Virginiana Miller – The Unreal Mccoy

Ci sono momenti alla Calexico, cose più vicine a gente come King Dude, lo spirito di un Elvis nettamente sconfitto e purtroppo ancora in vita, aperture che ricordano il più tenebroso american gothic, insomma un grande disco davvero pieno di angoli e di chilometri da fare senza meta.

Dopo sei anni di assenza tornano i livornesi Virginiana Miller, gruppo tra i padri fondatori dell’ indie in Italia che ha sempre fatto cose interessanti, anche se sono cambiate molte cose in sei anni.

Innanzitutto non hanno più nulla da dirci in italiano, come hanno affermato loro, e allora cantano in inglese. E nella lingua di oltremanica ci raccontano come immaginano l’America vista da Torino, senza muoversi da casa, usando testimonianze e quell’immenso immaginario che ha prodotto la terra americana in questi anni. In pratica si potrebbero considerare gli Stati Uniti come uno sconfinato produttore di sogni, incubi, racconti ed immagini. Tutti noi ci siamo abbeverati, e tuttora lo facciamo, ma i Virginiana Miller vanno oltre e lo raccontano attraverso nove tracce di bellissimo indie rock, con la voce di Simone Lenzi che in inglese è ancora più incisiva che in italiano, e non era facile. Il disco è un concentrato di pop rock composto e suonato ad un livello superiore, unendo musicalmente Inghilterra, Italia e Usa, in un qualcosa di molto originale, in linea con la produzione precedente e andando oltre, da grande gruppo. Se l’ascoltatore non lo sapesse, potrebbe pensare che questo disco sia di un gruppo americano, e ciò per le atmosfere, la languida sensualità dell’unione fra parole e musica, e quei racconti di polvere e merda che poi è l’America vera, quella che non si vede ma decisamente maggioritaria rispetto a quella che appare sui nostri schermi. Difficile sbarcare il lunario là, nonostante i tanti proclami di un’America che tornerà ancora grande, forse l’America è morta o forse è solo un luogo della mente, e l’unica maniera per raccontarla è quella dei Virginiana Miller. Tornando a loro, con questo lavoro dopo una lunga pausa, confermano d’essere uno dei migliori gruppi italiani, nel senso che riescono ad andare oltre le loro gloriosa storia per fare un qualcosa di dirompente e davvero nuovo. Ci sono momenti alla Calexico, cose più vicine a gente come King Dude, lo spirito di un Elvis nettamente sconfitto e purtroppo ancora in vita, aperture che ricordano il più tenebroso american gothic, insomma un grande disco davvero pieno di angoli e di chilometri da fare senza meta. I Virginiana Miller potevano fare un disco più confortevole e facile, mentre qui raccontano usando codici nuovi per loro, e dimostrando che possono fare ciò che vogliono sempre con ottimi risultati. Un grande ritorno, ma in realtà non se ne sono mai andati, siete voi che avete la fregola di avere un disco all’anno come minimo, questo è artigianato musicale.
” The sky is clear / We feel safe / In the fallout shelter / God is strong / No communists around ”

Tracklist
01. The Unreal McCoy
02. Lovesong
03. Old Baller
04. Motorhomes Of America
05. Christmas 1933
06. The End Of Innocence
07. Soldiers On Leave
08. Toast The Asteroid
09.Albuquerque

Line-up
Antonio Bardi: Electric and acoustic guitar
Daniele Catalucci: Bass, backing and harmony vocals
Giulio Pomponi: Acoustic and electric piano, synth, farfisa, keyboards
Matteo Pastorelli: Electric, acoustic and steel guitar, Synth, Mini theremin
Simone Lenzi: lead vocals
Valerio Griselli: drums

Ale Bavo: synth on The unreal McCoy
Ada Doria, Daniela Bulleri: harmony vocals on The unreal McCoy
Andrea “Ciro” Ferraro: harmony vocals on Soldiers on leave
Matteo Scarpettini: percussions on Old baller, Motorhomes of America, Christmas 1933, The end of innocence, Soldiers on leave, Toast the asteroid, Albuquerque

VIRGINIANA MILLER – Facebook

Wrong Way To Die – Wild And Lost

Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene.

I Wrong Way To Die sono un gruppo padovano di hardcore melodico ma c’è molto di più.

Nati nel 2011, hanno debuttato sulla lunga distanza nel 2014 con Ingrates, per Redfield Digital, e hanno condiviso il palco con gruppi dal grande seguito come Texas In July e Being As An Ocean. La band si autodefinisce melodic hardcore, ma la sua musica va ben oltre questo genere , regalando molte emozioni che è poi la cosa più importante. I Wrong Way To Die sono un gruppo di talento e passione, all’interno di ogni canzone riescono sempre a trovare le soluzioni adeguate, e soprattutto allargano l’orizzonte di questo suono, rompendo i soffitti e facendoci intravedere il cielo. Nella loro musica si può sentire una linea melodica in comune con gruppi come i Deftones, quelle scalate melodiche che rimettono a posto il cervello e lo stomaco di chi ascolta. Ci sono tantissimi stop and go, tutti bellissimi e coerenti, e anche le parti maggiormente post hardcore sono molto belle. Se si volesse dare una definizione del loro suono, definizione per forza riduttiva perché è sempre la musica ed il gusto personale a comandare, si potrebbe azzardare un post hardcore progressive, perché ci sono cose in questo gruppo che vanno oltre le definizioni esistenti. I Wrong Way To Die non inventano nulla, ma lo fanno in maniera molto originale e coinvolgente, con un disco che ha una grande freschezza e al contempo un grande calore che ti avvolge e ti fa stare bene, senza contare che la resa dal vivo deve essere devastante. Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene. Si sente molto chiaramente che il gruppo ha ascoltato e studiato molto e, mi spiace dirlo, ma se fossimo ad altre latitudini avrebbe ben altro seguito. Un disco che cerca dentro e fuori di noi alcune risposte, che sono già messe in musica proprio qui.

Tracklist
1. Orbit
2. Aimless
3. Reformed
4. Eternal
5. Fall Apart
6. The Most You Can Lose
7. The End / To Begin
8. The Glass I

Line-up
Federico Mozzo – Guitars
Vittorio Rispo – Bass
Marco Violato – Drums
Pham The Cosma Hai – Vocals

WRONG WAY TO DIE – Facebook

Dead Witches – The Final Exorcism

Lo scopo è sempre quello di soffocare l’ascoltatore, di chiudere i chiodi della bara quando esso respira ancora e ci riescono in pieno.

Torna alla grande Mark Greening, con il suo gruppo Dead Witches, per un disco di perdizione metallica e psichedelica.

