Come preannunciato all’inizio dell’estate, l’attività di MetalEyes è cessata ufficialmente dal 31 agosto con la pubblicazione dell’ultima recensione.
Il sito rimarrà comunque online ancora per un periodo non quantificabile (la cosa non dipende più da noi ma chi lo cura dal punto di vista informatico) e quindi chi vorrà potrà sempre avere accesso agli oltre tremila articoli ivi contenuti.
Con l’occasione ribadiamo che, ovviamente, qualsiasi richiesta che ci perverrà non verrà più esaudita e che, di conseguenza, se non si risponde non è per mera scortesia ma sostanzialmente solo perché la notizia della nostra chiusura è di dominio pubblico da oltre due mesi e chi di dovere ha avuto tempo e modo d’esserne messo al corrente.
Per quanto ci riguarda, sarà sempre un piacere presenziare ai concerti e ovunque ci sia “musica che gira intorno”, più avanti… chissà.
Grazie di nuovo a tutti i voi per il sostegno fornitoci in questi tre anni.
Autore: admin
Esogenesi – Esogenesi
I quattro lunghi brani, inframmezzati da un breve strumentale, testimoniano in ogni frangente lo spessore già ragguardevole raggiunto dagli Esogenesi al loro primo passo, sicuramente non più lungo della gamba in quanto preparato con tempi debitamente lunghi come si conviene a chi si dedica ad un genere per sua natura antitetico a tutto ciò che appare frettoloso o superficiale.
E’ arrivato così il momento di sedersi un’ultima volta davanti a una tastiera cercando di raccontare su MetalEyes, a chi abbia voglia di leggere, tutta la gamma di sensazioni e riflessioni che scaturiscono dall’ascolto di un disco.
Quello in questione è l’esordio dei milanesi Esogenesi, giovane band che sceglie di cimentarsi nel genere più anticommerciale per antonomasia in ambito metal, come è il doom nella sua veste più estrema.
La ricerca di un’espressione artistica “impopolare” conferisce ai nostri quella dose di peculiarità che, per i motivi che ho già spiegato diverse volte, non va ricercata in questa dolente nicchia musicale e, quindi, neppure si evince dal contenuto musicale di un lavoro che trae linfa dalla tradizione del death doom rielaborandone i dettami con una competenza degna dei veterani della scena e con una convinzione ed efficacia che non lasciano mai alcun dubbio sulla riuscita delle operazione.
Infatti Esogenesi è un album roccioso, a tratti crudo, strettamente basato sull’intreccio tra le chitarre ed una base ritmica che viene portata in grande evidenza negli schemi compositivi esibiti dalla band lombarda; se, da un lato, non troviamo particolari concessioni ad aperture atmosferiche, non si rinviene neppure uno sbilanciamento eccessivo verso l’asprezza del death: il risultato è conseguentemente caratterizzato da un magistrale equilibrio delle componenti chiamate in causa, in virtù di un riffing pesante e cadenzato ma non del tutto scevro di una sua idea melodica, sebbene ben racchiusa da uno spesso bozzolo attraverso il quale talvolta si fa spazio tramite notevoli passaggi di chitarra solista (vedere il finale della magnifica Decadimento Astrale) o momenti delicatamente rarefatti (il primo minuto e mezzo di Esilio Nell’Extramondo).
Come si può intuire anche dal titolo del brano appena citato, il concept degli Esogenesi ruota attorno al significato del loro monicker ed è quindi legato a tematiche che che travalicano i confini terreni per veleggiare negli infiniti spazi dell’universo (con testi in italiano violentati dal profondo growl di Jacopo Marinelli); nonostante questo, il death doom proposto non si ammanta di un’aura cosmica o psichedelica, ed è proprio per la sua efficace essenzialità e ortodossia che l’operato del quartetto differisce da quello di altre realtà contigue al genere nella nostra penisola come (Echo), Plateau Sigma, Il Vuoto o Fuoco Fatuo, tutte in un modo o l’altro orientate ad inserire nel proprio sound suggestioni tipiche del post metal oppure pulsioni prossime al funeral (specie gli ultimi).
I quattro lunghi brani, inframmezzati dal breve strumentale …Oltregenesi…, testimoniano in ogni frangente lo spessore già ragguardevole raggiunto dagli Esogenesi al loro primo passo, sicuramente non più lungo della gamba in quanto preparato con tempi debitamente lunghi come si conviene a chi si dedica ad un genere per sua natura antitetico a tutto ciò che appare frettoloso o superficiale: il quintetto milanese si va ad aggiungere ai nomi citati (e ad altri che ho tralasciato) andando a rimpolpare una scena funeral/death doom che in Italia sta finalmente cominciando ad assumere le sembianze di un movimento a tutti gli effetti e non più l’isolato frutto della sensibilità artistica di uno sparuto manipolo di musicisti.
Nota a margine dell’articolo:
Come anticipato nelle prime righe, questa è l’ultima recensione che viene pubblicata sulle pagine virtuali di MetalEyes, e personalmente, mi piace l’idea di aver chiuso questa avventura parlando di una band all’esordio che continua ad alimentare il genere che più amo. Doom on!
Tracklist
1.Abominio
2.Decadimento Astrale
3….Oltregenesi…
4.Esilio Nell’Extramondo
5.Incarnazione Della Conoscenza
Line up
Jacopo Marinelli – Vocals, lyrics
Ivo Palummieri – Lead Guitar
Davide Roccato – Rhythm Guitar
Carlo Campanelli – Bass
Michele Adami – Drums
GAME OVER
A poco meno di 3 anni dal momento in cui MetalEyes ha mosso i primi passi è arrivato il momento di mettere la parola fine a questa avventura; paradossalmente questo avviene proprio in un momento in cui la nostra webzine si è ritagliata un suo spazio e con un numero di contatti in lenta ma costante crescita, ma non sono solo questi i parametri sui quali si devono basare le proprie decisioni quando arriva il momento di prenderle.
Per noi tre (Alberto Centenari, Massimo Argo ed il sottoscritto), infatti, MetalEyes aveva da tempo cessato d’essere un hobby con tutti i crismi per trasformarsi in un vero e proprio lavoro non retribuito, un qualcosa forse di gratificante nei primi tempi, quando l’entusiasmo ha relegato in secondo piano qualsiasi aspetto negativo, ma che alla lunga ci ha imposto di fare i conti con il tempo sottratto alle normali attività quotidiane al di fuori del lavoro (quello vero).
in buona sostanza, la creatura alla quale abbiamo dato vita ha finito per assumere il controllo delle nostre vite, dettandoci i tempi e facendoci percepire come un compulsivo obbligo quello che altro non sarebbe dovuto essere se non una libera scelta.
Negli ultimi tempi abbiamo provato a ritarare i nostri obiettivi, ma questo non è valso, se non per poco tempo, a sgravarci di quella stanchezza, soprattutto mentale, che nel momento in cui è stata messa a fattor comune non ci ha lasciato altra scelta che la chiusura, dolorosa per certi versi ma liberatoria per altri.
Del resto proprio il nostro spirito di servizio nei confronti degli appassionati musica e, di riflesso, dei musicisti in primis e poi delle etichette e delle agenzie che ci proponevano incessantemente materiale da recensire, ci ha portati a raggiungere livelli quantitativi (e si spera anche qualitativi) tali da impedire un possibile passo indietro.
