Speechtones – Step

Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Dalla Sardegna esordio assoluto per gli Speechtones, un gruppo che fa musica diretta e di sostanza, scegliendo come generi lo stoner, l’heavy rock e sua maestà il desert, tutto in maniera ben fatta e coerente.

Ascoltare la loro prima prova, in download libero sul loro bandcamp, oltre a far scoprire un nuovo valido gruppo underground riesce a regalare bei momenti a chi si vuol lasciare rapire da un suono che è meglio lasciar fluire ad alto volume. In questo gruppo sardo convivono diverse anime e i generi cambiano con facilità, anche grazie al talento compositivo e alla freschezza musicale e mentale. La produzione può essere ampiamente migliorata, ma questo ep Step è la pietra miliare di una strada ancora in costruzione, dato che il lavoro è stato registrato con il primo batterista che non è più in formazione. I tre pezzi possono sembrare pochi, ma illustrano molto bene ciò che è e ciò che potrebbe diventare questo gruppo. Come tante band al proprio esordio le idee sono giustamente tante e spingono tutte per uscire fuori. Il risultato sono tre canzoni, tre appunti di ciò che è e di ciò che sarà. Perché questo gruppo è solido e andrà avanti. La psichedelia è presente in forme diverse, ma sicuramente gli Speechtones non la interpretano nella concezione classica del termine, anche se hanno dei bei momenti stupefacenti soprattutto nel primo pezzo, che è anche quello di maggior respiro dato che supera gli otto minuti. La coppia di canzoni rimanente è più breve e mette in luce altre peculiarità della band, come la capacità di usare lo stoner e il desert rock anche se in realtà lo stile parte da questi assiomi ma è una miscela originale e in totale divenire. Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Tracklist
1.Popular Express
2.Sharks and Dogs
3.Speechless

SPEECHTONES – Facebook

Dzjenghis Khan – Dzjenghis Khan

Verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri.

Necessaria e doverosa ristampa da parte della Heavy Psych Sounds del debutto dei Dzjenghis Khan, uno dei gruppi di psichedelia pesante che hanno impressionato maggiormente negli ultimi anni.

Il trio da San Francisco uscì con questo debutto per l’olandese Motorwolf nel 2007, e riuscì subito a catturare l’attenzione di molti ascoltatori e della critica. Il perché lo scoprirete ascoltando questa ristampa, se già non li conoscete, e verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro, e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri. Qui troverete quelle bellissime atmosfere cariche di tensione e di indolenza tipica dei giovani drogati che vagano in cerca di sangue ed emozioni a basso costo. Le dieci tracce sono tutte fantastiche, non esiste un momento di noia, anche gli assoli di chitarra danno gioia. I testi sono una delle cose migliori di questo gruppo, che gioca con intelligenza ed ironia con i vostri peni e con certi bicchieri di whiskey. Purtroppo non si sa molto di questo gruppo, ma solo che è nato nel 1977, e non ha pubblicato nulla fino al 2007, ma non c’è problema dato che i tre membri sono immortali. Inoltre da quando sono emigrati da San Francisco a Den Haag, ridente cittadina olandese sempre sul mare come Frisco, se ne sono perse le tracce. La musica invece rimane ed è bellissima, una commistione di acid, psych e fuzz, uno stoner a bassa frequenza che fa vibrare come qualcosa dei migliori Blue Cheer, anzi anche meglio. I pezzi sono tutti figli amatissimi di impetuose jam che in un’altra dimensione si sono intrecciate e stanno suonando tutte assieme. Il disco è bellissimo, e grazie a questa ristampa lo possiamo gustare di nuovo, anche se come tutte le cose belle ha il rovescio della medaglia : durante le registrazioni si sono perse le tracce del loro ingegnere del suono Hans Koolstra, che dopo aver mormorato qualcosa sui canali di uscita è scomparso.

Tracklist
1 Snake Bite
2 The Widow
3 No Time For Love
4 Avenue A
5 Against The Wall
6 Black Saint
7 End Of The Line
8 Rosie
9 Sister Dorien

Line-up
Jinx
Binks
Spence

DZJENGHIS KHAN – Facebook

600000 Mountains – Mister Sartorius

Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog.

Dal fertile sottobosco musicale catanese arriva l’ep autoprodotto di esordio dei 600000 Mountains, un gruppo che fa uno stoner molto acido e ben strutturato.

Una breve descrizione del loro suono è quella scritta sopra, ma se si ascoltano i primi tre pezzi di questo ep di esordio si possono trovare molte altre cose. Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog. I 600000 Mountains non cantano, ma sarebbe forse superfluo o magari lo faranno in futuro, sicuramente con questo disco non annoiano, perché la musica interamente strumentale non è affatto tediosa come dicono molti, ma è più difficile da offrire in termini di qualità. A volte i testi nascondono imbarazzanti vuoti creativi, perché se suoni bene, hai le idee chiare in testa e viaggi lontano come qui non v’è bisogno di favellare. I tre pezzi sono tutti di ampio respiro, con il secondo che oltrepassa gli otto minuti, e hanno uno sviluppo molto ben congegnato, come fossero viaggi che accompagnano l’ascoltatore là dove le nubi toccano oltre il cielo, verso lo spazio. I punti di riferimento sono più o meno gli stessi della maggioranza dei gruppi di questo genere, ovvero Kyuss, Karma To Burn e ovviamente i Tool, soprattutto per quanto riguarda la composizione. Ascoltare questi tre pezzi è molto gratificante e rende bene l’idea di un trio che ha molte qualità e possiede altrettanto talento nel creare certe atmosfere che piacciono a chi ama la musica come fuga, ed è sempre bello ascoltare cosa nasce nelle salette e nei garages della penisola. Un buon esordio che fa presagire un futuro radioso e fumoso.

Tracklist
1. Take Care and Survive
2. Omelette Man
3. Horse Suplex

Line-up
Simone Pellegriti -guitar
Guido Testa – bass
Giorgio Rosalia – drums

600000 MOUNTAINS – Facebook

Disciples Of The Void – Disciples Of The Void

Un folle assalto alla civiltà nel quale siamo immersi, un escapismo di marca satanica e puramente black metal senza requie, che lascia stupiti e vogliosi di ricominciare per un debutto come non se ne sentivano da tempo.

L’offerta attuale in campo black metal è molto ampia e variegata, questo per parlare della quantità, mentre invece se esaminiamo il lato qualitativo ci si accorge che è non è altissima.

