Second Youth – Juvenile

I Second Youth hanno una marcia in più e lo dimostrano con questi quattro pezzi, potenti, melodici e precisi.

Secondo ep per il gruppo italiano di punk rock Second Youth.

Questi ragazzi fanno un punk rock molto melodico e ben prodotto, che guarda alla scuola californiana dei Rancid e dei gruppi Fat Wreck. Dopo il primo ep si sono imposti all’attenzione internazionale, infatti il presente lavoro è una co-proudzione internazionale fra varie etichette, l’italiana Indiebox Music , l’europea Epidemic Records , e l’americana Paper and Plastick Records. Il suono della band si presta molto a farsi conoscere ed apprezzare fuori dai confini nazionali, grazie ad un marcato respiro internazionale che si percepisce molto bene all’ascoltoo. I Second Youth hanno una marcia in più e lo dimostrano con questi quattro pezzi, potenti, melodici e precisi. Certamente nel loro sound è molto presente la componente anni novanta del punk rock, forse quella che ha segnato di più le cose migliori di questo genere negli ultimi anni, e i Second Youth sono fra queste. Questi ragazzi riescono a cogliere il meglio rielaborando molto bene il tutto secondo il loro gusto personale. Melodia che significa cuore, velocità quando serve e passo più cadenzato per cose più intime, ma sempre con il proprio passo e la propria personalità. La produzione è buona e riesce a far risaltare l’operato della band facendole compiere un ulteriore passo in avanti. Juvenile riesce benissimo ad essere ciò che vuole sembrare, un qualcosa che parla al cuore e alla pancia, come sanno fare solo i gruppi punk rock migliori. L’idea migliore ve la farete guardando ed ascoltando il singolo Zero qui sotto.

Tracklist
1. ZERO
2. JUVENILE
3. MORONS
4. BLUE

SECOND YOUTH – Facebook

Eluveitie – Ategnatos

Il lavoro migliore e più oscuro di un’ottima discografia, un’avventura musicale che continua ad essere notevole ed unica.

Gli svizzeri Eluveitie sono un capitolo a parte nel grande romanzo del folk metal, e con questo ultimo lavoro rilasciano una delle loro prove migliori, continuando la loro perenne evoluzione verso l’alto.

Ategnatos è uno dei loro dischi più veloci e rabbiosi, sempre con una grandissima presenza della melodia, portando ad un livello molto alto il loro discorso musicale. Il titolo è in gallico, e significa rinascita, ed infatti questo disco è un percorso attraverso le tenebre verso qualcosa che ci renderà diversi. La componente epica e pagana degli Eluveitie è sempre stata molto importante, una ben precisa cifra stilistica che è la loro struttura profonda. Questo disco è però un cambiamento importante, un cercare qualcosa di differente, un insinuarsi nelle vene aperte del folklore nordico, in special modo gallico e celtico, per cercare una via alternativa per il futuro attraverso il passato. Sicuramente è il loro lavoro maggiormente profetico, quello a più alto tasso di occulto, anche se loro non sono mai stati un gruppo che offre un folk metal buono solo per ubriacarsi. La musica di Ategnatos è magniloquente e alta, epica e molto veloce, quasi come se tutto il lavoro fosse svolto sotto dettatura di uno spirito del passato. I tanti elementi del gruppo concorrono tutti insieme per dare il meglio, ed infatti gli Eluveitie sono una grande band che ha saputo supplire benissimo ai cambi di formazione. Il disco si basa anche sul concetto degli archetipi, che hanno accompagnato da sempre l’uomo nella sua travagliata storia, e che sono l’eredità più profonda che abbiamo, poiché sono essi stessi trasmissione di una sapienza autentica ed antica. Per aggiungere una maggiore profondità epica, gli Eluveitie hanno suonato in studio con un vero quartetto d’archi ed il risultato è molto valido. Se si dovesse scegliere un pezzo su tutti forse Worship, con la partecipazione dell’immenso Randy Blythe dei Lamb Of God alla voce, è il pezzo che rappresenta meglio lo spirito di questo lavoro, il migliore e più oscuro di un’ottima discografia, un’avventura musicale che continua ad essere notevole ed unica.

Tracklist
1. Ategnatos
2. Ancus
3. Deathwalker
4. Black Water Dawn
5. A Cry In The Wilderness
6. The Raven Hill
7. The Silvern Glow
8. Ambiramus
9. Mine Is The Fury
10. The Slumber
11. Worship
12. Trinoxtion
13. Threefold Death
14. Breathe
15. Rebirth
16. Eclipse

Line-up
Chrigel Glanzmann – Vocals, Whistles, Mandola, Bagpipes, Bodhran
Fabienne Erni – Vocals, Celtic Harp, Mandola
Alain Ackermann – Drums
Rafael Salzmann – Guitars
Jonas Wolf – Guitars
Kay Brem – Bass
Michalina Malisz – Session Hurdy Gurdy –
Matteo Sisti – Whistles, Bagpipes, Mandola
Nicole Ansperger – Fiddle

ELUVEITIE – Facebook

Falaise – A Place I Don’t Belong To

Furia, stasi, estasi, pianto e meraviglia, per un disco che non si vorrebbe mai smettere di ascoltare, facendosi trascinare in qualcosa di molto intimo, di struggente e di solipsistico.

Il titolo di questo disco, A Place I Don’t Belong To, è un qualcosa che molti di noi provano sulla propria pelle e dentro la propria pelle.

Quella sensazione di essere in un posto, o meglio, dentro una vita che non gli appartiene e di non trovare mai una casa: tutto ciò è dentro questo disco e si va anche oltre, grazie allo splendido post black metal dei Falaise, un duo proveniente da Todi. Qui tutto è finalizzato ad emozionare e a stupire nel senso che avevano queste parole nel mondo classico, ovvero meravigliare in maniera profonda. Ci sono momenti, come nel pezzo finale della traccia Leaves In The Wind, ma se ne potrebbero citare molto altri, che sono di valore assoluto, nei quali si vorrebbe correre gridando per prati sotto la pioggia, rotolarsi in qualche altra vita, chiudere gli occhi e basta. Disco figlio del dolore di vivere e di avere qualcosa a cui davvero non si appartiene, ma da ciò può scaturire un album come questo, contenitore di un post black metal di assoluto valore e di grande originalità. I Falaise sono attivi dal 2015 e hanno sempre prodotto cose di buona qualità, partendo dal black metal e andando a compiere una sintesi molto originale e bella del post black metal. Questo sottogenere è avanzato molto negli ultimi anni grazie a gruppi molto validi, ma i Falaise sono di un altro livello. Nella loro proposta musicale il black metal è ancora molto presente, i brani sono costruiti con un approccio neo classico, e ci sono anche elementi di molti altri generi, come lo shoegaze, il metal sinfonico ed altro. Tutti questi differenti codici musicali vengono usati, insieme ad una voce in growl, per portare l’ascoltatore in alto, per farlo sognare ad occhi aperti, ma forse è meglio chiuderli per sognare più forte. Non esiste un pezzo migliore come non ci sono riempitivi, qui tutto scorre per rimanere impresso nella memoria: ci sono momenti molto vicini al black più tradizionale, anche perché i Falaise giocano con la chitarra, mentre la batteria è sublime ed è un elemento portante. Furia, stasi, estasi, pianto e meraviglia, per un disco che non si vorrebbe mai smettere di ascoltare, facendosi trascinare in qualcosa di molto intimo, di struggente e di solipsistico. Un disco a cui aprire le braccia e abbandonarsi completamente.

