Vetrarnott – Scion

Scion è una prova molto convincente per una band che ha operato una scelta importante in maniera consapevole e ci riserverà ancora black metal di ottima fattura sui miti italici, per cui speriamo presto di avere un nuovo disco sulla lunga distanza dei Vetrarnott.

Black metal classico e molto ben suonato per gli italiani Vetrarnott.

Questo ep è stato concepito come omaggio alla scena black metal del nord Europa, sia della prima che della seconda ondata. Inoltre il disco è anche una descrizione musicale della storia mitica dei tre figli di Loki e Angrboða. Quest’ultima era una gigantessa, il cui nome significa colei che porta tristezza, che si unì con Loki, nato dall’unione di un gigante e di una gigantessa: dalla loro unione nacque il lupo Fenrir, che avrà un ruolo importante nel Ragnarok, il dies irae nordico. Scion, tra le altre cose, significa anche discendente di una nobile stirpe. Infatti i Vetrarnott sono tre musicisti che hanno inciso tre canzoni di black metal come altrettanti omaggi al black metal e alla cultura nordica perché, come dice il fondatore Gar Ulfr, questo ep segna un passaggio molto importante nella storia del gruppo in quanto segna il distacco dai temi nordici per arrivare a cantare dei miti italici, come nella quarta canzone, la bonus track La Voce Degli Dei. Questa canzone è è un ottimo inizio per la nuova fase del gruppo e il cantato nella nostra lingua valorizza ulteriormente il valido black metal del gruppo pugliese. L’ep Scion è un’ottima prova per una band che ci propone musica di ottima fattura, con dichiarata preferenza per il black scandinavo, specialmente quello della seconda ondata. Tutto è molto intelligibile e fatto con ottime scelte, troviamo anche momenti meno veloci che sono utili per rafforzare ulteriormente una struttura già buona. I Vetrarnott sono uno di quei non comunissimi gruppi che hanno compenetrato alla perfezione la materia, ovvero sono riusciti a cogliere il lato più musicale e creativo del black, e ne hanno tratto una versione tutta loro e molto originale, che qui giunge al massimo compimento. Anche con l’uso dell’inglese il risultato è ovviamente molto buono. Una delle peculiarità del gruppo è un incedere sì violento e deciso, che è però al contempo anche sognante ed arioso. Scion è una prova molto convincente per una band che ha operato una scelta importante in maniera consapevole e ci riserverà ancora black metal di ottima fattura sui miti italici, per cui speriamo presto di avere un nuovo disco sulla lunga distanza dei Vetrarnott.

Tracklist
1.The Tide
2.Unbound
3.Helvegr
4. La Voce Degli Dei (bonus track)

Line-up
Gar Ulf – Vocals, Bass, Keys, Programming
Valar – Lead & Solo Guitars
Osculum – Rhythm & Acoustic Guitars
Ambrogio L – Live Drums

VETRARNOTT – Facebook

Duirvir – Endless Graves, Endless Memories

Il disco è una puntata notevole dell’eterno raccontare della vita e della morte, di come siamo cenere portata via dal vento, mentre viviamo per un ricordo, per un attimo che brucia in fretta.

I Duirvir sono di Udine, e sono nati nell’estate del 2011 da un’idea dei due chitarristi Iskhathron e Ithydvea.

Il gruppo nacque inizialmente come progetto di melodic death meta sulla scia di gruppi come gli Amon Amarth, e in seguito il progetto è evoluto in maniera costante, fino ad arrivare ad un post black metal, che è la punta dell’iceberg, perché sotto ci sono molte meraviglie. Come tanti musicisti di talento ed evoluti, i Duirvir hanno intrapreso un sentiero sconosciuto che passo dopo passo è mutato ed è arrivato ad essere ciò che ci presentano in questo bel debutto sulla lunga distanza. Il cambio avviene con il primo demo Duir del 2013, dove le istanze post black, atmospheric black e doom vedono la luce in maniera compiuta per poi realizzarsi nell’ep Idho del 2014, che permette loro di suonare anche in festival prestigiosi. Una domanda lecita che potrebbe essere fatta da un ascoltatore attento è la seguente: cosa hanno i Duirvir di diverso rispetto ai tanti gruppi atmospheric e post black? Una breve risposta potrebbe essere che la musica della band udinese ha un sapore diverso, un incedere molto più black nel tipo di composizione e nella resa. La risposta più lunga e molto più compiuta sono le cinque tracce e i quasi trenta minuti di Endless Graves, Endless Memories, un disco che va assaporato lentamente, come una giornata di neve lenta, dove si guarda fuori dalla finestra o camminando sulla neve fresca, in quel silenzio carico di rumori soffusi. L’atmosfera creata dai Duirvir è notevole e molto ben strutturata, si sente subito che il gruppo ha qualcosa in più, e lo sviluppo del disco è pieno di episodi notevoli, di momenti malinconici e dolci, di carezze struggenti e graffi rabbiosi, di slanci e di momenti di isolamento, ma tutto è caduco eppure eterno proprio come dice il titolo. Il disco è una puntata notevole dell’infinito raccontare della vita e della morte, di come siamo cenere portata via dal vento, mentre viviamo per un ricordo, per un attimo che brucia in fretta. Il cantato in growl si alterna a quello in chiaro e le voci giostrano benissimo, come tutto il resto del gruppo. Un’opera che colpisce al cuore chi sa che dentro al black ci sono infiniti universi, un premio per persone che godono di piccole grandi gioie: il gran debutto di un gruppo che ha ancora enormi margini e tanto da dire.
Scaricabile con offerta libera dal loro sito.

