Vesta – Vesta

I Vesta ci spiegano, portandoci le prove, del perché il post rock sia un genere molto bello se fatto bene come lo fanno loro.

I Vesta sono un trio viareggino di post rock e molto altro, dal bel tiro musicale per un disco che vi renderà devoti di questo suono.

La copertina è molto bella ed aperta ad interpretazioni soggettive, e rende molto bene ciò che è questo disco : un viaggio bello robusto verso qualcosa di molto lontano. I riferimenti sarebbero quelli del post rock classico e meno classico, ma i Vesta rielaborano il tutto in maniera molto personale ed originale. Il gruppo viareggino costruisce una narrazione musicale e cerebralmente visiva, con risultati entusiasmanti che lasciano il segno. Musica e sensazioni che suonano, e ci sono anche pause e silenzi che valgono davvero molto, qui conta l’insieme, anche se ogni episodio è notevole. I Vesta rompono gli schemi del genere, forse perché non decidono di appartenere in maniera ortodossa a nessun genere, decidendo di fare un percorso tutto loro, e la scelta è più che mai giusta. Questo disco omonimo piacerà a tante persone dai differenti gusti musicali, a chi ama il post rock, ma anche a chi apprezza sonorità più pesanti, mentre lo potrà gradire anche chi è abituato a cose più soft. Per apprezzare al meglio questo album lo si deve ascoltare e lasciarlo fluire dentro di noi, perché è un fluido che scorre e porta i pensieri di ognuno, e ci fa vedere le nostre azioni dall’alto. I Vesta ci spiegano, portandoci le prove, del perché il post rock sia un genere molto bello se fatto bene come lo fanno loro.

Tracklist
1. Signals
2. Resonance
3. Constellations
4. Ethereal
5. Nebulae
6. Aurora pt.1
7. Aurora pt.2

Line-up
Giacomo Cerri – Guitar & Drones
Sandro Marchi – Drums & Cymbals
Lorenzo Iannazzone – Bass & Noise

VESTA – Facebook

Beesus – Sgt. Beesus And The Lonely Ass Gangbang

Sgt. Beesus And The Lonely Ass Gangbang è un disco dalle mille sfaccettature, possiede un amplissimo respiro vitale, e riporterà indietro ai fasti degli anni novanta, quando questo noise bastardo ha sfornato opere molto particolari, con i Beesus che non avrebbero sfigurato nemmeno allora.

I Beesus sono un gruppo che suona un noise grunge con attitudine punk hardcore, ed il risultato è molto buono e vario, come si usava fare ai tempi dei dischi dei Primus o compagnia rumoreggiante.

Il bello di questo disco è il suo essere sinuoso, totalmente musicale ed immediato, anche se ha soluzioni sonore davvero originali e di altro livello. I Beesus non suonano solo per stupire con repentini cambi di genere o di tempo, ma fanno musica per generare sensazioni, e lo fanno in maniera zappiana, portando l’ascoltatore su di un livello lisergico e di piacere, dove la percezione cambia e si amplia. I riferimenti musicali sono moltissimi, da Zappa appunto ai Beastie Boys, ma il tutto è molto Beesus. Il gruppo ci porta in un territorio caleidoscopico, che cambia come in un viaggio psichedelico, ma non c’è tanto di questo ultimo genere, quanto una musicalità molto pronunciata che si espande ad ogni ascolto, tanto da far diventare davvero difficile eleggere un genere prevalente, e non sarebbe nemmeno giusto farlo. Il presente disco è stato scritto e prodotto soprattutto in tour, dopo l’uscita di Rise Of The Beesus, e quindi riporta molta della caoticità che viene introdotta anche dal titolo. L’uscita è stata possibile grazie alla campagna di raccolta fondi fatta su Pledgemusic, e bisogna dire che gli ascoltatori ci hanno visto molto bene, premiando gli sforzi di un grande gruppo. Sgt. Beesus And The Lonely Ass Gangbang è un disco dalle mille sfaccettature, possiede un amplissimo respiro vitale, e riporterà indietro ai fasti degli anni novanta, quando questo noise bastardo ha sfornato opere molto particolari, con i Beesus che non avrebbero sfigurato nemmeno allora.

Tracklist
1.Intro
2.El Dude
3.Dubblegum Boom Metla
4.Ñuña Y Freña
5.Reichl
6.I Don’t Wanna Be
7.Junk Around
8.Beaux
9.Outro

Line-up
Jaco – Vocals
Pootchie – Guitars/Vocals
Johnny – Bass
Mudd – Drums/Vocals

BEESUS – Facebook

Cruachan – Nine Years Of Blood

La musica degli irlandesi è folk metal con elementi celtici, momenti vicini al power metal, sfuriate death ed un tocco di melodic black, ma l’ossatura è fortemente celtic folk.

E chi se non un gruppo irlandese poteva essere il padrino del celtic black folk metal? I Cruachan sono in giro dal 1992 e non accennano a lasciare il trono.

Con il loro ottavo album sulla lunga distanza chiudono la trilogia del sangue sulla guerra dei nove anni che si svolse dal 1593 al 1603, conclusasi con la definitiva sottomissione dei nobili irlandesi, e poi nel 1609 si darà vita alla colonizzazione vera e propria dell’Ulster, principale teatro di battaglia della guerra. I Cruachan ne hanno descritto le prime fasi nei due album precedenti della trilogia, Blood on the Black Robe su Candlelight Records, per poi passare sulla tedesca Trollzorn per Blood for the Blood God e il presente Nine Years Of Blood. La musica degli irlandesi è folk metal con elementi celtici, momenti vicini al power metal, sfuriate death ed un tocco di melodic black, ma l’ossatura è fortemente celtic folk. I Cruachan sono molto piacevoli e sono diventati più melodici e strutturati nelle composizioni. Nine Years Of Blood è un disco solido e con molte storie da raccontare con la ferma identità musicale e folclorica del gruppo. La storia narrata è amara, perché parla di una delle tante sconfitte irlandesi, forse la più brutta perché la vittoria era così vicina, ma è materia degli storici discutere sui motivi della sconfitta, ma soprattutto sulle davvero nefaste conseguenze, dato che la dominazione inglese dura ancora. I Cruachan dipingono un ottimo affresco musicale, una vivida lezione di storia e di pathos, e si perdona loro anche la poca inventiva di taluni passaggi musicali, perché qui quello che conta è l’effetto finale. Un’altra battaglia vittoriosa per il gruppo dell’isola verde.