Tracklist
1.Intro
2.Once, My Home
3.When The Sun Was Warming My Heart
4.A Place I Don’t Belong To
5.An Emptiness Full Of You
6.Leaves In The Wind
7.Consumed Soul
8.Holding Nothing

Line-up
Matteo Guarnello – Vocals, Keyboards, Drums –
Lorenzo Pompili – Guitars, Bass –

FALAISE – Facebook

Autumn Tears – Colors Hidden Within The Gray

Colors Hidden Within The Gray è un immersione in un quadro, dove le tinte ed il sentire sono molto lontani dalla nostra concezione di mondo moderno, qui dentro c’è una ricerca di melodie antiche, di costruzioni sonore inusuali e minimali.

Gli Autumn Tears sono un duo americano di musica neoclassica nato nel 1995, al ritorno nel 2018 dopo dieci anni di assenza con l’ep Origin Of Sleep.

Erika alla voce e Ted al piano formano una coppia di grande sapienza artistica e fondamentalmente la loro musica è voce con orchestra, ma ovviamente c’è molto di più. Nell’underground sono una leggenda perché le loro sonorità sono struggenti e pressoché perfette, come se le fate bisbigliassero favole alle nostre orecchie. Ad un primo ascolto il tutto potrebbe sembrare la colonna sonora di un film, ma questo giudizio è dovuto ai pregiudizi di noi uomini moderni, perché gli Autumn Tears fanno una musica che è molto antica. Come si diceva poc’anzi Ted compone e suona il piano, Erika ci ammalia con la sua fantastica e dolce voce e gli altri strumenti sono suonati da più di trenta ospiti, tutti molto validi per un risultato eccezionale. Colors Hidden Within The Gray è un’immersione in un quadro in cui le tinte ed il sentire sono molto lontani dalla nostra concezione di mondo moderno, qui dentro c’è una ricerca di melodie antiche, di costruzioni sonore inusuali e minimali. Le linee melodiche che ascoltiamo qui sono scarne e bellissime, il tipico suono degli Autumn Tears raggiunge qui il suo punto più alto, la pausa di dieci anni è servita per tornare più potenti e convinti di prima. La struttura è quella dell’opera, tutto è consequenziale, ma può anche essere ascoltato separatamente. L’incedere del disco si rifà molto all’immaginario medioevale, ovvero un pensiero carico di spiritualità e simbolismo. Il risultato è una gioia ed un inno alla neo classicità, è un disco etereo che rinforza lo spirito e lascia molte cose, regala molti ascolti ed è un ottimo viatico per chi ancora non conoscesse questa scena. Gli Autumn Tears sono uno dei maggiori gruppi di questo genere e in questo disco dimostrano ampiamente tutte le loro caratteristiche. Drammatico, salvifico e catartico, il disco è un qualcosa di molto differente e diverso, eco di un mondo che forse è già morto, eppure rimane.

Tracklist
1.A Pulse In the Celestial Sphere Part 1 – Astral Murmur
2.A Pulse In the Celestial Sphere Part 2 – A Stream of Higher Consciousness
3.A Pulse In the Celestial Sphere Part 3 – A Birth In the Aether
4.The Day of Wrath
5.The Grieving
6.Rainlight Ascension
7.The Impressionist
8.Prodigy
9.Drift
10.In Remebrance
11.The Earth Song
12.Colors Hidden Within The Gray
13.What We Have Become
14.Another Day

Line-up
Composition, arrangements, lyrics, piano: Ted Tringo
Lead / backing vocals, vocal / lyric arrangements: Brona McVittie
Lead / backing vocals, vocal / lyric arrangements: Dawn Desiree Smith
Lead / backing vocals, vocal / lyric arrangements: Nathan Nasby
Lead / backing vocals, vocal / lyric arrangements: Beraud
Lead / backing vocals, vocal arrangements: Jennifer Judd
Lead Violin and string arrangements: Brian Schmidt
Lead Violin and string arrangements: Julian Spiro
Viola: Kelly Ralston
Cello: Luke Payne
Cello: Molly Leigh Jones
Flute, Clarinet: Terran Olson
Clarinet: MaryBeth Kern
French Horn: John Clark
Trumpet: Chad Bell
Trombone: Victor Fuenmayor
Harp: Tom Moth
Snare drums: George Ball
Timpani: Germàn Domador
Kamancheh on “A Pulse in the Celestial Sphere”: Amir Mofrat
Trombone on “The Grieving” and “The Day of Wrath”: Petar Milanovic
Cello on “Colors Hidden Within the Gray”, “The Grieving”, and “Another Day”: Chris Abeel
Cello on “In Remembrance”..: Christine Hardigan
Spiccato Cello on “Rainlight ascension”: Charlot Rivero
Spiccato Cello on “Colors Hidden Within The Gray”: Isobel Alsup
Classical Guitar on “The Impressionist”: Oleg Maximov
Bansuri on Drift: Josh Plotner
Spiccato cello on “In Remembrance”: Carolina Teruel
Medieval bagpipes on “In Remembrance”: Simon Blum
Medieval bagpipes on “In Remembrance”: Steeven Didier
Medieval bass drum on “In Remembrance”: Charlotte Reckinger
Floor toms on “In Remembrance”: Benjamin Wanschoor
Snare drum on “In Remembrance”: Mattias Borgh
Bagpipes, toms and bass drums on “In Remembrance” engineered by Manon Deltombe

AUTUMN TEARS – Facebook

Nibiru – Salbrox

Come e più dei lavori precedenti ci sono dei momenti di totalità (in italiano non esiste una parola adatta a descriverli), in cui la saturazione musicale è al massimo ed è così raffinata che si raggiunge qualcosa simile ad uno stato di coscienza alterato.

Torna il trio torinese Nibiru, fresco di contratto con l’etichetta inglese Ritual Productions.