Tracklist
1.Autumnal Lethargy
2.Blooming the Rose
3.Storm’s Chant
4.Drop from the Woods
5.Haggard Sin

Line-up
Marjan – Voice, Guitar
Ivan – Guitar
Luca – Bass
Fabiano – Drums

DUIRVIR – Facebook

Ellende – Rückzug in die Innerlichkeit

Se proprio post black deve essere, questo ristampa del primo ep degli Ellende è il volto migliore che vorremmo sempre attribuirgli.

La label tedesca Art Of Propaganda ha da poco ristampato l’ep di debutto degli Ellende, progetto solista del musicista austriaco Lukas Gosch.

Rückzug in die Innerlichkeit risale al 2012 e rappresenta un buon esempio di come si dovrebbe suonare ed interpretare il black metal nella sua versione più atmosferica ed intimista (mi piace definirlo così perché post black rischia di voler dire tutto e niente).
Il bravo L.G., infatti, già al suo primo passo cercava di differenziarsi da tutte le altre one man band conferendo una particolare cura ai suoni sia al livello di produzione che di varietà degli stessi, affidando per esempio un parte importante agli strumenti ad archi affidati all’ospite Anne; tale notevole commistione diede i sui frutti regalando quattro brani che alternavano con grande gusto ed abilità le sfuriate ritmiche del black alle aperture melodiche contrassegnate dall’uso di strumenti classici.
Una traccia magnifica e dal grande tasso evocativo come Der letzte Marsch, con le ossessive note del pianoforte che accompagnano lo sviluppo del brano nella sua seconda metà, è solo un esempio dell’elevata qualità che il bravo musicista di Graz era stato in grado di esibire, ma il resto della tracklist non era affatto da meno, riservando sorprese in più frangenti senza che il sound ne risentisse minimamente a livello di omogeneità.
Comunque, tornando a quanto detto qualche riga sopra, se proprio post black deve essere questo è il volto migliore che vorremmo sempre attribuirgli; negli anni successivi gli Ellende (che in sede live diventano comunque una band vera e propria) hanno pubblicato due full length molto ben accolti a livello di critica, mentre nel prossimo marzo è prevista l’uscita del terzo lavoro su lunga distanza che sarà intitolato Lebensnehmer, per il quale quale l’ascolto di questa ristampa potrebbe risultare un’ideale introduzione.

Tracklist:
1. Rückzug in die Innerlichkeit
2. Pfad der Endlichkeit
3. Der letzte Marsch
4. Von Vergänglichkeit und Trost

Line-up:
L.G. – everything
P.F. – drums

ELLENDE – Facebook

Nemus – See-Mensch

See-Mensch è un lavoro valido ma non raggiunge certi picchi di intensità ai quali cui siamo abituati ascoltando le produzioni della Naturmacht Records: questo accade soprattutto perché non viene data la necessaria continuità alle valide intuizioni che emergono in ciascun brano .

Nemus è uno dei due progetti solisti (l’altro è Dreamshift) del tedesco Frank Riegler e See-Mensch è il secondo lavoro che segue l’esordio intitolato Wald-Mensch.

Quindi dopo l'”uomo-foresta” questa volta tocca all'”uomo-lago” in questa sequenza di strane creature che costituiscono l’immaginario lirico del musicista bavarese: il tutto confluisce in una forma musicale le cui basi black metal vengono sovente scompigliate da passaggi folk, post metal e in generale sempre piuttosto atmosferici.
In quasi una quarantina di minuti l’album si snoda così con un incedere sempre piuttosto melodico al quale viene conferita un’aura drammatica soprattutto dallo screaming di Riegler, che in buona sostanza è una sorta di urlo straziante, magari non il massimo da un punto di vista prettamente tecnico, ma utile alla causa.
Diciamo subito che See-Mensch è un lavoro valido ma non raggiunge certi picchi di intensità ai quali cui siamo abituati ascoltando le produzioni della Naturmacht Records: questo accade soprattutto perché non viene data la necessaria continuità alle valide intuizioni che emergono in ciascun brano .
Infatti Riegler utilizza uno schema che probabilmente sarà funzionale alla narrazione ma che spezza irrimediabilmente il pathos creato inizialmente piazzando puntualmente a metà di ogni traccia dei passaggi interlocutori che preludono poi ad una nuova progressione ma la cosa ha un po’ l’effetto di essere interrotti mentre si sta mangiando una succulenta portata per poi riprendere dopo averla riscaldata: per quanto sia buona il piacere non potrà che risultare attenuato.
Una canzone notevole come Das Ungetüm è emblematica in tal senso: i ritmi parossistici e trascinanti imposti nella fase iniziale vengono sospesi per quasi un minuto a favore di cinguetti e sciabordii vari prima che il tutto riprenda con il manifestarsi di un growl minaccioso (soluzione vocale che a mio avviso Riegler dovrebbe utilizzare di più, peraltro) che prelude ad una nuova notevole progressione chitarristica e lo stesso si può dire per la successiva Blut Und Schuppen, più rallentata ed evocativa nel suo incedere.
Questo è a grandi linee il modus operandi che viene replicato nel corso dell’album, con un’intensità altalenante ma con uno standard qualitativo sempre di discreto livello; nel complesso questo seconda uscita targata Nemus si rivela soddisfacente ma ci sono ancora ampi margini per rendere il tutto ancor più coinvolgente e ben focalizzato.