Tracklist
01. I am Tuan
02. Hugh O’Neill – Earl of Tyrone
03. Blood and Victory
04. Queen of War
05. The Battle of the Yellow Ford
06. Cath na Brioscaí
07. The Harp, The Lion, The Dragon and The Sword
08. An Ale Before Battle
09. Nine Years of Blood
10. The Siege of Kinsale
11. Flight of the Earls
12. Back Home in Derry

Line-up
Keith Fay – Vocals, Electric Guitar, Acoustic Guitar
Keyboard, Tin-Whistle, Bouzouki, Mandolin, Bodhrán, Percussion
Kieran Ball – Electric Guitar, Acoustic Guitar
Eric Fletcher – Bass
John Ryan – Violin, Cello, Bowed Bass
Mauro Frison – Drums, Percussion

CRUACHAN – Facebook

Light The Torch – Revival

Revival non è il solito disco di metal moderno per ragazzini, ha profondità e solide radici e suona molto bene, per un ulteriore passo in avanti nella carriera di quello che è un supergruppo che però sa reinventarsi ogni volta senza vivere sugli allori.

I Light The Torch sono la dimostrazione vivente che si può fare buon metal moderno misto al rock, essere radiofonici ed al contempo credibili.

Cosa non difficile visti i membri che compongono il gruppo ed i loro curriculum passati, a partire dal cantante Howard Jones già nei Killswitch Engage e nei Blood Has Been Shed, che con la sua particolare voce è uno dei punti di forza del gruppo. Non tutto è facile però, poiché la band ha dovuto attraversare un difficile momento sia personale di diversi componenti del gruppo, come lo stesso Jones che nel 2016 ha perso suo fratello, sia a livello di gruppo per diversi contrasti al loro interno, come è per certi versi normale. Revival, il titolo del nuovo disco, rispecchia precisamente il suo significato, nel senso di reale rinascita per il gruppo, che dopo aver passato la tempesta è più vivo che mai. In molti parlano di metalcore per descrivere il genere di questa band, ma c’è qualcosa in più e di differente, per cui sarebbe forse meglio parlare di metal rock, anche per la grande quantità di melodia presente. I losangelini hanno lavorato per più di un anno al disco e i miglioramenti sono tangibili, soprattutto nella fusione di melodia e potenza, dando un buon risultato. Le canzoni sono strutturate in maniera più solida e si snodano con vigore, riuscendo ad avvicinare un pubblico maggiore rispetto al mero metalcore. Tutte le canzoni sono potenziali singoli radiofonici, specialmente per il circuito radio metal delle università americane. Revival non è il solito disco di metal moderno per ragazzini, ha profondità e solide radici e suona molto bene, per un ulteriore passo in avanti nella carriera di quello che è un supergruppo che però sa reinventarsi ogni volta senza vivere sugli allori.

Tracklist
1. Die Alone
2. The God I Deserve
3. Calm Before The Storm
4. Raise The Dead
5. The Safety Of Disbelief
6. Virus
7. The Great Divide
8. The Bitter End
9. Lost In The Fire
10. The Sound Of Violence
11. Pull My Heart Out
12. Judas Convention

Line-up
Howard Jones – Vocals
Francesco Artusato – Guitar
Ryan Wombacher – Bass
Mike “Scuzz” Sciulara – Drums

LIGHT THE TORCH – Facebook

Bison – Earthbound

Ci sono dischi che, pur non essendo epocali, sono molto validi e rappresentano un’importante pietra miliare per un certo tipo di suono: questo è il caso dell’ep di debutto Earthbound dei canadesi Bison.

Ci sono dischi che, pur non essendo epocali, sono molto validi e rappresentano un’importante pietra miliare per un certo tipo di suono: questo è il caso dell’ep di debutto Earthbound dei canadesi Bison.

Il loro debutto del 2007 è ora ristampato dalla No List Records, ed è il viatico al prossimo tour europeo dei Bison, che però non passeranno per lo stivale. Il disco colpisce ora come ieri per la sua potenza, per le ardite soluzioni sonore che non rendono mai il suo svolgimento ovvio o scontato. In certi passaggi il combo canadese ricorda i Mastodon, ma il tutto è sempre molto originale. I Bison sono uno dei pochi gruppi che coinvolgono l’ascoltatore e rendono naturale muovere la testa su è giù. Il loro suono è molto compatto e corposo come un buon vino rosso, sia quando vanno più veloci che quando parti più lente. In un genere come il loro sarebbe facile essere scontati ma questo è un gruppo unico e molto al di sopra degli altri. Qui l’intensità si coniuga ad una capacità compositiva che riesce a cogliere differenti sfumature di musica pesante. Le canzoni dei Bison sono stanze da esplorare sia perché gli elementi sono molti, sia perché ci si diverte molto nel farlo. Earthbound è del 2007 ma suona come un qualcosa di molto attuale, e lo sarà ancora per molto tempo. Un debutto come questo ep non è fattibile per molte band mentre loro sono riusciti a migliorare ancora, progredendo ad ogni album. Un ascolto che non farà epoca ma che fa molto rumore, ed l’importante è questo.

