Sad Iron – Chapter II: The Deal

Ritmiche scagliate a velocità della luce, solos taglienti come rasoi, e refrain da pogo infernale sotto qualunque palco in giro per locale e festivals, niente di più e niente di meno, una garanzia la track list di questo lavoro per i fans di queste sonorità.

Heavy, speed, thrash metal old school, una corsa a tutta velocità nel sound che ha fatto storia, questo è il terzo album in uscita per Wormholedeath dei Sad Iron, una macchina da guerra metallica fieramente old school.

Il gruppo olandese risulta attivo dai primi anni ottanta, con il primo album, intitolato Total damnatio targato 1983, quindi siamo al cospetto di gente che ha scritto un pezzo di storia l’ha scritta nell’underground metallico europeo.
Un lungo silenzio interrotto tre anni fa con la pubblicazione di The Antichrist ed ora questo nuovo album intitolato Chapter II: The Deal, composto da una decina di canzoni veloci come il vento, dirette e tradizionalmente old school, che ci catapultano in quelle atmosfere ottantiane mai dimenticate, soprattutto se si hanno un bel po’ di capelli bianchi sulla ormai rada chioma.
Ritmiche scagliate a velocità della luce, solos taglienti come rasoi, e refrain da pogo infernale sotto qualunque palco in giro per locale e festivals, niente di più e niente di meno, una garanzia la tracklist di questo lavoro per i fans di queste sonorità.
Suonate dai Sad Iron, le varie The Deal (The Story Of Miss Betty), Revolution e la magnifica Fighting For Revenge si rivelano esplosioni di metal adrenalinico vecchia scuola e Chapter II: The Deal, nella sua interezza, un lavoro heavy/speed/thrash metal convincente su tutta la linea.

Tracklist
1.The Deal (The Story of Miss Betty)
2.Revolution
3.Raise Hell
4.Warmonger
5.Now It’s Dark
6.Fighting for Revenge
7.F.O.B
8.Murder of Crows
9.Weaponized
10.We Play to Kill

Line-up
Marc van den Bos – Guitar, vocals
Bernard Rive – Guitar
Bjorn Hylkema – Bass, backing vocals
Marco Prij – Drums

https://www.facebook.com/sadironmetal/

Ares Kingdom – By the Light of Their Destruction

Grezzi, indiavolati e cattivissimi gli Ares Kingdom non tradiscono, continuano il loro discendere negli abissi paludosi del death metal fregandosene altamente di quello che la tecnologia ha regalato in tutti questi anni, confezionando un album malvagio, brutale e rivolto agli appassionati più incalliti.

Il sound degli Ares Kingdom è un death/thrash metal old school, devastante e senza compromessi, legato a doppia mandata alla scuola estrema a cavallo tra gli anni ottanta (thrash) ed il decennio successivo (death).

La band nasce a metà anni novanta, la sua discografia vanta tre full length e numerosi ep, arrivando a questo nuovo quarto lavoro su lunga distanza dopo che tra il 2018 e quest’anno ha rilasciato la bellezza di quattro ep.
Death/thrash old school, dove anche la produzione segue il sound nel ricordare i pionieri del metal estremo, tra Slayer, Possessed e primi Obituary.
By the Light of Their Destruction è composto da otto brani che non trovano sbocchi se non nei gusti degli affezionati, di quei fans duri e puri che disprezzano tutto quello che viene prodotto oggigiorno, a meno che non risultino tributi alla scena metallica estrema di trent’anni fa, tra Slayer, Possessed e primi Obituary.
Grezzi, indiavolati e cattivissimi gli Ares Kingdom non tradiscono, continuano il loro discendere negli abissi paludosi del death metal fregandosene altamente di quello che la tecnologia ha regalato in tutti questi anni, confezionando un album malvagio, brutale e rivolto agli appassionati più incalliti.
Tracklist
01. The Hydra Void
02. Burn, Antares (Scorpius Diadem)
03. Dark Waters Eridanus
04. Eighteen Degrees Beneath
05. Allegory
06. The Bones Of All Men
07. Iconologia
08. Talis Chimera Est