La gestione di un sito così strutturato, con centinaia di mail settimanali alle quali rispondere o dare seguito in un senso o nell’altro, la correzione delle bozze, la pianificazione delle uscite giornaliere, il feedback a tutti gli attori coinvolti dopo ogni recensione più altri annessi e connessi, necessitava ormai di qualcuno che potesse seguirne l’andamento a tempo pieno o quasi e visto che farlo gratis ha un che di masochistico, a meno che non si sia sgravati da impegni lavorativi, la decisione presa è stata inevitabile.
L’innaturale senso di liberazione da noi provato in queste settimane in cui ci stiamo limitando a pubblicare poco per volta le recensioni ancora giacenti è stata la riprova di quanto tale scelta sia stata fin troppo a lungo procrastinata; inoltre, la possibilità di ascoltare nuovamente musica godendosela senza avere l’impellente necessità di scrivere una recensione è un qualcosa di impagabile …
Questi tre anni di attività ci hanno lasciato in eredità comunque molte cose positive, a partire dalla possibilità di conoscere persone con le quali è nata una vera e propria amicizia o si è palesata una forma di reciproca stima sul piano personale; abbiamo avuto la possibilità di ascoltare dischi che, probabilmente, sarebbero sfuggiti ai nostri radar di comuni appassionati, ma abbiamo anche constatato come ormai l’offerta sia incommensurabilmente superiore alla richiesta, sia a livello discografico che sotto forma di eventi dal vivo.
La scena rock e metal italiana, almeno per quanto riguarda quella ancora definibile underground, possiede un enorme potenziale dal punto di vista qualitativo ma deve far i conti con la realtà di una nazione in forte regressione dal punto di vista culturale (non solo musicalmente) e con un movimento che, invece di farsi coeso per avere maggior forza, è frammentato e afflitto da ripicche, gelosie e da tutto quel campionario di piccolezze che il maestro Battiato avrebbe liquidato con la frase “quante stupide galline che si azzuffano per niente” …
Questo al netto di quei pochi che provano meritoriamente a valorizzare quanto viene prodotto all’interno della nostra nazione (porto ad esempio realtà come Facciamo Valere il Metallo Italiano di Silvia Agnoloni, Band Rock e Metal Italiane di Caterina Zarpellon ed il programma radiofonico Overthewall di Mirella Catena, al quale ho personalmente contribuito fino a qualche tempo fa con una rubrica settimanale) ai quali va tutta la nostra stima e l’incoraggiamento a proseguire su questa strada, nonostante spesso ciò rischi di sembrare un’impari lotta contro i mulini a vento.
In conclusione, non possiamo che ringraziare Massimo Pagliaro, Davide Arecco e Michele Massari, che hanno collaborato con noi fino alla fine, e tutti coloro i quali ci hanno sempre sostenuto e gratificato con il loro apprezzamento (tra tutti cito Alberto Carmine di Doom Heart, al quale non verrà meno la nostra partnership, per quanto postuma, al suo festival previsto il prossimo 2 novembre), senza dimenticare Simone Benerecetti che, oltre ad essere l’anima di In Your Eyes (la nostra prima casa), ha progettato e seguito in questi anni la funzionalità del sito.
A questo punto è sottinteso che tutto il materiale che ci verrà inviato non sarà più preso in considerazione: lo diciamo soprattutto ad uso e consumo di chi ha sempre optato per l’invio in formato fisico, cosa che ha pur sempre un costo, poco o tanto che sia.
Più o meno fino a tutto agosto continueremo con qualche pubblicazione giornaliera di recensioni residuali, dopo di che torneremo a rivestire i nostri abituali panni di “normali” malati di musica; non sappiamo se il futuro ci riserverà qualche nuova avventura, assieme o singolarmente: di sicuro, almeno per quanto riguarda Genova e il Nord Ovest, ci troverete a qualche concerto o, comunque, in occasione di quegli eventi capaci di radunare tutte quelle persone che, come noi, considerano la musica molto più di un semplice passatempo.
Grazie ancora per il vostro supporto.
Stefano Cavanna
English version
A little less than 3 years from the moment in which MetalEyes took its first steps, the time has come to close to this adventure; paradoxically this happens in a phase when our webzine has carved out its own space and the number of contacts is in slow but constant growth, but these are not the only parameters to take a decision when comes the time to do it.
For us three (Alberto Centenari, Massimo Argo and myself), in fact, MetalEyes had long ceased to be an hobby to become a real unpaid job, something perhaps gratifying in the early times, when enthusiasm has relegated any negative aspect into the background, but that later has saturated our free time outside of our job (the real one).
In essence, our creation took control of our own lives, dictating the times and making us perceive as a compulsive duty what should have been just a free choice.
In recent times we have tried to recalibrate our goals, but this has only raised for a short time that fatigue, mental above all, which when it emerged simultaneously has left us with this choice, surely painful but also liberating.
Moreover our spirit of service towards music lovers and, consequently, of musicians first and then of labels and agencies that offered us incessantly material to review, led us to reach quantitative levels (and hopefully also qualitative ) such as to debar a possible step backwards.
The management of a so structured site, with hundreds of weekly emails to answer or to sort out, the proofreading, the daily issues planning, the feedback to send to all the actors involved after each review and countless other aspects yet, needed someone who could follow the progress full-time or almost and, since doing so without remuneration has something of masochistic, unless one is completely free by other work commitments, the decision taken was unavoidable.
The unnatural sense of liberation we felt in these weeks, in which we limited ourselves to publishing the still lying reviews, has been proof how this choice has been delayed for too long time; the opportunity to listen to music again without the urgent need to write a review is really priceless…
These three years of activity have left us a lot of positive things, starting from the possibility to know people with whom a true friendship or a form of mutual esteem on a personal level was born; we had the chance to listen to records that probably would have escaped by our radar, but we also discovered that today the offer is immeasurably superior to the demand, both records and live events.
Particularly, the Italian rock and metal scene, at least as far as the still definable underground is concerned, has enormous potential in terms of quality but has to deal with the reality of a nation in strong cultural regression (not only musically) and with a movement that, instead of becoming cohesive to have more strength, is fragmented and plagued by resentments, jealousies and all the pettiness that the master Battiato would have liquidated with the phrase “how many stupid hens that fight for nothing” …
This net of those few who meritoriously try to exploit what is produced within our nation, such as Silvia Agnoloni’s Facciamo Valere Il Metallo Italiano FB page, Caterina Zarpellon’s Band Italiane Rock e Metal FB page and Mirella Catena’s Overthewall radio program , to which I have personally contributed with a weekly column: all our esteem and our encouragement to continue on this path goes to them, despite the fact that often this risks seeming an unequal struggle against windmills.
In conclusion, we can only thank Massimo Pagliaro, Davide Arecco and Michele Massari, who have worked with us until the end, and all those who have always supported and gratified us with their appreciation (among all I quote Alberto Carmine of Doom Heart, to which our partnership, however posthumously, will not fail at its festival scheduled for next november), without forgetting Simone Benerecetti who, in addition to being the soul of In Your Eyes (our first home), has designed the site taking care of its operation.
At this point it’s obvious that all the material that will be sent to us will no longer be taken into consideration: we say it above all for those who have always opted to send in physical format, which still has a cost.
More or less until the end of August we will continue with some daily publication of residual reviews, after which we will return to play our usual role of simple music lovers; we don’t know if the future will reserve us some new adventure, together or individually: for sure, at least as far as Genoa and the North West of Italy are concerned, you will find us at some concerts or, in any case, in occasion of those events capable of gathering all those people who, like us, consider music much more than just a simple diversion.
Thanks again for your support.
Stefano Cavanna
Saint Vitus – Saint Vitus
Il Saint Vitus bis è un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.