Tracklist
1 Stokasaurus
2 Wartime
3 Dark Skies Above
4 The Curse
5 Cancer Rat
6 Earthbound

Line-up
JAAMES
DAAN
SHAANE
MAATT

BISON – Facebook

JOHN MALKOVITCH! – The Irresistible New Cult of Selenium

Un ottimo post rock ambient di provincia, sembrerebbe facile ma non lo è affatto.

Gruppo di musica post rock e ambient di larghissimo respiro da Pontecane, frazione del comune umbro di Fratta Todino in provincia di Perugia, conferma vivente che la provincia è molto più creativa della città.

Questo è il loro disco di debutto, quattro tracce che arrivano direttamente dalle loro lunghe jam, e si sente chiaramente che questi ragazzi sono per davvero amanti della musica. La loro è un post rock ambient molto cinematografico, con tanti riverberi e una calma imperante che assume significati diversi a seconda della necessità e dell’umore compositivo. Si viaggia bene in questo disco, per chi ama un certo tipo di musica, totalmente alieno sia dal termine commerciale che da quello alternativo. La musica dei John Malkovitch! è un luogo mentale, un posto non tanto di comfort quanto di vita dei pensieri, qui nascono forme, si vedono luci e si sta bene. Questa musica aiuta il pensiero, è cerebralmente feconda e molto piacevole, invita alla calma e alla riflessione. La produzione è buona e mette in risalto le doti del gruppo; nei meandri delle loro canzoni ci si perde davvero, ed è bello condividere in questa maniera movimenti musicali da saletta. I pontecanesi non si inventano nulla, ma quello che suonano lo fanno bene e lasciano un buon sapore nelle nostre orecchie. Un ottimo post rock ambient di provincia, sembrerebbe facile ma non lo è affatto.

Tracklist
1.Darker Underneath The Surface
2.Twice In A Moment, Once In A Lifetime
3.Zenit
4.Nadir

JOHN MALKOVITCH! – Facebook

Drudkh – Їм часто сниться капіж’ They Often See Dreams About The Spring

Ascoltando Їм часто сниться капіж si viene rapiti e portati in un luogo lontano, ma che sta dentro di noi, e questa musica catartica dischiude qualcosa che avevamo dimenticato; molto grande è la cura nel preparare questo disco, ogni parola non cade a caso, mentre le note si sviluppano senza forzare mai nulla.

Per parlare del gruppo ucraino di black metal Drudkh non basterebbero ore, e forse nemmeno un libro.

Ogni definizione con loro è semanticamente sbagliata, poiché bisognerebbe solo chiudere gli occhi ed ascoltarli, con una traduzione dei loro testi dall’ucraino. La loro è poesia messa in musica, un immenso e disperato tentativo di carpire qualcosa dall’animo umano, e come per qualcosa di estremamente bello, si viene quasi colpiti violentemente da questa musica, che va ben oltre il black metal. Per intenderci, i Drudkh sono uno dei migliori gruppi della storia del black metal, ma questo non è sicuramente il loro scopo, non rilasciano interviste o fanno foto e non suonano dal vivo, per loro parlano i loro dischi, come è giusto che sia. In ogni disco i Drudkh fanno qualcosa di nuovo cambiando in continuazione le loro coordinate musicali, e sono tutti capolavori. Questo ha forse un lato melodico più accentuato, il suono scorre benissimo e le canzoni hanno un’altissima intensità. I testi sono come al solito di grande livello, con estratti dalle poesie dei poeti ucraini Bohdan Ihor Antonych, Maik Yohansen, Vasyl’ Bobyns’kyi e Pavlo Fylypovych. I versi calzano a pennello alla musica dei Drudkh, un afflato vitale che porta molto lontano. Ascoltando Їм часто сниться капіж si viene rapiti e portati in un luogo lontano, ma che sta dentro di noi, e questa musica catartica dischiude qualcosa che avevamo dimenticato. Molto grande è la cura nel preparare questo disco, ogni parola non cade a caso, mentre le note si sviluppano senza forzare mai nulla. Chi ama questo gruppo non sa cosa aspettarsi musicalmente, ma è sicuro che sarà un grande lavoro. Recensire i Drudkh è praticamente impossibile, perché la loro musica parla benissimo per loro. Emozioni e pura poesia, per uno dei migliori black metal possibili.

Tracklist
01. Nakryta Neba Burym Dakhom…
02. U Dakhiv Irzhavim Kolossyu…
03. Vechirniy Smerk Okutuye Kimnaty…
04. Za Zoreyu Scho Striloyu Syaye…
05. Bilyavyi Den’ Vtomyvsya I prytykh

Line-up
Roman Sayenko: guitars
Thurios: guitar, vocals
Krechet: bass
Vlad: drums, keyboards

DRUDKH – Facebook

HAEGEN – Immortal Lands

Gli Haegen fanno un folk metal epico cantato in inglese ed in italiano, con una propensione verso l’epic metal: le loro composizioni sono molto bilanciate e ben costruite, con una buona interazione fra potenza, velocità e melodia.

Tornano gli Haegen, gruppo folk metal di Osimo, provincia di Ancona.