Con The Final Exorcism i nostri arrivano al secondo album, tappa traditrice per più di un gruppo che loro superano brillantemente.
Intendiamoci, come formula non è nuova, ma questo suono che nasce con i Black Sabbath e viene trasformato dagli Electric Wizard, dei quali Greening è stato fondatore e batterista per poi andarsene con tantissime polemiche, qui viene portato al suo zenit, perfezionandolo ulteriormente. Le vibrazioni sono pesantissime, ed il disco è da ascoltare ad un volume furioso, allo scopo di far tornare i morti sulla terra e di farci sanguinare i nervi. La voce di Soozi Chameleone, che ha sostituito l’italiana Virginia Monti aka Psychedelic Withcraft, cantante del disco precedente Ouija, è tagliente, calda, alta e completa, e si sposa benissimo con il resto del loro suono. La chitarra è super distorta e macina riff giganteschi su riff giganteschi, il basso spinge avanti tutto e la batteria è la solita cavalcata infernale firmata Mark Greening. Lo scopo è sempre quello di soffocare l’ascoltatore, di chiudere i chiodi della bara quando esso respira ancora e ci riescono in pieno. Troviamo molta psichedelia in questo disco, infatti il suono è molto debitore degli anni sessanta e settanta, e come gli Electric Wizard i Dead Witches ne fanno una versione molto pesante e distorta, non necessariamente più moderna. Il disco pesca anche molto dall’immaginario horror, specialmente quello della defunta casa di produzioni Hammer, vero e proprio pilastro di film di dubbia qualità ma di grande impatto. Inoltre la differenza, nel caso dei Dead Witches, la fanno i particolari, perché ogni cosa è curata e ci sono riff e giri di batteria che si pongono per impatto al di sopra della media degli atri gruppi simili. Prova molto buona, sperando che non sia l’esorcismo finale.

Tracklist
1. There’s Someone There
2. The Final Exorcism
3. Goddess Of The Night
4. When Do The Dead See The Sun
5. The Church By The Sea
6. Lay, Demon
7. Fear The Priest

Line-up
Mark Greening – Assault and Battery
Oliver Hill – Guitar
Carl Geary – Fuzz Bass
Soozi Chameleone – Vox
Oliver Irongiant – Guitar

DEAD WITCHES – Facebook

Kraanston – Northern Influence

Si prova un gusto decisamente differente rispetto al gruppo sludge medio, anche se definire i Kraanston sludge è un arrotondare per difetto, dato che sono difficilmente classificabili, o meglio sono i Kraanston punto e basta.

Da Torino arrivano i Kraanston, al debutto sulla lunga distanza dopo l’ep Dead Eyes del 2016.

La loro proposta è uno sludge molto particolare, potente, distorto e che esplora anche altri sottogeneri del metal come thrash e groove metal, confezionando un disco non comune e molto interessante. Non poteva essere altrimenti con in formazione due musicisti come Fabio Insalaco degli Homicide Hagridden e Andrea Bonamigo dei The Selfish Cales, due gruppi musicali assai diversi, ma entrambi eccellenti nei loro campi. Northern Influence è un disco che non cerca mai la soluzione ovvia, ma lavora attraverso distorsioni e una imponente sezione ritmica per devastare tutto. La via anglosassone allo sludge ha influenzato molto i nostri, anche se la loro proposta è originale, dato che il suono dei Kraanston è metal nella sua essenza e nella sua manifestazione. Il disco regala belle sensazione a chi ama la musica pesante fatta con passione e concretezza, e saranno particolarmente soddisfatti gli amanti di sfuriate distorte e con la batteria incombente. Il gruppo è un trio molto ben assortito e capace di funzionare al meglio, esprimendosi in momenti più lenti o anche più veloci, sempre pesanti e potenti. Si prova un gusto decisamente differente rispetto alla band sludge media, anche se definire i Kraanston sludge è un arrotondare per difetto, dato che sono difficilmente classificabili, o meglio sono i Kraanston punto e basta. La formazione di questi musicisti è solida come i loro ascolti, tutto è eseguito al meglio, in perfetta comunione con la produzione. Non manca nemmeno la melodia declinata in maniera diversa, che contribuisce ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore verso questo magma sonoro. Northern Influence riserva anche parecchie sorprese, certi pezzi dopo vari minuti cambiano registro e sono la migliore testimonianza della bravura compositiva ed esecutiva di questo gruppo. Un disco in tutto e per tutto underground che meriterebbe molto e speriamo lo riceva, anche se lo scopo principale è quello di fare male, tanto male.

Tracklist
1.UVB-76
2.An Unknown Hero
3.Tunguska (free)
4.Planet 4
5.Noril’sk
6.Cargo Cult
7.Kraanston

Line-up
Fabio Insalaco – Guitar / Vocals
Andrea Bonamigo – Bass / Vocals
Stefano Moda – Drums

KRAANSTON – Facebook

Crowhurst – III

Un’opera che grida, un urlo disperato eppure bellissimo, un disco che piacerà a tanti, perché copre un grande arco della musica pesante e non solo.

Jay Gambit aka Crowhurst è un musicista e produttore che ha coperto e copre un’ampia gamma di generi musicali, e potrebbe essere definito a ragione un esploratore sonoro.

Ogni volta visita mondi diversi e in questo caso con III si addentra in territori noise e grunge, creando come sempre qualcosa di bellissimo. III è disperato e struggente, il grido di un animale sempre connesso e però morente, colpevole di aver ucciso il proprio ambiente di vita e quindi sè stesso. La razza umana è una contraddizione in termini che prima o poi sarebbe dovuta esplodere e questo disco rappresenta benissimo il poi. La voce di Jay è disperata e ruvida, passa attraverso i padiglioni auricolari per arrivare al cuore ed esplodere, grazie anche ad una musica che si dimena con lui. Questa è forse l’opera in apparenza meno estrema musicalmente, ma è una cascata di odio e disagio, sublimata da uno spirito musicale davvero superiore. Le uscite discografiche totali di Crowhurst sono oltre settantacinque, contando anche le varie collaborazioni, ma ogni volta è un’epifania. In questa nuova pubblicazione però si è superato andando a creare un ponte temporale tra il grunge e qualcosa di estremamente moderno, di vicino al noise e ad altre cose pur senza appartenere a nessun genere in particolare, andando ad usare i codici musicali più adatti per creare qualcosa di potente e ben definito, di musicalmente unico. III è un disco in cui lo spazio si restringe sempre di più, dove le distorsioni sono solchi sull’asfalto e sulla nostra faccia, anno dopo anno, morte dopo morte. Il disco è inoltre strutturato come la narrazione di un film, infatti Crowhurst ha ammesso di essere stato influenzato da The Natural Born Killers, dal quale trae la disperazione e la violenza. Insieme al film di Oliver Stone, Jay Gambit si ispira anche alla serie tv The Twilight Zone, di cui si serve per andare oltre, infatti l’ultima canzone prende il titolo da un episodio della serie. Un’opera che grida, un urlo disperato eppure bellissimo, un disco che piacerà a tanti, perché copre un grande arco della musica pesante e non solo. Prodotto da Kurt Ballou.