Tra le tante band storiche decise a marcare nuovamente il territorio con un disco di inediti in questo periodo troviamo anche i Saint Vitus, nome che sta di diritto sul podio all time in ambito classic doom.
Autointitolare il disco, soprattutto se lo si è già fatto all’esordio trentacinque anni fa, può voler dire molte cose, come la chiusura del cerchio e quindi di un lungo percorso artistico oppure il simboleggiare un nuovo inizio, considerando che oltre a Dave Chandler qui alla voce possiamo nuovamente ascoltare l’altro membro fondatore Scott Reagers.
Personalmente questa è la configurazione che ho sempre preferito nei Saint Vitus, più ancora di quella comunque inattaccabile con Wino al microfono, e non è un caso che il mio album preferito sia alla fine Die Healing.
Questo ovviamente predispone ad un ascolto con occhi meno critici e molto più benevolo, ma del resto a questi arzilli sessantenni c’è ben poco da rimproverare visto che la loro interpretazione del genere è impeccabile, nonostante in più di un caso si provi ad uscire da schemi predefiniti, e il blues che sgorga da Hour Glass e il furioso punk hardcore della conclusiva Useless ne sono la più concreta testimonianza.
Chandler continua a proporre riff micidiali anche quando i brani prendono una strada più lisergica (A prelude…) e in generale l’album non delude in virtù anche di cavalcate che possono apparire scontate solo a chi conosce il doom in maniera superficiale.
Il Saint Vitus bis è quindi un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.
Tracklist:
1. Remains
2. A Prelude to…
3. Bloodshed
4. 12 Years in the Tomb
6. Hour Glass
7. City Park
8. Last Breath
9. Useless
Line-up:
Dave Chandler Guitars
Scott Reagers Vocals
Henry Vasquez Drums
Pat Bruders Bass
https://www.facebook.com/saintvitusofficial
Mörmo – Siluetas
I Mörmo sono autori di un buonissimo stoner doom, sporco, efficace, ancorato alla tradizione, fangoso il giusto e con una dose opportuna di psichedelia ad infiorettare il tutto.
L’etichetta ucraina Loneravn Record si è specializzata nel recuperare realtà sepolte nel più profondo sottobosco dell’undeground metallico, per lo più andando a recuperare uscite in formato demo e fornendo loro una nuova possibilità di giungere alle orecchie degli appassionati più attenti.
In questo caso viene riproposto Siluetas, lavoro d’esordio degli argentini Mörmo, uscito appunto come demo lo scorso anno; il trio di La Plata è autore di un buonissimo stoner doom, sporco, efficace, ancorato alla tradizione, fangoso il giusto e con una dose opportuna di psichedelia ad infiorettare il tutto.
A parte la title track, che dei cinque brani offerti è quello forse più orientato ad una forma canzone canonica, le altre tracce mettono in mostra una gamma di soluzioni piuttosto interessanti e sempre abbastanza ficcanti, sia quando il sound rallenta sia quando invece si fa più aspro e al contempo lisergico.
Soprattutto Catabasis e El principio del fin, a mio avviso, sono lo specchio delle buone doti di questi tre ragazzi, la prima con il suo incipit in quota post metal e la seconda sviluppata come una sorta di psichedelica jam con tanto di pregevoli parti di chitarra solista prodotte da Gonzalo Soria.
Il cantato in lingua madre offerto da quest’ultimo magari non è il punto di forza della proposta, ma tutto sommato resta tranquillamente all’interno del range di accettabilità del genere, e comunque non è quasi mai questo l’aspetto preponderante quando lo stile musicale è lo stoner doom.
Fa piacere constatare, grazie a questa valida opera prima dei Mörmo, l’emergere di qualche nuova band di prospettiva da un paese grande come l’Argentina che, per quanto riguarda il metal sudamericano , attualmente non regge il confronto non solo con la scena brasiliana ma neppure con quella cilena.
Tracklist:
1. Siluetas
2. Puerta negra
3. Catabasis
4. Sacrificio
5. El principio del fin
Line-up:
Nicolás Reggiardo – Bass
Rodrigo Carlos – Drums
Gonzalo Soria – Guitars, Vocals
Burial In The Woods – Church of Dagon
Burial In The Woods diviene, grazie a questo primo passo discografico, un altro dei nomi da tenere sotto stretta osservazione in ambito doom, stante l’incedere strisciante, disturbante ma al contempo ricco di oscuro fascino.
Burial In The Woods è il nome del nuovo progetto di Gerileme, musicista tedesco noto anche per la sua attività solista con l’altro monicker Asche der Welten.
Se in quel caso il genere proposto gravita in ambito black/ambient, con Church Of Dagon il nostro esplora le tematiche lovecratftiane con il genere d’elezione che il doom metal.
Questo lavoro presenta più di un motivo di interesse visti i diversi elementi che vanno alimentare la struttura di un sound che, volendo esemplificare al massimo, rappresenta una sorta di ideale punto di confluenza fra i Doomed del connazionale Pieere Laube, i Monolithe e tutte le altre band che, nel genere, utilizzano l’organo quale strumento portante, partendo dagli imprescindibili Skepticism, passando per i Profetus e sfiorando in più di un passaggio anche gli Abysmal Grief.
Forbidden Pages apre l’album in maniera arcigna, lasciando ad un lavoro chitarristico dai tratti vagamente orientaleggianti il compito di delineare un sound che si fa ben più avvolgente grazie al dominio dell’organo nella splendida e prevalentemente strumentale Ecclesia Dagoni.
Growing Shadows appare una sorta di sintesi tra i brani precedenti, con i due strumenti chiave che si alternano nel condurre un brano che, come gli altri possiede, una forte connotazione orrorifico/liturgica, in ossequio al titolo dell’album.
La conclusiva traccia, Gölgeler Alemi, dura da sola quanto le tre precedenti messe assieme, ovvero circa 25 minuti, e rappresenta la rielaborazione di un brano che lo stesso Gerileme pubblicò nel 2008 in occasione dell’unico album dei Negatum, Suizid – Der Gedanken Schattenspiele: si tratta di un’interminabile quanto notevole litania, con un breve testo in turco che si sposa alla perfezione con il resto del lavoro, a dimostrazione del buon talento compositivo che esibito nell’intera opera.
Burial In The Woods diviene, così, grazie a questo primo passo discografico, un altro dei nomi da tenere sotto stretta osservazione in ambito doom, stante l’incedere strisciante, disturnìbante, ma al contempo ricco di oscuro fascino che dovrebbe attecchire agevolmente nei confronti degli appassionati che apprezzano le band citate nel orso dell’articolo.
Tracklist:
1. Forbidden Pages
2. Ecclesia Dagoni
3. Growing Shadows
4. Gölgeler Alemi
Line-up:
Gerileme
LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: AIRBORN
Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni domenica alle 21.30 su Witch Web Radio.
Questa volta è il turno degli Airborn.
MC Con noi Alessio Perardi voce e chitarra degli Airborn.
Le radici della band affondano già negli anni 90. Ci parli degli inizi degli Airborn e da dove avete tratto ispirazione per il nome della band?
La band è nata nel 1995 e l’ispirazione per il nome viene dal titolo di un brano di Mike Oldfield tratto dall’album Platinum. Il nucleo principale degli Airborn, composto da me, il bassista originale Alberto Leschi e il chitarrista Roberto Capucchio, è stato l’inizio di tutto. Dopodiché sono venuti i primi demo, la formazione completa col batterista Tony Serra e dopo qualche anno il debutto con l’album Against The World.
MC Nel 2009 la band rinasce con una nuova line up. Quali sono stati i cambiamenti più significativi rispetto la formazione precedente?