Tracklist:
1. In Die Tiefe
2. Das Ungetüm
3. Blut Und Schuppen
4. Schwimme Ewig
5. Tiefengesang
6. Nachts Im Teich

Line-up:
Frank Riegler – Everything

NEMUS – Facebook

Taur-Im-Duinath – Del Flusso Eterno

La ricchezza dei mondi tolkeniani si rispecchia in questo splendido disco di black metal cantato in italiano, che parla al cuore dipingendo bellissime e terribili immagini.

Bellissimo progetto solista di F. Oudeis, già coinvolto nell’altrettanto valido progetto black metal partenopeo Scuorn.

Taur-Im-Duinath in lingua Sindarin significa “foresta fra i fiumi”. La lingua Sindarin è uno dei molti linguaggi usati dagli elfi nei mondi inventati dal sommo Tolkien. In particolare il Sindarin è il linguaggio elfico più parlato in una regione di Arda, la Terra di Mezzo, durante la Terza Era, essendo l’idioma degli Elfi Grigi, coloro che rifiutarono di recarsi in Valinor come fecero i Noldor: “essi rimasero dunque nella Terra di Mezzo, e svilupparono una lingua propria” ( dal sito web https://ilrifugiodeglielfi.blogspot.com/2012/04/linguaggio-elfico-secondo-tolkien-il.html). La ricchezza dei mondi tolkeniani si rispecchia in questo splendido disco di black metal cantato in italiano, che parla al cuore dipingendo bellissime e terribili immagini. Il lavoro solista di Oudeis è davvero un qualcosa di straordinario, uno scrigno ricolmo di ricchezze dimenticato in un’ombrosa foresta, dove è stato poi ritrovato e portato fino a noi. Per chi possiede un po’ di amore per il black metal ortodosso molto vicino all’atomospheric, vivrà qui autentici momenti di illuminazione e stupenda bellezza. La voce è in italiano e si capisce tutto ciò che dice, anche grazie ad una produzione molto buona ed adeguata. Per capire ciò che vuole trasmetterci Taur-Im-Duinath bisogna che ognuno lo ascolti, poiché per ogni persona c’è un messaggio diverso contenuto in questo disco che va bene oltre la musica. In questi suono ed in queste parole c’è qualcosa di estremamente atavico che ci parla, uno spirito guida che ritorna dopo eoni a riprenderci, perché non siamo ciò che crediamo, e soprattutto ci sarà un nuovo inizio. La musica è bellissima ed evocativa, uno dei migliori black metal mai fatti in Italia, potente, melodico e affascinante. I testi smuoveranno anche i cuori più duri, non tanto per la tenerezza ma per la loro esoterica sincerità. Un disco da sentire e risentire, un piccolo capolavoro da conservare gelosamente.

Tracklist
1.Symbelmynë
2.Rinascita
3.Così Parlò il Tuono
4.Del Flusso Eterno
5.Hírilorn
6.Il Mare dello Spirito
7.Ceneri e Promesse
8.Mallorn

Line-up
F. Oudeis – All instruments, Vocals,Programming

TAUR IM DUINATH – Facebook

Lascar – Wildlife

Il musicista sudamericano propone un black metal atmosferico, o post black, come lo si preferisce chiamare, sulla scia di Deafheaven e compagnia e lo fa in maniera competente ma senza raggiungere, almeno questa volta, particolari vertici qualitativi.

Lascar è il progetto solista del cileno Gabriel Hugo, giunto con questo Wildlife al terzo full length.