Molti gruppi fanno black metal, nato nella selvaggia Scandinavia degli anni novanta ed arrivato fino a noi e che andrà oltre le nostre esistenze, essendo un genere molto soggettivo ma fino ad un certo punto, perché la nera grandiosità si riconosce subito. Il debutto omonimo del duo finlandese Disciples Of The Void è un gran bel disco potente, maestoso grazie a venture sympho importanti. L’incedere di Disciples Of The Void è quello del grande gruppo black metal, il passo sicuro che rivolta l’ascoltatore, quella voglia di spaccare le ossa a chi si avvicina a questo suono, l’impetuosità e il talento assoluto nel cambiare tempo in men che non si dica, andando ad occupare il gradino superiore dell’aggressione. Il misterioso duo si rifà apertamente alla seconda ondata del genere e certamente quello è il punto di partenza, ma i Disciples Of The Void vanno oltre, confezionando un assalto black e sympho a tutto tondo. Non c’è un momento di tregua o di pace e, come in una caccia infernale, il tutto si svolge in maniera veloce eppure indelebile: il muro sonoro delle chitarre, della batteria, la voce ed il resto si fondono assieme come un assalto di una cavalleria pesante maledettamente diabolica. Per quanto riguarda la musica non ci sono grosse novità od innovazioni, e non sarebbe nemmeno il posto giusto per cercarli, mentre sarebbe auspicabile che ci fosse un maggior numero di album come questo in giro. Mettere assieme impeto, tecnica e forza bruta è cosa da molti gruppi, ma aggiungere a tutto ciò una dose di ottima melodia e un’impronta totalmente personale, questa non è affatto cosa da tutti e i Disciples Of The Void ci riescono benissimo.
Un folle assalto alla civiltà nel quale siamo immersi, un escapismo di marca satanica e puramente black metal senza requie, che lascia stupiti e vogliosi di ricominciare per un debutto come non se ne sentivano da tempo.

Tracklist
01. Ad Gloriam Invictus Satana
02. Dominion
03. The Apocalypse Reign
04. Enter The Void
05. Per Aspera Ad Noctum
06. The Harvest
07. The Heirs Of Wormwood
08. Choronzon
09. Home Of The Once Brave ( Bathory Cover )

DISCIPLES OF THE VOID – Facebook

Space Aliens From Outer Space – Nebulosity

Debutto visionario e fortemente debitore alla fantascienza per questa sorta di supergruppo che non vuole sapere di rimanere ancorato alla terra.

Debutto visionario e fortemente debitore alla fantascienza per questa sorta di supergruppo che non vuole sapere di rimanere ancorato alla terra.

Come avremo modo di vedere dopo gli attori coinvolti sono molto validi e sanno ricreare ottime atmosfere. Le coordinate musicali sono varie e conducono tutte al tema del viaggio. Troviamo l’elettronica che è abbastanza onnipresente e al contempo anche strumenti suonati molto bene, lo space rock come concezione e quel viaggiare senza posa né meta. L’ottima produzione mette in risalto anche un incedere tipico delle magnifiche opus musicali di John Carpenter, perché anche i Space Aliens From Outer Space fanno sceneggiature in musica, creando sequenze di immagini che scaturiscono dalla loro musica e si uniscono alla resa visiva sul palco che è assai importante. Qui tutto è comunque al servizio della musica e della missione esplorativa che si sono dati. La loro proposta musicale è di ampio respiro e porta l’ascoltatore in galassie lontane, dove è possibile respirare un’aria molto diversa dalla nostra. Ora veniamo a scoprire gli alieni dallo spazio profondo: alla voce Paul Beauchamp, interessantissima figura di agitatore musicale, un genio che ha scelto Torino come base nonostante sia nato lontano dalle nostre desolate lande, una figura che basta da sola a dare valore al progetto. Incontriamo poi due figuri mascherati che rispondono al nome di Daniele Pagliero, già nei Frammenti, band italiana che ha toccato in maniera indelebile tanti cuori, e Francesco Mulassano. Come new entry troviamo alla batteria la letale Maria Mallol Moya, già nei Gianni Ruben Rosacroce, Lame e Natura Morta. Con questa crew il risultato è assicurato, ma i quattro sono andati ben oltre la somma dei singoli valori, confezionando un disco unico nel volare fra vari generi, trovando sempre melodie interessantissime, con un impasto sonoro psichedelico e di forte presa, dal quale non si può scappare. Molti sono i riferimenti alla migliore fantascienza, specialmente quella degli anni cinquanta e sessanta, in un’opera maestra dello spazio profondo, un gancio galattico che non vi lascerà.

Tracklist
1. Asterism
2. Trajectory
3. Entanglement
4. Propulsion
5. Into The Nebula
6. The Outer Realms
7. Particle Horizon
8. Starchase

Line-up
Paul Beauchamp
Maria Mallol Moya
Daniele Pagliero
Francesco Mulasssano

SPACE ALIENS FROM OUTER SPACE – Facebook

Ahnengrab – Schattenseiten

Un’opera che parte dal black metal e arriva in molti posti diversi, una rivelazione per chi non li conoscesse ancora, e una grande riconferma per chi li segue da tempo.

I tedeschi Ahnengrab sono al loro terzo disco, la direzione è quella del pagan black metal, con una forte dose di atmospheric e molta melodia.

La miscela musicale di questa band è molto difficile da trovare declinata in questa maniera. Il loro punto di partenza è un black pagano, ma c’è tantissima melodia e soprattutto uno sviluppo assai inusuale delle canzoni, molto al di sopra della media dei gruppi coinvolti nel genere. La questione centrale non è però tanto la qualità quanto la diversità di questo gruppo. I testi in tedesco rendono ancora più corposa ed originale la loro proposta. Ascoltando il disco si viene guidati dal sentimento e non da creazioni musicali artificiose. Ci sono grandi cavalcate che hanno insito il cuore dell’heavy power, momenti di grandioso headbanging, i classici massacri in crescendo del black metal, le stimmate del pagan e anche dei tocchi di folk. Insomma, ci sono moltissime cose per un lavoro che sa emozionare e lascia l’ascoltatore con la voglia di sentirlo ancora. I gruppi come Ahnengrab sono sempre più rari, poiché fluttuano in diversi mondi musicali e si assumono l’alto rischio di non piacere a chi si limita ad un solo genere, privandosi del piacere che può dare un disco come questo. Tutto qui è metal, si usano vari registri per arrivare a narrare storie in una certa maniera, quel modo assai caro a chi legge una webzine come questa, che potrà trovare in Schattenseiten un’autentica rivelazione. Ogni canzone fa genere e storia a sé, poiché racconta una storia diversa e le storie sono come gli uomini, ognuno è differente, è ciò che è. Un’opera che parte dal black metal e arriva in molti posti diversi, una rivelazione per chi non li conoscesse ancora e una grande riconferma per chi li segue da tempo. Sapienza compositiva superiore, grande resa e un suono fuori dal comune.