Dopo il nostro secondo album D-Generation la formazione ha subito l’unico cambiamento in quasi 25 anni, cosa abbastanza incredibile. Dall’album Legend Of Madog in avanti, entrano Domenico Buratti al basso e Roberto Gaia alla batteria. Una ventata di gioventù e una nuova sezione ritmica! Secondo me con questa formazione abbiamo trovato la combinazione perfetta sia a livello musicale che umano. Ormai da oltre 10 anni!
MC Lizard Secrets – Part One è l’ultimo album da voi pubblicato nel 2018. Il titolo lascia presagire che ci sarà un seguito. Quali sono le tematiche contenute in quest’album?
Come hai intuito ci saranno altri due capitoli di Lizard Secrets, infatti il progetto è pensato come una trilogia. Non si tratta di un vero e proprio concept, ma le canzoni hanno una filosofia di fondo simile e raccontano storie fantascientifiche o riflessioni sui problemi dell’umanità legati al futuro.
MC Qual è il vostro approccio compositivo? Come nasce un vostro brano?
I compositori principali siamo io e Roberto Capucchio, in media io scrivo 8-9 pezzi per album e lui 2 o 3. Solitamente da me arrivano i brani più melodici e da lui i momenti piú duri degli album. Ma non è una regola fissa che ci autoimponiamo, semplicemente sembra che le cose si sviluppino così in modo naturale. Gli arrangiamenti poi sono a cura di tutta la band e ognuno aggiunge un po’ del suo gusto e inventiva.
MC Mi parli dell’artwork della copertina? Chi l’ha realizzato e a cosa vi siete ispirati?
La copertina è stata disegnata dall’artista britannico Trevor Storey. Lui è specializzato in queste atmosfere cyberpunk ed è proprio quello che volevamo per l’album, anzi per gli album, visto che il misterioso uomo lucertola tornerà anche nelle prossime puntate.
Siamo molto contenti della collaborazione con Trevor, è un grande artista e dona un gran valore aggiunto alla trilogia, sia con le copertine che con le illustrazioni all’interno del libretto.
MC In uno spettacolo dal vivo quanto l’illuminotecnica del palco e i vari effetti influenzano lo show?
Questa è una domanda interessante! Secondo me, molta. Il problema è che nel nostro genere, in cui si suona in piccoli locali o in festival, cioè con cambiamenti di attrezzature e situazioni tecniche notevolissimi, diventa difficile poter studiare uno spettacolo costante di luci per tutti gli spettacoli. Dal lato positivo, devo dire che la qualità degli impianti luce della maggior parte dei locali dove abbiamo suonato è quasi sempre molto valida.
MC Sono previsti dei live in Italia in questo periodo?
In estate ci chiuderemo in studio per finire le registrazioni di Lizard Secrets – Part Two, ma a settembre ripartiremo subito col nostro festival Born To Fly a Torino, con ottime band italiane e straniere e in seguito avremo qualche show con i nostri vecchi amici Iron Savior fra Italia e Germania. Notizie piú dettagliate arriveranno in seguito. Se passate dai nostri concerti, non fatevi problemi e venite a salutarci! C’è sempre tempo per una birra e due chiacchiere!
MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?
Ti elenco un po’ di link sui social:
http://www.facebook.com/airbornband
http://www.youtube.com/airbornband
http://www.twitter.com/airbornmetal
http://www.instagram.com/airbornband
…e il nostro shop online:
http://airborn.bigcartel.com
Grazie mille per questa chiacchierata e per l’occasione di parlare della nostra band!
Violet Cold – Kosmik
Kosmik si rivela così una buona esibizione in questo specifico ambito musicale e, se vogliamo, il suo problema principale è proprio quello d’essere un po’ dispersivo, nel senso che si fatica ad individuare un nucleo centrale in grado di fungere da elemento compattatore per i diversi ingredienti musicali messi sul piatto.
Probabilmente in Azerbaigian il cognome Guliyev ben si associa ad un’idea di velocità: il formidabile Ramil (che oggi batte però bandiera turca per motivi prettamente economici) è campione europeo e mondiale in carica dei 200 metri, mentre il qui presente Emin, pur non dedicandosi all’atletica leggera, dimostra una rapidità compositiva da sprinter di razza.
Il musicista azero, dall’avvio della sua avventura solista denominata Violet Cold avvenuta nel 2013, ha infatti pubblicato infatti oltre quaranta lavori tra singoli, ep e album su lunga distanza (in tal senso Kosmik è l’ottavo), senza contare che mentre scriviamo è già uscito un nuovo ep.
Se come sempre resta qualche dubbio sulla capacità di questi stakanovisti delle sette note nel focalizzarsi su ogni singola uscita, in modo da non disperdere il talento che madre natura ha messo loro a disposizione, va anche detto che tale modus operandi appare leggermente meno penalizzante allorché il genere offerto è, come in questo caso, un post black dalle ampie aperture melodiche derivanti da una forte componente post rock e shoegaze.
Kosmik si rivela così una buona esibizione in questo specifico ambito musicale e, se vogliamo, il suo problema principale è proprio quello d’essere un po’ dispersivo, nel senso che si fatica ad individuare un nucleo centrale in grado di fungere da elemento compattatore per i diversi ingredienti musicali messi sul piatto.
Emin possiede un giusto melodico tutt’altro che banale e questo consente alla maggior parte delle sue composizioni di esibire quei passaggi in grado di catturare l’attenzione dell’ascoltatore, ma purtroppo viene più di una volta diluito rischiando di finire compresso tra pulsioni etniche (Contact e Black Sun) e classiche (Ai(R), omaggio a J.S. Bach) condensando il meglio nelle quattro tracce centrali in cui l’anima black si sposa più efficacemente con le aperture atmosferiche, con menzione d’onore proprio per la bellissima title track.
Kosmik è un disco che in qualche modo fa arrabbiare, perché si percepisce chiaramente che con una minore frenesia compositiva, una maggiore cura a livello di produzione e nell’uso della voce e, in definitiva, recuperando quel dono della sintesi di cui sono carenti per definizione i musicisti iperproduttivi, il nome Violet Cold avrebbe tutti i numeri per attrarre, indipendentemente dalla sua provenienza esotica.
Finora così non è, per cui non ci resta che apprezzare quanto di buono ci propone il buon Emin Guliyev, con il rammarico e la consapevolezza che il tutto potrebbe essere di levatura ben superiore.
Tracklist:
1. Contact
2. Black Sun
3. Mamihlapinatapai
4. Space Funeral
5. Ultraviolet
6. Kosmik
7. Ai(R)
Line-up:
Emin Guliyev – Everything
MetalEyes Radio – I DISCHI FONDAMENTALI: System Of A Down – Toxicity
Continua la riproposizione delle opere che hanno cambiato musicalmente la vita a ciascuno di noi. Ovviamente i generi proposti saranno molto variegati, ed è normale che sia così visto che ciò dipende dalla diversa sensibilità di ogni redattore di MetalEyes IYE. Buon Ascolto!
I System Of A Down, piacciano o meno, saranno ricordati come una delle band in assoluto più importanti in ambito musicale (non solo metal) nel primo decennio di questo secolo.
Il successo commerciale, sorprendente per una band dal sound difficilmente inquadrabile ma capace di spaziare a lla velocità della luce tra diverse pulsioni, è solo un indicatore (comunque, non il più importante) di quanto questa band californiana, ma composta da soli musicisti di di origine armena, abbia ricodificato un nuovo sound che per comodità viene inserito nell’informe contenitore dell’alternative/nu metal.
