DJ Vale – Groovin’ Connection

Collaborazione, condivisione, talento musicale e voglia di far star bene la gente, di massaggiare i sederi ma anche i cervelli.

Dj Vale è uno dei nomi storici delle notti torinesi, ha fatto ballare migliaia e migliaia di persone con la sua serata Afrodisiak, tuttora in corso al Circolo Arci Da Giau a Torino.

La sua passione carnale è la musica nera, tutto ciò che attiene ad essa, a partire dai suoni africani per arrivare al funky e all’elettronica, perché il suo scopo è portare nel futuro questo caleidoscopio di suoni, e con questo disco ci riesce perfettamente. Groovin’ Connection è ripieno di ospiti e di bellissime collaborazioni, celebra amicizie, sia musicali che non, dove tutti portano il loro contributo. Il risultato è un disco di rara bellezza, dove il suono è prodotto benissimo, è sensuale e sinuoso e ci fa sentire in musica la sterminata visione musicale di Dj Vale, figlia della sua passione senza confini. Raramente in Italia abbiamo ascoltato qualcosa che ha un respiro musicale così ampio, in passato in Italia hanno cenduto musicisti stranieri di black music che hanno un quarto della classe e del talento di DJ Vale.
Basta ascoltare If You Know Me con la splendida voce di Joy, dentro c’è tantissimo stile ma anche appettibilità radiofonica, figlia di profondità musicale. Le collaborazioni qui non sono di facciata o a fini commerciali, ma sono frutto di visioni musicali affini e complementari, si parte con un’idea e attraverso il confronto si arriva ad altro. La qualità del disco è molto alta, tutte le tracce sono sia da ballare che da ascoltare in cuffia, possono avere tanti usi, a seconda del nsotro stato d’animo, e questo è il marchio della grande musica, la capacità di adattarsi al nostro battito cardiaco. Groovin’ Connection è un viaggio nel passato, nel presente e soprattutto nel futuro del suono nero, della black musci piu potente e visionaria, con il basso sempre in prima fila a macinare chilometri, e dietro tanti mondi diversi. Collaborazione, condivisione, talento musicale e voglia di far star bene la gente, di massaggiare i sederi ma anche i cervelli.

01. Funky Goodness feat. Ciaffo & Piri
02. Spiritual Gangster feat. Mahout
03. Feelin’ Good feat. Parpaglione & Cato
04. Black Out feat. Marcello Coleman
05. Big Wheel feat. Bunna
06. Muchacho feat. Vito Miccolis
07. City Lights feat. Enrico Messina
08. If You Know Me feat. Joy
09. Feel The Funk feat. Ale _Nitro_ Carena
10. The Slap
11. Take Me Home feat. Madaski
12. La Nuit feat. Vena Funk
13. Back To Disco
14. Big Wheel Dub (Madaski Dub Version)

https://www.facebook.com/afrodisiak.djvale/

Local Suicide feat. Nicki Fehr – Leopard Gum

Su Metaleyes tentiamo di approcciare nuove forme musicali che non siano solo metal, e nel farlo vi proponiamo ciò che riteniamo più innovativo e fresco, perché ognuno si faccia la propria idea e questo lavoro uscito per la label di elettronica Lumière Noire rientra proprio in questo caso.

Singolo che contiene originale e remix di una traccia che esplora nuovi orizzonti della techno più sognante e moderna. Su Metaleyes tentiamo di approcciare nuove forme musicali che non siano solo metal, e nel farlo vi proponiamo ciò che riteniamo più innovativo e fresco, perché ognuno si faccia la propria idea.

Questo lavoro uscito per la label di elettronica Lumière Noire rientra proprio in questo caso. Si parte dal singolo Leopard Gum di Local Suicide e Niki Fehr, per andare oltre con remix e libere interpretazioni di altri produttori. Local Suicide sono Brax Moody da Monaco di Baviera e il greco Vamparela, produttori del pezzo originale in collaborazione con Niki Ferh che ci mette la sua voce molto particolare. La traccia originale è un manifesto di quella che può essere considerata una techno diversa, con i bassi rallentati che accompagnano uno sviluppo molto sognante ed etereo, che ci porta in una dimensione molto lontana rispetto al cliché classico della techno. Ascoltando il pezzo si viaggia in terre diverse fra loro, arrivando ad un sentimento più che ad una definizione stilistica. Tutto ciò lo ritroviamo in forma ancora più grande nel seguente pezzo originale Already There, affermazione programmatica di una techno in continua evoluzione, e che cerca commistioni con altri sentieri musicali. Local Suicide è un qualcosa di nuovo e diverso, che usa gli elementi classici della techno per fondere nuove statue musicali, che sono molto interessanti e che ci mostrano nuove vie per un genere che vede nel suo dna l’evoluzione. Molto interessanti le rielaborazioni di diversi produttori dei due pezzi, dove ognuno usa i colori dati dai Local Gum per dipingere quadri diversi che stupiscono come gli originali. La cosa bella dei remix nella techno è proprio questa, ovvero la rielaborazione di un pezzo secondo le proprie concezione musicale.
Un prodotto di grande interesse per chi voglia provare qualcosa di diverso e di onirico in campo techno moderna.

Tracklist
1.Leopard Gum
2.Local Suicide feat. Nicki Fehr – Already There
3.Local Suicide feat. Nicki Fehr – Leopard Gum (Smagghe & Cross Instrumental Remix)
4.Local Suicide feat. Nicki Fehr – Already There (Lauer Remix)
5.Local Suicide feat. Nicki Fehr – Already There (Niv Ast Remix)

https://www.facebook.com/lumierenoirerecord

Sartoria Volume – Sartoria Volume

I Sartoria Volume fanno pop e lo fanno bene, e dato che sono un gruppo capace si sparano un reggaetino molto carino e con un testo eccezionale come Vi Adoro Tutti.

I Sartoria Volume sono un trio di Brescia, nato dalle ceneri dei Vitanova.

