e battaglie epiche degli amanti del viking metal d’assalto.

Tracklist
1.Auf Bifrösts Rücken
2.Urgewalt
3.Ägirs Zorn
4.Wilde Jagd
5.Muspellheim
6.Auf neue Lande
7.Funkenflug
8.Freyhall

Line-up
Wieland – All Instruments

NEBELHORN – Facebook