Tra i pochi album pubblicati dai System Of A Down, sicuramente il più importante è il secondo Toxicity, datato 2001, un lavoro al cui interno la band guidata dalle personalità forti e contrastanti di Serj Tankian e Daron Malakian trovava la sintesi ideale tra furiose accelerazioni di stampo hardcore e repentine ed ipnotizzanti aperture melodiche, il tutto senza tralasciare sfumature etniche provenienti da una paese come l’Armenia, posto al confine tra Europa ed Asia.
Una canzone come Chop Suey simboleggia al meglio l’idea musicale del gruppo, mentre l’altra hit Aerials, decisamente meno dirompente, è ancora oggi uno dei brani più gettonati tra le giovani band alternative quando si tratta di proporre una cover.
Quasi 15 anni di silenzio discografico e una sola sporadica reunion per una manciata di concerti all’inizio di questo decennio fanno ritenere che la storia dei System Of A Down sia giunta al capolinea, e le prove soliste dei singoli componenti, per quanto spesso di grande valore (specialmente quelle di Tankian) non reggono comunque il confronto con quelle della band madre.
(Stefano Cavanna)
Tracklist:
Prison Song
Needles
Deer Dance
Jet Pilot
X
Chop Suey!
Bounce
Johnny
Forest
ATWA
Science
Shimmy
Toxicity
Psycho
Aerials
Line-up:
Serj Tankian – voce, tastiera
Daron Malakian – voce, chitarra
Shavo Odadjian – basso, cori
John Dolmayan – batteria
Mirror Of Deception – The Estuary
The Estuary si rivela un valido strumento attraverso il quale il doom può giungere anche ad orecchie non specializzate, il che è già per sé già un grande merito per i Mirror Of Deception, oltre a quello riconosciuto di continuare imperterriti a proporre con grande coerenza, dopo una carriera così lunga, musica sempre di ottima qualità.
I Mirror Of Deception sono probabilmente la più nota tra le band tedesche dedite al doom metal nella sua forma più tradizionali.
Del resto, l’inizio della loro storia risale alla prima metà degli anni novanta anche se tutto i loro full length sono stati pubblicati nel nuovo millennio.
Questo ultimo The Estuary arriva dopo una pausa piuttosto lunga rispetto al precedente A Smouldering Fire, uscito nel 2010, ma a giudicare dall’esito le doti e le competenze precipue dei Mirror Of Deception sono rimaste intatte.
The Estuary è infatti un bellissimo lavoro che esalta l’abilità nella band di nel mettere sempre al primo posto la firma canzone, conferendo and ogni brano una connotazione melodica ben delineata senza snaturare in alcun modo la natura del sound.
Brani come To Drown a King, To Dust e Divine sono del tutto esemplificativi delle caratteristiche dell’album, con una maggiore focalizzazione su chorus dalla notevole presa. The Estuary si rivela così un valido strumento attraverso il quale il doom può giungere anche ad orecchie non specializzate, il che è già per sé già un grande merito per i Mirror Of Deception, oltre a quello riconosciuto di continuare imperterriti a proporre con grande coerenza, dopo una carriera così lunga, musica sempre di ottima qualità.
Tracklist:
1.Splinters
2.Orphans
3.At My Shore
4.Magnets
5.To Drown a King
6.To Dust
7.Divine
8.Immortal
Line-up:
Jochen Fopp – Guitars
Michael Siffermann – Guitars, Vocals (lead)
Hans Schwager – Bass, Vocals
Rainer Pflanz – Drums, Vocals
Kval – Laho
Un lavoro di buona fattura che riesce nell’intento del suo autore di voler trasmettere il dolente sentire di chi è condannato da una sensibilità superiore a sminuzzare all’infinito ogni frammento dell’esistenza.
Laho è il titolo del secondo full length della one man band Kval, guidata dall’omonimo musicista finlandese.
L’album mostra un approccio al black metal decisamente atmosferico ed ammantato di quel velo di malinconia che accompagna, nella maggior parte dei casi, le opere musicali provenienti dal paese dei mille laghi. Anche se certe soluzioni le abbiamo già sentite innumerevoli volte, non si può fare a meno di apprezzare il lavoro del giovane Kval per il gusto melodico che dimostra in ogni frangente e per un inserimento efficace di elementi folk con l’utilizzo di strumenti tradizionali. I quattro lunghi brani sono decisamente validi con menzione d’onore per la title track con la sua alternanza tra passaggi acustici ed ariose aperture melodiche. La bonus track, ripresa strumentale del brano d’apertura Valosula, nulla aggiunge ad un lavoro di buona fattura (e la cosa non sorprende quando un album esce sotto l’egida della Hypnotic Dirge) che riesce nell’intento del suo autore di voler trasmettere il dolente sentire di chi è condannato da una sensibilità superiore a sminuzzare all’infinito ogni frammento dell’esistenza.
Tracklist:
1.Valosula
2.Laho
3.Pohjanriitti
4.Kaihon Kuiskaus
5.Bonus Track
Line-up:
Kval – All instruments
Deitus – Via Dolorosa
Quella marchiata Deitus è quindi un’offerta davvero da non sottovalutare e, semmai, da fare propria andando magari a riscoprire il precedente full length Acta Non Verba anche se non si è proprio dei fan incalliti del black metal, perché qui oggettivamente c’è molto di più.
Deitus è il nome di una one man band londinese dedita al black metal e giunta con Via Dolorosa al secondo full length.
Rispetto ad altre realtà omologhe l’operato di questo musicista britannico si merita una doverosa attenzione per un
approccio alla materia non del tutto convenzionale: non che il buon A.G. si metta riscrivere la storia del genere ma la scelta di focalizzarsi su un lavoro chitarristico di grande pregio, includendo anche notevoli passaggi solisti di stampo quasi classico, non è certo un qua cosa che si verifichi con frequenza.
Forse titolo e copertina possono ingannare perché richiamano istintivamente qualcosa di molto più cupo ed abrasivo, ma Via Dolorosa è davvero un lavoro volto che scorre in maniera è così fluida da andare oltre certe minuzie. Se l’impronta scandinava è ben presente questa non fa quindi capo alla frangia più cruda ed oltranzista ma semmai a quella che vede come punto di riferimento gli imprescindibili Dissection.
I cinque lunghi brani si rivelano quindi molto convincenti, con una title track che mette più in evidenza l’abilità chitarrista del nostro e la successiva Salvifici Doloris, che si dipana tra un’indolente incedere che ricorda i Cure di Pornography ed una sfuriata di black tout court, sempre sotto controllo, nella seconda metà.
Quella marchiata Deitus è quindi un’offerta davvero da non sottovalutare e, semmai, da fare propria andando magari a riscoprire il precedente full length Acta Non Verba anche se non si è proprio dei fan incalliti del black metal, perché qui oggettivamente c’è molto di più.
Tracklist:
1. Hallowed Terror
2. Malaise
3. Via Dolorosa
4. Salvifici Doloris
5. Atonement
Line-up:
A. G. – Vocals, Guitars (2004-present)
LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: TENEBRA
Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni domenica alle 21.30 su Witch Web Radio.
Questa volta è il turno dei bolognesi Tenebra.
MC Ci raccontate la genesi della band?
Emilio: I Tenebra si formano ufficialmente alla fine del 2017, ma già 5 o 6 anni prima io e Mesca, il nostro batterista, avevamo provato a mettere su un gruppo heavy rock, senza però riuscire mai a trovare un cantante che ci convincesse.