Tracklist
01. Aurora
02. Katharsis
03. K-37c
04. Phoenicis
05. Rad der Zeit
06. Herbstbeginn
07. Urknall
08. Des Weltenend’ Melancholie
09. …When Paths Separate
10. Sternenmeer

Line-up
Christoph H. – Guitar
Tom W. – Drums
Tom J. – Bass
Tibor C. – Guitar
Christoph “Fenris” L. – vocals

AHNENGRAB – Facebook

NiKy Nine – Suncore

Un gran bel disco per gli amanti della retrowave e del synthwave, e ottimo punto di inizio per metallari che volessero iniziare ad apprezzare questi generi.

Synthwave potente, diretta e fatta da un appassionato metallaro che risponde al nome d’arte di Niky Nine.

Il francese ha collaborato con Tommy Lee dei Mötley Crüe, Shooter Jennings, e ha anche remixato il santone del vizio Rob Zombie. Per chi ama i suoni retrowave e synthwave la sua opera non è sconosciuta, anche se Niky tende a rimanere dietro le quinte, ma è fin dal 2012 che spinge Lazerhawk ed altri, e i suoi pezzi su Youtube sono molto cliccati ed ascoltati. Suncore è un piccolo capolavoro di questi generi, essendo composto con un’anima metal e con attrezzi come l’Akai Mpc e sintetizzatori analogici, che danno una compattezza ed un calore notevole al suono, con il talento di Niky Nine a fare il resto. A differenza di alcuni dei suoi colleghi in campo synth e retro, la differenza la fa la maniera di comporre e di rendere certe atmosfere. Ci sono tutti gli stilemi che hanno riportato queste sonorità degli anni ottanta e novanta in auge, anche grazie ad una decisa modernizzazione, seguendo un gusto maggiormente elettronico rispetto alle origini. Suncore è un disco molto godibile e che ci rivela diversi aspetti narrativi, dallo spazio profondo a pazze corse su autostrade fatte di laser dove l’orizzonte è viola e postatomico. L’immaginario è quello tipico di questi generi, ma c’è qualcosa in più, come sempre nei dischi della marsigliese Lazerdiscs, etichetta che ama davvero questi suoni ed è la principale protagonista del loro attuale revival. Quello che si può trovare qui e che manca altrove è la forza del metal, perché si sente benissimo che Niky Nine compone e ragiona come solo un metallaro può fare, spingendo oltre la sua musica ed il suo stile. Le melodie elettroniche di questo disco potrebbero benissimo essere le linee di chitarra di un disco di death metal, e la batteria potrebbe aprire spazi anche in generi metallici. Un altro elemento metallico è la meravigliosa copertina dell’altrettanto francese Jeff Grimal, che ha già lavorato con i Gorod, band di death metal tecnico da Bordeaux, per chiudere un cerchio fatto di pogo e di musica altra. Un gran bel disco per gli amanti della retrowave e del synthwave, e ottimo punto di inizio per metallari che volessero iniziare ad apprezzare questi generi.

Tracklist
1.Intro
2.Cars
3.Deadchrome
4.Exhausted Divinity
5.Aftermath
6.Prey
7.Thunder Kiss
8.Tears feat. Bedroom Poet
9.Lost Souls
10.Suncore
11.Outro

The Price – A Second Chance To Rise

Il disco contiene ottima musica, il suo ascolto rasserena e carica, c’è maturità, ed una certa consapevolezza che nasce dalla sicurezza nei propri mezzi, e un’immensa passione che sfocia nella voglia di fare qualcosa che alberghi bene nelle nostre orecchie.

Marco Barusso da Calice Ligure, è una personalità musicale dalle molte sfaccettature: produttore, arrangiatore, chitarrista e ingegnere del suono, ha collaborato con nomi quali 883, HIM, Coldplay, Gli Atroci, Heavy Metal Kids e Cayne, solo per fare qualche nome.

The Price è il nome del suo nuovo progetto solista, all’esordio con A Second Chance To Rise. La copertina promette già bene, testimonianza di un contratto con qualcuno che puzza di zolfo e che ha pure lui collaborato con diversi musicisti e gruppi. Uno dei messaggi che vuole trasmettere Barusso è che non bisognerebbe prendere scorciatoie, ma essere sempre fedeli a se stessi, lavorando duro. E il duro lavoro, la grande passione e un talento tecnico fuori dal comune sono alcune fra le doti di Marco Barusso che confeziona un gran bel disco, con tante cose dentro, tanti ospiti di spicco ed un tiro micidiale. Come coordinate musicali si potrebbe dire che siamo dalle parti dell’hard rock proposto con estrema eleganza ma c’è molto di più. Punto di partenza è una produzione davvero puntuale e precisa, poi Barusso ci mette dentro tantissimo del suo: i riff della sua chitarra sono sempre caldi e scorrevoli, non eccede mai in inutili virtuosismi, ma si mette al servizio del contesto musicale. Troviamo anche tanto metal qui dentro, soprattutto nel senso di un epic heavy che si fonde molto bene con l’hard rock suonato in maniera eccellente. Un capitolo a parte lo meritano gli ospiti, la crema della scena rock e non solo italiana degli ultimi trent’anni: qui c’è un Enrico Ruggeri in gran forma che canta in inglese, e poi ci sono anche Luca Solbiati (Zeropositivo), Roberto Tiranti (Labyrinth, Wonderworld), Max Zanotti (Casablanca), Alessandro Ranzani (Movida), Axel Capurro (Anewrage), Alessio Corrado (Jellygoat), Enrico “Erk” Scutti (Figure of Six), Alessandro Del Vecchio (Hardline), Marco Sivo (Instant Karma), Fabio “Phobos Storm” Ficarella (The Strigas) e Tiziano Spigno (Extrema). Ospiti importanti, ma soprattutto musicisti che come Barusso preferiscono l’olio di gomito e la sala prove ai social o alle esternazioni ad minchiam. Il disco contiene ottima musica, il suo ascolto rasserena e carica, c’è maturità ed una certa consapevolezza che nasce dalla sicurezza nei propri mezzi, e da un’immensa passione che sfocia nella voglia di fare qualcosa che alberghi bene nelle nostre orecchie. Tutti dovrebbero avere una seconda possibilità, ma a Barusso ne basterà una sola per conquistarvi.