Questo è il primo disco sulla lunga distanza per questo gruppo che si pone come una i migliori del genere in Italia. Gli Haegen fanno un folk metal epico cantato in inglese ed in italiano, con una propensione verso l’epic metal. Le loro composizioni sono molto bilanciate e ben costruite, con una buona interazione fa potenza, velocità e melodia. La parte folk è molto importante ed è eseguita davvero bene, il lavoro delle tastiere è molto ampio e da un importante valore aggiunto alle canzoni. Una menzione speciale va al flauto di Federico Padovano, che rende giustizia a questo nobile strumento, troppe volte usato a caso nel folk metal. Le canzoni in italiano, secondo un giudizio totalmente soggettivo, rendono molto meglio delle canzoni in inglese, che sono comunque di buon livello, ma il pathos delle canzoni cantate nella lingua madre è notevole. Ad esempio un pezzo come Incubo è molto notevole, con il suo andamento incalzante e il testo molto realistico. Tutta la musica del gruppo marchigiano è costruita per essere eseguita dal vivo, perché già in pratica il disco è alla stregua di un concerto. Come prima prova sulla lunga distanza, dopo l’ep Tales From Nowhere del 2015, questa è sicuramente buona, ci sono ampi margini di miglioramento, poiché ci sono solide basi ed un buon talento compositivo. Immortal Lands è un buon disco di folk metal di un gruppo mediterraneo, infatti si sente molto chiaramente l’influsso melodico differente rispetto alle band nordiche o slave. Un gruppo che fa ballare le anime baldanzose e che è da seguire con attenzione.

Tracklist
1. Stray Dog
2. Legends
3. Gioie Portuali
4. Fighting In The River
5. Incubo
6. Gran Galà
7. The Princess And The Barbarians
8. Bazar
9. The Tale
10. Terre Immortali
11. My Favourite Tobacco

Line-up
Leonardo Lasca: voce
Samuele Secchiaroli: chitarra
Nicholas Gubinelli: basso
Tommaso Sacco: batteria
Eugenio Cammoranesi: tastiera
Federico Padovano: flauto

HAEGEN – Facebook

Out In Style – Broken Dreams

Una certa maniera di fare punk degli anni novanta non è passata inosservata dalle nuove generazioni, e si può ben affermare che un gruppo come gli Out In Style avrebbero fatto una gran figura anche negli anni d’oro del genere.

Pop punk di alta qualità, melodico e veloce come deve essere per questo gruppo internazionale, che è diviso fra Canada e Brasile, e hanno inciso in Italia al Titan’s Lab di Ferrara.

La qualità è molto alta, il gruppo brasiliano (chiamiamolo così per facilità ), sa benissimo dove andare e lo fa con decisione e stile riprendendo il loro nome. Le composizioni delle tracce sono in pieno stile pop punk anni novanta, per cui nessun accordo mollo o batteria quasi inesistente come usa nel pop punk moderno, qui la batteria è quasi sempre in doppia cassa, e le chitarre assieme al basso vanno a mille, e tutto il gruppo gira benissimo. Una certa maniera di fare punk degli anni novanta non è passata inosservata dalle nuove generazioni, e si può ben affermare che un gruppo come gli Out In Style avrebbero fatto una gran figura anche negli anni d’oro del genere. Broken Dreams è un disco molto bello e divertente anche quando parla di cose non piacevoli, e non sono poche in questo disco. La disillusione che porta a fare sbagli ancora maggiori, anche la bottiglia che può peggiorare il tutto, ma per gli Out In Style giustamente c’è ancora speranza. La rabbia e la voglia di divertirsi possono essere due sentimenti in contrasto che però guidano a fare cose buone. Il disco giusto per chi ama il pop punk fatto bene come lo fanno questi ragazzi da Curitiba in questo bel lavoro, che non fa gridare al miracolo ma fa cantare tutti i ritornelli e non è affatto poco.

Tracklist
1. Looking for you
2. Straight and fast
3. Dreaming
4. Ellie
5. Lucid Dream
6. Glass
7. Just before dawn
8. Dead end
9. Interlude
10. O’Brein
11. Your smile
12. Blindfolded
13. Drinking in hell
14. The great perhaps

Line-up
João Xavier : vocals/bass
Marlos Andrews : guitar
Ricardo Niemicz : drums

OUT IN STYLE – Facebook

Malnàtt – Pianura Pagana

Musicalmente è forse l’album più maturo del collettivo, molto completo dal punto di vista compositivo, e quasi pronto per essere trasposto in una piece teatrale, perché in fondo questo dei Malnàtt è teatro con musica pesante.

Il collettivo bolognese Malnàtt è molto più di un gruppo metal, è un’idea messa in musica pesante.

L’opera del collettivo è sempre stata di alto livello qualitativo e con messaggi molto forti, e anche in questo disco l’approfondimento è notevolissimo. Pianura Pagana è la dimostrazione che il metal può essere arte che nasce dal basso e si propaga per far meglio comprendere ciò che c’è sotto la superficie, ed in questo caso di marcio ce n’è davvero molto. La proposta musicale dei Malnàtt spazia nel mondo del metal, dal black al death, passando per pezzi più prog e sfuriate quasi thrash. In questo progetto la musica è al servizio del messaggio, ma essa stessa è messaggio e da un valore aggiunto molto importante. Tutta l’opera dei bolognesi è di agitazione culturale, quasi fossero una propaggine del collettivo culturale Wu Ming in campo metal. Pianura Pagana è un disco che sa di antico, un sentire con la mente libera da preconcetti e dai tarli della nostra consumistica esistenza. Il disco è una chiara dichiarazione di intenti, un continuo carnevale in senso medioevale, poiché quando suonano questi signori diventano altro da ciò che sono tutti i giorni, come spiegato nella splendida canzone Il Collettivo Malnàtt, che illustra molto bene cosa sia questa entità davvero unica. Il cantato in italiano rende moltissimo e fa l’effetto di una messa pagana senza alcun simbolo, solo l’andare contro la comune morale cristiana e borghese, ricercando il senso della vita e la sua forza, sempre più nascoste in questo mondo di plastica. Musicalmente è forse l’album più maturo del collettivo, molto completo dal punto di vista compositivo, e quasi pronto per essere trasposto in una piece teatrale, perché in fondo questo dei Malnàtt è teatro con musica pesante. Vengono anche smascherati i nostri tic, le normali aberrazioni che ogni giorni imperano in tv, creando quel cortocircuito che nasce mentre vediamo la morte in diretta mangiando tranquillamente con i nostri familiari, sentendoci al sicuro; ma non lo siamo affatto, perché il nemico peggiore siamo noi stessi, siamo noi gli assassini, siamo noi che abbiamo affidato le nostre speranze alla gente sbagliata da più di 2000 anni. Pianura Pagana va ascoltato nota per nota, parola su parola, immagine per immagine, perché è un piccolo capolavoro di coscienza, come li faceva una volta Pasolini; infatti qui i Malnàtt mettono in musica Alla Mia Nazione, e lì dentro c’è tutto.