Line-up
Alex Blume – Vocals/Bass
Chuck Keller – Lead Guitar
Mike Miller – Drums

https://www.facebook.com/Ares-Kingdom-97935152280/

https://youtu.be/NBbT6LJtwhs

Birdflesh – Extreme Graveyard Tornado

Mezzora passata con i Birdflesh è sinonimo di ottima musica metal, il genere non offre grossi spunti innovativi ma il divertimento è assicurato da un impatto ed un’attitudine che fanno di Extreme Graveyard Tornado uno degli album più convincenti ascoltati ultimamente nel genere.

Come una tempesta improvvisa e devastante arriva, tramite la Everlasting Spew, la nuova fatica del trio svedese chiamato Birdflesh, da venticinque anni nella scena underground estrema.

Era il 1994, infatti, quando la band diede alle stampe il primo demo e oggi siamo arrivati al quarto full length di una discografia che, come da tradizione nel genere, è ricca di split, ep e compilation.
L’ultimo lavoro, intitolato Extreme Graveyard Tornado, vede il trio composto da Smattro Ansjovis (batteria e voce), Count Crocodelis (chitarra e voce) e Willy Whiplash alle prese con ventiquattro brani di cui ben pochi superano a malapena il minuto di durata, ma che formano un muro sonoro thrash/grind potentissimo.
Ed il sound di questi ormai veterani della scena estrema di stampo grindcore riesce a coinvolgere grazie ad un songwriting ispirato e ad una raccolta di brani brevi, distruttivi ma assolutamente coinvolgenti.
Il gruppo alterna feroce grind core a spettacolari sferzate thrash metal, oppure li mixa creando tempeste e tsunami estremi senza soluzione di continuità.
Mezzora passata con i Birdflesh è sinonimo di ottima musica metal, il genere non offre grossi spunti innovativi ma il divertimento è assicurato da un impatto ed un’attitudine che fanno di Extreme Graveyard Tornado uno degli album più convincenti ascoltati ultimamente nel genere.

Tracklist
1.Towards Insanity
2.Are We Great Again?
3.Crazy Train Decapitation
4.Grind Band
5.Home of the Grave
6.Milkshake is Nice
7.Another Pig
8.Guacamolestation of the Tacorpse
9.Crazyful Face
10.Thank You for the Hostility
11.Crazy Nights
12.Botox Buttocks
13.House Guest
14.Accused of Suicide
15.Black Hole Jaw
16.Amish Girl
17.The Rise of Stupidity
18.Pub Night
19.Pyromaniacs
20.Bite the Mullet
21.Almost Aggression
22.Garlic Man
23.Mouth for Gore
24.Land of the Forgotten Riffs

Line-up
Smattro Ansjovis – Drums & vocals
Count Crocodelis – Guitars & vocals
Willy Whiplash – Bass & vocals

https://www.facebook.com/birdfleshgrind

Metalian – Vortex

Vortex è devastante, melodico ed irresistibile, come il pogo a cui vi esporrete sotto il palco calcato da questi quattro canadesi.

Un sound che corre veloce come il vento sulle ali di un heavy/speed metal di matrice old school: questo è Vortex, ultimo album dei Metalian, quartetto di Montreal arrivato al terzo lavoro in oltre quindici anni di carriera.