Tracklist
1 Tears Roll Down (Feat. Luca Solbiati)
2 A mg of Stone (Feat. Alessandro Ranzani)
3 My Escape (Feat. Axel Capurro)
4 Enemy (Feat. Alessio Corrado)
5 Take Back our Life (Feat. Enrico “Erk” Scutti)
6 Free from Yesterday (Feat. Roberto Tiranti)
7 Lilith (Feat. Tiziano Spigno)
8 Stormy Weather (Feat. Max Zanotti)
9 On the Edge of Madness (Feat. Enrico Ruggeri)
10 E.C.P. (Electric Compulsive Possession)
11 Under My Skin (Feat. Alessandro Del Vecchio & Marco Sivo)
12 Strange World (Feat. Fabio “Phobos Storm” Ficarella)

Line-up
Marco Barusso – Lead Guitar and Voice

THE PRICE – Facebook

Rinunci A Satana? – Blerum Blerum

I numi tutelari sono certamente Led Zeppelin e quei disgraziati di Birmingham che riuscirono miracolosamente a scampare ad una vita in fabbrica, e questo materiale in mano a Marco Mazzoldi e e Damiano Casanova diventa un bellissimo reinventare l’occasione per esplorare nuovi lidi, il tutto con visionarietà psichedelica e tanta ironia che li rende un gruppo unico nel panorama italiano e non solo.

Seconda prova per il miglior power duo italiano di sempre, e dire che ve ne sono in giro di coppie musicali, ma nessuna come questi due.

Dopo il primo omonimo disco del 2016 eccoli tornare sul luogo del delitto con una seconda prova ancora migliore. Il genere non è bene definito, poiché i Rinunci a Satana? sono una lunghissima jam che parte dai loro cervelli per arrivare ai nostri, e in questo viaggio si toccano diversi lidi come lo stoner, il prog, lo sludge e il rock and punk alla maniera degli Mc5 e della feccia bianca anni sessanta e settanta. Dimenticatevi le coppie chitarra e batteria un po’ azzimate ed indie che si sono affermate in questi anni, perché qui troverete solo furia e fantasia musicale nelle loro forme più pure e sporche al contempo, un ribollire di note e di creatività che vi colpiranno al cuore. I numi tutelari sono certamente Led Zeppelin e quei disgraziati di Birmingham che riuscirono miracolosamente a scampare ad una vita in fabbrica, e questo materiale in mano a Marco Mazzoldi e e Damiano Casanova diventa un bellissimo reinventare l’occasione per esplorare nuovi lidi, il tutto con visionarietà psichedelica e tanta ironia che li rende un gruppo unico nel panorama italiano e non solo. Ad esempio la settima traccia, La Serata del Gourmet, è un pezzo molto prog anni settanta suonato senza chitarra ma con un synth comandato da una scheda Arduino, ed è un qualcosa di clamoroso. Gli anni settanta ed il loro immaginario sono molto presenti nel disco, dato che è da lì che parte tutto. Quell’epoca fu una fucina immensa di nuovi suoni e di ricerca musicale, l’esatto opposto del pantano mentale e creativo nel quale siamo oggi; allora la direzione era settata unicamente verso l’avanti, oggi su pausa. Non c’è una canzone che annoi, un riempitivo o un calo di divertimento e di soddisfazione. Il lavoro della chitarra è incessante e la batteria è essa stessa una chitarra che pulsa insieme alla titolare. Fughe in avanti senza ritorno, musica senza rimorso in nessun caso, ottime idee e un suono originale ed unico. Non si può rinunciare ai Rinunci a Satana?. Uno dei migliori gruppi italiani underground, e cotanta bellezza è in download libero.

Tracklist
01 Valhalla Rising
02 La Veneranda Fabbrica del Doomm
03 Blerum
04 Blerum
05 Salice Mago
06 Niente di nuovo sul fronte occidentale
07 La serata del Gourmet
08 Chi sta scavando?
09 Dr. Tomas ragtime blues

Line-up
Damiano Casanova – Chitarra
Marco Mazzoldi – Batteria

RINUNCI A SATANA? – Facebook

Larsen – Tiles Ep

Sedersi, mettersi le cuffie ed ascoltare Tiles è un atto molto bello ed insieme positivo per il vostro cervello, che essendo sempre connesso sarà stanchissimo: questi signori torinesi insieme a Miss Bendez hanno una meravigliosa medicina.

Tornano i torinesi Larsen, uno dei pochi gruppi italiani veramente di avanguardia e di rottura.

Parlare di avanguardia è però in questo caso un po’ vuoto, poiché i Larsen fanno da sempre musica alla loro maniera, senza guardare se siano avanti od indietro. In questi venti anni circa di carriera il gruppo ha fatto ascoltare a chi lo ha voluto una visione della musica profondamente diversa rispetto a quella comune e a quella della massa, ovvero un flusso naturale che coglie e narra la realtà ed oltre. I Larsen sono forse l’unico gruppo italiano che ha saputo trarre ispirazione dalle band del post punk inglese e da una certa concezione di musica minimale americana, per arrivare a proporre una sintesi originale e molto personale che in questo ep si avvale della validissima collaborazione di Annie Bendez, che magari non conoscete di nome ma probabilmente di fama, poiché è stata con i Crass nonché musa del dub e molto altro della On-U Sound. La sua voce è quella di una narrazione fuori dal tempo e dal tempio, di un cercare senza sosta, di un parlare sopra una musica ipnotica e molto fisica ma al contempo eterea e leggera. Tiles è un racconto di viaggi in terre lontane, di impercettibili movimenti della nostra tazzina di caffè, di cose che pensiamo e non ci siamo mai detti. La dolcezza mista a verità e crudezza dei rari momenti di illuminazione che seguono a momenti indolenti o dolorosi, un guardare meglio per vedere oltre. Recentemente è uscito un documentario della televisione nazionale italiana sul cosiddetto indie, l’insopportabile necessità di essere alternativi per fare mainstream, e i Larsen sono una delle cose più lontane da questa tragedia musicale ed umana, sono un gruppo che fa cose molto belle e godibili, soprattutto durature, perché questo ep con Little Annie girerà molto nelle orecchie di chi vuole andare oltre. L’uso dell’elettronica nei Larsen raggiunge vette molto alte, dato che si fonde completamente con altre forme musicali e fuoriesce in maniera del tutto naturale. Sedersi, mettersi le cuffie ed ascoltare Tiles è un atto gradevole ed insieme positivo per il vostro cervello, che essendo sempre connesso sarà stanchissimo: questi signori torinesi insieme a Miss Bendez hanno una meravigliosa medicina.