I Nibiru non fanno musica nel senso tradizionale del termine, le loro produzioni sono rituali, tutte sono diverse una dall’altra, tutte possiedono un significato differente, come le loro esibizioni dal vivo. Se dobbiamo trovare dei riferimenti musicali, questi si possono rinvenire nello sludge estremo, nella psichedelia totale e in lunghe jams che sono fluidi più che canzoni. La loro carriera è una continua evoluzione, un guardare fissamente l’abisso, producendo lavori estremamente soggettivi, dove ognuno potrà dialogare con i propri angeli o demoni e con la sua vera natura che viene continuamente celata. Salbrox in linguaggio enochiano significa zolfo, e tutto il disco è incentrato sul processo alchemico del solve et coagula, dove l’alchimia è un mezzo ed una raffigurazione del processo che dobbiamo intraprendere noi stessi nell’abbandonare il nostro io per diventare qualcosa d’altro, in un continuo processo di nascita, morte, rigenerazione e rinascita. La musica di Salbrox si spinge ancora oltre i già estremi dischi precedenti, bisogna però considerare una per una le loro opere. In questo lavoro la produzione è ottima, il tutto è stato registrato in presa diretta al Music Lab Studio da Emiliano Pilloni, che riesce sempre a plasmare molto bene questa materia, e poi masterizzato da Brad Boatright all’Audiosiege. I Nibiru sono un gruppo antimoderno, perché la loro musica è rituale e tribale e ci riporta in un passato dove vive ancora la maggior parte delle nostre credenze più profonde, dove risiede il nostro vero significato. Questa non è arte per intrattenere ma è un’invocazione per spezzare le nostre catene, soprattutto mentali, e riprenderci la nostra capacità di mutare, divenendo consapevoli d’essere una continua rigenerazione e che questa vita è solo un passaggio, brutto o bello che sia. Salbrox conferma e fa ulteriormente avanzare un discorso musicale che non ha eguali in tutto il mondo. In particolare questo disco, sia con la musica che con i testi, punta l’attenzione sulla disarmonia e sul bilanciamento fra i vari piani dimensionali. Come e più dei lavori precedenti ci sono dei momenti di totalità ( in italiano non esiste una parola adatta a descriverli), in cui la saturazione musicale è al massimo ed è così raffinata che si raggiunge qualcosa simile ad uno stato di coscienza alterato. I testi in enochiano ed in italiano sono poi un’autentica meraviglia: moltissimi si atteggiano, i Nibiru no, e dovete sentire ciò che dicono: una delle loro svolte migliori è stato appunto affiancare l’italiano all’enochiano, per produrre un effetto unico nel sentire Ardath e la sua possessione nella nostra lingua. Dalla fluviale EHNB, vero e proprio manifesto di ciò che sono i Nibiru, e forse il loro migliore rituale fino ad ora, all’ultima RZIORN, è un qualcosa che come al solito segna, e questo Salbrox è davvero da studiare e da capire, come fosse un testo da esaminare. Forma musicale e spirituale unica, i Nibiru non sono per tutti né lo vogliono essere, e questo è un altro capolavoro. Ma è davvero difficile e abbastanza inutile parlare di questo disco, perché è un cammino da fare e alla fine dell’ascolto potreste non esserci più: l’unica cosa da dire, usando delle parole di Ardath, è che siamo soli, orrendamente soli, ma siamo anche luce. Tutto è complesso, difficile, distorto e forse chiaro, tutto sembra e non è al contempo. Nibiru.

Tracklist
SALBROX LP TRACK-LISTING
1. ENHB
2. EXARP
3. HCOMA
4. NANTA
5. BITOM

SALBROX CD & DL TRACK-LISTING
1. ENHB
2. EXARP
3. HCOMA
4. NANTA
5. ABALPT
6. BITOM
7. RZIONR

Line-up
Ardat – Guitars, Percussions and Vocals
Ri – Bass, Drones and Synthesizers
L.C. Chertan – Drums

NIBIRU – Facebook

11 Paranoias – Asterismal

Lo stampo musicale degli 11 Paranoias è un magma musicale nel quale ci si perde anche grazie alle deflagrazioni sonore, il loro groove è potentissimo e cattura l’ascoltatore portandolo verso qualcosa di primordiale che ognuno ha dentro di noi.

Gli 11 Paranoias sono un gruppo inglese di sludge e doom che portano il caos dentro la nostra vita, attraverso canzoni che sono degli inni alla pesantezza e alla lisergia, una psichedelia rituale e malata, estremamente affascinante.

Attivi dal 2011, questi inglesi fanno musica allo scopo di aprire canali verso altri mondi e altre dimensioni attraverso rituali in musica molto potenti. Le coordinate musicali sono quelle dello sludge più spinto, con incursioni in territori metal e nella psichedelia più potente. Lo stampo musicale degli 11 Paranoias è un magma musicale nel quale ci si perde anche grazie alle deflagrazioni sonore, il loro groove è potentissimo e cattura l’ascoltatore portandolo verso qualcosa di primordiale che ognuno ha dentro di noi. Il combo britannico è un punto forte del catalogo della Ritual Productions, un’etichetta che fa musica come canale per andare a scoprire altre dimensioni, allontanandosi dalla realtà per conoscerne altre, o anche per farci capire che la nostra non è l’unica. Il disco è molto organico e va sentito nella sequenza della tracklist, per vivere molti momenti intensi e di astrazione totale. Gli 11 Paranoias sono uno dei pochi gruppi davvero rituali nella musica pesante moderna, un altro di questi sono i torinesi Nibiru, anche loro recentemente accasatisi presso la Ritual Productions con un disco di prossima uscita. Asterismal è la manifestazione fisica e concreta di qualcosa di etereo e altro, un discendere attraverso chitarre ribassate per poter spiccare il volo. Tutto ha un fine ben preciso nel loro suono e ogni elemento si fonda con perfezione alchemica agli altri, a partire dalla bellissima copertina dell’inglese Toby Ziegler. Asterismal è anche l’ultima tappa di una trilogia di album che porterà a qualcosa d’altro a breve.

Tracklist
1. Loss Portal
2. Bloodless Crush
3. Vitrified Galaxy
4. Prelude
5. Slow Moon
6. Quantitative Immortalities
7. Chamber of Stars
8. Acoustic Mirror

Line-up
Adam Richardson – bass/vocals
Mike Vest – guitar
Nathan Perrier – drums

11 PARANOIAS – Facebook

Krigere Wolf – Eternal Holocaust

I Krigere Wolf sono un gruppo di amanti del black metal che fa musica per chi apprezza il genere nella sua versione oltranzista, estrema ed ortodossa.

Sesto lavoro per dieci anni di attività per i siciliani Krigere Wolf, alfieri di un ottimo black metal, potente e molto ben suonato, perfettamente aderente al titolo.