Senza speranza misi un annuncio su Villaggio Musicale con allegati dei demo. Dopo qualche tempo si fece avanti Silvia e la sua voce ci convinse subito. Claudio era uno del nostro giro e ci piaceva come suonava il basso. Il resto è storia! 😀
MC Come definireste il vostro genere musicale e quali sono le tematiche che affrontate?
Silvia: Lo definirei heavy rock. Il tessuto tematico interpreta la mia dimensione interiore, ed è intimamente connesso al mondo dell’occultismo, della letteratura e della poesia.
MC Parliamo dell’album. Com’è stato l’impatto con il pubblico e la critica? E’ andato tutto secondo le vostre aspettative?
Emilio: Abbiamo registrato il disco con l’aiuto di Bruno Germano, mio ex socio alle chitarre nei Settlefish, in presa diretta, al Vacuum Studio: what you hear is what you get.
Spedì dei premix in giro e ci rispose qualche etichetta, ma i più entusiasti sembravano quelli di BloodRock di Genova.
Purtroppo è stata una fregatura, perché BloodRock, dopo mille rinvii ci ha lasciati al nostro destino senza darci particolari spiegazioni. La fregatura fu doppia perché rifiutammo altre offerte dato che BloodRock si era dimostrata così entusiasta.
Insomma, per farla breve, convinti anche da Marco Gargiulo, che adesso ci sta dando una mano con la promozione di Gen Nero, abbiamo optato per una autoproduzione, un sistema che comunque riteniamo sempre valido, dato anche il nostro passato nel giro hardcore/punk diy.
Il disco è uscito solo in vinile, siamo contenti delle reazioni che sta suscitando, le recensioni sono buone e anche dopo i live riceviamo sempre parecchi complimenti. Insomma non possiamo lamentarci.
MC Chi scrive i testi e le melodie?
Silvia: Io.
Emilio: La parte musicale nasce spesso dall’idea di un singolo, ma poi viene ampiamente sviluppata da tutta la band, è assolutamente un lavoro collettivo.
MC Si parla spesso di supporto alle band underground e molto di questo sostegno è dato dai fans. Che rapporto avete con il pubblico che vi segue?
Emilio: siamo ancora molto agli inizi per poterti rispondere. Come dicevo prima la risposta ai pezzi è buona ed è divertente, per uno come me che ha iniziato a suonare in epoca pre-internet e pre-social vedere che c’è gente che ti conosce negli stati uniti o in giappone solo perché hai postato il tuo pezzo da qualche parte.
MC Ci saranno dei live a supportare il nuovo album?
Emilio: Abbiamo già fatto una piccola tranche di concerti, ma si avvicina l’estate e il disco è uscito troppo tardi, “grazie” a BloodRock per essere inseriti nei festival estivi. Ad ottobre faremo altre date tra cui sicuramente una delle più importanti è la nostra partecipazione al Krakatoa Fest IV che si terrà a Bologna al TPO. Un festival molto bello organizzato dai ragazzi del Freakout.
Poi più in là, in inverno, probabilmente torneremo a registrare.
MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?
Emilio: Abbiamo una pagina Facebook e una pagina Bandcamp.
Presto saremo anche sulle altre piattaforme, poi ovviamente ci sono i concerti!
Malauriu / Fordomth – Twin Serpent Dawn
Twin Serpent Dawn è un riuscito tentativo con il quale le due band confluiscono verso uno stesso punto d’arrivo, rappresentato da un black metal sulfureo e comunque poco ammiccante.
Ritroviamo Malauriu e Fordomth, due band siciliane delle quali avevamo già avuto modo di parlare poco tempo fa, unite in questo split album la cui pubblicazione è prevista tra qualche giorno in formato mini-cdr a cura della Masked Dead Records, mentre in seguito vedrà la luce anche in vinile 7” per mano della Black Mourning Productions.
Questo lavoro, seppure breve, si rivela quanto mai interessante poiché i due brani offerti mostrano qualche scostamento rispetto alle più recenti uscite dei due gruppi.
Per quanto riguarda i Malauriu, per esempio, trovo che il black metal qui esibito sia decisamente più corposo e ben focalizzato rispetto a quello proposto nel recente split con Vultur, Inféren e A Répit, senza che nel contempo ne venga smarrita la carica abrasiva; ciò avviene in parte grazie ad una migliore produzione ma non solo: infatti, Ancient Spirits è una canzone che gode di un certo tiro al quale vengono coniugati interessanti rallentamenti volti a stemperare l’aggressività del sound. Se questo è un indizio della strada che i Malauriu intendono perseguire in futuro non si può che esprimere una certa soddisfazione.
Se la band di Sciacca rallenta l’andatura, i catanesi Fordomth, al contrario, accelerano non poco i ritmi esibiti nel full length d’esordio I.N.D.N.S.L.E. grazie ad un brano che nella sua prima metà si dipana all’insegna di un feroce black metal, lasciando solo uno sporadico spazio al doom metal che rappresentava in toto la linea guida stilistica della band in quell’occasione; se, in effetti, in prima battuta c’era da chiedersi come avrebbero convissuto in uno split album due realtà simili per attitudine ma diverse per l’approccio alla materia estrema, ecco che una traccia come The Chanting Void fornisce la risposta, con le sue sonorità decisamente più sbilanciate verso il black metal.
Di fatto, Twin Serpent Dawn rappresenta un riuscito tentativo con il quale le due band confluiscono verso uno stesso punto d’arrivo, rappresentato da note sulfuree e comunque poco ammiccanti; vedremo se poi questo resterà un caso isolato oppure se, come probabile, sia indicativo di sviluppi futuri, quel che è certo è che questo split album offre a chi vuole sostenere tangibilmente queste due realtà provenienti dall’antica Trinacria la possibilità di godere di una decina di minuti di valido metal estremo.
Tracklist:
1. Malauriu – Ancient Spirits
2. Fordomth – The Chanting Void
No Point in Living – The Cold Night
The Cold Night mostra un notevole equilibrio tra le diverse componenti del sound e, pur non brillando per la sua originalità, merita di ritagliarsi ben più di un ascolto distratto da parte di chi ama il black metal nelle sue sembianze melodico-depressive.
Yusuke Hasebe (in arte solo Yu) è uno di quei musicisti che si possono definire eufemisticamente prolifici: con il suo progetto solista No Point in Living, infatti, dal 2017 ad oggi ha pubblicato la bellezza di 18 full length senza farsi mancare anche qualche altra uscita di minore minutaggio.
A questo punto viene lecito chiedersi per quale motivo la Heathen Tribes si sia presa la briga di ripubblicare il quinto album The Cold Night, uscito originariamente nel novembre del 2017, visto che di materiale inciso dal musicista nipponico in giro ce n’è già a sufficienza.
La risposta è che, francamente, il nostro possiede un talento rimarchevole, benché costantemente a rischio d’essere annacquato dalla sua bulimia compositiva, e The Cold Night è lì a dimostrarlo con i suoi tre quarti d’ora di depressive atmospheric black oltremodo convincente.
Ammetto di non conoscere il resto della discografia di Yu, ma se la qualità di ogni uscita fosse pari a quella di questo lavoro sarebbe un evento quasi miracoloso: dubito, infatti, che si posa pensare di mantenere alta con tale frequenza una tensione emotiva come quella esibita nella lunghissima I Hate Everything o nella poco più breve Path to the End, tanto per fare degli esempi concreti.
The Cold Night mostra, peraltro, un notevole equilibrio tra le diverse componenti del sound e, pur non brillando per la sua originalità, merita di ritagliarsi ben più di un ascolto distratto da parte di chi ama il black metal nelle sue sembianze melodico-depressive.