Tracklist
1.I Will Carry You To Hell
2.Self Portrait With Halo And Snake
3.The Drift
4.La Faim
5.Ghost Tropic
6.Five Characters In Search Of An Exi

CROWHURST – Facebook

Cellar Darling – The Spell

I Cellar Darling sono autori di musica salvifica, una di quelle poche entità musicali che portano luce anche quando descrivono l’ombra, e che nobilitano le nostre orecchie e il nostro cuore.

Secondo disco dei Cellar Darling, gruppo folk e anche prog metal fondato da tre ex membri degli Eluveitie, Anna Murphy, Ivo Henzi e Merlin Sutter.

Non aspettatevi però cose in quota Eluveitie, perché qui siamo di fronte a qualcosa di profondamente diverso. I Cellar Darling sono un gruppo che possiede un’incredibile capacità di fare musica metal melodica, bilanciata e molto sognante. La voce di Anna porta l’ascoltatore lontano, in una terra dolce ma che può diventare insidiosa in ogni momento, e la salvezza la può offrire soltanto la musica. Le canzoni scorrono benissimo, Anna si integra alla perfezione con il resto del gruppo, la realtà diventa sogno e viceversa, il tutto con un timbro ed uno stile pressoché unico. Il disco è un concept album sulle vicende di una ragazzina nata in un mondo in cui tutto è quasi stato distrutto dalla stessa razza umana, e lei va alla dolorosa ricerca del senso della vita. A parte il fatto che questo incipit ci ricorda terribilmente quanto questo sia prossimo a diventare realtà, la storia si dipana divisa nei capitoli che sono le canzoni, e sarà anche messo in vendita un audiolibro con lo stesso titolo del disco, letto da Anna, che ha una voce spettacolare, da dea, infatti non è a caso figlia di due cantanti operistici. Il disco è un continuo gioco di luci e tenebre, è delicato e forte, contiene in sé molte cose ed il loro contrario, possiede un grandissimo fascino e non stanca mai, usando elementi diversi per arrivare ad una sintesi innovativa e molto valida. E’ assai raro ascoltare in un gruppo una tale melodia ed un così grande bilanciamento fa i componenti e la loro musica. I Cellar Darling sono autori di musica salvifica, una di quelle poche entità musicali che portano luce anche quando descrivono l’ombra, e che nobilitano le nostre orecchie e il nostro cuore. E’ molto forte l’elemento prog nel loro modo di comporre, nel senso che le canzoni vanno sempre verso l’alto e non sono mai statiche. Molto azzeccati sono anche gli inserti di violino, pianoforte e altri strumenti che li possono far catalogare come folk, ma i Cellar Darling vanno ben oltre i generi, vanno oltre qualsiasi catalogazione, bisogna solo ascoltarli, chiudere gli occhi ed immergersi nella loro musica.

Tracklist
1. Pain
2. Death
3. Love
4. The Spell
5. Burn
6. Hang
7. Sleep
8. Insomnia
9. Freeze
10. Fall
11. Drown
12. Love Pt. II
13. Death Pt. II

Line-up
Anna Murphy – vocals, hurdy-gurdy, multi-instrumentalist –
Merlin Sutter – drums –
Ivo Henzi – guitars, bass –

CELLAR DARLING – Facebook

Former Friends – Late Blossom

In Late Blossom c’è tutto ciò che potrebbe essere l’indie alternative in Italia se fatto con umiltà e talento, con uno sguardo deciso oltre i nostri confini, tenendo ben presente cosa sia la nostra tradizione.

Freschezza, potenza e un gran bell’intuito per melodie e ritornelli irresistibili.

I Former Friends sono un giovane gruppo di Cosenza, non si inventano nulla di nuovo ma lo fanno a modo loro e ciò è già molto importante. I nostri hanno un inizio di carriera molto inusuale, dato che la loro prima uscita è Friends For A Week, un ep che ha marcato un confine netto fra ciò che erano e ciò che sono e saranno. A seguito di questo ep esce un disco di loro brani rivisti e suonati dal vivo in saletta per The Garage Session, Behind Closed Doors. I Former Friends vibrano, sono uno di quei gruppi che quando si allineano tutti come se fossero dei pianeti le cose esplodono e vanno benissimo. Questi ragazzi hanno un grandissimo intuito per fare musica e lo si sente subito, la materia indie nelle loro mani scorre molto bene. Il tiro è notevole, e i riferimenti li troviamo nella scuola inglese degli ultimi anni, con una spruzzata di suoni a stelle e strisce. In Late Blossom c’è tutto ciò che potrebbe essere l’indie alternative in Italia se fatto con umiltà e talento, con uno sguardo deciso oltre i nostri confini, tenendo ben presente cosa sia la nostra tradizione. Un disco come questo è difficile da ignorare, ci sono dei difetti, ma le potenzialità della band sono davvero tante e quello che si sente qui è qualcosa che non si ascolta con facilità, perché l’incedere è profondo, si cambia spesso registro e le cose non sono mai quello che sembrano. Un difetto è la produzione troppo piatta, in quanto con suoni più potenti questi ragazzi farebbero piangere i nostri amplificatori, ma è solo un particolare. Il passaggio più arduo per i Former Friends, dopo un disco come questo, sarà continuare andando avanti con gli anni, perché questo disco ha una forte spinta derivante dalla loro giovane età per cui vediamo come andrà. Nel frattempo, nel qui ed ora va molto bene.

Line-up
Andrea Alberti
Marco Pucci
Luca Parise
Lorenzo Gagliardi

FORMER FRIENDS – Facebook

A Day In Venice – III

Si parte dal post rock, ma non c’è solo quello, si va molto oltre, tenendo sempre come punto di partenza una melodia ed una dolcezza, carezze sotto la pioggia.

Terzo disco per il progetto post rock ed altro del chitarrista triestino Andrej Kralj, che lo ha iniziato nel 2013.