Il gruppo mette assieme in maniera piacevole pop, indie ed un pizzico di elettronica. La loro particolarità è di avere una cadenza indie pop molto simile a quella dei gruppi dei primi duemila, ma non sono derivativi, sono freschi e hanno un tocco anni sessanta e settanta. Ad un primo ascolto potrebbero sembrare frivoli, invece i loro testi sono scritti bene, con un risultato vicino al surrealismo, un andare oltre le cose comuni e le ovvietà. Quattro brani sono la lunghezza giusta per dare l’idea di cosa sia questo gruppo, che trova il suo senso nel pop italiano di qualità, anche se a volte cercano un po’ troppo la posa indie, mentre invece quando sono totalmente loro stessi sono molto meglio. In un panorama indie molto produttivo ma di scarsa qualità, i Sartoria Volume sono uno di quei gruppi da tenere d’occhio, perché sono capaci di fare un bel disco o anche una canzone che potrebbe essere il prossimo tormentone di gran successo. Questo trio testimonia che alla fine l’indie non esiste, o meglio, è un genere mainsteam come un altro. Invece i Sartoria Volume fanno pop e lo fanno bene, e dato che sono un gruppo capace si sparano un reggaetino molto carino e con un testo eccezionale come Vi Adoro Tutti, un diversamente vaffanculo molto bello. Un buon esordio sotto la sapiente guida di Michele Guberti e Massimiliano Lambertini, con il master curato dal noto produttore Manuele Fusaroli (The Zen Circus, Tre Allegri Ragazzi Morti, Nada, Luca Carboni, Motta, Nobraino, Le Luci della Centrale Elettrica).

Tracklist
01 Ballo Coi Serpenti
02 Ora d’Aria
03 Vi Adoro Tutti
04 Sirene

Line-up
Voce / chitarra: Alessio Busi
Batteria: Federico Mariotto
Basso: Andreas Busi

https://www.facebook.com/sartoriavolume/

Ranter’s Groove – Haiku

Forse ambient, forse field recording, decisamente Kaczynski Editions, musica che non può essere solo musica, fatta per spiazzare e per fermare il nostro sguardo schizofrenico su qualcosa di sensato.

Ritorna Ranter’s Groove, uno dei nomi di punta della squadra della toscana Kaczynski Editions, etichetta tra le più anticonformiste e fresche che abbiamo in Italia.

Come al solito per i loro lavori qui non ci sono confini, la musica è un elemento come un altro per raggiungere degli obiettivi, sono presenti anche rumori e vibrazioni che provengono sia dal mondo esteriore che da quello interiore. La cifra stilistica di questo lavoro è l’Haiku, una breve composizione poetica giapponese che risponde a determinati requisiti di metrica e che ha come scopo la brevità e la potenza delle immagini. E questi componimenti, o meglio registrazioni di alterazioni del silenzio, sono appunto haiku sonori, brevi appunti che colgono alla perfezione l’essenza di un attimo che è già passato e che non sarà mai più. Nei suoi lavori precedenti Ranter’s Groove ci aveva abituati alla pressoché totale assenza della forma canzone e qui si va ancora più a fondo in quella direzione, perfezionando la resa e soprattutto regolando ancora di più verso il magma interiore le sue antenne. In questo viaggio composto da tante piccole stazioni sentirete una voce narrante giapponese che parlerà di cose che abbiamo già visto, ma che non abbiamo capito. Il vero inconoscibile non è il cosmo o il senso della vita, cose che forse non esistono, ma è il quotidiano, quello stormo di emozioni e piccole cose che ci passano davanti e che cambiano radicalmente la nostra esistenza e che qui si palesano molto bene. Sia il caldo di un muro screpolato di campagna in una torrida estate, o una processione di organizzatissime formiche, Ranter’s Groove ci porta sempre al nocciolo del problema, sottoponendoci aspetti inediti di piccole e grandi cose. Forse ambient, forse field recording, decisamente Kaczynski Editions, musica che non può essere solo musica, fatta per spiazzare e per fermare il nostro sguardo schizofrenico su qualcosa di sensato.

Tracklist
1.行きあひし人
2.川渡りけり
3.うしろの
4.独り往き
5.日一日
6.藪の中
7.出水のあと
8.一つ落ちて
9.蟻の道
10.雲の峯硯
11.石垣崩す
12.人なし
13.釣鐘撞く
14.平家亡びし
15.血を印す
16.行燈消えて

Stille Volk – Milharis

L’ascolto del disco ci porta lontano, le canzoni sono come favole per adulti, ma anche per tutte le età, la musica si fa racconto e mito descrivendo un archetipo creato da una cultura che non è morta e della quale bisognerebbe andare molto orgogliosi.

Settimo disco per i francesi Stille Volk, un gruppo che parte dal neofolk per andare molto lontano, intersecando vari generi, riuscendo ad interessare ascoltatori provenienti da molti generi diversi.

Il quartetto celebra i venticinque anni di onorata attività, sempre dalle parti dell’eccellenza musicale e questo disco si spinge ancora oltre. Come argomento in questo lavoro si parla dei miti delle montagne pirenaiche, antichissimo punto di incontro di varie culture e teatro di molti accadimenti. Dire Pirenei significa indicare un’area molto estesa e dalle molte peculiarità, di cui gli Stille Volk fanno rivivere le particolari atmosfere. Si musica la vicenda di Milharis, un patriarca quasi millenario dei Pirenei, un archetipo per indicare l’arrivo della prima neve e la venuta del cristianesimo in un’area fortemente pagana. La musica di Milharis è qualcosa di mistico ed ancestrale, la summa di tutto ciò che gli Stille Volk hanno fatto in questi venticinque anni di carriera, o meglio sarebbe a dire di continua evoluzione. L’ascolto del disco ci porta lontano, le canzoni sono come favole per adulti, ma anche per tutte le età, la musica si fa racconto e mito descrivendo un archetipo creato da una cultura che non è morta e della quale bisognerebbe andare molto orgogliosi, che gli Stille Volk celebrano in maniera molto adeguata. Il gruppo francese ha sempre avuto difficoltà ad immedesimarsi nella scena neofolk, ed infatti propone qualcosa che va ben oltre questo genere, e soprattutto ha una visione storica e metastorica molto diversa rispetto a tanti gruppi attuali. Il neofolk è infatti un terreno molto scosceso, soprattutto sul versante politico, ma qui vige la totale assenza di qualsivoglia intento similare: gli Stille Volk sono un gruppo da interpretare alla sola luce della loro musica, che è ricchissima e splendida. Il medioevo qui viene sublimato attraverso uno studio molto attento, sia dal punto di vista musicale che da quello storico, per un risultato fra i migliori possibili. La ricchezza del loro suono permette ed invita a molteplici ascolti, e ogni nuovo passaggio regala qualcosa di nuovo e di affascinante. Un’altra tappa di un viaggio meraviglioso.

Tracklist
1.Sous la peau de la montagne
2.L’aurost lunaire
3.Incantation mystique
4.Le crépuscule du pâtre
5.La mòrt de Milharis
6.Dans un temps qui n’a pas d’histoire…
7.La grotte du jadis
8.Sacré dans la tourmente
9.Neige que versa le ciel noir…
10.Parmi les monts oubliés

Line-up
Lafforgue: chant, vielle à roue, flutes, cornemuse, cornamuse, chalémie, bombarde…
Roques: choeurs, nyckelharpa, mandoline, bouzouki, mandoloncelle, luth arabe, violon, guitares…
Sarg: choeurs, guitare, boudègue, caremère
Arexis: percussions, samples

STILLE VOLK – Facebook

Dury Dava – Dury Dava

Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion.