Tracklist
1. First Song
2. Barroom Philosopher Pt. 1
3. She’s So So
4. Barroom Philosopher Pt. 2

Line-up
Fabrizio Modonese Palumbo – Guitar, electric viola
Little Annie – Vocals
Marco Schiavo – Drums, cymbals, percussions, glockenspiel
Paolo Dellapiana – Keyboards, synths, electronics
Roberto Maria Clemente – Guitar

LARSEN – Facebook

Autori Vari – Marijuanaut Vol.V

In Italia, ormai da anni, nella musica pesante ci sono delle cose notevoli, è un flusso che scorre e che si deve ascoltare con attenzione, perché nasce dalla vera indipendenza e dalla passione.

Puntuale come la morte e la buona musica, ecco arrivare al termine del 2018, come da cinque anni a questa parte, la raccolta del meglio del sotterraneo italiano negli ambiti stoner doom e sperimentale, con la compilation della webzine Doomabbestia.

Quest’ultima è una delle migliori espressioni di giornalismo musicale fatte da appassionati per amanti di questi generi. Doomabbestia è il frutto di divertimento, perché quando si trattano le cose che si amano si fanno meglio, ma anche di sacrificio, perché non essendo professionisti si deve sacrificare qualche ambito della nostra vita per poter rincorrere la musica. Da anni questo spazio di critica e di proposta musicale è quanto di meglio un amante delle sonorità heavy in quota psichedelica possa trovare e questa bellissima raccolta in download libero ne è la testimonianza più lampante. Ascoltando gli episodi precedenti si aveva una fotografia molto precisa e puntuale della scena underground italiana per quanto riguarda i sottogeneri che vanno dallo stoner al doom, passando per lo psych ed il fuzz ed andando oltre. Questo quinto episodio incarna la grande qualità di quelli precedenti, ma li supera perché qui ci sono gruppi davvero notevoli, che ci fanno ascoltare come in Italia ci sia una vibrazione che è presente in molte cantine e garage, e che dà vita a qualcosa di assolutamente originale e vibrante. Non si vuole nominare un gruppo in particolare, sia perché sono tutti eccezionali, sia perché questa raccolta può essere ascoltata come un album classico, dato che c’è un filo conduttore comune a tutte le tracce che è quello della creatività e della bravura. Si spazia tantissimo in questa raccolta che è attesa con ansia ogni fine anno dagli appassionati di musica pesante e pensante, e con ragione, poiché qui ce n’è per tutte le inclinazioni. In Italia, ormai da anni, in tale ambito emergono cose notevoli, è un flusso che scorre e che si deve ascoltare con attenzione, perché nasce dalla vera indipendenza e dalla passione. Il meglio delle uscite italiane di musica pesante secondo i ragazzi di Doomabbestia, e non finisce qui per cui, come dicono loro, alzate il volume e accendetene una.

Tracklist
1.Greenthumb – The Black Court
2.Mr Bison – Sacred Deal
3.LORØ – Last Gone
4.Sabbia – Manichini
5.Messa – Leah
6.The Turin Horse – The Light That Failed
7.Killer Boogie – Escape From Reality
8.John Malkovitch! – Nadir
9.Go!Zilla – Peeling Clouds
10.Tons – Sailin’ the Seas of Buddha Cheese
11.Suum – Black Mist
12.Haunted – Mourning Sun
13.Organ – Aidel
14.Satori Junk – The Golden Dwarf
15.Sherpa – Descent of Inanna to the Underworld

DOOMMABESTIA – Facebook

Symptoms Of The Universe – Demo

Non è facile né consueto trovare un gruppo che ha una vastità tale al suo interno, partendo da una certa tradizione underground italiana per spaziare in territori che non sono consueti per le nostre latitudini, il tutto in maniera personale, urgente ed impetuosa.

I Symptoms of the Universe sono un quartetto barese che ha pubblicato online il primo demo il, disponibile in download libero nel loro bandcamp.

Ciò che stupisce di più in questo do è solo l’inizio. Il loro suono si compone di moltissime cose, tra cui il black metal più etereo e meno convenzionale, infatti una loro canzone si intitola A Forest Of Stars, chiaro riferimento al magnifico gruppo inglese. Come definizione del loro genere si potrebbe parlare di post black metal, ma è davvero riduttivo. Ci sono momenti di grande creatività, invenzioni sonore di grande spessore, e grazie alla musica acquista valore anche il non detto, silenzi che fanno scaturire poi note bellissime. I quattro respirano allo stesso modo, l’affiatamento è notevole, le canzoni sono quasi tutte di lunga durata e dimostrano notevole capacità compositiva, così come quella di cambiare registro più volte nel corso della stessa canzone che è propria solo di chi volge lo sguardo al cielo che sta sopra di noi. La produzione è ancora da saletta prove, ma ciò non è assolutamente un problema, fa anzi parte del fascino di questo gruppo. Non è facile né consueto trovare una band che abbia una vastità tale al suo interno, partendo da una certa tradizione underground italiana per spaziare in territori che non sono consueti per le nostre latitudini, il tutto in maniera personale, urgente ed impetuosa. Anche gli errori aggiungono bellezza al tutto. Un fuoco che arde con passione, un demo molto prezioso e che potrebbe essere l’inizio di qualcosa di grande, perché qui c’è davvero moltissimo.

Tracklist
1.Intro
2.The Dead
3.Tears of a Careful Graverobber
4.Letters
5.Interlude
6.A Forest of Stars (pt.1 – The Rise; pt. 2 – The Fall)
7.Per Anna
8.The Knight That is Not
9.Outro

Line-up
Antonio – Rythm Guitars
Francesco – Bass
Wizard – Harsh Vocals
Giovanni – Clean and Harsh Vocals
Ermanno – Drums
Michele – Lead Guitar

SYMPTOMS OF THE UNIVERSE – Facebook

Season Of Ghosts – A Leap Of Faith

I Season Of Ghost fanno un disco che potrebbe essere la colonna sonora di un anime, ma è anche molto di più. A Leap Of Faith è energia e voglia di confrontarsi con tutto ciò che sta là fuori, sapendo che non è per nulla facile.