Il musicista sudamericano propone un black metal atmosferico, o post black, come lo si preferisce chiamare, sulla scia di Deafheaven e compagnia e lo fa in maniera competente ma senza raggiungere, almeno questa volta, particolari vertici qualitativi.
Questo avviene perché il sound proposto da Hugo, al netto della sua indubbia gradevolezza, soffre di una marcata uniformità che alla lunga si rivela penalizzante, aspetto già riscontrato nel precedente lavoro Saudade dove però il songwriting si rivelava ben più coinvolgente; se a tutto ciò poi si unisce inevitabilmente il fatto che l’esibizione di sonorità già ampiamente ascoltate in passato necessita di elementi compositivi in grado di fissarsi in maniera più marcata nella mente dell’ascoltatore, l’esito finale non può che risultare solo in parte soddisfacente.
Hugo esibisce un gusto melodico sufficiente a fargli reggere la scena per questi quaranta minuti, ma non abbastanza per indurre a passaggi ripetuti nel lettore; ad accentuare tale sensazione contribuiscono sia una produzione perfettibile sia un utilizzo della voce che talvolta si rivela più un elemento di disturbo che non un valore aggiunto.
Un peccato, perché per esempio una traccia come Fatigue esibisce linee davvero accattivanti e non banali, facendo intuire quel potenziale che viene ingabbiato all’interno di un’interpretazione del genere priva dei necessari guizzi.
Nonostante l’attività discografica sia già considerevole, il progetto è comunque ancora abbastanza giovane per cui restiamo in fiduciosa attesa di un auspicabile salto di qualità alla prossima occasione, anche se dopo un buona prova come Saudade era lecito immaginare che ciò potesse accadere già con Wildlife.

Tracklist:
1. The Disdain
2. Petals
3. Submission
4. The Zenith
5. Fatigue
6. The Majestic Decay

Line-up:
Gabriel Hugo – All instruments, Vocals

LASCAR – Facebook

Mourning By Morning – Mourning By Morning

L’album si muove a ritmi sempre controllati, senza che venga mai meno un sentire malinconico che trova il suo opportuno contraltare in uno screaming adeguato e in un lavoro chitarristico preciso ed incisivo in ogni frangente.

Mourning By Morning è il nome dell’ennesimo progetto solista preveniente dagli Stati Uniti e capace di offrire un’ottima interpretazione del black metal atmosferico.

Niente di nuovo, anche perché la stessa strada viene battuta da un’infinità di musicisti, gran parte dei quali si disimpegna sicuramente molto bene, ma un buon motivo per prestare la dovuta attenzione all’operato di Sörjande è la sua spiccata propensione a comporre melodie dolenti e di grande impatto.
Anche la produzione adeguata rende giustizia a questo ottimo lavoro autointitolato che si snoda per quaranta minuti in maniera convincente e senza particolari passaggi a vuoto.
Il ragazzo dell’Ohio, prima di arrivare al full length d’esordio, ha pubblicato nel corso degli ultimi due anni un numero considerevole di uscite dal minutaggio ridotto, il che sicuramente gli ha consentito di arrivare all’appuntamento del tutto pronto.
L’album si muove a ritmi sempre controllati, senza che venga mai meno un sentire malinconico che trova il suo opportuno contraltare in uno screaming adeguato e in un lavoro chitarristico preciso ed incisivo in ogni frangente.
Si rivela quindi un piacere ascoltare brani davvero intensi a livello emozionale e dallo sviluppo melodico non banale, che ben si inserisce all’interno della struttura portante black, come At Heart, The Bride Of Ice, I Wander e il magnifico e conclusivo Wintertide, ma va detto che non c’è una sola traccia in questo lavoro che non meriti d’essere ascoltata, e questo non è mai un risultato scontato.
Mourning By Morning ha il pregio di lasciarci con una sensazione di malinconia che, nonostante i contenuti lirici non inducano affatto all’ottimismo, è piacevolmente soffusa piuttosto che rivolta verso una disperazione priva di sbocchi: anche per questo l’operato del bravo Sörjande ha qualche chance in più di raggiungere un numero più vasto di ascoltatori.

Tracklist:
1. Azure Eyes
2. At Heart
3. The Bride of Ice
4. Bleakness
5. I Wander
6. Underneath the Pressure of the Sea
7. Wintertide

Line-up:
Sörjande – Everything

MOURNING BY MORNING – Facebook

Bald Anders – Spiel

Il cantato il lingua madre caratterizza non poco opere di questo tipo, che sono comunque in grado di soddisfare il palato di chi vuole cibarsi di qualche pietanza saporita e meno usuale, assumendosi pure qualche rischio, ampiamente compensato dalla bellezza straniante di Spiel.

Chi ha amato i Lunar Aurora, quella che probabilmente è stata la migliore band black metal di sempre partorita dal suolo germanico, non può fare a meno di avvicinarsi con trepidazione e doveroso rispetto verso questo nuovo lavoro dei Bald Anders, gruppo fondato qualche anno fa dai fratelli Benjamin e Constantin König, ovvero gli Aran e Sindar responsabili, fra gli altri, di un capolavoro ineguagliabile come fu Andacht.