Tracklist
1. Almanacco pagano
2. Io ti propongo
3. Il Collettivo Malnàtt
4. E lasciatemi divertire
5. Cadaverica nebbia
6. Alla mia nazione
7. Intervallo pagano
8. Qualche parola su me stesso
9. Posso
10. Chiese chiuse
11. Dialogo di marionette

MALNATT – Facebook

Napalm Death – Coded Smears And More Uncommon Slurs

I Napalm Death fermano la nostra astinenza con un doppio disco di brani inediti, pezzi apparsi in split o raccolte, e canzoni rimaste fuori dagli album che vanno da The Code Is Red…Long Live The Code del 2004 fino all’ultimo Apex Predator – Easy Meat del 2014.

I Napalm Death fermano la nostra astinenza con un doppio disco di brani inediti, pezzi apparsi in split o raccolte, e canzoni rimaste fuori dagli album che vanno da The Code Is Red…Long Live The Code del 2004 fino all’ultimo Apex Predator – Easy Meat del 2014.

In questo intervallo di tempo molte cose sono cambiate, non lo schifo che fa il mondo e la rabbia di questi signori inglesi che più passano gli anni più sono incazzati. Chi li ha visti dal vivo sa che tornado possono essere i Napalm Death, un gruppo che lascia davvero un’impronta e che ha creato in pratica un genere musicale. L’ottimo livello dei pezzi presenti in questa raccolta conferma la bontà della produzione musicale del gruppo di Birmingham che, nonostante i numerosi album della loro discografia, ha quasi sempre colpito nel segno. Per intensità e discorso musicale questa raccolta può essere intessa come un disco vero e proprio più che un momento interlocutorio, dato che qui ci sono i Napalm Death seconda versione, ovvero quelli dal suono più attuale, non più lento, ma più precisi e chirurgici, ed in pratica tutto quello che hanno fatto per la Century Media. Ci sono momenti davvero notevoli come Outconditoned, cover dei Despair comparsa sulla raccolta Covering 20 Years Of Extremes. I Napalm Death sono un gruppo estremo composto da persone intelligenti e di cuore, e questo li ha sempre fatti amare tantissimo dal pubblico, che è rimasto fedele durante gli anni, e forse questa raccolta ne è la prova maggiore, poiché il gruppo inglese lascia canzoni di ottima qualità fuori dagli album ufficiali e ciò prova la qualità del materiale. Oltre novanta minuti di Napalm Death, una match di football senza intervallo in compagnia dei nostri estremisti musicali preferiti. I tafferugli sono consentiti.

Tracklist
CD1:
1. Standardization
LP-only bonus track from ‘Utilitarian’ album sessions 2011
2. Oh So Pseudo
Bonus track from ‘Apex Predator – Easy Meat’ album sessions 2014
3. It Failed To Explode
Japan-only bonus track from ‘Utilitarian’ album sessions 2011
4. Losers
Bonus track from ‘The Code Is Red…Long Live The Code’’ album sessions 2004
5. Call That An Option?
Bonus track from ‘Smear Campaign’ album sessions 2006
6. Caste As Waste
Japan-only bonus track from ‘Apex Predator – Easy Meat’ album sessions 2014
7. We Hunt In Packs
Japan-only bonus track from ‘Time Waits For No Slave’ album sessions 2008
8. Oxygen Of Duplicity
From Melvins Split EP, recorded 2013
9. Paracide
Gepopel cover / Japan-only bonus track from ‘Apex Predator – Easy Meat’ album sessions 2014
10. Critical Gluttonous Mass
Bonus track from ‘Apex Predator – Easy Meat’ album sessions 2014
11. Aim Without An Aim
Bonus track from ‘Utilitarian’ album sessions 2011
12. An Extract (Strip It Clean)
From Split EP with Heaven Shall Burn, recorded 2014
13. Phonetics For The Stupefied
From Split EP with Voivod, recorded 2014
14. Suppressed Hunger
Bonus track from ‘Time Waits For No Slave’ album sessions 2008
15. To Go Off And Things
Cardiacs cover / From Split EP with Melvins, recorded 2013

CD2:
1. Clouds of Cancer / Victims Of Ignorance
G-ANX cover / Bonus track from ‘Apex Predator – Easy Meat’ album sessions 2014
2. What Is Past Is Prologue
Bonus track from ‘Apex Predator – Easy Meat’ album sessions 2014
3. Like Piss To A Sting
From Split EP with Melt Banana, recorded 2014
4. Where The Barren Is Fertile
From Split EP with Melt Banana, recorded 2014
5. Crash The Pose
Gauze cover / Japan-only bonus track from ‘The Code Is Red…Long Live The Code’’ album sessions 2004
6. Earthwire
Download only as DZI Foundation benefit following the 2015 Nepal earthquake, recorded 2014
7. Will By Mouth
From Split EP with Converge, recorded 2012
8. Everything In Mono
Bonus track from ‘Utilitarian’ album sessions 2011
9. Omnipresent Knife In Your Back
Bonus track from ‘Time Waits For No Slave’ album sessions 2008
10. Lifeline
Sacrilege cover / From ‘Respect Your Roots Worldwide’ compilation, recorded 2011
11. Youth Offender
B-Side from ‘Analysis Paralysis’ EP; recorded 2011
12. No Impediment To Triumph (Bhopal)
From Split EP with Converge, recorded 2012
13. Legacy Was Yesterday
From Decibel magazine Flexi EP, recorded 2010
14. Outconditioned
Despair cover / From ‘Covering 20 Years Of Extremes’ compilation, recorded 2008
15. Atheist Runt
Bonus track from ‘Smear Campaign’ album sessions 2006
16. Weltschmerz (Extended Apocalyptic Version)
Bonus track from ‘Smear Campaign’ album sessions 2006