Dalla Grecia arriva uno dei gruppi più estremi per quanto riguarda la psichedelia più oscura e generatrice di visioni.

Il nuovo lavoro del gruppo ateniese, che canta in greco, è un rito panico che attraverso l’astrazione e la interdimensionalità conduce in uno spazio fisico molto diverso da quello attuale. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion. Ma si badi bene che questo disco non è un guazzabuglio di suoni, quanto un bellissimo collettore di tanti momenti diversi, e chi ama certe sonorità che sanno essere sia eteree che pesanti in questo album troverà molta gioia. Le canzoni sono costruite in modo da svilupparsi in maniera mai lineare, ma cercando spazio nello spazio, usando quasi tutti gli strumenti presenti nel globo, per andare molto lontano. Si perde la cognizione del tempo, anche perché non esiste nessuna fretta, non ci sono obiettivi o soft skills, si cerca e si trova nutrimento per il nostro cervello stremato da cose ed orpelli inutili, ma che noi consideriamo essenziali. I Dury Dava riportano tutto al suo posto, confezionando un disco che è allo stesso tempo febbrile e curativo. Come quando si assume del peyote, prima qualcosa esce dal nostro corpo e poi si comincia il viaggio, e dopo non si è più come prima. Infatti nelle canzoni che sono contenute in questo disco la forma canzone è davvero obsoleta, e si supera anche quella della jam, per entrare in un altro stato mentale. E proprio la diversione psichica ciò che ricerca questo incredibile gruppo con un disco che pesca anche nella tradizione musicale greca e turca, l’oriente più vicino a noi. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion: un altro sguardo e tanta ottima psichedelia per un gruppo da scoprire.

Tracklist
1. Africa
2. Triptych
3. Come Again to
4. Satana
5. Zoupa
6. Summer
7. 34522
8. Ataxia
9. Tarlabasi
10. Kane Ligo Alithina

DURY DAVA – Facebook

VV.AA. – Anabiosis: Injection A

La techno spesso è qualcosa di frivolo e di vuoto, mentre qui il basso conquista uno spazio fisico ben preciso e davvero importante, che regala grandi emozioni all’ascoltatore, qualcosa di molto simile all’ascolto del metal estremo.

Se volete ascoltare una techno molto vicina al metal come struttura sonora, magniloquente, imponente e soprattutto con dei bassi importanti, questa nuova compilation della label techno Korpus 9 fa al caso vostro.

In queste quattro tracce si delinea una delle migliori techno possibili, con bassi e sintetizzatori che provengono sia dal passato che dal futuro. La techno di questa raccolta pesca molto nel mondo dei rave, soprattutto di quelli passati dai quali è derivata una techno oscura pesante e strettamente underground. L’etichetta è molto recente, infatti nasce nel 2018 in Russia, grazie alla passione di Kwazalski, produttore che cura anche l’eccellente radio dell’etichetta. Questa raccolta è il primo tentativo di tracciare un bilancio di ciò che è stato prodotto fino a questo momento, totalmente in positivo. I nomi delle quattro uscite sono tutti bei nomi, da Tom Hades a Dubspeeka, passando per l’ottimo Hans Bouffmyhre. In questa raccolta ci sono produttori che usciranno prossimamente con la label, e la qualità è molto buona, soprattutto per chi ama la techno più oscura ed underground. La techno spesso è qualcosa di frivolo e di vuoto, mentre qui il basso conquista uno spazio fisico ben preciso e davvero importante, che regala grandi emozioni all’ascoltatore, qualcosa di molto simile all’ascolto del metal estremo. Anzi, ascoltando questo ep vi si potrà trovare molte assonanze con il metal. Un assaggio di una giovane etichetta che con entusiasmo e qualità sta diventando qualcosa di importante.

Tracklist
1. Nikola Gala – Order To Chaos (Original Mix)
2. Re:Axis – Core (Original Mix)
3. Hanubis – Shatter Machine (Original Mix)
4. Confluence – Tessellation Resilience (Original Mix)

KORPUS – Facebook

Goodbye Kings – A Moon Daguerreotype

Goodbye Kings ci lasciano un disco che parla di sogni e di verità, di lune e di sfumature in bianco e nero, ed un suono elegante che rilascia endorfine.

I Goodbye Kings sono un gruppo milanese che costruisce la propria musica attraverso le immagini, come se dovessero musicare un film od un romanzo.

Tutto ciò lo fanno attraverso un ottimo post rock che si congiunge con l’ambient e dalla narrazione di ampio respiro. Il progetto dietro il loro terzo disco è di svelare come la fotografia abbia permesso all’uomo di indagare sé stesso e la natura in maniera differente. Il loro post rock di ampie vedute è qualcosa che lascia un bellissimo gusto retrò, uno struggimento languido e caldo, un essere preso a braccetto da qualcosa di antico e che ti vuole bene. Ascoltando i Goodbye Kings si ha l’impressione di entrare in una bolla dove si è protetti dai mali del mondo esterno. In prima battuta perché i battiti al minuto si abbassano di molto, e si dà attenzione ai piccoli momenti musicali, ai particolari che si riescono a cogliere anche grazie alla sapiente masterizzazione di James Plotkin, che mise mano a lavori di Isis e Sunn O))). Non c’è solo dolcezza, ci sono anche le asperità che si esprimono con ripartenze rabbiose e diversi momenti di maggiore pathos. Il sound dei precedenti due dischi aveva indicato la rotta, e con A Moon Daguerreotype si perfeziona la traiettoria, che è una delle più interessanti in Italia, dato che un post rock dai risvolti jazz è molto difficile da proporre e ancora di più da trovare. Un’altra particolarità del gruppo è anche l’immaginario in bianco e nero, un’indagine sulle origini della nostra modernità e sulle cose che possiamo ancora essere. Un ottimo bilanciamento fra quiete e tempesta, con momenti che lasciano lo stampo sul cuore di un’era che vede troppo ma sente molto poco. I Goodbye Kings ci lasciano un disco che parla di sogni e di verità, di lune e di sfumature in bianco e nero, ed un suono elegante che rilascia endorfine.