A Day In Venice è un concentrato di calma e tenebrosa bellezza, dal clima carico di sentimento e presentimento, per un’esperienza sonora originale ed inedita in Italia. Si parte dal post rock, ma non c’è solo quello, si va molto oltre, tenendo sempre come punto di partenza una melodia ed una dolcezza, carezze sotto la pioggia. Andrej suona tutti gli strumenti e il tutto è molto ben strutturato, dato che fornisce alla sua musica una veste molto particolare, non scadendo mai nell’ovvio, mentre troviamo alla voce Paolo Brembi, che arricchisce notevolmente i brani. Dentro a questo dolce disco troviamo anche tanto emo, nella sua accezione anni novanta, quando era un qualcosa di indie e di melodico che si fondeva con altri generi. Non c’è fretta qui, le ferite hanno tutto il tempo per cicatrizzarsi, e navigando dentro al nostro mare burrascoso abbiamo un porto chiamato A Day In Venice dove fermarci. In ogni canzone troviamo qualcosa di notevole, siano essi passaggi ben concatenati o più per esteso il sentire generale. Sottovalutare questo album sarebbe un grosso errore, soprattutto per le emozioni che provoca a chi ama la musica non convenzionale, e soprattutto quella che induce ad esprimere ciò che proviamo. I riferimenti sono sicuramente tanti, ma su tutti direi che i Radiohead hanno lasciato un’impronta indelebile su alcuni cuori che poi si sono messi a fare musica. Guardare il mare e le sue onde insieme a qualcun altro, sapendo che un appoggio c’è sempre: III riporta l’attenzione su noi stessi e su chi ci circonda, e questo disco potrebbe essere il vostro migliore amico.

Tracklist
1. Dark electricity
2. Walls of madness
3. Tunnel of ashy lights
4. Her body rocks
5. Prison is a red sky
6. I am nowhere in time
7. The golden stone
8. Temple of the dog
9. Far

Line-up
Andrej Kralj
Paolo Brembi

A DAY UN VENICE – Facebook

Cameraoscura – Quod ESt Inferius

Quod Est Inferius va ben oltre la musica, è esso stesso un simbolo che rimanda alla tradizione e alla sapienza.

Cameraoscura è un progetto di dark ambient e molto altro, che esce per una delle migliori etichette di controcultura in Italia, la Toten Schwan.

Quod Est Inferius indaga ciò che è più in profondità, è una massima ermetica che da il titolo a questo disco spiegando molto bene di cosa si tratti. Questa è musica di continua ricerca, di un andare oltre i generi e la forma canzone, per riattivare qualcosa dentro di noi che la modernità ha chiuso. L’alchimia è più di una scienza, è il codice sorgente della realtà, di ciò che vediamo e di ciò che non vediamo, ma soprattutto è la chiave per capire noi stessi e per ricercare le connessioni che abbiamo con ciò che ci circonda. Ci si perde in maniera molto piacevole dentro questo disco, che proviene e va oltre la tradizione della dark ambient ermetica italiana. La peculiarità di Cameraoscura è quello di riuscire a rendere in maniera inedita i suoni che di solito in altri ambiti sono pesanti e dissonanti. L’ottima produzione ci fa interagire al meglio con questo ottimo progetto, e i suoni ora lievi ora più grevi penetrano con molta naturalezza dentro al nostro essere, pervadendolo e portandolo in un altro luogo. Il disco segue il processo alchemico, e qui dal bandcamp della Toten Schewein troviamo la necessaria descrizione: “In un’oscura e putrescente Nigredo i suoni ribollono nel calderone alchemico (ATANOR), fino ad acquisire forma e struttura dietro le quali si cela un’essenza che si manifesta in seguito a un percorso di ricerca e conoscenza (V.I.T.R.I.O.L.). Essenza che non rifulge di aureo splendore bensì rimane nera, carica di una forza annichilente che si sprigiona in maniera (anti) catartica distruggendo (ATTERA), dissolvendo (SOLVE) fino all’ultimo, tonante battito del cuore di questa mostruosa chimera senza volto (ULTIMA NECAT).”
Nessuna descrizione può rendere come l’ascolto del disco, l’immergersi in suoni così evocativi, eterei e medioevali nella loro essenza e soprattutto nella loro simbolicità musicale. Il simbolo nel Medioevo rivestiva un’importanza immensa, serviva ad indirizzare in silenzio la ricerca, e qui i simboli musicali ci portano dove altrimenti sarebbe difficile spiegare a parole o con verba scripta. Quod Est Inferius va ben oltre la musica, è esso stesso un simbolo che rimanda alla tradizione e alla sapienza. Possiede vari livelli ed è presente anche quello meramente musicale, che è ottimo, ma è solo un particolare di un insieme composto anche da cose invisibili. Questo lavoro è anche l’occasione per conoscere il bellissimo catalogo della Toten Schwan, controcultura di alto livello.

Tracklist
1.ATANOR
2.ADMIXIO
3.V.I.T.R.I.O.L.
4.INTERITUS
5.ATTERA
6.SOLVE
7.ULTIMA NECAT

CAMERAOSCURA – Facebook

Mind Driller – Involution

Si balla al ritmo del cyber metal, ci si immerge nel silicio dei microchips che stanno dominando le nostre vite, e si va a cercare l’anima là dove è più difficile trovarla.

Da Alicante arrivano i Mind Driller, un gruppo composto da sei musicisti, che fondono il metal con l’elettronica e tanto altro.

Nati nel 2011, sono con questa ultima fatica al loro terzo disco, e hanno ricevuto buone critiche ed apprezzamento dal pubblico. La loro formula musicale è particolare, come la scelta di usare ben tre lingue differenti nei testi: l’inglese, il tedesco e il castigliano. Come numi tutelari siamo dalle parti dei Rammstein e di tutti quei gruppi che hanno scelto di unire l’elettronica più oscura al metal. I Mind Driller hanno un’innegabile carica metal, con esplosioni e repentine accelerazioni, melodie ed un’importante rimando di giochi fra voce maschile e voce femminile. In queste dodici canzoni ci sono molte cose, i temi trattati sono molteplici e ci sono varie evoluzioni fra generi musicali differenti. Il gusto del disco si avvicina molto a quelle uscite dei primi duemila che ricercavano punti di contatto fra elettronica e metal, usando alcuni stilemi dei due generi per produrre qualcosa di nuovo. Ai nostri giorni questo non è più una novità, ma i Mind Driller, fanno tutto ciò molto bene, usando gli elementi che li attraggono maggiormente per rendere un affresco coerente e coinvolgente. Unica pecca sono alcuni momenti di confusione, come se non si sapesse bene cosa scegliere fra metal ed elettronica, ma sono davvero pochi. Si balla al ritmo del cyber metal, ci si immerge nel silicio dei microchips che stanno dominando le nostre vite, e si va a cercare l’anima là dove è più difficile trovarla. Ci sono anche cose industrial e tracce di ebm, che contribuiscono a fare dei Mind Driller uno dei gruppi più interessanti di questa commistione fra metal ed elettronica. Il loro suono è fresco, non ristagna mai e si lancia sempre verso l’alto, a volte esagerando per ambizione, ma i numeri li hanno e possono farcela. In sostanza un disco piacevole e composto molto bene, con delle vette, e nel complesso una media alta.