I Krigere Wolf sono uno dei migliori gruppi black metal italiani e non solo, hanno un suono maestoso e magniloquente. Cinque pezzi più un tributo ad un gruppo storico per il black metal, i Dissection. I Krigere Wolf sono un gruppo di amanti del black metal che fa musica per chi apprezza il genere nella sua versione oltranzista, estrema ed ortodossa. Non ci sono novità particolari in questo disco, ma ci sono le cose più importanti per un lavoro black metal: compattezza, velocità e cattiveria. Anche la durata sotto la mezz’ora è una scelta azzeccata, non si disperde nulla e tutto è incontrollo. Molto presente nel sound anche la componente più debitrice verso il death metal, soprattutto nelle ritmiche della batteria, suonata dal fondatore e deux ex machina Rick Costantino, che si occupa anche del basso in studio. La formazione a due rende al meglio grazie ad un ottimo affiatamento: nel mare di uscite black metal i Krigere Wolf sono un gruppo che merita di essere ascoltato per la potenza e la cura con cui propone la propria musica. Eternal Holocaust è un massacro dalla prima all’ultima traccia ed evoca atmosfere antiche e molto diverse dalla modernità, dove la pietà è assente, ma questo lo sperimentiamo ogni giorno anche nel nostro tempo. Il black metal che ci propone il duo siciliano pesca tra vari riferimenti, è sempre molto vario e soddisferà in pieno chi ama questa saturazione del proprio spazio sonoro. Il disco verrà pubblicato da un’etichetta polacca, la Lower Silesian Stronghold, fatto che conferma la popolarità e la credibilità che possiedono i Krigere Wolf fuori dai confini nazionali, considerando che sono stati per per anni nel roster della coreana Fallen Angels Productions, arrivando a produrre uno split con i mitici giapponesi Sabbat.

Tracklist
1. Primordial (Intro)
2. Eternal Holocaust
3. Blasphemous Chaos Magnifience
4. Mystic Genocide
5. Vision of Death
6. Night’s Blood (Dissection tribute)

Line-up
Rick Costantino – Drums/Bass/Vocals
Salvo Leonardi – Guitars/Vocals
LIVE SESSION – Salvatore Martino Testa – Drums

KRIGERE WOLF – Facebook

Ferris Mc – Wahrscheinlich Nie Wieder Vielleicht

Ferris Mc confeziona un ottimo disco crossover, mischiando hip hop, punk, hardcore ed elettronica, il tutto in maniera orecchiabile ma con testi abrasivi, ironici e fuori dal comune.

Munitevi di traduttore, ancora meglio se sapete il tedesco, perché vale davvero la pena di capire i testi del disco di Ferris Mc, con un nuovo lavoro solista fuori dai Mongo Clikke, un collettivo hip hop che ha fatto scuola nella florida scena rap di lingua tedesca.

Ferris Mc confeziona un ottimo disco crossover, mischiando hip hop, punk, hardcore ed elettronica, il tutto in maniera orecchiabile ma con testi abrasivi, ironici e fuori dal comune. Per questo suo nuovo disco solista Ferris Mc è tornato alle origini, ripescando nella tradizione punk hc tedesca, con riferimenti ai Die Toten Hosen, Die Artze, e anche anglosassone come Exploited e Ramones. La decisione di fare cose diverse rispetto all’hip hop nasce dalla considerazione che con quel genere Ferris ha raggiunto la saturazione e quindi non riuscirebbe più a proporre cose interessanti come in questo disco in cui ripesca dal passato per proiettarsi nel futuro. Il lavoro è molto piacevole, con melodie gradevoli che sono alla base di ritornelli che rimangono impressi nella mente, tutto è al suo posto. Wahrscheinlich Nie Wieder Vielleicht è un disco che parla delle contraddizioni che sono nella nostra società, facendolo con una maturità assai rara, e soprattutto della Germania come in un pezzo come Fuer Deutschland Reicht’s, che analizza la pericolosa voglia di sovranismo in voga in Germania come altrove. Il disco è molto fresco, ben prodotto e ha la caratteristica molto importante di parlare ai giovani in maniera molto particolare, con una musica che piacerà a pubblici diversi, perché ha molte soluzioni sonore diverse. Molto importante è anche la questione del titolo, che significa Probabilmente Mai Più: anni fa si sarebbe detto solo “Mai Più”, e sappiamo tutti cosa non si vorrebbe accadesse mai più in Germania e non solo, ma visto come sta andando in tutto il mondo oggi si deve aggiungere il “probabilmente” e questo non è affatto una bel segnale. Un disco musicalmente molto potente e piacevole, con una marcia in più nei testi.

Tracklist
01. Allianz Der Außenseiter
02. Wahrscheinlich Nie Wieder Vielleicht
03. Was Ist Aus Mir Geworden
04. Die Normalen
05. Für Deutschland Reicht’s
06. Shitstorm
07. Der Teufel Tanzt weiter
08. Scherben Bringen Glück
09. Krank
10. Mein Herz Hat ‘Ne Knarre
11. Amok Amok Amok
12. Niemandsland
13. Friedhof Der Kuscheltiere
14. Fake News

FERRIS MC – Facebook

Enisum – Moth’s Illusion

Ci sono momenti di estrema commozione in questo disco, e a volte si ha persino l’ansia che questa musica scompaia all’improvviso, per quanto è bella.

Torna uno dei gruppi più significativi del black metal italiano e non solo, fautore di un black metal che trasporta lontano.

Strettamente legati alla natura e alla loro terra, la Val Di Susa, gli Enisum hanno sviluppato negli anni una poetica musicale unica ed immediatamente riconoscibile, partendo dal black metal per andare ben oltre, e questo ultimo disco è una pietra miliare della loro discografia, combinando insieme diversi elementi e portandoli ad un livello superiore. Nella musica di questo gruppo, che in un tempo relativamente breve ha saputo entrare nei cuori di molte persone, c’è una spiritualità che nasce anche dal fondere insieme vari generi e varie istanze. Il black metal, più che un genere, qui è un punto di partenza ed un sentimento dell’animo umano, una narrazione possibile. Partendo dal nero metallo gli Enisum trovano molte soluzioni sonore, e Moth’s Illusion è la sublimazione di un suono bellissimo e di un sentire e vedere la vita in un modo diverso. Il gruppo ci parla per immagini, costruendole come in un film e facendoci immergere nella nostra vera natura. Moth’s Illusion ha molti significati, ma il principale è forse quello di fermarsi e di ascoltare un battito che non nasce dal silicio, un respiro che viene dalla terra e dal quale siamo usciti anche noi, perché alla fine questo è un capolavoro folk, per quanto è vicino alla natura e al nostro cuore. Da tempo è in atto una guerra dentro noi stessi, nel tentativo di combattere la frattura che ci sta spaccando l’anima, smarriti i fra i vecchi dei che stanno perdendo terreno rispetto ai nuovi che vengono fuori da bytes e da tubi sotto l’oceano, facilitatori di una realtà fallace. Moth’s Illusion è un ritorno a ciò che potrebbe essere se fossimo più aderenti a quello che siamo sempre stati. Ci sono momenti di estrema commozione in questo disco, e a volte si ha persino l’ansia che questa musica scompaia all’improvviso, per quanto è bella. Rispetto agli altri lavori del gruppo si accentuano gli aspetti più melodici e al contempo epici del sound, bisogna però dire che, come per ogni album degli Enisum, la situazione è sempre diversa. E’ difficile ed insieme magnifico parlare di un disco così, che fa piangere e pensare, commuovere e lottare, e che è da sentire dall’inizio alla fine.