I Season Of Ghosts sono un gruppo diviso fra Giappone ed Inghilterra, fautori di un modern metal molto melodico e con innesti di elettronica, il tutto con la bella impronta della voce di Sophia Aslanides, calda e potente.

Il suono del gruppo è fortemente improntato alla modernità e spazza via i vecchi schemi, dato che è una fusione tra metal ed elettronica, con una grande attenzione per la melodia. Il risultato è un qualcosa di molto accattivante e trasversale che potrà piacere a chi ama le sonorità più dure e anche a chi ama la melodia di qualità. Come secondo disco sulla lunga distanza A Leap Of Faith ha un’evoluzione costante e continua, aiutato da una capacità tecnica al di sopra della media e dalla voce di una cantante molto brava. Come dicono loro stessi ci sono moltissime cose qui dentro, dal visual kei giapponese, ovvero anime e velocità, al metal europeo e a quello americano più orecchiabile. I ragazzi non si pongono limiti, hanno capacità compositive e di esecuzione e le mettono in campo, producendo un disco piacevole e vario, pieno di azione ma anche di sentimenti. Dentro questo lavoro ci sono molte cose, dalle percezioni più comuni a quelle che solo i giovani di queste generazioni riescono a cogliere in maniera molto più adeguata rispetto a noi. Molto importante è il ruolo rivestito dall’elettronica, che è una delle colonne portanti del disco, così come l’immaginario giapponese: in quella terra gruppi come questo destano sempre molta attenzione, sia perché intercettano i gusti dei giovani, sia perché sono profondamente infusi della filosofia nipponica riguardo il suono e l’immagine. I Season Of Ghosts fanno un disco che potrebbe essere la colonna sonora di un anime, ma è anche molto di più. A Leap Of Faith è energia e voglia di confrontarsi con tutto ciò che sta là fuori, sapendo che non è per nulla facile. Freschezza ed un suono di vero metal moderno.

Tracklist
1. The Road so Far
2. A Place to Call Home
3. Astero (Id)
4. Listen
5. A Leap of Faith
6. How the Story Ends
7. Almost Human
8. What a Time to Be Alive
9. You Are Not Your Pain
10. Listen (To This) [Fatal Fe Remix]

Line-up
Sophia Aslanides – vocals, songwriting, total production
Zombie Sam – guitar
Paul Dark Brown – bass
Max Buell – drums

SEASON OF GHOSTS – Facebook

Autori Vari – Mister Folk Compilation Vol. VI

Un viaggio che vi regalerà immense sorprese, una meravigliosa porta per entrate in un reame fantastico e tutto da esplorare con ripetuti e compulsivi ascolti, guidati dalle ottime scelte di un ragazzo come Fabrizo che con passione e competenza ama l’underground e lo fa conoscere attraverso la sua webzine e con queste magnifiche raccolte in download libero.

Come ogni anno torna la raccolta del miglior sito italiano di folk e viking metal in Italia, misterfolk.com, gestito dall’infaticabile Fabrizio Giosuè, autore anche dei fondamentali testi Folk Metal e Tolkien Rocks.

Siamo arrivati al sesto episodio, e i precedenti cinque erano davvero validi, oltre che essere in download libero allo scopo di valorizzare e far conoscere il validissimo sommerso di questi due sottogeneri del metal. In questa raccolta si possono ascoltare brani di gruppi di elevata qualità e sarebbe ingiusto citarne uno in particolare; allora ecco qui la lista completa con le loro nazionalità: Heidra (DK), Dyrnwyn (ITA), Bucovina (RO), Kanseil (ITA), Nebelhorn (D), Calico Jack (ITA), Alvenrad (NL), Storm Kvlt (D), Sechem (SPA), Bloodshed Walhalla (ITA), Ash Of Ash (D), Draugul (M), Evendim (ITA), Duir (ITA), Aexylium (ITA), Kaatarakt (CH), Balt Huttar (ITA), Moksh (IND).
Fra questi nomi ci sono formazioni che abbiamo già ascoltato e recensito su queste pagine, e altre che saranno ottime e gradite scoperte. La compilation racchiude in sé lo spirito della webzine, ovvero ricercare le perle nascoste di folk e viking metal, descrivendo l’ottimo momento che stanno attraversando. In molti luoghi, e forse anche vicino a voi, ci sono giovani e meno giovani che stanno compiendo un viaggio molto interessante attraverso sonorità e tematiche che si rifanno al passato, che non sono mero escapismo ma la ricerca di un qualcosa che si possa narrare con il metal come punto cardinale. Questi suoni sono caldi, coinvolgenti, belli e colpiscono al cuore, distogliendoci dalla modernità e riportandoci in un luogo che la nostra anima già conosce, senza negare le asperità di un passato che è comune. Musicalmente la compilation presenta una ricchezza non scontata e come i cinque episodi precedenti è di alto livello, ma questo sesto episodio rende chiaro che la maturità di questi sottogeneri sta producendo autentici capolavori, sia dal punto di vista della composizione e dell’esecuzione sia del pathos. Con questo regalo di Mister Folk si può spaziare da covi di pirati all’Antico Egitto, da villaggi delle valli del Nord Italia all’Isola di Smeraldo, da campi di battaglia dove svetta l’aquila romana fino alla remota India. Un viaggio che vi regalerà immense sorprese, una meravigliosa porta per entrate in un reame fantastico e tutto da esplorare con ripetuti e compulsivi ascolti, guidati dalle ottime scelte di un ragazzo come Fabrizio che, con passione e competenza, ama l’underground e lo fa conoscere attraverso la sua webzine e con queste magnifiche raccolte in download libero. Una menzione speciale per il bellissimo e consueto artwork di Elisa Urbinati, sempre molto elegante ed minimalmente affascinante.

MISTER FOLK – Facebook

MISTER FOLK COMPILATION Vol. VI

D-Sense – #savemehello

La sterminata scena russa sta regalando gruppi molto interessanti, e molti sono particolari come i D-Sense, che si muovono leggeri e aggraziati, senza farci mai mancare qualche bella chitarra distorta.