Line-up
Mark “Barney” Greenway – Vocals
Shane Embury – Bass
Mitch Harris – Guitar, Vocals
Danny Herrera – Drums

NAPAKM DEATH – Facebook

Hell Obelisco – Swamp Wizard Rises

Il disco degli Hell Obelisco è il frutto della collaborazione fra musicisti maturi e di esperienza che si divertono a fare musica e a spandere bordate musicali a destra e manca.

Il disco degli Hell Obelisco è il frutto della collaborazione fra musicisti maturi e di esperienza che si divertono a fare musica e a spandere bordate musicali a destra e manca.

I ragazzi vengono da Bologna e sono tutti dei veterani delle scene musicali pesanti, che hanno pensato di mettersi insieme e di fare quello che preferiscono. Il loro debutto è un concentrato di potenza e di pesantezza, con una forte influenza southern e una grande visione musicale d’insieme. I componenti degli Hell Obelisco provengono da gruppi come Addiction, Monumentum, Schizo, Tying Tiffany, Evilgroove e The Dallaz, per cui di esperienza musicale se ne trova in abbondanza. Ascoltando Swamp Wizard Rises si riassapora quel gusto per la musica pesante che si trova sempre più raramente, a partire dalla cure nel confezionare il suono, grazie anche alle sapienti mani di Para del Boat Studio e Paso dello Studio 73. Il disco funziona molto bene, ogni canzone è di alto livello e ciò che colpisce di più è la  completa padronanza della materia. I riferimenti musicali sono molti e svariati, dai Pantera allo sludge più southern, ma l’impronta degli Hell Obelisco è molto forte. Tutto è bello in questo album di debutto a partire dalla fantastica copertina ad opera di Roberto Toderico, che ha collaborato a stretto contatto con i componenti del gruppo, facendo portare le loro personali visioni del mago della palude. Un grande contributo è dato dall’affiatamento fra i vari membri della band, dato che si conoscono da venticinque anni. Un disco che diverte e che rende un gran servigio alle tenebre che ci portiamo dentro, noi che amiamo la musica pesante ed oscura.

Tracklist
1.Voodoo Alligator Blood
2.Teenage Mammoth Club
3.Escaping Devil Bullets
4.Earth Rage Apocalypse
5.Biting Killing Machine
6.Death Moloch Rising
7.Dead Dawn Duel
8.High Speed Demon
9.Black Desert Doom

Line-up
Andrew – Front Row Mammoth
Doc – Six Sludge Strings
Fraz – Seven Doomed and Lowered Strings
Alex – Behind The Skins

HELL OBELISCO – Facebook

Coldawn – …In The Dawn

Questo disco è la testimonianza che il black metal può davvero sposarsi con tutto, essere un terreno fertile per molte sperimentazioni e fusioni sonore, ma soprattutto servono la fantasia ed il talento dei musicisti, cosa presente in maniera massiccia in questo caso.

Chi fa parte di una band sa quanto sia difficile provare e suonare, anche se si è vicini di casa o a distanza di pochi chilometri.

Davvero difficile immaginare come sia gestire un gruppo dislocato in tre continenti, ovvero Sudamerica, Europa e Oceania. Eppure, sicuramente grazie al fondamentale aiuto della rete, ecco qui il buon disco di debutto dei Coldawn: la band suona un black metal molto arioso e con forti innesti musicali classici, quasi un’orchestrazione, per poi esplodere in cavalcate in stile blackgaze, una definizione molto alla moda ma che rende abbastanza bene l’idea. Per capire meglio il tutto bisogna assolutamente ascoltare con attenzione questo …In The Dawn, perché racchiude in sé una grande melodia ed un grande lavoro musicale e di composizione. La visione dei Coldawn è grande e potente, questo disco è solo l’inizio di un percorso musicale che sarà fecondo, perché già ascoltando questo lavoro si viene trasportati lontano, si chiudono gli occhi e si va lontano. Il titolo è assai azzeccato, perché tutto il lavoro dà l’impressione di un qualcosa che si apre sotto le prime luci del sole, e la speranza seppur malconcia c’è ancora. I Coldawn disegnano un bell’affresco sonoro, con colori molto particolati e grande sapienza compositiva, dando l’impressione di avere molto da dire. Questo disco è la testimonianza che il black metal può davvero sposarsi con tutto, essere un terreno fertile per molte sperimentazioni e fusioni sonore, ma soprattutto servono la fantasia ed il talento dei musicisti, cosa presente in maniera massiccia in questo caso. Tre continenti, un esordio che fa sognare e che lascia molto soddisfatti.

Tracklist
1.Spectral Horizon
2.My Escape
3.The Essence
4.Only Moments
5.La Primavera No Llegara Esta Vez
6….In the Dawn
7.This: Over
8.My Destiny

Line-up
Ausk
B.
Tim Yatras
B. M.

COLDAWN – Facebook

Gnaw Their Tongues – Gendocidal Majesty

L’olandese Mories sforna sempre cose interessanti e potentissime, visioni allucinate di un tempo sospeso dove tutto è possibile, un’esperienza che vale la pena fare, tenendo sempre presente che non si tratta di musica, ma un canale dimensionale.