Tracklist
1.Camera Obscura
2.Méliés, The Magician
3.Drawing With Light
4.Phantasma
5.Giphantie
6.Space Frame Natives
7.The Ancient Camera Of Mo Zi
8.A Moon Daguerreotype

Line-up
Davide Romagnoli – electric & acoustic guitars
Matteo Ravelli – drums, fx, percussions
Luca S. Allocca – guitars, synths
Luca Sguera – keyboards, synths, percussions
Riccardo Balzarin – guitars
Francesco Panconesi – sax
Alessandro Mazzieri – bass

GOODBYE KINGS – Facebook

K–X–P – IV

Tre tracce che cambieranno la vostra prospettiva di tempo e di ritmo, tre universi con dentro mille mondi, per un gruppo che è fra i pochi al mondo a fare qualcosa di originale e di veramente progressivo.

Difficile spiegare cosa siano i K–X–P se non li avete mai ascoltati.

Innanzitutto la vostra vita è sicuramente meno ricca se non li avete provati, in seconda battuta potete cominciare con questo nuovo disco del duo finlandese. I K–X–P fanno un progressive a trecentosessanta gradi, che spazia dall’elettronica all’ambient, con tocchi di qualcosa che si può anche avvicinare al drone, ma soprattutto fanno musica meravigliosa con i sintetizzatori, in questa occasione un modello Analog Four costruito dalla ditta Swedish Elektron. Si parte dall’immortale lezione dei Kraftwerk per arrivare molto lontano, in un continuo dialogo fra l’uomo e le macchine, vero e proprio medium attraverso il quale si manifesta la creatività umana. Elettronica ma anche tanto altro, in in un continuo mutamento di prospettive, per esempio si pensa di essere all’ascolto di un pezzo ambient, quando comincia un pezzo elettro pop, per poi mutare ancora tra mille echi diversi. Per registrare questo disco hanno usato il metodo che usano solitamente dal vivo, ovvero niente cuffie ma monitor che buttano in faccia il loro suono. Raggiungono molto bene l’obiettivo, nel senso che riescono a fare un qualcosa di davvero originale, attinente al loro background ma che evolve come fa ogni loro nuovo disco. I pezzi sono tre e rappresentano molto bene una frazione dell’immenso universo sonoro che sono gli K–X–P, ed è un viaggio continuo. Vi sono certi momenti in cui si percepisce chiaramente come alcuni suoni, perché non esiste una realtà ma solo diverse irrealtà, possono essere definiti come una nuova mutazione di qualcosa che è stato chiamato un tempo big beat, ma che ora è maggiormente etereo e meno materialistico. Tre tracce che cambieranno la vostra prospettiva di tempo e di ritmo, tre universi con dentro mille mondi, per un gruppo che è fra i pochi al mondo a fare qualcosa di originale e di veramente progressivo.

Tracklist
1.Nimetön Tie
2.Hex Bag
3.Night Eye – Smile Through Tears

KXP – Facebook

Tacocat – This Place Is A Mess

Con This Place Is A Mess si torna a quando ascoltare indie era una continua sorpresa, e non come oggi che è la continua reiterazione di un qualcosa di mediocre e rigidamente codificato.

Freschissimo indie pop fatto molto bene da tre ragazze ed un ometto.

La forza di questo gruppo che esce per la Sub Pop è la grande capacità di fare pop credibile e molto orecchiabile, di grande presa e molto piacevole, quel tipo di musica che riesce a lasciarti un buon umore anche in giornate non facili. Non c’è solo il buonumore, anzi i Tacocat partono da un passato punk grunge e lo si può sentire bene nelle loro strutture sonore, la loro musica è luminosa ma parla anche del lato oscuro, sopratutto di quello che si porta dietro l’America di Trump. La loro alta orecchiabilità è data anche dalla ricerca sonora, è un disco che solo in apparenza sembra facile, ma ha salde radici nella musica anni sessanta americana, con accenni non sporadici di surf music, che aggiunge sostanza al tutto. Aiuta anche il fatto che siano di Seattle, e che siano cresciuti in un humus musicale da sempre molto fertile per la buona musica. Il grunge entra soprattutto a livello compositivo, nel senso che ci sono alcuni momenti che prendono le mosse da lì, come la bellissima traccia Little Friend, che usa in maniera adeguata e molto dinamica il contrasto tra chitarra distorta e pulita per dare un tocco molto speciale. La produzione di Erik Blood riesce a tirare fuori il meglio da una band che possiede un’impostazione profondamente indie, ma che ha un’anima errante che la porta a costruire un suono composito, originale e profondo. Con This Place Is A Mess si torna a quando ascoltare indie era una continua sorpresa, e non come oggi che è la continua reiterazione di un qualcosa di mediocre e rigidamente codificato. Un album dagli ottimi contenuti e da un suono molto bello e sottilmente godurioso, dato sicuramente dalla preponderante presenza femminile nel gruppo.

Tracklist
1.Hologram
2.New World
3.Grains of Salt
4.The Joke of Life
5.Little Friend
6.Rose-Colored Sky
7.The Problem
8.Crystal Ball
9.Meet Me at La Palma
10.Miles and Miles

Line-up
Emily Nokes
Eric Randall
Bree McKenna
Lelah Maupin

TACOCAT – Facebook

Hexvessel – All Tree

All Tree, grazie alla sua forte matrice esoterica, ci fa toccare con mano delle cose che stanno morendo perché noi ci stiamo allontanando in maniera oramai irrimediabile dal nostro vero baricentro.

Tornano gli Hexvessel, uno dei gruppi più interessanti che abbiamo in Europa, e lo fanno con un disco struggente che riporta il progetto al neofolk.

La creatura finlandese, fondata da Mat “Kvohst” McNerney nel 2009, fa da sempre una musica esoterica, una fuga pressoché totale dalla modernità, con una approfondita ricerca nella tradizione e nell’esoterismo. Negli ultimi episodi Hexvessel si era allontanato dal neofolk e dal dark folk, per addentrarsi in maniera risoluta in territori più psichedelici, e nonostante molti seguaci del gruppo non lo avessero apprezzato la qualità era buona. Con questa ultima opera si torna a casa, trattando delle fiabe celtiche e di un mondo ben preciso che si colloca nel nord Europa, anche se ci sono varie scorribande verso sud come Journey To Carnac, che parla della spettacolare e per noi enigmatica località della Bretagna, dove vi sono moltissimi menhir e dolmen, silenti testimoni della nostra antichità. All Tree è un gran bel disco di folk tenebroso, affascinante, suonato molto bene e con una splendida attitudine. Il ritorno al folk, che comunque non era mai stato completamente bandito dal progetto, è attestato anche nella ripresa della collaborazione con il musicista e discografico inglese Andrew McIvor, con cui in pratica era cominciato tutto con il primo disco Dawnbearer. L’album è come un sogno, una frequenza che proviene direttamente dall’antichità, un respirare un’aria antica prettamente celtica, una cultura imbevuta di natura e di antichi contatti con altre dimensioni. Qui tutto ciò è reso molto bene, anche grazie all’adeguato uso di molti strumenti, che giostrano in maniera sapiente attraverso una composizione ben studiata. Ogni particolare è curato e nulla è lasciato al caso, ed il risultato è un disco fra i migliori nel genere neofolk e dark folk degli ultimi anni. Oltre a sognare e a viaggiare in territori lontani All Tree, grazie alla sua forte matrice esoterica, ci fa toccare con mano delle cose che stanno morendo perché noi ci stiamo allontanando in maniera oramai irrimediabile dal nostro vero baricentro. Dischi come questo ribilanciano il tutto, riportandoci dolcezza, bellezza e cose preziose.