Tracklist
Estefania Aledo – Voces
V – Voces
Daniel N.Q. – Voces
Javix (Guitarras y programaciones
Pharaoh – Bajo
Reimon – Batería

Line-up
Estefania Aledo – Vocals
V- Vocals
Daniel N.Q – Vocals
Javix – Guitars & Programming
Pharaoh – Bass
Ramón H Torregosa – Drums

MIND DRILLER – Facebook

Extrema – Headbanging Forever

Headbanging Forver è un ritorno agli Extrema che amiamo, perché sinceramente fare a meno di loro non è per niente bello, ma questo disco non culla la nostalgia per ciò che fu, bensì è uno sguardo verso ciò che è e ciò che sarà.

Tornano gli Extrema, band che, parafrasando qualcuno, non fa metal ma è il metal in Italia.

Ovviamente non sono stati l’unico gruppo metal tricolore, ma sono stati paradigmatici e hanno mostrato a tanti altri cosa possa produrre il genere nel nostro paese. Nati a Milano fra il 1985 e il 1986, con questo disco arrivano al settimo full length in carriera con il solo chitarrista e produttore Tommy Massara rimasto tra i membri originari del gruppo. Ne hanno passate tante gli Extrema, una su tutte la traumatica separazione con il cantante Gianluca Perotti, con un comunicato da parte del gruppo che non lasciò spazio a dubbi. Dopo GL è subentrato come cantante Tiziano Spigno che li ha resi più forti e devastante con la sua bellissima voce. Cosa è Headbanging Forever? Prima di tutto un buon disco di thrash metal con un grande groove, che oscilla fra vari generi non chiudendosi in nessun steccato ed è, in seconda battuta, un grande atto d’amore verso la ragion d’essere degli Extrema: il metal. Troppo spesso ci dimentichiamo cosa fa muovere velocemente la nostra testa e cosa davvero amiamo in questa musica rumorosa. Con questo disco gli Extrema ce lo ricordano molto bene, grazie ad un’opera bilanciata tra aggressione e ritmo, con ottime melodie e una tecnica ben al di sopra della media ma del tutto è al servizio della musica. Il gruppo di Massara guarda al risultato totale e non a quello di una manciata di canzoni, e anche per questo l’insieme è notevole. Spigno è un cantante maggiormente melodico e con una gamma maggiore di soluzioni rispetto a Perotti, che ha comunque fatto tantissimo negli Extrema. Questo disco segna anche il nuovo corso per un gruppo storico, per il quale non è mai facile riproporsi dopo tanti anni che si è in giro, ma gli Extrema portano a termine molto bene la missione. Il disco è gustoso e lascia un ottimo retrogusto, contenendo metal che guarda al futuro con delle solide radici, perché in questo lavoro appaiono molti omaggi alle divinità passate del metal. Le composizioni sono di ampio respiro e permettono al gruppo di sviluppare al meglio le proprie tematiche. Headbanging Forver è un ritorno agli Extrema che amiamo, perché sinceramente fare a meno di loro non è per niente bello, ma questo disco non culla la nostalgia per ciò che fu, bensì è uno sguardo verso ciò che è e ciò che sarà.

Tracklist
01. The Call
02. Borders Of Fire
03. For The Loved And The Lost
04. Heavens Blind
05. Pitch Black Eyes
06. Headbanging Forever
07. Believer
08. Invisible
09. Paralyzed
10. The Showdown

Line-up
Tiziano “Titian” Spigno – Voce
Tommy Massara – Chitarra
Gabri Giovanna – Basso
Francesco “Frullo” Larosa – Batteria

EXTREMA – Facebook

Red Beard Wall – The Fight Needs Us All

All’interno del panorama della musica pesante la loro miscela è unica e da ascoltare con attenzione, e c’è anche un’evoluzione sonora, con tanta abrasività ma anche tanta melodia da scoprire.

Torna il duo texano dei Red Beard Wall, dopo il debutto nel 2017 che li aveva mostrati come un gruppo nient’affatto comune.

Con questo nuovo capitolo la questione si inacidisce maggiormente, il suono diventa più ansiogeno e corrosivo rispetto al precedente lavoro, anche perché il mondo là fuori sta peggiorando notevolmente e velocemente. Il titolo è già assai esplicativo, The Fight Needs Us All, perché questa guerra mondiale fatta da una piccolissima percentuale di popolazione, quella ricca, contro la stragrande maggioranza, quella meno abbiente, ci coinvolge a tutti. Oltre ad una lettura politica si può leggere il titolo ed il disco anche come esortazione per l’eterna battaglia che si svolge dentro di noi. Il suono dei Red Beard Wall è molto particolare, è uno stoner sludge che ha in Aron Wall, cantante e chitarrista, la sua particolarità dato che con la sua voce e la sua chitarra è il perfetto contraltare alla batteria di George Trujillo. La voce è sia in growl molto acuto che in chiaro, una frequenza che muta con l’andare della narrazione musicale. La musica è molto particolare e ricca, nonostante gli strumenti siano solo due, chitarra e batteria. Con un impianto così minimale non è facile trovare un assetto originale, ma i Red Beard Wall ci sono ampiamente riusciti, proponendo uno stile particolare e soprattutto due album molto validi. Al primo ascolto di The Fight Need Us All potrebbe sembrare registrato con gli alti in eccesso, invece continuando ad ascoltarlo si capisce che bisogna cogliere in maniera più approfondita tutto l’insieme, che è un groove ribassato e molto potente, nella piena tradizione texana ma con grande innovazione. All’interno del panorama della musica pesante la loro miscela è unica e da ascoltare con attenzione, e c’è anche un’evoluzione sonora, con tanta abrasività ma anche tanta melodia da scoprire.

Tracklist
1.Come on Down
2.To My Queen
3.Ode to Green
4.Reverend
5.The Warming
6.Reign of Ignorance
7.Tell Me the Future of Existence
8.The Fight Needs Us All

Line-up
Aaron Wall – Vocals / Guitar
George Trujillo – Drums

RED BEARD WALL – Facebook

Orango – Da Per Terra Di Sicuro Non Cado

Il tutto è molto interessante e piacevolmente spigoloso, si crea un senso di tranquillità e di sincerità, impossibile da trovare altrove.

Gli Orango sono un duo di math rock bolognese.