Tracklist
1.Cotard
2.Anesthetized Emotions
3.Where Souls Dissolve
4.Afframont
5.Moth’s Illusion
6.Last Wolf
7.Ballad of Musinè
8.Coldness
9.Petrichor
10.A Forest Refuge
11.Lost Again Without your Pain
12.Burned Valley

Line-up
Lys-guitars,vocal
Leynir-bass
Dead Soul-drum
Epheliin-female vocal

ENISUM – Facebook

Zaum – Divination

Incredibile come questo gruppo riesca a costruire meravigliosi paesaggi sonori senza le chitarre, che vengono sostituite da un’impalcatura sonora fuori dal comune.

La presunta era tecnologica nella quale stiamo vivendo è l’ultimo tratto di un percorso illuminato e positivista della storia umana, che dopo millenni e secoli di buio ha finalmente scelto la luce della scienza, della ragione e del progresso tecnologico.

Ma prima cosa era l’uomo? Cosa faceva, cosa credeva, quale era il suo rapporto con la natura e con le altre dimensioni? E’ tutto qui nel nuovo disco degli Zaum, un gruppo che rende la musica un’espressione che va ben oltre il suono, per arrivare ad aprirci il terzo occhio e permetterci di vedere oltre. Dell’immensa storia umana pre-antropocene è rimasto bene poco, ma qui si possono recuperare sensazioni e visioni che pensavamo perse. Doom, esplosioni sludge, suoni da epoche lontane, il tutto in tre pezzi di lunga durata per un gruppo che continua a stupire disco dopo disco. I canadesi Zaum stanno percorrendo un cammino musicale notevole e personale, facendo incontrare situazioni e codici musicali molto diversi fra loro. Se si dovesse indicare un’influenza si potrebbero citare gli Zu, soprattutto per l’andamento mai regolare delle canzoni, ma la poetica è diversa. Gli Zaum questa volta ci portano nell’antica Burma, dove la natura incontra le tenebre e dove antichi dei giacciono vicino agli uomini. La loro musica è un concetto avanzato di musica pesante, in cui Kyle Alexander McDonald alla voce e al basso, e Christopher Lewis alla batteria e percussioni, sono coadiuvati dalla splendida e misteriosa egiziano canadese Nawal Doucette, che è un grande valore aggiunto al tutto.
Incredibile come questo gruppo riesca a costruire meravigliosi paesaggi sonori senza le chitarre, che vengono sostituite da un’impalcatura sonora fuori dal comune. L’effetto è straniante, tutto è potente e visionario, Divination è il loro disco più compiuto e di alta qualità, non perchè gli altri non fossero buoni, ma questo ha qualcosa in più. Analizzando bene il suono degli Zaum, oltre ad una fortissima impronta di musica tribale, si può definire il tutto come psichedelia altra, sia per l’andamento della musica che per le visioni che provoca. Non è da tutti intraprendere un nuovo percorso sonoro interessante e d originale riuscendo a essere immediatamente riconoscibili dall’ascoltatore. Un disco che è un viaggio ma anche uno sguardo molto accurato su cosa sia davvero l’uomo.

Tracklist
1 Relic
2 Pantheon
3 Procession

Line-up
Kyle Alexander McDonald – vocals, bass, textures
Christopher Lewis – drums, percussion
Nawal Doucette – visual performance art, ambiance

ZAUM – Facebook

Totalitarian – Bloodlands

Non c’è un momento di resa, di pausa o di stanca, il sangue scende copioso come un fiume e non possiamo fare a meno di continuare a guardare il massacro, incalzati da un qualcosa che ci fa spingere oltre.

Sei pezzi brutali e sanguinari per descrivere campi di sangue che cola e i gemiti di chi sta morendo dopo la battaglia, o dopo qualche sterminio.

Il secondo disco degli italiani Totalitarian è una sequela di esplosioni del black metal più selvaggio e senza compromessi, rifacendosi alla tradizione con uno stile originale e per certi versi innovativo. Il gruppo romano continua ciò che aveva cominciato con il debutto del 2017 De Arte Tragoediae Divinae, un disco già notevole, ma che viene surclassato da questo sterminio musicale. Il black dei Totalitarian è una massa fisica di notevole dimensioni, che vuole portare dentro il male, sviscerandolo e rendendolo presente e doloroso. Chi ascolta black metal sa che il genere può avere infinite declinazioni, ma ci sono pochi gruppi che lo rendono qualcosa di tangibile, ed i Totalitarian sono fra questi. Il disco ci porta sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale, nel ghetto di Varsavia o nei campi dei massacri di Babij Jar in Ucraina, ovunque l’uomo stermina i suoi simili in un immenso sacrificio. Il suono e l’epica dei Totalitarian potrebbe essere definito war metal, ma è qualcosa di più profondo, perché il loro black è di un altro livello rispetto alla media dei dischi di war metal, e anche i testi hanno una profondità notevole. Bloodlands non è un disco fatto per scioccare, ma è un affresco del male, sul male e fatto attraverso il male. Nell’album si sentono vari sottogeneri di black metal, da quello più ortodosso a cose più vicine al death: non c’è un momento di resa, di pausa o di stanca, il sangue scende copioso come un fiume e non possiamo fare a meno di continuare a guardare il massacro, incalzati da un qualcosa che ci fa spingere oltre. Arricchisce notevolmente il disco una sorta di coro tragico greco, ovvero un elemento narrativo che compare a rafforzare alcuni passaggi della narrazione musicale attraverso voci che sono celestiali e letali. Un disco che vuole far male e ci riesce in pieno.

Tracklist
1.1933
2.On The Wings Of The Great Terror
3.Defeated, Destroyed And Divided
4.Liberators
5.Of Bullets And Gas
6.Deathcult Eternal

TOTALITARIAN – Facebook

Shana Cleveland -Night of the Worm Moon

Night of the Worm Moon è sedersi in cima ad una collina californiana e guardare in cielo strane luci che corrono veloci e che giocano con la nostra immaginazione, ma anche guardare con interesse carcasse di insetto e asfalto che cucina sangue nottetempo.

Debutto solista per la cantante chitarrista del gruppo surf La Luz, Shana Cleveland.