Tracklist
1 Blessing
2 Son Of The Sky
3 Old Tree
4 Changeling
5 Ancient Astronaut
6 Visions Of A.O.S.
7 Sylvan Sign
8 Wilderness Spirit
9 Otherworld Envoy
10 Birthmark
11 Journey To Carnac
12 Liminal Night
13 Closing Circles

HEXVESSEL – Facebook

Absolute Valentine – Omega

Un grande album di elettronica che parte dalla synthwave per andare molto oltre.

A testimoniare il buon successo di cui sta godendo la scena synthwave e retrowave negli ultimi anni, ecco tornare uno dei maggiori nomi della scena, il francese Absolute Valentine con il suo nuovo lavoro Omega.

Il precedente disco, Police Heartbreaker, era arrivato fino al numero della classifica Eletronic di Itunes e al numero 39 delle charts di Beatport per quanto riguarda i generi Indie e Nu Electro. Con Omega, Johann da Marsiglia, aka Absolute Valentine, si supera ed arriva a produrre un disco che detterà le linee guida per la synthwave e retrowave degli anni che verranno. Omega opera una decisa mutazione in un campo che rischiava di diventare stagnante pur rimanendo molto piacevole da ascoltare. Absolute Valentine ha il talento ed il coraggio per portare avanti il discorso stilistico di questo genere, attraverso una riformulazione dei suoi codici. I bassi rimangono sempre importanti, ma qui sono assai tenebrosi e minacciosi. Vengono anche abbassati i batti al minuto, per contribuire a dare un’ambientazione più apocalittica e priva di speranza. L’immaginario è sempre quello giapponese anni ottanta, fin dalla copertina si capisce dove si andrà a parare, e come al solito l’artwork è molto ben curato, come per ogni uscita della Lazerdiscs Records. Si può affermare che qui i temi diventano maggiormente intimistici rispetto ai lavori precedenti di Absolute Valentine, anche se rimane preponderante l’escapismo retro futuristico. L’uso sapiente dei sintetizzatori resta il fulcro saliente di Omega, ce n’è per tutti i gusti e la qualità è molto alta. Molto interessante ed intricata è la storia che sta dietro al concept dell’album, che si sviluppa canzone dopo canzone. Un grande album di elettronica che parte dalla synthwave per andare molto oltre.

Tracklist
1.Resurrect
2.Spitfire
3.Panther
4.Paramount Glamour Myth
5.Omega
6.Your Passenger Forever
7.Powertrust
8.The Impossible
9.Bad Power
10.Strange Hope

ABSOLUTE VALENTINE – Facebook

GosT – Skull 2019

A parte i generi, la cosa importante è che Skull 2019 ha un suono unico e molto affascinante, un’allegra messe di sangue compiuta da macchine impazzite, o che forse finalmente seguono la loro vera natura.

Riedizione su Century Media Records dell’ep Skull del produttore synthwave e retrowave GosT, in compagnia del suo fedele alterego Baalberith.

Il loro suono è una poderosa armata delle tenebre che si è impossessata di computer, tastiere e soprattutto sintetizzatori e sta suonando la colonna sonora di un bel massacro. GosT è un produttore che è da anni sulla scena, ed è uno dei trait d’union fra la scena synthwave e quella del metal, ambienti che sembrano inconciliabili mentre hanno moltissimi punti in comune, soprattutto hanno persone che passano da uno all’altro: lo stesso GosT da giovane ha suonato in diversi gruppi metal e ha sempre portato dentro di sé quell’attitudine, che si può sentire molto chiaramente in Skull 2019. Il disco è la riedizione in vinili colorati e limitati del suo ep chiamato appunto Skull, ed è un’ottima introduzione per chi ancora non lo conoscesse, mentre invece per chi ha la fortuna di seguire da anni questa scena è un’ottima maniera per riprendere in mano un ottimo lavoro. Skull 2019 possiede una varietà di suoni molto più estesa della media dei gruppi di questo genere, l’attitudine è fortemente metal, e tutto ciò porta ad un’elettronica molto oscura e dal grande fascino. La retrowave e synthwave di GosT è fatta per essere ballata, infatti rispetto a tante altre produzioni ha un tocco di melodia molto più accentuato ed un ritmo molto particolare. GosT usa codici di generi diversi per costruire un qualcosa che è originale ed unico, e che fa incontrate diversi ma con un immaginario molto simile. I metallari qui potranno sentire un esempio di come possa suonare il metal fatto in un’altra maniera, e chi ascolta elettronica qui può capire cosa possa essere un approccio metal. A parte i generi, la cosa importante è che Skull 2019 ha un suono unico e molto affascinante, un’allegra messe di sangue compiuta da macchine impazzite, o che forse finalmente seguono la loro vera natura.

Tracklist
A:
1. Chasm
2. Cursed
3. They
4. Oddened

B:
1. Skull
2. Manic
3. She Lives in Red Light
4. The Call Of The Faithful

GOST – Facebook

Chiral – The Twilight Songs (Part I)

The Twilight Songs (Part I) rappresenta una sorta di oasi sonora ma è, in fondo, sempre musica volta a toccare le corde più profonde del nostro animo, un fine che viene raggiunto percorrendo una strada meno impervia e dolorosa rispetto al black o al doom, ma che conduce infine ad uno stesso approdo.

Questo a nome Chiral non è l’ultimo lavoro in ordine di tempo offerto della one man ban italiana dedita normalmente ad un black metal atmosferico ma è, in realtà, la riedizione dell’ep The Twilight Songs (Part I), originariamente pubblicato nel 2017.