Con i Judas Priest a fare da padrini all’heavy metal suonato dal gruppo, Vortex si lascia ascoltare che è un piacere, colmo di cavalcate tali da far saltare gli autovelox e solos che sono temporali metallici scatenanti lampi e tuoni.
Trenta minuti in balia del metal classico dei Metalian, otto brani che non trovano ostacoli, di genere, assolutamente derivativi ma spettacolari, almeno per chi è cresciuto a pane ed heavy metal.
The Sirens Wail, Land Of The Brave, la title track non escono di un millimetro dai canoni dell’heavy metal anni ottanta, new wave of British heavy metal e speed si alleano nel sound dei Metalian per portare il verbo del true metal old school nel nuovo millennio: Vortex è devastante, melodico ed irresistibile, come il pogo a cui vi esporrete sotto il palco calcato da questi quattro canadesi.

Tracklist
1. Prologue
2. The Sirens Wail
3. Full Throttle
4. Vortex
5. Land of the Brave
6. Liquid Fire
7. Broke Down
8. No Home

Line-up
Ian – vocals / guitar
Simon – guitar
Andres – bass
Tony – drums

https://www.facebook.com/metalianz

Streambleed – Enslave The World Forever

Groove metal alla massima potenza, tra tradizione e modernità in arrivo dall’Austria tramite la Wormholedeath, che ci invita al massacro perpetuato dagli Streambleed.

Un potentissimo e devastante meteorite metallico di dimensioni enormi in caduta libera sulla terra.

Groove metal alla massima potenza, tra tradizione e modernità in arrivo dall’Austria tramite la Wormholedeath, che ci invita al massacro perpetuato dagli Streambleed, giovane quintetto attivo dal 2015 e ora giunto al debutto con questo debordante esempio di groove/thrash metal intitolato Enslave The World Forever, composto da undici deflagranti esplosioni metalliche.
Fin dall’inizio, con Damnation, veniamo travolti e schiacciati da questa massa di note che, libere come l’acqua di un bacino enorme dopo il crollo di una diga, travolge senza lasciare nulla al suo passaggio.
Siamo nel metal statunitense nato tra gli anni novanta e i primi vagiti del nuovo millennio, con i Pantera a fare da capostipiti di una famiglia estrema che ha portato scompiglio nel circuito metallico degli ultimi anni, unendo tradizione thrash ed attitudine modern, con il sound potenziato da overdose di groove.
Hate & Destroyed, la pachidermica Obsessed, la drammatica e soffocante atmosfera di Black Rain, il massacro causato dalla devastante Panic At The Moshpit, alzano l’atmosfera da tregenda di un lavoro che tracima violenza da tutti i pori.
Machine Head e Devil Driver caricati come pallettoni e sparati ad altezza d’uomo, amplificandone attitudine estrema, impatto e groove: questo è il mastodobticoEnslave The World Forever.

Tracklist
1. Damnation
2. Hated And Destroyed
3. Obsessed
4. Supersystem
5. Enslave The World Forever
6. Black Rain
7. Voice Of The Stream
8. Between Fire And Fire
9. Panic At The Moshpit
10. The Final Hour
11. Let It Out Loud (Bonus Track)

Line-up
Stefan Weilnböck – Vocals
Stefan Wöginger – Guitar
Christian Rosner – Guitar
Jakob Reiter – Bass
Tobias Mayrhofer – Drums

https://www.facebook.com/streambleed/

Damage S.F.P. – Damage S.F.P.

I primi Metallica sono la band che emerge di più tra le influenze artistiche dei Damage S.F.P., ma il riferimento va preso con le pinze perché qui si viaggia a tripla velocità e potenza.

La Rockshots Records accende la miccia e fa saltare una diga di note thrash metal travolgenti come una massa d’acqua che distrugge ogni cosa al suo passaggio.