E’ bene però sgombrare subito il campo da ogni equivoco: qui il black metal è solo una delle molte componenti che si sovrappongono, talvolta in maniera apparentemente illogica o bulimica, all’interno di un progetto musicale che si presenta maniera esplicita come un qualcosa di difficilmente etichettabile.
Spiel è incentrato sull’idea di gioco (appunto spiel in tedesco) in tutte le sue forme, siano esse quelle più spensierate e di natura infantile, sia un qualcosa i cui esiti finali possono radicalmente la vita di chi vi si cimenta; ma un gioco è anche quello nel quale si trova sicuramente coinvolto l’ascoltatore provando a scoprire, di volta in volta, dove i nostri andranno a parare, ricordando ora la solennità degli stessi Lunar Aurora (Verhext), ora la vis sperimentale dei Nocte Obducta (Pestulon), per arrivare alle ritmiche scanzonate e catchy in quota Die Apokalyptischen Reiter (Drei Wünsche) fino ad una sorta di cabaret decadente di tipica matrice germanica (Rosenspalier).
L’album al primo ascolto spiazza e non poco, ma poi di volta in volta i tasselli del puzzle trovano la propria giusta collocazione, per cui la convivenza tra tutte le sfumature citate in precedenza vede la sua sublimazione nell’enfasi lirica di Fantasma, brano in cui il flusso emozionale che pervadeva l’opera dei Lunar Aurora trova un suo naturale sbocco, sia pure sotto diverse sembianze.
Come sempre il cantato il lingua madre caratterizza non poco opere di questo tipo, che sono comunque in grado di soddisfare il palato di chi vuole cibarsi di qualche pietanza saporita e meno usuale, assumendosi pure qualche rischio, ampiamente compensato dalla bellezza straniante di Spiel.

Tracklist:
1.Das achte Haus
2.Drei Wünsche
3.Taugenichts
4.Verhext
5.Fantasma
6.Rosenspalier
7.Le Fuet
8.Pestulon
9.Der Onkel

Line-up:
Benjamin König
Constantin König
Clemens Kernert

BALD ANDERS – Facebook

An Autumn For Crippled Children – The Light of September

The Light of September è un album raccomandato ai fruitori del black più atmosferico e degli amanti di certo post punk e lo si ascolta con grande piacere, in virtù di una grande scorrevolezza e delle sue peculiarità che, piacciano o meno ai puristi, ne costituiscono il principale punto di forza.

Gli An Autumn For Crippled Children sono una strana creatura musicale che ormai da diversi anni offre un mix, invero dai tratti molto personali, di shoegaze, darkwave e black metal, il tutto sempre con risultati decisamente positivi.

Il solo problema di chi si cimenta in simili operazioni è quella di avere a che fare con ascoltatori magari non troppo propensi nel derogare dai propri gusti musicali, rischiando così di scontentare, da una parte, quelli che non sopportano la voce in screaming e, dall’altra, chi ritiene lo sviluppo musicale troppo morbido per avere diritto di cittadinanza nel panorama dei generi più estremi.
Sicuramente, a chi non suddivide la musica in compartimenti stagni l’opera di questi olandesi sarà decisamente gradita, perché la facilità innata nel tessere melodie avvolgenti quanto malinconiche da parte del trio è sempre sorprendente.
Non c’è un solo brano, infatti, che non regali uno sviluppo armonico incisivo al quale il substrato metallico dona solo uno scheletro più robusto senza andarne a snaturare l’essenza; d’altro canto, se è vero che tra magnifiche tracce come The Light of September, Lovelorn e Fragility le differenze appaiono evidenti per approccio e ritmi, non si può fare a meno di notare che, alla lunga, rischia ugualmente di affiorare quel pizzico di ripetitività capace di offuscare leggermente il piacere dell’ascolto.
Detto questo, personalmente preferisco di gran lunga trascorrere una quarantina di minuti del mio tempo con gli An Autumn For Crippled Children piuttosto che con i più celebrati Ghost Bath, tanto per restare su territori contigui, proprio perché quello della band dei Paesi Bassi mi appare come un sentire malinconico genuino, a differenza del depressive di facciata, per quanto ben costruito, degli statunitensi.
Al settimo full length in poco più di otto anni, gli An Autumn For Crippled Children offrono un’altra prova di sicuro valore: The Light of September è un album raccomandato ai fruitori del black più atmosferico e degli amanti di certo post punk (il lavoro del basso è un marchio di fabbrica, in tal senso), e lo si ascolta con grande piacere in virtù di una grande scorrevolezza e delle sue peculiarità che, piacciano o meno ai puristi, ne costituiscono il principale punto di forza.

Tracklist:
1. The Light of September
2. New Hope
3. Hiding in the Dark
4. Lovelorn
5. Fragility
6. The Silence Inside
7. A New Day Has Come
8. Still Dreaming
9. The Golden Years

Line-up:
TXT – Bass, Keyboards
CXC – Drums
MXM – Vocals, Guitars, Keyboards

AN AUTUMN FOR CRIPPLED CHILDREN – Facebook

Noctem Aeternus – Winter Spells

Winter Spells scorre molto bene, abbastanza ben prodotto per i canoni del black e connotato da una serie di brani dal buon impatto melodico e di pregevole valore.

Winter Spells è il primo full length di questo progetto solista proveniente dall’Argentina, terra che di norma non è protagonista in ambito black metal.