Shana ci propone un folk nella tradizione americana, minimalista, con una voce che narra più che cantare e che si rifà a dei modelli inusuali per questo genere. Il titolo Night of the Worm Moon riporta all’analogo Night Of The Purple Moon di Sun Ra, una delle fonti di ispirazione di Shana. Infatti in questo debutto convergono diverse forme di vita artistiche, dalla fantascienza al folk pastorale americano, e qualche eco diverso come un risuonare lontano di musica distorta che abbia trovato la pace in un deserto. Il disco è stato registrato in un’occasione speciale, l’eclissi di luna del 2017, e ne porta su in sé i segni, con il femmineo ad imperare. La musica è un folk minimale, con chitarra, batteria e pochissimo altro, e il risultato è molto forte e tipicamente americano, anche se la forza del disco sta nel dare un gusto diverso al folk. Shana con il suo gruppo La Luz è sempre stata innovatrice e molto avanti, e anche questo suo debutto solista risponde all’esigenza di fare qualcosa di nuovo in un genere preesistente. Tutto è molto calmo e guarda alle stelle più che alle vicende terrene, e non è il disco medio di folk americano, ma va oltre. Il mondo di Shana è molto composito e speciale, fortemente influenzato dalla fantascienza. Dieci canzoni molto weird, che si vanno ad inserire in quel filone della fantascienza che sta recentemente dando ottimi frutti oltreoceano. Night of the Worm Moon è sedersi in cima ad una collina californiana e guardare in cielo strane luci che corrono veloci e che giocano con la nostra immaginazione, ma anche guardare con interesse carcasse di insetto e asfalto che cucina sangue nottetempo. Un disco che è la narrazione dell’inaspettato e del fuori dal comune, ma che è quello che vorremmo vedere, oltre alle miserie che vediamo quotidianamente. Un debutto diverso ed incisivo.

Tracklist
1 Don’t Let Me Sleep
2 Face of the Sun
3 In Another Realm
4 Castle Milk
5 Night of the Worm Moon
6 Invisible When the Sun Leaves
7 The Fireball
8 Solar Creep
9 A New Song
10 I’ll Never Know

SHANA CLEVELAND – Facebook

Weyes Blood – Titanic Rising

Il suono è il risultato di un incontro magico tra voce e strumenti abbastanza disparati, portando un qualcosa dalle parti di Enya ad incontrarsi con un certo pop sognante e fortemente retrò.

Titanic Rising di Weyes Blood è uno dei dischi più originali e spiazzanti degli ultimi anni.

Cantautorato pop di grande classe e versatilità, con la voce neoclassica di Natalie Mering che in pratica fonde i madrigali con il pop e l’elettronica, per un effetto sottomarino e dolcissimo. Il titolo è appositamente scelto per poter descrivere questo concept album sulla riemersione del Titanic e di tutto ciò che si porta dietro. Questo è il suo quarto disco, e per chi non la conoscesse ancora sappia che si è perso un’autentica meraviglia, un qualcosa di raro e prezioso. Natalie narra in senso medioevale, cantando parole che trasforma in magia, con una musica teatrale e assolutamente slegata dai generi ad accompagnarla. La trasfigurazione della realtà in un altro codice, una dichiarazione di guerra alla normalità, un sognare oltre i sogni. Infatti uno dei propositi di Natalie è proprio quello di andare oltre con questo disco, di crearsi definitivamente un percorso personale ed inedito e ci riesce benissimo. Il suo suono è il risultato di un incontro magico tra voce e strumenti abbastanza disparati, portando un qualcosa dalle parti di Enya ad incontrarsi con un certo pop sognante e fortemente retrò. Lei canta e sussurra, mentre la musica compie evoluzioni tipiche di una colonna sonora di un film sognante ed onirico. Ascoltare Titanic Rising è provare la meraviglia di un’epifania che non si ripete mai simile a se stessa ma cambia sempre, a seconda di cosa vuole dirci Weyes Blood. Ci sono infatti pezzi in stile film anni cinquanta, anche perché le orchestrazioni sono forti e ben presenti all’interno del disco, e danno un forte valore aggiunto. Anche il pop è molto ben rappresentato, ma tutte queste cose sono elementi dell’insieme che è un unicum musicale, come se tante tradizioni musicali e di narrazione avessero scelto di possedere questa donna minuta ma possente. Lei parla alla nostra anima con un album che potremmo paragonare a quello del compagno di etichetta Orville Peck per impatto ed originalità, anzi forse questo è maggiore. Una fonte inesauribile di emozioni e di musica originale.

Tracklist
1.A Lot’s Gonna Change
2.Andromeda
3.Everyday
4.Something to Believe
5.Titanic Rising
6.Movies
7.Mirror Forever
8.Wild Time
9.Picture Me Better
10.Nearer to Thee

WEYES BLOOD – Facebook

Danko Jones – A Love Supreme

Stupisce la capacità dei Danko Jones di essere molto interessanti in ogni loro uscita nonostante facciano un genere abbastanza minimale, ma con il loro amore per il rock tutto è possibile.

Tornano i Danko Jones, e fin dal primo brano I’m In A Band, si sente l’immenso amore per la musica, ed in particolare per il rock and roll che ha il musicista canadese, una vera e propria istituzione per tutti gli amanti dei suoni ruvidi.

Il disco è la sublimazione di ciò che è un disco dei Danko Jones: chitarroni, batteria esplosiva e basso che ruggisce. I Danko Jones sono uno di quei gruppi che non tradisce mai, il trio canadese nella sua lunga carriera non ha in pratica sbagliato un colpo, tutti i dischi sono piacevoli e ben suonati, ma questo ha forse qualcosa in più. La produzione di GGGarth Richardson, che ha lavorato con gruppi come Red Hot Chili Peppers e Rage Against The Machine, è sensazionale, riesce a dare una nuova forma ai suoni di Danko e soci. E poi la melodia… il trio è pressoché perfetto in questo, con dei ritornelli che sono coinvolgenti ed avvolgenti. Tutte le canzoni potrebbero essere potenziali singoli, non ci sono riempitivi, e tutto è concepito con lo scopo di suonarlo dal vivo. Ci sono momenti di autentico entusiasmo, durante i quali proprio non si riesce a stare fermi allorché il gruppo rielabora la tradizione rock and roll e la porta nel futuro, perché i Danko Jones sono in realtà uno delle più grandi band rockabilly in giro, incarnando da tempo il rock come lo si può interpretare al meglio. Questo disco è un’affermazione di superiorità, una dichiarazione per il rock and roll, e cosa più importante, un lavoro molto divertente che regalerà un po’ di tragua dall’affanno del mondo. Stupisce la capacità dei Danko Jones di essere molto interessanti in ogni loro uscita nonostante facciano un genere abbastanza minimale, ma con il loro amore per il rock tutto è possibile. Ballerete, eccome se ballerete.