Nel frattempo lo Stakanov di Sapporo, quando non siamo arrivati neppure a metà giugno, nel corso del 2019 ha già pubblicato tre full length ed un ep per un fatturato complessivo di circa due ore e mezza di musica: insomma, riuscire a seguirne le gesta può essere complicato anche per il fan più incallito, per cui non resta che provare ad intercettarne l’opera di tanto in tanto per verificare quale sia lo stato dell’arte.
Tracklist:
1. Intro
2. Impatience
3. I Hate Everything
4. The Cold Night
5. The Path to the End
6. Ocean of Sorrow
Line-up:
Yu – Everything
Stellar Master Elite – Hologram Temple
Hologram Temple è una prova matura e al contempo ricca degli slanci compositivi necessari per portare le sonorità estreme su un piano differente e più elevato, senza snaturarne l’abrasiva essenza
Gli Stellar Master Elite sono un band tedesca che, in questo decennio, si è messa in luce grazie ad una davvero interessante trilogia basata su un black doom di elevata qualità.
Hologram Temple è quindi il quarto full length che alza ulteriormente l’asticella qualitativa per questo gruppo che ha ben tre elementi in comune con un’altra intrigante realtà del black metal germanico come i Der Rote Milan.
Fin dalle prime note si intuisce che qui il tutto viene trattato in maniera tutt’altro che manieristica o derivativa, perché gli Stellar Master Elite riescono a creare un black doom/death nell’accezione più autentica del termine, nel senso che i generi vengono perfettamente amalgamati per un risultato finale che soddisfa il palato sia in senso melodico che per intensità.
Il gruppo di Trier (città che in Italia conosciamo meglio come Treviri) vi aggiunge poi anche un pizzico di avanguardia ed un ricorso sapiente a sampler o spunti ambient atmosferici senza far scemare mai la tensione.
L’aspetto che maggiormente colpisce è che, nonostante le premesse ed una profondità compositiva rilevante, gran parte dei brani godono di un andamento tutt’altro che ostico all’ascolto, testimonia ampiamente una traccia formidabile quale l’opener Null, senza dimenticare che i nostri sanno anche toccare corde più profonde come in Ad Infinitum oppure spingersi verso territori più avanguardistici senza perdere in incisività come in Black Hole Dementia.
Hologram Temple è una prova matura e al contempo ricca degli slanci compositivi necessari per portare le sonorità estreme su un piano differente e più elevato, senza snaturarne l’abrasiva essenza; nonostante questi musicisti, per forza di cose, attingano ad un background ben definito non ci sono mai momenti in cui si palesa in maniera fragorosa ed evidente l’influenza di una specifica band. Tutto ciò depone a favore di un sound personale, ricco e in costante evoluzione senza sconfinare in un arido sperimentalismo, come neppure avviene nel quarto d’ora ambient di Tetragon, minaccioso episodio opportunamente collocato in conclusione del lavoro e sorta di appendice volta a rinsaldare ancor più il forte legame tra il concept fantascientifico ed il contenuto musicale.
Tracklist:
1. Null
2. Freewheel Decrypted
3. Apocalypsis
4. Ad Infinitum
5. The Beast We Have Created
6. Agitation – Consent – War
7. Black Hole Dementia
8. The Secret of Neverending Chaos
9. Tetragon
Line-up:
M.S. – Drums, Vocals
D.F. – Guitars, Bass, Programming
T.N. – Bass
E.K. – Vocals
S.K. – Vocals
Odious – Mirror Of Vibrations
La riedizione di questo primo full length degli Odious ci mostra un notevole spaccato di ciò che può diventare il black/death metal quando si va ad intersecare, in maniera competente e non forzata, con le sonorità etniche di matrice mediorientale, eseguite per di più utilizzando strumenti tradizionali come l’oud e la tabla.
Anche se Mirror Of Vibrations è un album vecchio di dodici anni, essendo stato pubblicato per la prima volta dagli egiziani Odious nel 2007, vale davvero la pena di parlarne sfruttando l’occasione fornita dalla sua riedizione in vinile curata dall’etichetta canadese Shaytan Productions, che peraltro fa capo ad altri coraggiosi musicisti metal dell’area islamica come i sauditi Al-Namrood.
Infatti questo primo full length degli Odious ci mostra un notevole spaccato di ciò che può diventare il black/death metal quando si va ad intersecare, in maniera competente e non forzata, con le sonorità etniche di matrice mediorientale, eseguite per di più utilizzando strumenti tradizionali come l’oud e la tabla.
Sono innumerevoli i tentativi di far convivere sonorità che, per lo più, finiscono per entrare in collisione con il risultato di offrire in pratica momenti ben distinti, in cui prevalgono l’una o l’altra componente senza mai intrecciarsi sinuosamente come, invece, avviene magistralmente in quest’album.
L’ascolto di brani come For the Unknown Is Horrid o Smile In Vacuum Warnings fornisce più di una buona ragione per innamorarsi di questa band ed approfittare di una versione in vinile nella quale, forse, diviene un po’ meno penalizzante la produzione che è francamente l’unico aspetto rivedibile di un’opera, al contrario, inattaccabile su ogni fronte, inclusa una nuova copertina davvero dal grande fascino.
Chi ama il black sinfonico e non disdegna ascolti di matrice ethnic folk, da un album come Mirror Of Vibrations potrà trarre enormi soddisfazioni in attesa che gli Odious, oggi ridotti a duo con il solo membro fondatore Bassem Fakhri affiancato dal batterista greco George Boulos, diano seguito al secondo album Skin Age, ultima testimonianza discografica risalente al 2015.
Tracklist:
1. Poems Hidden On Black Walls
2. Deaf and Blind Witness
3. For The Unknown Is Horrid
4. Split Punishment
5. Invitation To Chaotic Revelation
6. Smile In Vacuum Warnings
7. Upon The Broken Wings
Line-up:
Rami Magdi – Drums, Percussion
Bassem Fakhri – Vocals, Keyboards, Programming
Alfi Hayati – Bass
Mohamed Hassen – Guitars (lead), Oud
Mohamed Lameen – Guitars (rhythm)
Atlases – Haar
Gli Atlases trovano la loro personale pietra filosofale unendo come meglio non si sarebbe potuto tutti quegli ingredienti che in mano ad altri divengono solo un coacervo di sonorità messe assieme alla rinfusa: Haar è la dimostrazione pratica di quale risultato possa scaturire quando a maneggiare le sette note troviamo musicisti di talento invece che mediocri assemblatori.
Pori è una citta finlandese che, al di fuori della nazione, immagino sia conosciuta soprattutto per l’annuale organizzazione del rinomato festival jazz che si tiene fin dagli anni sessanta.
Sono di tutt’altro tenore le sonorità offerte dagli Atlases, band che probabilmente non riuscirà a competere con quella manifestazione in termini di popolarità, ma che con il full length d’esordio Haar si propone come una delle più sfolgoranti sorprese dell’anno.
Il quintetto viene catalogato, per non saper né leggere né scrivere, nel calderone post metal ma la verità è che questi musicisti esibiscono una proposta che, forse per la prima volta a mia memoria, è capace di coniugare impulsi moderni con l’afflato melodico ed emotivo del miglior death doom.
Haar è un lavoro che parte ingannevolmente catchy e robusto con una bomba quale Neophyte, canzone che in poco più di cinque minuti fa letteralmente piazza pulita di tutta la teorica concorrenza in ambito modern metal, ma lo scenario cambia con il tenue incipit della successiva Centralis, uno dei brani capolavoro dell’album: qui il post metal interseca con una prodigiosa e melodica fluidità le asprezze del death doom e dall’impatto ne scaturisce qualcosa che, a tratti, raggiunge vette di stupefacente bellezza.