I Damage S.F.P. arrivano all’esordio con una serie di brani scritti tra il 1991 ed il 1994 da tre amici provenienti da Helsinki: Jarkko ”Jaake” Nikkilä (voce e chitarra), Antti Remes (basso) e Tero Lipsonen (batteria).
La band, scioltasi nel 1996, torna sulle scena underground metallica con questo esordio omonimo sulla lunga distanza, di fatto primo lavoro a parte i due demo stampati nel 1993 e nel 1996.
Thrash metal classico portato all’estremo da tuoni e fulmini hardcore e death, un sound che non conosce compromessi, veloce, potente ed inarrestabile e classicamente old school (e non può essere diversamente visto l’anno di creazione dei brani).
Niente di nuovo nello spartito delle varie Death Of Innocent, Ruthless Fate, della devastante Tyrant e nelle aperture melodiche di In Termination, solo speed/thrash metal attoa a a creare un indistruttibile muro sonoro.
I primi Metallica sono la band che emerge di più tra le influenze artistiche dei Damage S.F.P., ma il riferimento va preso con le pinze perché qui si viaggia a tripla velocità e potenza.

Tracklist
1. Ride
2. Death of Innocent
3. Ruthless Fate
4. Tyrants
5. Insomnium (inst.)
6. Ode to Sorrow
7. Tragedy
8. Grain Brain
9. Crying for Relief
10. In Termination
11. Burst of Rage

Line-up
Jarkko ”Jaake” Nikkilä – Vocals and Guitars
Antti Remes – Bass
Tero Lipsonen – Drums

https://www.facebook.com/damage.sfp

Steignyr – Myths Through The Shadows Of Freedom

Un disco importante per il genere, decisamente dentro all’alveo celtico del folk metal, e una buona prova da parte di un gruppo che è una sicurezza e che è destinato a crescere ulteriormente.

Gruppo folk metal da Barcellona con grande esperienza alle spalle, gli Steignyr pubblicano l’ultima fatica su Art Gates Records.

Nata nel 2012, la band propone un folk metal molto influenzato dal mondo celtico, vicino al power metal e al thrash, con forti innesti di tastiere. La capacità compositiva porta a scrivere vere e proprie storie, canzoni che diventano fiabe e ci permettono di immergerci totalmente in un’epoca che non è la nostra. Myths Through The Shadows Of Freedom è un disco molto fedele al titolo, nel senso che racconta miti o meglio archetipi, persi nelle ombre della storia, ombre che confondono ciò che è mito e ciò che è invece reale e questo è il bello delle storie, la loro possibilità. Qui è bella anche la musica, un folk metal melodico e molto piacevole, che ti cattura dalle prime note e porta avanti un discorso stilistico certamente non inedito ma di indubbia efficacia. Il loro incedere piacerà sia a chi è un ortodosso del genere, e anche a chi si avvicina per la prima volta ad un genere come il folk metal che vi regalerà molte gioie se seguite i gruppi giusti, e gli Steignyr sono sicuramente fra loro. Il loro impasto sonoro è al servizio della narrazione, con momenti molto epici e di grande presa, con un gran lavoro delle tastiere di Hyrtharia che danno un tocco speciale al tutto. Il disco è da ascoltare tutto, come se fosse la lettura di un poema epico, un ricordare qualcosa che ha sempre fatto parte di noi e che questa maledetta modernità ha sopito per troppo tempo, soprattutto quel senso di meraviglia di fronte alle cose belle che l’uomo ha sempre avuto. Un disco importante per il genere, decisamente dentro all’alveo celtico del folk metal, e una buona prova da parte di un gruppo che è una sicurezza e che è destinato a crescere ulteriormente.

Tracklist
1. Salvation Through Divinity
2. Those Who Lie
3. Black Rain
4. Calling The Immortals
5. Frost Wolf
6. Moonlight Forest
7. Arrows Of Time
8. You’ll Never Be Forgotten
9. Light Beast
10. Whisper Calling
11. Frozen In Time
12. Myths Through The Shadows Of Freedom
13. The Seven Eyes Of God

Line-up
Jön thorgrimr – Vocals and guitar
Seimdar Fjolnir – Guitars
Lena – Keyboard and vocals
Hyrtharia – Bass and vocals
Zelther – Drums

https://www.facebook.com/Steignyr

Power From Hell – Profound Evil Presence

Profound Evil Presence è un rantolo di blasfemia proveniente dall’angolo più buio dell’inferno, un sound che, prendendo spunto dalla scuola di Venom, Possessed e Darkthrone, si rinvigorisce di un impatto thrash/black e travolge con la sua accentuata natura estrema.