La peculiarità di questo gruppo è la perfetta associazione musica e parole, sbalzi umoral-musicali, distorsioni, giri di stomaco e giri di chitarra, con la batteria che dà testate su di noi. Le parole sono dette non per piacere, descrivere cosa sia dire e fare cose antipatiche ma sincere, andando ben oltre il politicamente corretto che domina la nostra era. Gli Orango vogliono lo scontro, perché siamo talmente falsi che a poca distanza diciamo ben altro, mentre in faccia diciamo ben poco. Potrebbe sembrare un flusso di coscienza, in realtà è un cercare di orientarsi in un flusso di merda. Gli Orango fanno qualcosa che nel sottobosco si ascolta molto raramente, ovvero produrre un ep come si vuole e dire “ecco qui cosa abbiamo fatto, vi piace ? Bene. Non vi piace ? Va bene lo stesso, ciao grazie”. Il tutto è molto interessante e piacevolmente spigoloso, si crea un senso di tranquillità e di sincerità, impossibile da trovare altrove. “Voglio un confronto, non un consenso…” è l’incipit della terza canzone, Cepre, e potrebbe dare un’idea di cosa sia questo ep. Le cinque tracce sono da ascoltare come se si facesse un dialogo con un amico che prima di tutto è sincero, e per questo non deve piacere per forza, anzi. Questo discorso è estremamente difficile da portare avanti in un’epoca in cui si è in continua ricerca di mi piace e di consenso. Musicalmente il disco è vivace, vario e fresco. La produzione fa rendere al meglio il tutto e il suono e le parole arrivano molto bene. Anche il titolo Da Per Terra Sicuro Non Cado ha un suo significato sul quale bisogna ragionare. Una delle sorprese di questo inizio di 2019, una bella supposta musicale.

Tracklist
1) Mostaco
2) Ay948km
3) Cepre
4) Strame
5) Gomma

Line-up
Carlo Berbellini – batteria
Diego Comis – chitarra
Orango – voce

ORANGO – Facebook

Thecodontion – Jurassic

Basta con assoli onanistici o distorsioni incomprensibili, i Thecodontion ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica pesantissima senza quello che viene considerato lo strumento principale.

I Thecodontion sono un gruppo romano di black death che si presenta con la seguente frase : no guitars, just death.

Infatti i bassi sono due, distortissimi ed incredibili, con una batteria ancestrale; lo scopo principale della band è quello di ricreare una situazione di musica tribale per vomitare una rabbia antica, quasi preistorica, e appunto la sconfinata preistoria, i fossili e tutto ciò che è correlato a queste cose sono gli argomenti dei testi.
Il risultato è qualcosa di furioso e di assolutamente credibile, è un sound peculiare ed inedito: il gruppo è in giro dal 2016, ha prodotto un demo nel 2017, Thecodontia, per poi andare a suonare in giro con altri gruppi romani. Questo 7” è una delle prove più affascinanti che si possano ascoltare negli ultimi tempi, perché è incredibile che canzoni su animali e fossili della preistoria siano tanto belle da creare una vera e propria dipendenza. La musica è incalzante, come un gruppo di pterodattili che ti insegue e ti mangia prima o poi, sputandoti fuori destinandoti a diventere un fossile, forse. Il suono di questi brani è devastante, alcuni lo potrebbero definire war metal, ma è più un massacro a senso unico che una guerra. I due bassi creano un effetto che dovrebbe convincere anche chi ama le chitarre, delle quali alla fine non si sente la mancanza: basta con assoli onanistici o distorsioni incomprensibili, i Thecodontion ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica pesantissima senza quello che viene considerato lo strumento principale. È bellissimo anche andare a cercare di cosa parla questo gruppo, ovvero gli animali dei titoli. Infatti il sette è un concept su quattro specie che vivevano durante il Giurassico: raramente si può trovare qualcosa di più nozionistico ed affascinante dello studio della preistoria, materia non facile, ma se si entra in un Museo Archeologico o di Storia Naturale non si potrà che restarne affascinati, perché in fondo è qualcosa di molto metal. Un’altra delle particolarità di questo disco è la produzione, adeguata e molto ben bilanciata, assolutamente non approssimativa: Jurassic è una delle uscite più interessanti degli ultimi tempi, una porta per un universo che è ancora dentro di noi, basti pensare a quanto è durata la preistoria e quanto sta durando l’era moderna, alla cui fine non manca poi così tanto.

Tracklist
1.Normannognathus wellnhoferi (Crests)
2.Rhamphorhynchus muensteri (Wingset)
3.Barosaurus lentus (Sundance Sea Stratigraphy)
4.Breviparopus taghbaloutensis (Legacy of the Trackmaker Unknown)

Line-up
G.E.F. – vocals, songwriting, arrangements
G.D. – bass, lyrics and concept, arrangements

L.S. – (live) bass
V.P. – (live) drums

THECODONTION – Facebook

Liles/Maniac – Darkenig Ligne Claire

Il lavoro è un’esperienza sonora che ottiene un software differente usando due codici sorgenti diversi, quello del black metal e quello dell’elettronica libera.

Dimenticate totalmente il concetto di musica tradizionale, perché qui non è affatto presente.

Questa è musica totalmente sperimentale e di avanguardia, un uso di due linguaggi musicali differenti da fondere assieme e da ampliare ulteriormente in una maniera inedita. Sven Erik Fuzz Kristiansen aka Maniac è un veterano della scena black norvegese, ha anche cantato nei Mayhem durante i periodi 1986-88 e 1995-2004, quando il batterista Hellhammer decide di far rivivere i Mayhem dopo la morte dei membri Euronymous e Dead. Ha poi collaborato con Wurdalak e Bomberos, per poi fondare il gruppo Skitliv con Kvarforth, meglio conosciuto come Shining. L’altra metà di questo disco è il produttore polistrumentista nonché rumorista accanito Andrew Liles, che nella sua lunga carriera ha collaborato con i Nurse With Wound, i Current 93 e tantissimi altri, impossibile menzionarli tutti qui. Questo lavoro non è la prima collaborazione fra i due, dato che si incontrano per la prima volta durante l’edizione 2008 del Roadburn Festival curata da David Tibet (sempre lui), Liles viene successivamente invitato a unirsi alla line up dei Sehnsucht, una band fondata da Kristiansen, Ingvar e Vivian Slaughter. Una traccia di questa esperienza è l’album Wurte, registrato nel 2010. Liles e Kristiansen mantengono vivo il loro dialogo creativo fondando la band Svart Hevn e occasionalmente suonando dal vivo sia come Svart Hevn che come duo Liles/Maniac. Darkening Ligne Claire è tante cose diverse ma fondamentalmente è un disco di droni creati rimaneggiando la voce di Maniac, suoni elettronici totalmente disarmonici quassi fosse un dub in ecstasy del black metal. Il tutto nasce dalla visione delle fotografie di Christophe Szpajdel: qui la melodia non esiste e la furia del black si disperde negli eoni di una narrazione che è ancora più paranoica di quella originale. Il tutto è molto interessante e potrebbe essere la migliore colonna sonora possibile per un videogioco come Quake, con atmosfere tenebrose ma anche spaziali. Il lavoro è un’esperienza sonora che ottiene un software differente usando due codici sorgenti diversi, quello del black metal e quello dell’elettronica libera. Un mondo che viene scoperto da Liles e da Maniac e che è ancora da esplorare totalmente.