Tracklist
01. I’m In A Band
02. I Love Love
03. We’re Crazy
04. Dance Dance Dance
05. Lipstick City
06. Fists Up High
07. Party
08. You Got Today
09. That Girl
10. Burn In Hell
11. You Can’t Keep Us Down

Line-up
Danko Jones – guitar, vocals
John “J.C.” Calabrese – bass
Rich Knox – drums

DANKO JONES – Facebook

A Swarm Of The Sun – The Woods

Non sono suoni per tutti, è musica che parla ad anime che sanno agire dentro la sconfitta, ma è qualcosa di davvero valido e sentito, musica che è sentimento e vita, sangue vivo che scorre lentamente e fa uscire il calore.

A volte si ascoltano cose che ti lasciano qualcosa dentro, e rarissime volte si sente un disco che in pratica parla di cosa vivi o di cosa provi.

Questo lavoro del duo svedese A Swarm Of The Sun per ognuno può essere una cosa diversa, è un disco aperto a tutto, un libero fluire della coscienza di due persone che incontra altri flussi simili ed entrano in sintonia. La coppia parte dal post rock per arrivare all’ambient, ma soprattutto creano atmosfere basse, ansiogene, si è costantemente in pericolo, la salvezza è lontana, è un requiem che suona per noi. Le canzoni sono tre e misurano ognuna più di tredici minuti, sono delle suite che si sviluppano perfettamente, tre sogni che sospendono il tempo durante l’ascolto. A Swarm Of The Sun sono giunti al quarto album, sono un gruppo conosciuto ed apprezzato e portano avanti la via scandinava al post rock, che è una cosa diversa poiché incontra in maniera importante l’ambient, soprattutto nella composizione delle canzoni. La calma di alcuni momenti è ancora più terribile, il suono rarefatto del gruppo incide l’anima e ci fa tornare indietro a pensieri antichi. Si comincia ad ascoltare la canzone e non si riesce a smettere, come quando sei sotto ad un temporale e ti stai bagnando ma non puoi farne a meno. Non sono suoni per tutti, è musica che parla ad anime che sanno agire dentro la sconfitta, ma è qualcosa di davvero valido e sentito, musica che è sentimento e vita, sangue vivo che scorre lentamente e fa uscire il calore. Le soluzioni musicali del gruppo sono molteplici e tutte molto ben approfondite, non c’è nessuna derivazione, è tutto originale. Per capire, ci sono momenti nei quali ricordano alcune atmosfere dei Radiohead, soprattutto quelle in cui l’ascoltatore capisce in profondità cosa vogliono dire e ne è partecipe. Quando entra la voce nella terza canzone è davvero difficile non piangere lacrime di consapevolezza. Un disco che come un acido ad ognuno farà un effetto diverso, ma che è oggettivamente meraviglioso.

Tracklist
1.Blackout
2.The Woods
3.An Heir to the Throne

Line-up
Erik Nilsson
Jakob Berglund

A SWARM OF THE SUN – Facebook

Locus Animae – Luna

La poetica del gruppo è quella di avanzare attraverso musica originale e di ispirazione neoclassica verso territori gotici ma anche di avanguardia.

I Locus Animae sono un gruppo proveniente da Novara, attivo dal 2012.

Inizialmente hanno cominciato come gruppo black metal, poi hanno sviluppato una poetica tutta loro, come si può sentire in maniera molto netta in questo nuovo ep, Luna. La poetica del gruppo è quella di avanzare attraverso musica originale e di ispirazione neoclassica verso territori gotici ma anche di avanguardia. La musica è delicata e sognante, ma anche possente e perentoria quando, con reminiscenze del black metal delle origini. Luna è la continuazione del ciclo cominciato con il precedente Prima Che Sorga Il Sole, che era un ottimo lavoro. Spicca l’azzeccato gioco fra la bellissima voce femminile di Vera Clinco dei Caelestis, che si completa benissimo con il cantato sia in chiaro che in growl di Gregory Sobrio. Il gruppo è tecnicamente di livello e porta molto in alto il pathos delle canzoni. Il sentire è gotico, forte di un sentimento anche mediterraneo che porta a vedere le cose in una maniera molto diversa dal gotico nordico, ad esempio. La presenza di un afflato neoclassico nella musica dei Locus Animae è molto forte ed è una delle colonne portanti del loro suono. Il cantare in italiano conferisce forse il vero valore aggiunto di questo gruppo, la metrica della nostra lingua si sposa benissimo con questo suono, e ne è la narrazione perfetta. Fin dalla prima canzone, L’Incanto Della Sirena, si capisce che non siamo al cospetto del solito combo di gothic metal, qui si va molto oltre: Luna parla di ricordi, tasselli della nostra vita che rimangono nel caleidoscopio di ciò che pensiamo di sapere. Stupisce la forza dirompente dell’album, la completezza del sound dove non c’è un cosa fuori posto, un’incongruenza, un qualcosa di sbagliato. Il sentimento è il motore primo di tutto, e i Locus Animae hanno un nome che è adattissimo alla loro musica, perché parla alla nostra anima. La comparsa di quando in quando nella musica del black metal attraverso intarsi molto preziosi è un ulteriore segno della bravura e della grandezza di questa band. La forma dell’ep è il giusto spazio per poter godere di queste composizioni così dolci e forti, che parlano di un mondo che possiamo vedere se abbandoniamo il delirio che ci viene proposto quotidianamente.

Tracklist
1.L’Incanto Della Sirena
2.Il Cantico Del Mai Nato
3.Crepuscolo
4.All’Imbrunire
5.Eclissi – Come La Terra Baciò La Luna

Line-up
Gregory Sobrio – Clean Vocals, Growl, Scream –
Nicolò Paracchini – Bass, Scream –
Brian Cara – Rhythm Guitar –
Emmanuele Iacono – Lead Guitar –

LOCUS ANIMAE – Facebook

Anna Havoc – Anna Havoc

Gli Anna Havoc sono una band di San Pietroburgo che suona un buon hardcore caotico, magmatico e molto duro.

Gli Anna Havoc sono una band di San Pietroburgo che suona un buon hardcore caotico, magmatico e molto duro.