Questa uscita, peraltro, rappresenta a suo modo un’anomalia nella produzione del musicista emiliano, visto che Monumental, l’unico e lungo brano di trenta minuti esatti suddiviso in diversi movimenti, è in effetti maggiormente riconducibile ad un folk acustico con diverse digressioni addirittura in ambito country.
Se la cosa può risultare spiazzante ad un primo approccio, va detto che il talento compositivo di Chiral e il suo delicato e poetico approccio strumentale riescono ugualmente ad offrire un davvero pregevole interludio da frapporre alle sonorità offerte normalmente.
Chi conosce l’opera di Matteo Gruppi con questo monicker, oppure con il suo progetto funeral Il Vuoto, non dovrebbe stupirsi per un’offerta che, se esula in parte da quanto ci ha abituato ad ascoltare, altro non è che una delle molteplici sfaccettature della sensibilità compositiva esibita regolarmente dal musicista piacentino.
The Twilight Songs (Part I) rappresenta una sorta di oasi sonora ma è, in fondo, sempre musica volta a toccare le corde più profonde del nostro animo, un fine che viene raggiunto percorrendo una strada meno impervia e dolorosa rispetto al black o al doom, ma che conduce infine ad uno stesso approdo.
Peraltro è proprio di questi giorni l’uscita di un nuovo singolo a nome Chiral, The Loner, le cui caratteristiche contigue all’ep oggetto di queste righe fanno pensare che il nostro intenda sviluppare ulteriormente questo intrigante filone compositivo.

Tracklist:
1.Monumental

Line-up:
Chiral – Everything

CHIRAL – Facebook

Holding Patterns – Endless

In Endless ci sono tanti elementi del periodo d’oro della musica alternativa, quando le idee erano valide e volavano leggere, e ascoltando gli Holding Patterns si può avere ancora speranza in quel bitume che viene così denominato.

Gli inglesi Holding Patterns sono in pratica tre quinti della formazione dei Crash Of Rhinos, gruppo di Derby che pubblicò due buoni dischi nel 2011 e nel 2013.

Dopo aver provato una riunione del gruppo poi fallita per problemi di tempo, ecco nascere questo nuovo gruppo. Il debutto è uno dei dischi di musica alternativa fra i più belli degli ultimi tempi grazie ad una freschezza ed un tiro davvero notevoli. Il loro retroterra è molto importante, c’è un po’ di quell’emo rielaborato in maniera speciale che già era presente nei Crash Of Rhinos, in più troviamo una composizione cresciuta e molto matura, un tentativo riuscito di coniugare le forme spigolose del math rock con qualcosa di più smussato, ma altrettanto emotivo. Ci sono tanti elementi del periodo d’oro della musica alternativa, quando le idee erano valide e volavano leggere, e ascoltando gli Holding Patterns si può avere ancora speranza in quel bitume che viene così denominato. Il power trio inglese confeziona un disco che emoziona e colpisce, sia dal punto musicale che da quello dei testi. Sono momenti in cui si tirano le somme, non può essere altro che così, gli Holding Patterns lo fanno senza problemi e con un’ottima forma. Le loro canzoni hanno quella cadenza tipica dei musicisti che finalmente fanno quello che gli pare, e se questo disco fosse uscito anni fa avremmo gridato al miracolo, mentre è ancora più importante che sia uscito ora. Per il nuovo disco il gruppo ha anche cambiato approccio nel modo di scrivere le canzoni, ed il risultato è una forma originale e molto fresca. Ci sono passaggi clamorosi e momenti di sincere lacrime nemmeno fossero i Get Up Kids, ma con addirittura qualcosa in più rispetto agli americani, un quid dato dalla maggior libertà compositiva. Una canzone come Dust, ma potrebbe valere lo stesso discorso per tutte le altre, è qualcosa che davvero mancava, ed è un piccolo miracolo come tutto questo disco.

Tracklist
1.Glow
2.At Speed
3.First Responder
4.Centered At Zero
5.No Accident
6.Pyre
7.Dust
8.This Shot Will Ring
9.Endless
10.House Fire
11.Long Dead
12.Momentarily

Line-up
Oli
Draper
Jim

HOLDING PATTERNS – Facebook

Africa Unite / Architorti – In Tempo Reale

Prima avvertenza: questo non è un disco reggae. Seconda avvertenza: è uno dei dischi più innovativi ed importanti di sempre della scena italiana. Terza avvertenza: tratta dei social media e della nostra vita online.

Gli Africa Unite tornano con un disco disponibile sia in download libero sul loro sito che in edizione fisica con canzoni bonus acquistabile sempre sul loro sito.

Prima avvertenza: questo non è un disco reggae. Seconda avvertenza: è uno dei dischi più innovativi ed importanti di sempre della scena italiana. Terza avvertenza: tratta dei social media e della nostra vita online. Come dicono loro stessi, gli Africa Unite scelgono la via più difficile per fare il disco nuovo, e chiamano al loro fianco gli Architorti, una formazione di archi per nulla convenzionale. Il risultato è qualcosa di meraviglioso, un disco che fluttua in una dimensione tutta sua, un suono minimale e ricchissimo, le forme musicali non esistono, tutto si risolve in una compenetrazione fra elettronica ed archi, con le voci di Bunna e Madaski che si fondono magnificamente. La stessa voce di Bunna è uno strumento, suona in una maniera come non l’abbiamo mai sentita, dato che è dub di per sé stessa, nel senso che si è spogliata di tutti gli altri elementi. Che Madaski fosse uno dei geni musicali più umili e creativi che abbiamo in Italia è cosa nota, ma qui si supera andando a fare una sintesi musicale che penso abbia sempre avuto in testa e che qui sublima. Gli Architorti sono sempre stati un ensemble totalmente nuovo in fatto di musica classica e ben oltre, e qui si integrano molto bene con gli Africa Unite alchemizzati in un qualcosa di diverso. Il gruppo piemontese da anni sta portando avanti un discorso creativo e di politica musicale che non ha eguali in Italia, facendo uscire dischi in download libero che servono per invogliare la gente a vederli in concerto, che è poi il luogo dove si possono trovare le risorse per andare avanti. Questo album racchiude autentici tesori, ad esempio L’Impero Del Nord dovrebbe essere l’inno nazionale, ed è un balsamo contro l’odio dello stilista delle felpe, il capitano di un popolo sempre più socialmente alla deriva, ed è qualcosa di bellissimo soprattutto per la scioccante strofa di Madaski. Le altre canzoni hanno testi di una lucidità e sincerità incredibili e d analizzano in maniera mai banale la vita online e quella poca che rimane offline. La voce di Bunna è la massimo della sua forma, e non canta ma suona la sua stessa voce con una metrica inedita che si fonde con gli Architorti che in alcuni momenti sembrano un coro. Anche il video di NIN (Nuove Intrusioni Notevoli) è innovativo e molto ben centrato. Nonostante gli Africa Unite siano sempre stati un gruppo innovativo e di qualità, questo disco è davvero epocale e potrebbe essere molto importante per il panorama musicale italiano, se non fossimo attirati dal clic della prossima emozione online.