Uscendo per Naturmacht non sorprende certo il constatare che Noctem Aeternus propone una versione molto atmosferica del genere con risultati sicuramente soddisfacenti, perché se si possiedono doti compositive adeguate ed un buon gusto melodico il più è fatto.
Winter Spells scorre così molto bene, abbastanza ben prodotto per i canoni del black e connotato da una serie di brani dal buon impatto melodico e di pregevole valore come Nocturnal Mantle e Bleeding Night, senza dimenticare una proposta a suo modo coraggiosa in tale ambito sotto forma di un brano delle durata di quasi un quarto d’ora, The Waning Moon Has Fallen, nel corso del quale abbondano le variazioni sul tema senza che però il bravo musicista argentino perda di di vista il proprio filo compositivo.
E’ forse proprio la notevole fruibilità dell’album, nel suo insieme, che mi suggerisce più che in altri frangenti un’intermittente sensazione di già sentito, un qualcosa che aleggia però senza disturbare in maniera decisiva l’ascolto; non va nemmeno dimenticato che questa è la prima prova di consistente durata da parte di Noctem Aeternus, per cui Winter Spells deve necessariamente essere considerato un album più che soddisfacente, e un’ideale base di partenza per un progetto in grado di ambire a risultati ancora migliori, alla luce del notevole potenziale che si percepisce.

Tracklist:
1. Winter Spells
2. Ahab
3. Bleeding Night
4. Nocturnal Mantle
5. Interlude in G minor
6. Autumn Glare
7. Diminishing Night
8. The Waning Moon Has Fallen
9. The Final Hill

Line-up:
Noctem Aeternus – All instruments, Vocals (2014-present)

NOCTEM AETERNUS – Facebook

A Forest of Stars – Grave Mounds And Grave Mistakes

Grave Mounds And Grave Mistakes porta ad un livello qualitativo ancora superiore l’idea musicale degli A Forest Of Stars, giungendo molto vicino alla perfezione.

Se l’esistenza di un musicista o di una band assume un proprio senso compiuto nel momento stesso in cui la sua proposta appare unica e facilmente riconoscibile, allora dobbiamo dare atto agli A Forest Of Stars d’essere riusciti pienamente in questa non facile impresa.

La pittoresca congrega di gentlemen vittoriani è in pista ormai da un decennio ed ha continuato ad offrirci album denotati da un costante crescendo qualitativo, rendendo via via sempre più fluida la commistione tra il black metal, che costituisce solidamente la base del sound, un folk tipicamente british ed atmosfere oscure e magnificamente avvolgenti.
Questo ultimo Grave Mounds And Grave Mistakes si porta ad un livello ancora superiore che avvicina di molto alla perfezione l’idea musicale del combo di Leeds: capita davvero di rado, infatti, che un disco di oltre un’ora di durata riesca a coinvolgere in maniera totale senza mostrare alcun segno di cedimento o perdersi in lungaggini interlocutorie.
Del resto, dopo l’intro Persistence Is All, un brano come Precipice Pirouette ci trasporta di peso e senza indugi in quell’epoca che, grazie agli A Forest of Stars, abbiamo imparato a conoscere un po’ meglio, coadiuvati dal racconto stentoreo e teatrale di Mr.Curse, fondamentale nell’economia di ogni lavoro della band, anche se a qualcuno potrà apparire un elemento alieno all’evocatività del sound.
L’afflato melodico di Precipice Pirouette, con il morbido controcanto di Katerine, viene spezzato da una repentina quanto caratteristica sfuriata, prima che il flauto introduca Premature Invocation, traccia che si apre in un finale di drammatica intensità.
E’ il black metal, furioso così come lo conosciamo nelle sue sembianze più canoniche, a connotare Children of the Night Soil, costituendo una parentesi decisamente meno ammaliante nella sua forma, andando a creare così un contrasto netto e deciso con la poesia più rarefatta di Taken by the Sea, interamente interpretata da Katerine.
Una parentesi più delicata e a suo modo eterea, che introduce gli ultimi venti minuti dell’album, prima con Scripturally Transmitted Disease, traccia che cambia connotati più volte prima di adagiarsi su un finale atmosferico e lasciare spazio alla chiusura della stupefacente Decomposing Deity Dance Hall, brano pazzesco nel quale il sentore folk della parte iniziale viene messo momentaneamente all’angolo per alcuni minuti nei quali sembra che i nostri, nel corso di una seduta medianica, vengano posseduti dallo spirito degli Alan Parson’s Project, prima che nuovamente sonorità black, ariose e solenni, conducano al termine di un album meraviglioso.
Bisogna essere musicisti di livello superiore per riuscire ad offrire un disco così denso, complesso, pieno eppure sempre fruibile; forse la loro imprevedibilità e la difficile collocazione stilistica li farà sempre restare un una confortevole nicchia di culto, fatto sta che oggi gli A Forest Of Stars sono una delle espressioni musicali più originali ed eccitanti dell’intera scena metal e non sarebbe male che se accorgessero molte più persone.