Il loro primo ep è un buon esempio di cosa possa offrire un giovane gruppo di talento e in grado di ottenere ottimi ascolti. Certamente i numi tutelari sono i Converge e tutta quella scena che ha cambiato l’hardcore negli ultimi anni che è tuttora è un’onda che avanza. I riff sono molto precisi e colpiscono nel segno, le canzoni sono costruite e sono sviluppate bene. La furia di questi ragazzi non è cieca, è incanalata nella via giusta e viene espressa al meglio, attraverso questo hardcore pesante ed incalzante. La tensione rimane alta per tutto il disco, il minutaggio è adeguato ad esprimere quello che vogliono questi russi, ovvero la descrizione di una società che sta morendo e questo è il suono del coltello che la seziona. Gli Anna Havoc riescono a non essere derivativi perché hanno un’alta qualità nel loro sound e l’esprimersi in lingua madre è segno di forte personalità e di voglia di non farsi omologare, il messaggio lo si capisce benissimo. Ci sono momenti intensi e molto coinvolgenti, ma tutto il disco si attesta su buoni livelli: anche nei pezzi più lenti e sofferti gli Anna Havoc si esprimono molto bene e riescono sempre a costruire cose interessanti. E’ sempre piacevole ascoltare dell’hardcore nuova scuola suonato in questa maniera, peraltro il disco è in offerta libera sul loro bandcamp e ne vale davvero la pena.

Tracklist
1.Тишина
2.Вольта
3.Птица
4.Очаг
5.Весна

Julinko – Nèktar

Nèktar è un disco che ha molte letture e regala tantissimi spunti diversi, è uno di quei dischi che porta l’ascoltatore lontano, in una terra dove le leggi fisiche non sono le stesse, un sogno che chiede di mutare forma per essere capito in fondo, un disco di musica bellissima e psichedelicamente altro.

Etereo, esoterico, dolce, lancinante e additivo viaggio messo in musica in maniera davvero originale per questo terzo disco della creatura sonica chiamata Julinko, il primo in forma di terzetto.

La dea musicale che ha dato avvio al tutto è Giulia Parin Zecchin, cantante, chitarrista e visionaria che fonda il gruppo a Praga nel 2015 e per varie tappe arriva a concepire questo piccolo capolavoro in una discografia già ottima. Il disco possiede un suono che fa nascere un universo tutto suo, lo stile musicale ingloba molte cose, molti rimandi e tante cose che rendono speciale il tutto. Per prima cosa spicca la voce di Giulia, che altro non è che una bellissima connessione ad un qualcosa di superiore, che si può capire solo se legato alla musica degli altri componenti del gruppo, Carlo Veneziano alla batteria e synth e Francesco Cescato al basso. Nèktar è un distillato di riverberi, psichedelia profonda e di un’oscurità che piano piano si prende tutto. C’è un senso di sogno, di visione alchemica che prepara a qualcosa d’altro, un non stare mai fermi in un mondo che vive nel buio e scava nei simboli. Come altri pochi esempi, Giulia è una sciamana che suona per far nascere o rinascere qualcosa di antico che è in noi dormiente. L’ispirazione del disco le è venuta in un momento di conoscenza indotta da agenti esterni ed interni che ha fatto diventare il Nèktar del titolo un percorso a ritroso dalla morte ad una nuova vita. Giulia taglia carni con la sua voce e la sua chitarra, che è come una spada oppiacea che uccide e fa godere, il resto del gruppo la segue benissimo, in un percorso che non può essere lineare, ma che è anzi scosceso e difficile come tutti i percorsi iniziatici. La musica è dolce e sinuosa, pericolosa e bellissima come il canto di una sirena. Musicalmente si segue una certa tradizione italiana fortemente underground che ha sempre dato ottimi frutti, quella di un certo tipo di psichedelia rumorista e lisergica di alta qualità. Nèktar è un disco che ha molte letture e regala tantissimi spunti diversi, è uno di quei lavori che porta l’ascoltatore lontano, in una terra dove le leggi fisiche non sono le stesse. Un sogno che chiede di mutare forma per essere capito in fondo, un disco di musica bellissima e psichedelicamente altro.

Tracklist
1.Into the Flowing Stream Plunge Me Deep
2.Deadly Romance
3.Venus’Throat
4.Leonard
5.The Hunt
6.Spirit
7.Servo
8.Death and Orpheus
9.The Woods, the Wheel
10.Nèktar

Line-up
Giulia Parin Zecchin – Guitar and Voice
Carlo Veneziano – Drums and Synth
Francesco Cescato – Bass

JULINKO – Facebook

Der Blutharsch and the Infinite Church of the Leading hand – Wish I Weren’t Here

Il progetto di Albin avanza ulteriormente e fragorosamente, se lo si legge in chiave musicale questo disco è una delle cose migliori che sia ultimamente uscita in campo psichedelico e non solo, perché qui ci sono forti elementi di new wave e di ottimo krautrock.

Continua l’immensa parabola musicale di Albin Julius aka Der Blutarasch, geniale e controverso artista che forse nei tempi passati sarebbe stato un magnifico musicista classico, ma che oggi sicuramente è un medium attraverso il quale la musica fluisce e si disperde nell’universo.

La prima fase della sua vita musicale è stata all’insegna del martial neofolk politicamente schierato nell’estrema destra, collaborando anche con Death In June. Dal 2011 la svolta psichedelica, cambiando nome in Der Blutarsch and The Infinite Church Of The Leading Hand. La cesura musicale con il passato è pressoché totale, dato che qui siamo nei territori della psichedelia più libera e visionaria, per un disco che cattura e porta lontani. La svolta di Albin, che con musicisti come Douglas Pearce, deus ex machina dei Death In June condivide la stessa visione estremamente contraddittoria dell’arte della vita, non gli ha procurato grandi elogi dal suo passato pubblico, mentre invece gli ha fatto guadagnare nuovi adepti tra chi ama la musica più visionaria ed eterea. Wish I Weren’t Here, oltre ad essere una manata nei coglioni ai Pink Floyd e alla musica alternativa tutta, è un disco libero e contundente, un qualcosa di totalmente slegato dalle logiche commerciali, la cosa più lontana che ci possa essere da una zona di comfort. Der Blutarsch con i suoi soci vuole fare male, penetrare nel profondo della nostra psiche modernamente devastata, rompere gli argini del facile, distorcere una realtà già distorta, in un infinito che si ripiega su se stesso. Il suono è dirompente, la voce femminile è quella di una sciamana che ci porta in una regressio ad infinitum, mentre il gruppo evolve in jam che tendono a dilungarsi, con tutti gli spazi riempiti ed il vacuum che non esiste. Il progetto di Albin avanza ulteriormente e fragorosamente, se lo si legge in chiave musicale questo disco è una delle cose migliori che sia ultimamente uscita in campo psichedelico e non solo, perché qui ci sono forti elementi di new wave e di ottimo krautrock. Al di là di qualsiasi altra considerazione, lasciamo parlare appunto la musica per ora, perché quella è ottima.

Tracklist
1.evil
2.wish I weren`t here
3.all one
4.make me see the light
5.just because I can
6.my soul rests free
7.forgotten
8.he is here
9.o lord

DER BLUTHARSCH AND THE INFINITE CHURCH OF THE LEADING HAND – Facebook