Tracklist
I – EMPEROR
II – ENTHRONED
III – FLAGELLUM DEI
IIII – SLAUGHTER MESSIAH
IIIII – SOULBURN
IIIIII – WOLVES IN THE THRONE ROOM
IIIIIII – NOCTUARY

Yearnin’ – Take A Look

Si respira un’aria molto fresca in questo disco, un entusiasmo di fare musica e non un peso, una voglia di macinare note distorte e cavalcate ritmiche.

Dalla provincia di Livorno arrivano gli Yearnin’, progetto di tre amici che cominciano nel 2015 a fare un suono che non si sente spesso in Italia e non solo.

Al centro di tutto c’è il blues, vero e proprio cardine del progetto, declinato in forme non tradizionali e molto efficaci. Ma non c’è solo il blues, ad esempio la penultima traccia, Rescue Me, è un pezzo che sembra dei migliori Alice In Chains, non è affatto derivativo ed è bellissimo. Si respira un’aria molto fresca in questo disco, un entusiasmo di fare musica e non un peso, una voglia di macinare note distorte e cavalcate ritmiche. Oltre al blues e al grunge qui possiamo trovare anche del garage fatto molto bene e del rock bruciante, quasi southern. I riff sono taglienti, la voce ci porta per mano in un mondo più vero e vizioso, su strade polverose di campagna, che posso essere nel delta del Mississipi come in provincia di Livorno. I tre ragazzi hanno trovato una bilanciatura perfetta, vanno come dei treni e non c’è mai un momento di noia o di stanchezza. Rielaborare in questa maniera il blues non è cosa facile, eppure loro lo fanno molto bene riuscendo anche a portare elementi innovativi, in un suono nel quale è già stato detto tutto e solo i più bravi riescono ad aggiungere qualcosa. Il disco è davvero una goduria così come lo deve essere uno loro spettacolo dal vivo. Il suono è rustico, credibile e ben strutturato, figlio di tante jam in saletta, che è poi il luogo dove tutto nasce. La produzione fa risaltare tutta la loro bravura e, inoltre, gli Yearnin’ sanno usare diversi registri, dalle cose più veloci a quelle più lente e sensuali, sempre con un accento originale. Take A Look è un disco che fa godere e allevia un po’ le nostre sofferenze quotidiane, il che non è poco.

Tracklist
1.Take a Look
2.The One You Want
3.Poor Boy
4.No Man’s Land
5.Back for More
6.Her Walking
7.If I’m Nothing (Why Are You Knocking At My Door?)
8.No Soul
9.Rescue Me
10.Grave

Line-up
Lorenzo Rossi – Batteria
Gabriele Taddei – Voce, Chitarra
Gianluca Valentini – Voce, Basso

YEARNIN’ – Facebook

Secretpath – Dominatio Tempestatis

Paolo e Pierluigi ci portano in un mare che vive di disperazione e speranza, con una descrizione minuziosa degli accadimenti tramite un death melodico e con una composizione che riecheggia fortemente la musica classica, per un prodotto di livello superiore sia per concezione che per esecuzione.

Bellissimo racconto musicale dell’eterna e liquida lotta dell’uomo contro il mare e le sue più terribili manifestazioni, come le tempeste.

Tutto ciò è opera dei Secretpath, uno dei gruppi del meraviglioso roster della bresciana Masked Dead Records, una delle migliori e più varie incarnazioni del sottobosco italiano. Questo album è un piccolo capolavoro di death metal classicheggiante, furioso e suonato benissimo, quei dischi che ascolti con piacere dall’inizio alla fine e poi riparti da capo. Qui abbiamo all’opera alle chitarre il sempre interessante Pierluigi “Aries” Ammirata, un chitarrista estremamente elegante che produce una cascata di note di forte impronta neoclassica. Alla voce un eccezionale interprete come Paolo “The Voices” Ferrante, che ha una gamma di capacità interpretative inusuale e pressoché infinita. Ascoltare questo disco è come essere trascinati per davvero nell’occhio della tempesta e finirne, proprio come dice il titolo, sotto il dominio. Come tutte le produzioni della casa bresciana la qualità è alta, ma soprattutto è molto originale e vivace, come in un nuovo rinascimento del metal underground. Questo ep è anche di una lunghezza adeguata per far apprezzare al meglio la musica del gruppo ed è disponibile ad offerta libera per il download digitale, mentre è a pagamento per le poche copie ancora rimaste in formato fisico. Paolo e Pierluigi ci portano in un mare che vive di disperazione e speranza, con una descrizione minuziosa degli accadimenti tramite un death melodico e con una composizione che riecheggia fortemente la musica classica, per un prodotto di livello superiore sia per concezione che per esecuzione. Si viene avvinti da questa forma di metal inusuale ai nostri tempi, ma che è invece molto vicina alla concezione più vera del fare musica metallica. Una grande occasione per scoprire il mondo Masked Dead Records, o se già lo conoscete un ulteriore piacere per le vostre orecchie.

Tracklist
1.Antiqua Tempesta
2.Crystal Ice
3.Dominatio Tempestatis
4.Raptus
5.Storm Of Revenge

Line-up
Paolo ” The Voices” Ferrante – Vocals
Pierluigi “Aries” Ammirata – Guitar
Francesco “Storm” Borrelli – Drums

SECRETPATH – Facebook

Descrizione Breve

Ankubu – [ W S 0 1 1 7 _ A ]

Elettronica dissociata di un altro livello, per un qualcosa che sottolinea quanto il computer sia l’immagine dell’umano, ma questo non ci salverà.

Ankubu è la storpiatura della parola giapponese Akumu, che significa incubo, ed è lo pseudonimo del produttore e sperimentatore elettronico friulano Marco Zanella, membro fondatore dello splendido collettivo musicale Ghost City Collective (trovate le loro splendide produzioni qui, https://ghostcity.bandcamp.com/music, vivamente consigliate perché sono fra le cose migliori dell’underground elettronico italiano).