Tracklist:
1.Persistence Is All
2.Precipice Pirouette
3.Tombward Bound
4.Premature Invocation
5.Children of the Night Soil
6.Taken by the Sea
7.Scripturally Transmitted Disease
8.Decomposing Deity Dance Hall

Line-up:
Mr. T.S. Kettleburner – Bass, Vocals, Guitars
The Gentleman – Drums, Keyboards, Pianoforte, Percussion
Mister Curse – Vocals
Katheryne, Queen of the Ghosts – Vocals, Violin, Flute
Mr. John “The Resurrectionist” Bishop – Drums, Percussion
Mr. Titus Lungbutter – Bass
Mr William Wight-Barrow – Guitars

A FOREST OF STARS – Facebook

 

Hermóðr – Rovdjur & Northern Might

Viviamo in tempi distopici e il black metal non offre le risposte ma semmai dischi di una bellezza eroticamente mortale come questo, dove è presente uno dei tanti pneuma di questo immenso genere.

Due lunghe suite di black metal atmosferico minimale e dal grande fascino, un qualcosa di arcaico che risveglia un senso di bellezza e di soddisfazione come se ci si stendesse sopra un prato verde in una primavera ventilata su al nord.

Hermóðr è un progetto dello svedese Rafn, attivo dal 2012, che ha saputo raccogliere un buon numero di adepti e ascoltandolo non si può fare a meno di amarlo perché incarna molte delle cose belle del black metal. Come già detto poc’anzi, la struttura del suono è fortemente atmosferica, la struttura è molto minimale e la bassa fedeltà non è estrema ma è voluta ed è indispensabile per la riuscita del tutto. Il suono nel suo complesso è debitore dei Bathory, del resto Quorthon è il nume tutelare di un certo modo di fare e di credere il black metal, ma è ugualmente originale. Il dipanarsi delle canzoni è progressivo (la forma canzone è lontana da questi lidi) e si può cogliere qualcosa in quota primo Alcest, giusto per far capire le coordinate, senza però l’attuale “piacioneria” del francese ma con un rigore minimale. Bisogna essere molto bravi e capaci per fare due pezzi di oltre quindici minuti l’uno in questo genere riuscendo a farsi apprezzare. Da ogni aspetto, copertina, titolo etc, traspare la ferrea volontà di mettere la musica come motore primo e scopo ultimo ed unico, senza fronzoli e pose. Tutto qui va verso un’idea mitica ed idealizzata del nord, sia esso quello antico o forse quello che non c’è mai stato, ma sempre meglio di ciò che stiamo vivendo, che è davvero sbagliato; viviamo in tempi distopici e il black metal non offre le risposte ma semmai dischi di una bellezza eroticamente mortale come questo, dove è presente uno dei tanti pneuma di questo immenso genere. Un sogno lento dal quale non vi vorrete svegliare.

Tracklist
1.Rovdjur
2.Northern Might

Line-up
Rafn – Everything

HERMODR – Facebook

Mesarthim – The Density Parameter

L’album è intriso di un immaginario cosmico che i Mesarthim interpretano con grande competenza e buon gusto, affidandosi ad ampie aperture melodiche che rifuggono abilmente il rischio di apparire stucchevoli.

The Density Parameter è il terzo full length per questo progetto atmospheric black australiano, nel quale ci siamo già imbattuti in occasione dei due precedenti lavori su lunga distanza (ai quali si accompagna un nutrito numero di Ep).

La componente black, in effetti, come è naturale che sia per uno stile nel quale è la melodia a prendere il sopravvento, si è via via stemperata rispetto agli esordi sino ad risultare davvero minima in quest’ultimo frangente, andando di fatto a coincidere con le diradate parti vocale in screaming.
L’album è come sempre intriso di un immaginario cosmico che i nostri interpretano con grande competenza e buon gusto, affidandosi ad ampie aperture melodiche che rifuggono abilmente il rischio di apparire stucchevoli; peraltro, sono proprio i passaggio nei quali meglio vengono delineate le atmosfere sognanti quelli in cui l’operato dei Mesarthim tocca il suo apice e trova anche la propria ragione d’essere.
Ω, Transparency e Fragmenting, ovvero i tre brani più lunghi del lotto, sono appunto gli episodi nei quali l’idea musicale del duo australiano viene espressa in manie più compiuta: nei primi due casi grazie a linee melodiche suadenti e ben memorizzabili, nel terzo con un andamento leggermente più vario, alla luce anche di un bell’inserto di elettronica nella parte centrale, prima di un finale piuttosto ricco di variazioni sul tema.
Ovviamente questo versante del black metal, spinto al massimo dal punto di vita atmosferico, difficilmente troverà i favori di chi predilige le sembianze true del genere, rivelandosi invece più adatto a chi ha già una certa familiarità con le sonorità sdoganate in passato dai vari Burzum e Mortiis.

Tracklist:
1. Ω
2. Collapse
3. Transparency
4. 74%
5. Recombination
6. Fragmenting

Line up:
. – Other
. – Vocals

MESARTHIM – Facebook

Autumnwind – Endless Fear

Endless Fear è un lavoro interessante, che mette in evidenza le buone potenzialità di un progetto ancora in divenire.