Musica estrema e realmente disturbante, fatta per dare fastidio ed irritare, non certo per intrattenere o altre facezie.

Gnaw Their Tongues, aka Maurice “Mories” De Jong, l’uomo che sta dietro al progetto, è una firma affermata nel panorama estremo ed è un nome che ha un fortissimo e fedelissimo seguito, che ne ama le intemperie. Non è nemmeno esatta la definizione di ascolto per la musica di Gnaw Their Tongues, perché queste frequenze che producono sono un qualcosa che va ben oltre i comuni stilemi musicali, è un’esperienza sonora da vivere fisicamente. Il nostro stomaco e le nostre orecchie vengono messe sottosopra da questo dispiegamento di demoni in forma sonora, come se si aprisse un varco fra noi ed un dimensione differente, non propriamente benevola. Non si può affrontare facilmente Genocidal Majesty, e non è nemmeno nelle intenzioni dell’autore. Questa musica, se così si può definire, non è per tutti né vuole esserlo, la sua missione è far provare paura e smarrimento, non certo piacere o empatia, anzi qui è consigliabile non provare nessuna empatia sennò si impazzisce. Ogni lavoro di Gnaw Their Tongues è un ritorno al passato ancestrale e primitivo dell’uomo, dove la paura era un motore primo del nostro cervello, e ciò ci viene ricordato dal nostro cervello rettile. Genocidal Majesty è la colonna sonora di un massacro, lacerazioni e morte, una dimensione dove i demoni sono finalmente liberi. L’olandese Mories sforna sempre cose interessanti e potentissime, visioni allucinate di un tempo sospeso dove tutto è possibile, un’esperienza che vale la pena fare, tenendo sempre presente che non si tratta di musica, ma un canale dimensionale.

Tracklist
1.Death Leaves the World
2.Spirits Broken by Swords
3.Genocidal Majesty
4.Ten Bodies Hanging
5.The Doctrine of Paranoid Seraphims
6.Cold Oven
7.The Revival of Inherited Guilt
8.To Bear Witness to the Truth
9.Void Sickness

Line-up
Mories: all sounds

GNAW THEIR TONGUES – Facebook

Lumnos – Ancient Shadows Of Saturn

Lumnos imprime alla sua musica una forza notevole, andando oltre il concetto di black metal atmosferico qui ampiamente superato per un qualcosa di nuovo e di ancora più avanti come concetto.

Black metal che si unisce ad una musica dal respiro cosmico, e qui la musica del male diventa uno fra gli elementi in gioco, non il più importante, perché l’attenzione deve essere catturata dall’insieme.

Lumnos è un progetto di Breno aka Putrefactus, un brasiliano che suona molte cose, e che ha diversi progetti musicali in piedi, tra i quali Lumnos per l’appunto. Questo disco è il suo esordio con questo nome, e per l’occasione ha arruolato per incidere B.M. dai Sky Forest and Unknown dai Lost Sun, i quali danno un buon valore aggiunto all’opera. Il disco è un viaggio cosmico, lento e poderoso verso pianeti lontani, la meta non è importante, la cosa fondamentale è gustarsi il viaggio. Lumnos imprime alla sua musica una forza notevole, andando oltre il concetto di black metal atmosferico, qui ampiamente superato per un qualcosa di nuovo e di ancora più avanti come concetto. I sintetizzatori e il piano hanno un ruolo molto importante, e il black metal è la base per partire verso nuovi orizzonti musicali, alcuni passaggi sono quasi orchestrali e forse con il supporto di un’orchestra il disco sprigionerebbe una potenza ancora maggiore. Nonostante questo la sua spazialità è immensa, il suono è anche molto intimo e potrebbe essere un sottofondo per meditare, totalmente slegati dalla zavorra della nostra quotidianità, soli con l’arma più potente che abbiamo : il nostro pensiero. Le tracce sono cinque e tutte di lunga durata, e ciò grazie alla bravura di Breno diventa un pregio e non un difetto, perché ci si immerge davvero in questo spazio immenso. L’elettronica si bilancia perfettamente con il black metal e con la parte più classica, in un modo al quale molti hanno accennato, ma che solo qui si compie pienamente. Un disco rarefatto e di una delicatezza incredibile, al contempo forte e poderoso come un corpo umano che tenta di rimanere attaccato al suo pensiero ormai volato lontano. Un esordio molto positivo, una prova che va ascoltata molte volte e ogni volta mostrerà una faccia diversa: una scelta azzeccata per l’esordio della sublabel della Avantgarde Music, la Flowing Downward.

Tracklist
1.I am Born From a Star
2.Primordial Darkness
3.Ancient Shadows of Saturn
4.No Soul Is Near
5.Existentialism
6.Crystal Clouds, Diamond Sun (Bonus Track)

LUMNOS – Facebook

Khoy – Negativism

E’ davvero affascinante ascoltare un suono come questo, veloce ed espressivo, senza essere per nulla autoreferenziale, per un ep è davvero buono.

Ep di esordio in downlaod libero per i piemontesi Khoy, all’insegna dell’hardcore più moderno, veloce, caotico e tecnico.

Questo gruppo possiede una notevole potenza, usa lo strumento hardcore in molte delle sue accezioni, riuscendo a plasmare sempre la materia per produrre ottime canzoni. All’interno del loro suono si possono ritrovare molte influenze, dall’hardcore in quota Converge, a qualcosa di screamo passando per momenti emo molto intensi. Inoltre alcune canzoni richiamano molto la struttura delle canzoni mathcore, con un andamento frastagliato, con diversi cambi di ritmo, tenendo sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore. Ci sono anche momenti più dilatati, ma sempre all’insegna del rumore e della potenza. Un ep che stupisce per varietà e suono complessivo, perché c’è un sentimento che impera dentro il disco, ed è una cosa grande. Grazie alla giovane età di questi ragazzi il suono è maggiormente rivolto verso la modernità piuttosto che verso la classicità dell’hardcore, ma è presente anche quella.E’ davvero affascinante ascoltare un suono come questo, veloce ed espressivo, senza essere per nulla autoreferenziale, per un ep è davvero buono. Il disco è frutto di una cospirazione diy, e lo potete trovare sia in forma fisica che in download libero; compratelo o scaricatelo, soprattutto ascoltatelo perché è un disco divertente e dal grande cuore.