Tracklist
01 – Hopptiquaxx!
02 – NIN (nuove intrusioni notevoli)
03 – La Morsa del Ragno
04 – L’impero del Nord
05 – Peculiarità
06 – La Differenza
07 – Rughe Indelebili 019
08 – Il Mio Pensiero Lucido

AFRICA UNITE – Facebook

Order 1968 – Tears In The Snow

Un documento di gran valore, ma soprattutto un gran disco che ha finalmente una veste adeguata.

Ristampa della cassetta Tears In The Snow di Order 1968, rimasterizzata da Giovanni Indorato al Ctìyber Ghetto Studio.

Order 1968 è stato uno dei primi progetti di uno dei maggiori nomi della musica elettronica in chiave ambient ed industrial in Italia, da parte di quel Claudio Dondo che, dopo l’esperienza con Order 1968 andrà a fondare i fondamentali Runes Order, che invitiamo caldamente a scoprire o riscoprire. La cassetta uscì originariamente nel 1991, registrata nello studio casalingo di Claudio, che era anche l’unico membro del progetto, e pubblicato sull’etichetta da lui fondata, Hate Productions. La cassetta fu originariamente ristampata in 200 copie sotto il nome Runes Order dalla Oktagon Records, con lo stesso audio ed un artwork differente. Annapurna Productions ha ristampato il tutto rimasterizzandolo e con le copertine originali. Dondo è sempre un produttore geniale e notevole, in nuce qui c’è quello che poi farà con i Runes Order, ma soprattutto troviamo una concezione totale e rituale del mezzo musicale. Non è musica fatta per intrattenere, per consolare o per dare risposte, qui ci sono tenebre, domande e tormenti, ma il fatto è che sono fra le atmosfere migliori mai prodotte in Italia. Molto lontano dalle luci della musica di successo ed anche dalla musica delle pose finto alternative, c’è un universo dove ci sono persone che fanno musica per passione e per giocare con i loro demoni, e Claudio Dondo è un eminente esponente di codesta schiatta. Tears In The Snow non lo si ascolta, è il disco stesso che si insinua dentro di noi, percorre le nostre vene e torna nel cervello per celebrare il rituale della nostra estrema caducità, messa mirabilmente in sonoro qui. Tears In Snow è sia un lavoro seminale che una cosa a sé stante, un altro tenebroso episodio della carriera di Claudio, una parabola pressoché unica in Italia e che è apprezzata da chi sa e vuole farlo. Un documento di gran valore, ma soprattutto un gran disco che ha finalmente una veste adeguata.

Tracklist
1. Intro(duction)
2. Sturm
3. A Minute In The Snow
4. The Runes
5. The White Empire
6. The Key Of Pride
7. Watching The New Dawn
8. Nocturne
9. No Surrender!!!
10. A Minute In The Wind
11. Buried Blades
12. Le Bianche Valli Del Silenzio
13. Chi Ride Muore!

Stanley Rubik – Tuttoècomesembra

Musica come portale per sensazioni vere mediate da un esoterismo quotidiano e per questo ancora più misterioso, per uno dei più interessanti gruppi italiani.

La proposta musicale dei romani Stanley Rubik viene rappresentata almeno in parte dalla loro auto definizione di Post Electro, ma c’è molto di più.

Il loro suono è un insieme di piccole visioni di apocalissi quotidiane, di rivoluzioni dei nostri sensi, trecentosessanta gradi di vite cangianti, archetipi e visioni altre. Il gruppo ha pubblicato il primo disco nel 2016, Lapubblicaquiete, su Cosecomuni per poi approdare su Inri con il secondo lavoro Kurtz Sta Bene del 2015, acquisendo una notevole credibilità e visibilità. In Tuttoècomesembra il gruppo romano traccia traiettorie molto interessanti e raramente battute in Italia, canzoni con musica inusuale, ansiogena e a volte in disaccordo con la parte cantata, l’effetto è straniante e molto affascinante. Questo disco sancisce la dolorosa consapevolezza della scissione fa il nostro corpo e la nostra anima, e nulla può essere rassicurante o salvifico, ci si può solo analizzare per disegnare una caduta migliore, e questo è quanto, questo è tutto. Nella cosiddetta scena indie italiana i Stanley Rubik sono un’isola magnifica ed infelice, un qualcosa che ricorda cose già sentite, ma è tutta un’altra cosa. Tuttoècomesembra è incentrato sui tarocchi, che sono la rappresentazione di un qualcosa di molto antico, archetipi che hanno attraversato la storia della razza umana, perché sono già dentro di noi, e qui vengono usati come bussole, ma anche come stelle guardate per perdersi. Ci sono momenti in cui è bellissimo lasciarsi cadere sugli scogli disegnati dagli Stanley Rubik. In pochi hanno usato l’elettronica come questo gruppo, totalmente asservita ad una poetica che atterrisce e ammalia, come una tempesta dei poeti romantici. Musica come portale per sensazioni vere, mediate da un esoterismo quotidiano e per questo ancora più misterioso, per uno dei più interessanti gruppi italiani.

Tracklist
1. ROBERTO
2. AGOSTO
3. I MOSTRI DI BOSCH
4. PERSONA
5. KREUZBERG
6. TEMPESTA
7. A COSA STAI PENSANDO?
8. LUNGO ESTESE ORBITE
9. KINTSUGI
10. MONOLITE

Line-up
Dario
Gianluca
Andrea

STANLEY RUBIK – Facebook

Albireon – La Bellezza Di Un Naufragio 1998-2018

Madrigali, cose antiche e belle che richiedono di ascoltare e soffermarsi, di cercare dentro e fuori dal proprio sé, o forse solo di chiudere gli occhi e di abbandonarsi ad una poesia che apre il cuore e porta al naufragio.

Disco di canzoni della loro carriera riarrangiati, riregistrati e reinterpretati per un gruppo italiano fra i maggiori della scena sperimentale neo folk mondiale, gli Albireon.