Heathen Colors riporta (come è normale) ai Swallow The Sun più suadenti, ma dal confronto gli Atlases ne escono addirittura rafforzati in quanto si percepisce chiaramente quanto la loro cifra stilistica non possieda alcunché di derivativo.
Le note che delineano il volo dell’alcione nella quarta traccia strumentale (Halcyon) delineano uno scenario commovente e poetico, eppure non disorienta affatto l’avvio degno dei Meshuggah della successiva Monolithe, perché nel sound di questi finlandesi l’afflato dolente e poetico è sempre ben percepibile anche quando viene racchiuso in uno spesso e roccioso involucro.
Ecco il post metal, nella sua accezione più pura e incontrovertibile, nell’altro strumentale Seasons Aligned che, come da copione, cresce come una marea che va a ricoprire per sempre le nostre stanche membra; in questa splendida alternanza tocca a Earth into Ocean far riemergere con tutta la sua dirompente forza quella nervosa modernità che si stempera, infine, in una Moon Pillar che conduce alla malinconica chiusura di un disco splendido, suonato in maniera impeccabile da V-V Laaksonen, Nico Brander, Rami Peltola e Jerkka Perälä, e interpretato vocalmente in maniera superba da Jani Lamminpää.
Gli Atlases, che avevano già preparato il terreno due anni fa con l’ep Penumbra, trovano la loro personale pietra filosofale unendo come meglio non si sarebbe potuto tutti quegli ingredienti che in mano ad altri divengono solo un coacervo di sonorità messe assieme alla rinfusa: Haar è la dimostrazione pratica di quale risultato possa scaturire quando a maneggiare le sette note troviamo musicisti di talento invece che mediocri assemblatori.
Tracklist:
1.Neophyte
2.Centralis
3.Heathen Colors
4.Halcyon
5.Monolithe
6.Seasons Aligned
7.Earth into Ocean
8.Moon Pillar
Line-up:
Jerkka Perälä – Bass
Rami Peltola – Drums
Nico Brander – Guitars
V-V Laaksonen – Guitars
Jani Lamminpää – Vocals
COMUNICATO
Quasi tre anni di attività intensa e qualche migliaio di recensioni pubblicate hanno consentito alla nostra webzine di ritagliarsi uno piccolo spazio nello sterminato universo di chi, dando sfogo alle proprie passioni, cerca di fornire un servizio agli appassionati di metal e rock.
Il fatto che il nostro operato sia stato apprezzato anche da chi ne beneficia, direttamente o indirettamente ( parliamo quindi di musicisti, etichette e agenzie di promozione), ci ha portato nel corso dell’ultimo periodo ad essere letteralmente inondati da una quantità di materiale da recensire tale che, per potervi far fronte, sarebbe necessario avvalersi di almeno una quindicina di prolifici collaboratori e di un editor che avesse la possibilità di svolgere la sua attività a tempo pieno.
Così non è, e la condizione necessaria per proseguire la nostra avventura senza snaturarci e, soprattutto, far sì che il tutto resti un impegnativo ma piacevole hobby, è quella di ricalibrare gli obiettivi in maniera più realistica e confacente alle nostre possibilità.
Pertanto, a partire da oggi, il nostro focus sarò rivolto quasi esclusivamente alle recensioni, lasciando spazio alle interviste solo per quanto riguarda quelle tratte dalla trasmissione Overthewall, in onda settimanalmente su Witch Web Radio, alla quale peraltro collaboriamo con una nostra rubrica; quindi non pubblicheremo più video o news di varia natura, salvo ovviamente eccezioni qualora lo si ritenga necessario.
Sporadicamente potremo pubblicare annunci di eventi live dei quali saremo partner, oppure articoli retrospettivi o altro ancora ma senza che questo ci vincoli in alcun modo rispetto a qualsiasi tipo di richiesta.
La cosa più difficile è però scegliere quali dischi recensire, perché quelli che vengono trattati sono solo una minima parte rispetto a quanto ci viene proposto e quando la richiesta supera la capacità dell’offerta è necessario fornirsi di opportuni criteri di selezione; in questi anni abbiamo pensato che fosse giusto e naturale dare prioritariamente spazio ai gruppi e alle etichette italiane ma questo, alla fine, ci ha fatto perdere di vista l’obiettivo primario di MetalEyes che è invece quello di divulgare a prescindere musica che sia di qualità e che, soprattutto, dia anche soddisfazione a chi deve scriverne.
In fondo non c’è nulla di più universale della musica e adottare un mero criterio geografico per scegliere cosa recensire si rivela quanto mai limitante, fermo restando che per ovvi motivi le produzioni provenienti dal nostro paese godranno sempre e comunque di un’attenzione particolare, come è normale che sia.
Invitiamo, quindi, chiunque voglia sottoporci del materiale musicale per una recensione ad inviarci, senza particolari preamboli, un promo digitale scaricabile all’indirizzo e-mail stefano.metaleyes@gmail.com .
Il riscontro è probabile ma non assicurato, quanto meno non lo sarà in tempi rapidi, ma sicuramente un lavoro meritevole avrà molte più possibilità d’essere recensite.
Tanto vi dovevamo al fine di rendere trasparente un modus operandi che, non dovendo rispondere ad alcun editore od inserzionista pubblicitario, ci consente di effettuare le nostre scelte in totale autonomia e libertà.
Lo staff di MetalEyes
Oigres – Psycho
Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.
Oigres è il nuovo progetto solista che vede all’opera Sergio Vinci, conosciuto nell’ambiente estremo italiano anche per essere stato il leader degli ottimi Lilyum, una delle migliori espressioni nazionali a mio avviso per quanto riguarda il black metal nelle sue vesti più ortodosse.
I brani contenuti in questo lavoro hanno però ben poco a che vedere con quell’esperienza, se non per l’approccio diretto e rabbioso che qui si estrinseca sotto forma di un thrash/groove hardcore cantato prevalentemente in italiano e che, anche per questo, rimanda a livello attitudinale a gruppi come i Negazione e relativa genia di provenienza piemontese.
I testi abrasivi, ma non privi di slanci poetici, sono sorretti da un sound che non si perde in preamboli ma va dritto all’obiettivo lasciando spazio a tempi più diluiti solo nella pregevole traccia ambient di chiusura, Outro – Openclosed.
Come detto, il nome Lilyum vale qui essenzialmente quale sorta di garanzia della bravura e della sincerità di un musicista come Sergio, che qui si disimpegna in maniera lineare ma alquanto efficace anche nelle vesti di cantante.
Brani come Fermo, Lontano Da Me e Stella, in particolare, sono sferzate di energia contenenti un’urgenza espressiva che, probabilmente, all’interno di una band rischiava d’essere in qualche modo mediata o filtrata, mentre lo stesso monicker prescelto testimonia ampiamente come questa nuova avventura sia, per Sergio Vinci, un qualcosa di intimo, al riparo da qualsiasi interferenza esterna dal punto di vista prettamente compositivo.
Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: anche se, come si può intuire dalla mia premessa, non posso considerare la fine dei Lilyum come una buona notizia, la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.
Tracklist:
1. Intro – Lifog
2. Fermo
3. Lontano Da Me
4. Stella
5. I Am
6. Scivola Via
7. No Fear, No Truth
8. Outro – Openclosed
Line-up:
Sergio Vinci