Suonare metal nei paesi mediorientali non è mai una passeggiata di salute, visto che in molti di essi l’egemonia culturale strettamente connessa alla religione comporta persino rischi a livello penale per chi ci prova; non credo che questo sia di norma lo stato delle cose in Siria, dove però purtroppo le difficoltà non devono essere certo da meno, a causa della guerra civile che attanaglia da anni una terra che è stata una delle più antiche culle della civiltà.

GaaRa “Abdulrahman Abu Lail”, con il suo progetto denominato Autumnwind, propone in Endless Fear un black metal atmosferico che tutto sommato lascia uno spazio molto limitato alle pulsioni estreme, rinvenibile in rare accelerazioni, affidando il tutto al lavoro delle tastiere, con le quali vengono tessute buone melodie.
Il riferimento più logico per il sound proposto dal musicista asiatico sono i Lustre, per cui c’è da attendersi fondamentalmente un sound piuttosto lieve, dalla marcata impronta melodica e con diversi elementi ambient.
GaaRa cerca di comunicare, con Endless Fear,  le sensazioni derivanti dagli attacchi di panico dei quali è stato vittima in tempi relativamente recenti: non solo per tale motivo, in questa mezz’ora di musica l’impressione è quella d’avere a che fare con un artista di indubbia sensibilità e con le doti necessarie per potersi ritagliare uno spazio in questa nicchia stilistica.
A mio avviso però, per riuscirci, dovrebbe forse focalizzarsi con maggiore decisione sul lato più evocativo del proprio sound, che emerge con prepotenza in bellissime tracce come The Hallucination e nella title track, mentre quando è l’anima più ruvidamente black a prendere il sopravvento (Forever Insomnia) gli esiti non sembrano altrettanto soddisfacenti.
Endless Fear è comunque un lavoro interessante, che mette in evidenza le buone potenzialità di un progetto ancora in divenire.

Tracklist:
1.The Panic Attack
2.The Hallucination
3.Lost And Alone
4.Forever Insomnia
5.Endless Fear

Line up:
GaaRa “Abdulrahman Abu Lail”

AUTUMNWIND – Facebook

Skogen – Skuggorna Kallar

Realtà consolidata nel panorama black metal nord europeo, gli Skogen dimostrano, come sempre, la loro identità e la loro personalità; suggestive emozioni in un black metal dagli antichi sapori nordici.

Realtà consolidata nel panorama black metal nord europeo, gli Skogen approdano al loro quinto full length, a quattro anni di distanza dal meraviglioso I Doden.

Svedesi, di Vaxjo, fin dal nome che vuol dire “forest” hanno improntato il loro suono su un black intriso di temi naturalistici tesi a omaggiare la bellezza, la forza selvaggia e l’oscurità del paesaggio nordico che li circonda. Attivi dal 2009, non hanno mai perso la loro ispirazione e hanno creato fino ad oggi cinque full length, tutti immersi in un suono black selvaggio e melodico, debitore della scuola svedese, ricco di elementi folk e suggestive atmosfere evocative che aprono la mente verso spazi glaciali e sconfinati; non hanno prodotto split, EP o partecipato a collaborazioni, solo album interi che consiglio di recuperare per apprezzare l’identità e la personalità della band. Anche quest’ultimo sforzo creativo ricrea atmosfere superbe fino dall’opener Det nordiska morkret, che dimostra un senso melodico superiore, con clean vocals alternate a un lacerante growl mentre il suono si apre in una melodia tastieristica antica e sognante…
L’omaggio alla loro terra natia pervade ogni nota dell’opera, specie quando si lanciano in brani tesi e vibranti, sempre accompagnati da un gusto melodico che profuma di ancestrale come in Nar solen bleknar bort, dove gli ingredienti sono miscelati ad arte per farci volare con la mente verso spazi innevati e selvaggi; l’alternanza tra clean, scream e growl è ben equilibrata e la presenza di parti corali aggiunge potenza e capacità suggestiva all’insieme. Non ci sono filler, otto brani ispirati e ottimamente suonati, parti folk che si intrecciano alla meraviglia nel tessuto black, sorprendendo e lasciando grandi sensazioni (Nebula); i ritmi mai estremamente sostenuti sono perfetti per creare suggestioni come nella splendida Frostland, perfetta fin dal titolo, intarsio di folk e black calibrato al millimetro. Il ritmo rallentato e gli arpeggi di The sun’s blood aggiungono ulteriore vigore e gli ultimi due lunghi brani, Beneath the trees e The funeral sublimano tutte le grandi emozioni che questa band sa infondere nel nostro cuore; è con questi suoni e con queste opere che il black metal mostra una volta di più le proprie radici e la propria forza.

Tracklist
1. Det nordiska mörkret
2. När solen bleknar bort
3. Nebula
4. Omen
5. Frostland
6. The Sun’s Blood
7. Beneath the Trees
8. The Funeral

Line-up
Joakim Svensson – Bass, Vocals
Mathias Nilsson – Guitars, Vocals
L. Larsson – Drums, Vocals
Jonathan Jansson – Guitars, Vocals

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