Questo ultimo lavoro di Ankubu è stato composto e prodotto nel 2018, e ogni canzone è una scansione precisa e puntuale di un’emozione. Un sentimento, un movimento della nostra psiche che viene tagliato autopticamente dalle macchine per poi farlo tornare alla tenebra attraverso un’elettronica sperimentale. Dire che questo disco si possa ascoltare è un termine assai riduttivo, perché queste frequenze musicali nascono e tornano nel nostro subconscio, seguendo un ciclo che è poi quello del nostro pensiero. I nostri cervelli sono come attori mnemonici che vivono in dischi ripartiti: qui si va oltre la fusione cyberpunk fra macchina e uomo, è un’analisi musicale dell’attività cerebrale umana che crea il computer come imitazione inconscia del proprio agire. A volte dimentichiamo che noi stessi creiamo le macchine a nostra immagine e somiglianza, e che le nostre emozioni sono figlie di analisi che poi sfociano in reazioni chimiche. [ W S 0 1 1 7 _ A ] è lo scandagliare il nostro infinito, attraverso un’elettronica fatta di narrazioni e quasi in assenza di ritmo, di scansioni e sequenze, per un’avanguardia musicale che è inedita in Italia. Anche nelle sue opere precedenti Ankubu si era spinto molto in avanti con la ricerca, ma questo lavoro, che è in offerta libera sul bandcamp della label bolognese Nether, è un capolavoro per quanto riguarda la capacità di creare una techno disossata e molto più libera senza il ritmo e il basso scalciante, perché da qui si vede il futuro che è dentro di noi. Non è nemmeno un’esperienza sonora, perché è talmente a livello di subconscio da essere quasi indescrivibile. Elettronica dissociata di un altro livello, per un qualcosa che sottolinea quanto il computer sia l’immagine dell’umano, ma questo non ci salverà.

Tracklist
1. Mnemonic State
2. Scan / Map
3. Auto Operate
4. Womb Combustion
5. Intruder
6. Desideratum
7. Bend

ANKUBU – Facebook

ÆRA – The Craving Within

The Craving Within è un disco che tende a perdersi nella neve, a guardare verso l’infinito, grazie anche ad un suono potente e preciso che riporta alla prima epoca del balck metal, anche se non tutto l’impianto è ortodosso.

Questo duo di stanza in Norvegia riporta il black metal allo splendore delle proprie origini, di quando raccontava della potenza della terra e del paganesimo.

Negli anni il nero metallo si è evoluto e sta continuando a progredire e ormai ha una varietà incredibile di sottogeneri e di declinazioni. Nel necessario progresso fa piacere ascoltare un album così ben fatto e con solide radici nel passato. The Craving Within è un disco che tende a perdersi nella neve, a guardare verso l’infinito, grazie anche ad un suono potente e preciso che riporta alla prima epoca del black metal, anche se non tutto l’impianto è ortodosso. The Craving Within è il primo disco sulla lunga distanza per questo duo, che vede il centro nel cileno trapiantato in Norvegia Ulf Niklas Kveldulfsson, polistrumentista eccellente oltre che ottimo compositore, mentre alla voce troviamo il nuovo membro Stein Akslen, veterano della scena norvegese. Entrambi concorrono a creare un disco che punta in alto, come detto prima, volendo ricreare un preciso stato d’animo nell’ascoltatore per portarlo in una dimensione diversa. Non ci sono pause o pezzi riempitivi, o peggio assurde e vuote manifestazioni di potenza black, ma un disco ben composto e che ha tanti elementi che lo faranno amare fin dal primo ascolto a chi ama il black metal. Ci sono canzoni che sono jam, episodi più lisergici, ma a predominare nettamente è l’aspetto classico del genere che è sempre in evidenza. Gli Æra possono essere definiti un gruppo minimale, perché anche le tastiere sono accennate, ma l’insieme è molto magniloquente e poderoso,e si ha quella sensazione di completezza che si aveva ad ascoltare un certo black metal classico, con la sicurezza propria dei grandi gruppi. The Craving Within è una poetica che guarda alla tradizione come punto fermo e al passato come fonte di insegnamento.

Tracklist
1.Skaldens Død
2.Frost Within
3.Rite of Odin
4.Profetien
5.Join Me Tomorrow
6.Norrøn Magi

Line-up
Ulf – All Instruments, songwriting
S. Akslen – vocals

ÆRA – Facebook

He Comes Later – Cognizance

Gli He Comes Later riescono a raccontare cose non facili grazie ad un suono moderno, potente e fra i migliori possibili in ambito deathcore.

Mazzata deathcore dagli italiani He Comes Later.

Nati nel 2010 come gruppo metalcore i nostri con l’ingresso in formazione del cantante Andrea Piro nel 2013 si avvicinano a sonorità più pesanti e di qualità con il deathcore a rappresentare la cifra stilistica di questo lavoro, un piccolo compendio di come si possa fare questo sottogenere che ha attecchito principalmente nelle lande oltreoceano e nel nord Europa, codice ibrido per raccontare storie forti e potenti. Molti metallari lo snobbano poiché lo definiscono un metal annacquato, dove la potenza si perde in favore della modernità. Ascoltare Cognizance potrà far cambiare idea a molti, perché questo è un grande disco di metal, con tanti suoni notevoli ed influenze diverse. La storia qui narrata è quella di un ragazzo depresso, che vuole suicidarsi, mettendo fine alle proprie sofferenze. Arriva quindi il momento di fare il gesto fatale, ma il ragazzo non riesce a morire entrando in uno stato di pre-morte al quale sopravviverà diventando molto più forte: molto in breve questo è il succo della storia narrata in Cognizance. La musica del gruppo bolognese è quanto di meglio si possa trovare in campo deathcore, con voce in growl ma molto comprensibile, chitarre davvero incisive e sezione ritmica efficace. Poi il tocco in più lo dà un uso sapiente delle tastiere, che come il coro nelle tragedie greche arriva a puntualizzare molto bene i momenti più topici. Tanta potenza e una pesantezza notevole si abbattono sull’ascoltatore, ma una delle colonne portanti del lavoro rimane la melodia, che è declinata con successo in varie forme. In questo viaggio verso la morte e poi nel successivo allontanamento da essa, viviamo molti stati d’animo e siamo costretti a guardare a fondo dentro noi stessi, in quella continua esperienza pre-morte che è in fondo la vita quotidiana. Gli He Comes Later riescono a raccontare cose non facili grazie ad un suono moderno, potente e fra i migliori possibili in ambito deathcore. Anzi, nel suo genere è una delle migliori uscite di questi ultimi tempi, risultando duro, emozionante e vario proprio come dovrebbe essere un ottimo disco di metal moderno.

Tracklist
1.Despondency 1
2.Execution
3.Detachment
4.Torment
5.Healing
6.Guidance
7.Atonement
8.Quiescence
9.Resurgence
10.Cognizance

Line-up
Andrea Piro – Vocals
Daniele Ravaglia – Guitar
Vlady Yakovenko – Guitar
Alessandro Scarpetta – Bass,Vocals
Romeo Gigantino – Drums

HE COMES LATER – Facebook