I russi D-Sense sono un gruppo che propone una miscela dolce di rock alternativo con innesti elettronici molto vicino alle cose degli anni novanta.

Non c’è aggressività in queste tre canzoni che rappresentano il loro debutto discografico, nel quale troviamo una confluenza di vari generi, tutti dominati dalla bella voce femminile di Nana, che ha la capacità di spaziare fra i vari registri sonori senza mai perdere il proprio timbro e la propria impronta. Addentrandosi nell’ascolto del disco si coglie anche l’importanza dell’elettronica nell’economia sonora del gruppo, nel senso che essa è il mezzo per trovare nuove situazioni sonore, ricercando sempre una situazione diversa. Nel complesso il sound è ben bilanciato ed esibisce un aspetto il più possibile variegato, avendo come colonna portante la melodia, vero e proprio spirito guida del gruppo, sempre presente e trattata con cognizione di causa. Alcuni potrebbero affermare che i D-Sense siano un gruppo fuori dal tempo, nel senso che ripropongono un suono che era famoso anni fa, ma alla fine questi ragazzi si rivelano accattivanti facendo ciò che piace loro di più, e l’importante è questo. La sterminata scena russa sta regalando gruppi molto interessanti, e molti sono particolari come i D-Sense, che si muovono leggeri e aggraziati, senza farci mai mancare qualche bella chitarra distorta. Un gruppo interessante, aspettando qualcosa in più di tre soli pezzi.

Tracklist
1. Butterfly
2. Till The End
3. #savemehello

Line-up
Nana – Vocals
Andy Nova – Guitars and Programming
Muxeu4 – Bass
Artem P – Drums
Lercha (SOULSHOP) – guest vocal on TILL THE END & #SAVEMEHELLO

D-SENSE – Facebook

Vetrarnott – Scion

Scion è una prova molto convincente per una band che ha operato una scelta importante in maniera consapevole e ci riserverà ancora black metal di ottima fattura sui miti italici, per cui speriamo presto di avere un nuovo disco sulla lunga distanza dei Vetrarnott.

Black metal classico e molto ben suonato per gli italiani Vetrarnott.

Questo ep è stato concepito come omaggio alla scena black metal del nord Europa, sia della prima che della seconda ondata. Inoltre il disco è anche una descrizione musicale della storia mitica dei tre figli di Loki e Angrboða. Quest’ultima era una gigantessa, il cui nome significa colei che porta tristezza, che si unì con Loki, nato dall’unione di un gigante e di una gigantessa: dalla loro unione nacque il lupo Fenrir, che avrà un ruolo importante nel Ragnarok, il dies irae nordico. Scion, tra le altre cose, significa anche discendente di una nobile stirpe. Infatti i Vetrarnott sono tre musicisti che hanno inciso tre canzoni di black metal come altrettanti omaggi al black metal e alla cultura nordica perché, come dice il fondatore Gar Ulfr, questo ep segna un passaggio molto importante nella storia del gruppo in quanto segna il distacco dai temi nordici per arrivare a cantare dei miti italici, come nella quarta canzone, la bonus track La Voce Degli Dei. Questa canzone è è un ottimo inizio per la nuova fase del gruppo e il cantato nella nostra lingua valorizza ulteriormente il valido black metal del gruppo pugliese. L’ep Scion è un’ottima prova per una band che ci propone musica di ottima fattura, con dichiarata preferenza per il black scandinavo, specialmente quello della seconda ondata. Tutto è molto intelligibile e fatto con ottime scelte, troviamo anche momenti meno veloci che sono utili per rafforzare ulteriormente una struttura già buona. I Vetrarnott sono uno di quei non comunissimi gruppi che hanno compenetrato alla perfezione la materia, ovvero sono riusciti a cogliere il lato più musicale e creativo del black, e ne hanno tratto una versione tutta loro e molto originale, che qui giunge al massimo compimento. Anche con l’uso dell’inglese il risultato è ovviamente molto buono. Una delle peculiarità del gruppo è un incedere sì violento e deciso, che è però al contempo anche sognante ed arioso. Scion è una prova molto convincente per una band che ha operato una scelta importante in maniera consapevole e ci riserverà ancora black metal di ottima fattura sui miti italici, per cui speriamo presto di avere un nuovo disco sulla lunga distanza dei Vetrarnott.

Tracklist
1.The Tide
2.Unbound
3.Helvegr
4. La Voce Degli Dei (bonus track)

Line-up
Gar Ulf – Vocals, Bass, Keys, Programming
Valar – Lead & Solo Guitars
Osculum – Rhythm & Acoustic Guitars
Ambrogio L – Live Drums

VETRARNOTT – Facebook

Xibalba Itzaes – Ah Tza Xibalba Itzaes

Se si ama il black metal non si potrà che essere contenti di questo ritorno e di questo disco che farà la gioia di chi ama quel ramo del genere che potrà anche essere definito semplice, ma che è ugualmente di grande bellezza.

Si sono fatti attendere ventiquattro e sono una delle prime band di black metal che fa riferimento alla natia cultura Maya: sì sono tornati i Xibalba Itzaes.

Loro sono messicani di passaporto, ma sono Maya nel cuore e nei fatti, dato che tutti loro testi vertono sulla quella grande cultura. Questo è appena il loro secondo disco sulla lunga distanza , dopo quello pubblicato nel 1994, chiamato Ah Dzam Poop Ek, che li aveva imposti all’attenzione della scena black mondiale. I nostri furono fra i propugnatori della scena black aztec maya metal in Messico e non solo: ora vi sono diversi gruppi in giro che si rifanno a quell’immaginario ed alcune si sono anche alleate fra di loro, ma nel 1994 anche in Europa il black metal muoveva i primi passi, tanto per far capire l’importanza di questo gruppo. Questo disco inedito segue la ristampa del debutto e di altro materiale da parte della Nuclear War Now! Productions che ha avuto il grande merito di rimetterlo in pista. Valeva davvero la pena attendere il ritorno di questo gruppo e del suo black metal molto vicino a quello degli esordi, dai suoni molto ortodossi ed influenzati in maniera importante dallo speed. Il cantato è abbastanza pulito, non ci sono growl, le chitarre viaggiano spedite senza essere pesantemente distorte, la batteria è molto vecchia scuola come il basso. Il risultato è un disco black metal molto bello e assai godibile, che riporta indietro negli anni, per una formula che è abbastanza ovvia ma mai facile da riproporre. Ah Tza Xibalba Itzaes è un lavoro ben fatto e suonato da persone che credono fermamente in ciò che fanno, ha un grandioso suono vecchia scuola ed indugiano sulla giusta narrazione, dando spazio ad un certo immaginario di sangue interessante e ben costruito. Se si ama il black metal non si potrà che essere contenti di questo ritorno e di questo disco che farà la gioia di chi ama quel ramo del genere che potrà anche essere definito semplice, ma che è ugualmente di grande bellezza.