Nato nell’ormai lontano 1998, il gruppo ha saputo toccare con la sua musica eterea, molti cuori, ha attraversato molti mari e ora compie questo bellissimo naufragio. La musica degli Albireon è un qualcosa che ve ben oltre l’accezione comune di musica, è un viaggio all’interno del proprio cuore, un ricercare delle cose antiche e forse sopite ma ancora vive. Albireon è un sogno ad occhi aperti, un modo altro di fare poesia, i testi sono quasi tutti dei capolavori di bellezza della lingua italiana, accompagnati da una musica antica, eppure non vi capiterà spesso di ascoltare qualcosa di così moderno e fresco. Le loro visioni nascono da loro stessi ma anche dalla lettura di pagine o dalla visione di film che potremmo definire immortali, è uno sguardo verso le cose piccole della vita, uno zoom sui particolari che ti fa cogliere l’insieme. Per questo importante anniversario il gruppo ha chiamato ospiti importanti: in Celebrazione di Un Oblio canta Mauro Berchi, membro dei Canaan, dei Neronoia e capo della Eibon Records, una voce che arriva direttamente dalla fine del mondo. Oltre a lui troviamo Francesca Nicoli degli Ataraxia, Oliver dei Sonne Hagal, dei quali gli Albireon fanno un’incredibile cover, Spighe, Bard degli Oberon, Tony Wakeford, deus ex machina dei Sol Invictus, Gianni Pedretti dei Colloquio, Corrado Videtta dei mai abbastanza celebrati Argine e Daniele Landolfi degli Instant Lakes. Insomma il meglio di una scena, quella neo folk, che in Italia ha radici importanti e ha regalato momenti immensi e bellissimi, fortunatamente relegati in una nicchia di persone che ama il bello (ma conosce e vive anche il brutto) e che sa coglierlo anche e soprattutto nelle piccole cose: una scena che crea cose fantastiche ma che ricerca l’oblio in continua contraddizione. Chi ha scoperto e apprezza gli Albireon non torna indietro, perché è così forte e abbagliante la delicata bellezza delle loro canzoni che non se ne può fare a meno. Questo lavoro è una celebrazione ma al contempo un rielaborare la propria tradizione, e le loro canzoni acquistano, se possibile, un bellezza maggiore. Madrigali, cose antiche e belle che richiedono di ascoltare e soffermarsi, di cercare dentro e fuori dal proprio sé, o forse solo di chiudere gli occhi e di abbandonarsi ad una poesia che apre il cuore e porta al naufragio.
E sono bellissime e molto esplicative le loro parole :
“ Abbiamo imparato che non c è un traguardo da raggiungere, nessun posto speciale da conquistare, l’unica verità che abbiamo invece scoperto nei nostri 20 anni di esistenza come band è che non esiste destinazione, ma solo il viaggio stesso… Un viaggio che valeva la pena compiere e che ci ha regalato qualcosa che ha definito per sempre le nostre vite e con noi quelle di chi ha amato la nostra musica, offrendoci un sorriso o una lacrima durante i nostri concerti, o ha condiviso le nostre emozioni comprando i nostri dischi. Non siamo altro che una nave perduta su una spiaggia lontana, un manipolo di eroi dimenticati da tempo, un paio di canzoni che potrete canticchiare quando avrete voglia di qualcosa di visionario e malinconico… ma è stato un naufragio che non ci pentiremo mai di aver vissuto, così come questa ricerca di noi stessi, questo oblio che lentamente ci avvolge ”

Tracklist
1 Canto Del Vento Lontano 2018
2 Nel Nido Dei Ragni Funamboli – Remix
3 Celebrazione Di Un Oblio feat. Mauro Berchi
4 Gli Aironi – Remix 2018
5 Snowflake 2018 Feat. Tony Wakeford
6 Chaosinsomnia
7 Ninèta 2018 Feat. Francesca Nicoli
8 Liù Dorme – Remix 2018
9 Imbrunire 2018 – Feat. Gianni Pedretti
10 Mr. Nightbird Hates Blueberries 2018
11 Il Deserto Dei Tartari 2018 – Feat. Corrado Videtta And Daniele Landolfi
12 Like Stars In Winter Rapture – Remix 2018
13 Ala Di Falena 2018 – Feat. Sonne Hagal
14 Inquietudine – Remix 2018
15 Through Winter Fires 2018 – Medieval Mix Feat . Bard Oberon
16 Ballata Delle Rovine – Remix 2018
17 Spighe (Sonne Hagal Cover)
18 Falene

Line-up
Davide Borghi – Vocals, Guitar, Lyrics
Carlo Baja-Guarienti – Keyboards, Piano, Flute
Stefano Romagnoli – Programming, Samples, Recording
Elia Albertini – Bass Guitar
Lorenzo Borghi – Drums

ALBIREON – Facebook

Disen Gage – The Big Adventure

Un lavoro che richiede un approccio non comune ma che lascerà pienamente soddisfatti coloro che cercano qualcosa di alto valore musicale e di profondamente diverso: una grande avventura, come recita il titolo.

Il progetto Disen Gage nasce nel 1999 in Russia ed è dal 2016 una formazione flessibile di musicisti allo scopo di portare l’attenzione totalmente sulla musica intesa come flusso libero di note ed improvvisazioni.

La proposta dei Disen Gage è un prog rock dalle sfumature metal interpretato come fosse free jazz, con uno scorrimento molto inusuale. Non esistono linearità, ritornelli o forma canzone, è un continuo fluttuare in uno spazio infinito dove tutto è fluido e muta repentinamente. Anche l’ascolto non è comune, esso può cominciare in qualsiasi punto lo vogliate. Grandissima è la varietà di generi affrontati, anche se sarebbe molto scorretto parlare di steccati in questa opera, che è l’ultima propaggine di un’avventura musicale molto interessante. Colpisce la poderosa struttura che disegna un universo musicale immenso e molto variopinto. Si naviga a cuor leggero trasportati dalle eccezionali note di un magma musicale che cambia vorticosamente, ma che non perde mai l’eleganza e la bellezza. Le musiche del gruppo sono molto fini, si possono cogliere aspetti che si avvicinano alla poetica musicale dei Pink Floyd, con la chitarra del fondatore Konstantin Mochalov che ci porta lontano, per poi essere sbalzati in un giro funky che diventa quasi una polka, e questo è solo un minuto della loro musica. I Disen Gage sono musicisti che amano sperimentare e trovare sbocchi inusuali alle loro idee, ma soprattutto sono grandissimi amanti delle sette note, sanno di maneggiare una ricchezza immensa e non se la lasciano scappare, plasmandola a loro volere. Tutto ciò viene dalla Russia e non a caso, poiché è una terra dove ci sono notevoli ensemble e solisti che viaggiano in dimensioni molto differenti da quella normale. Un lavoro che richiede un approccio non comune ma che lascerà pienamente soddisfatti coloro che cercano qualcosa di alto valore musicale e di profondamente diverso: una grande avventura, come recita il titolo.

Tracklist
1.Shiroyama
2.Adventurers
3.Chaos Point
4.Enough
5.All the Truths’ Meeting
6.Selfish Tango
7.Carnival Escape
8.Fin

Line.up:
Konstantin Mochalov — guitar & sound engineering
Eugeny Kudryashov — drums
Nikolai Syrtsev — bass
Sergei Bagin — guitar & synth

Guests:
Igor Bukaev — accordion/button accordion in 2
Ekaterina Morozova — piano in 3 & 8
Vasily Tsirin — cello in 4
Vadim Sorokin — mixing all tracks, synth in 6 & bass in 8

DISEN GAGE – Facebook