Tracklist
1.My Love For You Is Like A Truck Berserker
2.Tapeworm
3.Misleading Existence For Fancy Thinkers
4.Whorehouse
5.That One Time I Got Drunk Before 2 p.m.

Line-up
Saibbo: Guitar
Gio: Drums
Alex (Turboburrasca): Bass/Vocals
Simo: Guitar/Vocals

KHOY – Facebook

Viboras – Eleven

I Viboras sono ancora, e forse anche più di prima, un ottimo gruppo punk rock.

Reunion per il gruppo italiano punk rock dei Viboras, che tornano dopo l’interruzione delle attività voluta nel 2010.

Nati nel 2003, mentre l’onda lunga del punk rock italiano si era trasformata in risacca, i Viboras, che hanno sempre avuto un approccio particolare alla materia, hanno prodotto fin dall’inizio un punk rock veloce e fisico, molto melodico, con punte di hardcore, il tutto assai apprezzabile. Nel 2015 tornano in pista con con un disco, e da quel momento la storia continua fino ai giorni nostri. Rispetto ai giorni gloriosi nei quali i Viboras erano sull’epica Ammonia Records molta acqua è passata sotto i ponti e tantissime cose sono mutate, specialmente nel mercato discografico. A quei tempi la cantante del gruppo Irene faceva video con J Ax e il genere era sulla bocca di tutti, mentre ora gli adepti sono sensibilmente calati, ma l’ottima notizia è che i Viboras fanno ancora ottimo punk rock. Le canzoni sono veloci, con ottime melodie, ben composte e ben prodotte, la carica ed il talento ci sono sempre e ne viene fuori un album entusiasmante, che non lascia spazio a dubbi o ripensamenti: la reunion di qualche anno fa è molto positiva e sta dando buoni frutti. Per i Viboras è inoltre molto importante la dimensione dal vivo, che completa e supera l’esperienza fonografica. Irene è in splendida forma, e con lei tutto il gruppo è oliato molto bene, anche grazie ai numerosi live che stanno facendo in giro per la penisola. I Viboras sono ancora, e forse anche più di prima, un ottimo gruppo punk rock.

Tracklist
1. Pray
2. I don’t care
3. Where were you
4. Run away
5. Leave this place
6. Drives me insane
7. Can’t breathe
8. No more
9. Jaime
10. Away from here
11. Raise

Line-up
Irene Viboras
Giò Poison
Beppe Best
Sal Viboras

VIBORAS – Facebook

Spiritual Front – Amour Braque

Amour Braque è il sesto episodio di una carriera discografica costellata di luci: la poetica del gruppo romano è pressoché unica, una commistione fra neo folk, rock per arrivare ad una formula davvero originale.

Torna uno dei migliori gruppi italiani, gli Spiritual Front da Roma.

Questo gruppo è molto apprezzato all’estero più che in Italia, ma potete rimediare ascoltando questa ultima prova. Il percorso musicale degli Spiritual Front è qualcosa in unico in Italia e non solo, una continua ricerca di tradurre in musica la potenza e la decadenza dei sentimenti umani. Ci si era lasciati cinque anni fa con la raccolta Open Wounds, che era una cesura nei confronti di quanto fatto fino a quel momento. Amour Braque è il sesto episodio di una carriera discografica costellata di luci, cosa notevole per un gruppo che ama il buio e le tenebre. Tutto cominciò nel 1999 per mano di Simone H. Salvatori, deus ex machina del gruppo e una delle figure più complete e singolari del panorama underground. Il gruppo suona in maniera splendide ballate per una gioventù nichilista, con un disco traboccante di sentimenti e di letti sfatti, sguardi assassini e coltelli che volano verso petti offesi dall’amore. La poetica del gruppo romano è pressoché unica, una commistione fra neo folk, rock per arrivare ad una formula davvero originale. Gli Spiritual Front tracciano percorsi gotici, luci ed ombre in narrazioni sempre interessanti, con un passato che è solo di chi lo ha vissuto, donne e amori che nono finiscono bene. Come in una notte romana troviamo violenza, sesso, amore, malinconia e soprattutto tanta vita, perché la vita è dolore, e dobbiamo combattere sul fronte dello spirito. Simone conduce amabilmente le danze, in un abbraccio sadomaso davanti ad una villa di vampiri, con dolcezza e forza come sempre. Stilisticamente il disco non si discosta dai precedenti, è forse più melodico e senza certe asperità di inizio carriera, sinceramente è difficile essere parziali con un gruppo che o si ama o si odia, ogni suo disco è comunque un’esperienza particolare e speciale, uno scendere all’inferno con Hellvis, ed è bellissimo. Da segnalare la presenza di grandi ospiti del calibro di King Dude e Matt Howden, fra gli altri.

Tracklist
1.Intro/Love’s Vision
2.Tenderness Through Violence
3.Disaffection
4.The Abyss Of Heaven
5.Children Of The Black Light
6.Pain Is Love
7.Beauty Of Decay
8.Devoted To You
9.This Past Was Only Mine
10.Battuage
11.An End Named Hope
12.The Man I’ve Become
13.Vladimir Central

Line-up
Simone “Hellvis” Salvatori: Vocals and acoustic Guitar
Andrea Freda: Drums
Riccardo Galati: Guitars

SPIRITUAL FRONT – Facebook