Tracklist
01 Ah Tza!
02 Intro All Hail Chaac
03 All Hail Chaac
04 Rituals in the Sun
05 Throughout the Equinox
06 The Storm of Giaia
07 Nine Steps Below
08 Dawn of Endless Horrors
09 Ekab
10 The Owl
11 Ah Tza Xibalba Itzaes
12 Katun II (The First Chronicle)

Line-up
Marco Ek-Balam – Guitar & Vocals
Vic EkXibChac – Bass Guitar
Jorge Ah-Ektenel – Drums

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Duirvir – Endless Graves, Endless Memories

Il disco è una puntata notevole dell’eterno raccontare della vita e della morte, di come siamo cenere portata via dal vento, mentre viviamo per un ricordo, per un attimo che brucia in fretta.

I Duirvir sono di Udine, e sono nati nell’estate del 2011 da un’idea dei due chitarristi Iskhathron e Ithydvea.

Il gruppo nacque inizialmente come progetto di melodic death meta sulla scia di gruppi come gli Amon Amarth, e in seguito il progetto è evoluto in maniera costante, fino ad arrivare ad un post black metal, che è la punta dell’iceberg, perché sotto ci sono molte meraviglie. Come tanti musicisti di talento ed evoluti, i Duirvir hanno intrapreso un sentiero sconosciuto che passo dopo passo è mutato ed è arrivato ad essere ciò che ci presentano in questo bel debutto sulla lunga distanza. Il cambio avviene con il primo demo Duir del 2013, dove le istanze post black, atmospheric black e doom vedono la luce in maniera compiuta per poi realizzarsi nell’ep Idho del 2014, che permette loro di suonare anche in festival prestigiosi. Una domanda lecita che potrebbe essere fatta da un ascoltatore attento è la seguente: cosa hanno i Duirvir di diverso rispetto ai tanti gruppi atmospheric e post black? Una breve risposta potrebbe essere che la musica della band udinese ha un sapore diverso, un incedere molto più black nel tipo di composizione e nella resa. La risposta più lunga e molto più compiuta sono le cinque tracce e i quasi trenta minuti di Endless Graves, Endless Memories, un disco che va assaporato lentamente, come una giornata di neve lenta, dove si guarda fuori dalla finestra o camminando sulla neve fresca, in quel silenzio carico di rumori soffusi. L’atmosfera creata dai Duirvir è notevole e molto ben strutturata, si sente subito che il gruppo ha qualcosa in più, e lo sviluppo del disco è pieno di episodi notevoli, di momenti malinconici e dolci, di carezze struggenti e graffi rabbiosi, di slanci e di momenti di isolamento, ma tutto è caduco eppure eterno proprio come dice il titolo. Il disco è una puntata notevole dell’infinito raccontare della vita e della morte, di come siamo cenere portata via dal vento, mentre viviamo per un ricordo, per un attimo che brucia in fretta. Il cantato in growl si alterna a quello in chiaro e le voci giostrano benissimo, come tutto il resto del gruppo. Un’opera che colpisce al cuore chi sa che dentro al black ci sono infiniti universi, un premio per persone che godono di piccole grandi gioie: il gran debutto di un gruppo che ha ancora enormi margini e tanto da dire.
Scaricabile con offerta libera dal loro sito.

Tracklist
1.Autumnal Lethargy
2.Blooming the Rose
3.Storm’s Chant
4.Drop from the Woods
5.Haggard Sin

Line-up
Marjan – Voice, Guitar
Ivan – Guitar
Luca – Bass
Fabiano – Drums

DUIRVIR – Facebook

All Else Fails – The False Sanctuary

Il lavoro degli All Else Fails non si può stroncare, poiché è comunque una proposta a suo modo interessante, ma da un band del genere ci si aspetta qualcosa in più.

Gli All Else Fails sono un altro valido gruppo di metal moderno dal Canada, e più precisamente da Edmonton nello stato di Alberta.

Nati nel 2006, i canadesi sono al quarto ep e a tre lp su lunga distanza, si sente quindi che hanno raggiunto una ragguardevole maturità sonora e che sono un notevole gruppo di metal moderno. Gli stilemi sono quelli tipici degli ultimi In Flames, quelli più melodici e vicini ai gusti del pubblico americano, per intenderci. Qui tutto scorre bene, la potenza si accompagna in maniera piacevole alla melodia, producendo un valido disco di metal moderno. La pecca degli All Else Fails è che mancano di originalità, nel senso che svolgono molto bene il compitino, è tutto incasellato adeguatamente, ma manca decisamente lo spunto personale, quel guizzo che permetterebbe al disco di compiere un balzo in avanti. In The False Sanctuary è troppo scoperta la ricerca di una formula di successo, e se già il gruppo canadese è un nome di rilievo all’interno della scelta, potrebbe fare ben di più se ce ne fosse l’intenzione. Il problema è che molto probabilmente a questi musicisti va bene così, nel senso che un ep simile ha il suono che si può imporre all’attenzione di chi ascolta esclusivamente il metal moderno e giovane, mentre gli altri sono tagliati fuori. Nonostante il suo indubbio talento, la band si limita a proporre a chi apprezza queste sonorità qualcosa di molto appetibile, anche se ciò è stato già sentito e risentito. La produzione è totalmente votata a rendere al meglio quanto sopra, facendo perdere freschezza e potenza e rendendo il tutto un po’ piatto. Il lavoro degli All Else Fails non si può stroncare, poiché è comunque una proposta a suo modo interessante, ma da un band del genere ci si aspetta qualcosa in più.

Tracklist
1. A Dream of Names
2. Wolves
3. Thrice Broken
4. The Pause
5. Love In The Gloom
6. Bones (2015 Demo Version)
7. The Forever Lie (2015 Demo Version )

Line-up
Barrett Klesko – Vocals, Guitar, Programming –
Mike Sands – Guitar –

ALL ELSE FAILS