Old School nel sound ed assolutamente anticristiani per quanto riguarda testi ed attitudine, i brasiliani Power From Hell tornano a portare il loro messaggio infernale sulla scena musicale mondiale.

Profound Evil Presence è un abominio black/thrash ispirato dalla scuola ottantiana, un lavoro che brucia, avvolto dalle fiamme dell’inferno.
I Power From Hell non sono certo un gruppo di novellini, perché la loro storia inizia all’alba del nuovo millennio e con quest’ultimo lavoro arrivano al sesto album della loro luciferina discografia.
Un’atmosfera catacombale, una produzione in linea con l’attitudine old school e un’anima devota alla fiamma nera nutrono questo nuovo lavoro, composto da undici brani estremi in cui satanismo, pornografia, blasfemia, terrore e morte trovano la loro colonna sonora.
Profound Evil Presence è un rantolo di blasfemia proveniente dall’angolo più buio dell’inferno, un sound che, prendendo spunto dalla scuola di Venom, Possessed e Darkthrone, si rinvigorisce di un impatto thrash/black e travolge con la sua accentuata natura estrema.

Tracklist
1. Nightmare
2. When Night Falls
3. False Puritan Philosophies
4. Lust, Sacrilege & Blood
5. Nocturnal Desire
6. Unholy Dimension
7. Lucy’s Curse
8. Diabolical Witchcraft
9. Into The Sabbath
10. Elizabeth Needs Blood
11. Demons Of The Night

Line-up
Sodomic – Guitars and Vocals
Tormentor – Bass
T. Splatter – Drums

https://www.facebook.com/OfficialPowerFromHell

Systemhouse 33 – End Of Days

End Of Days conferma la band indiana come una delle realtà più convincenti in ambito estremo di matrice moderna, con ancora Lamb Of God, Machine Head e DevilDriver ad ispirare Samron Jude e soci.

Si torna a parlare di metal estremo in arrivo dalla lontana India con l’ultimo lavoro dei modern Thrashers Systemhouse 33, band capitanata dal cantante Samron Jude e di cui abbiamo parlato già in passato, all’epoca delle uscite di Depths of Despair (2013) e Regression (2016).

Incentrato sulle tematiche del Libro dell’Apocalisse, questo nuovo lavoro intitolato End Of Days cambia ancora una volta le carte in tavola per quanto riguarda il sound, che se nei due album precedenti passava dal metal panterizzato del primo all’impatto più core del secondo, qui si trasforma in un thrash metal progressivo ed assolutamente distruttivo, sempre dall’anima moderna, ma con un lavoro ritmico fantasioso e sopra le righe.
Il leader al microfono ci racconta dell’apocalisse a cui va incontro l’umanità con una carica violentissima, passando dal growl allo scream con buona padronanza del mestiere, mentre il gruppo crea muri sonori intricati che a tratti esplodono in violente ripartenze thrash metal.
L’opener Apocalypse, la devastante Great Tribulation e la death/thrash Rapture sono i brani top di questo ennesimo macello sonoro firmato dai Systemhouse 33
End Of Days conferma la band indiana come una delle realtà più convincenti in ambito estremo di matrice moderna, con ancora Lamb Of God, Machine Head e DevilDriver ad ispirare Samron Jude e soci.

Tracklist
1.Day Of Reckoning
2.Rapture
3.End Of Days
4.Lake Of Sorrow
5.Stand Up
6.Apocalypse
7.Prophesied 03:16
8.Great Tribulation
9.Cry Of Anguish

Line-up
Samron Jude – Vocals,
Leon Quadros – Bass
Mayank Sharma – Drums
Vignesh V – Guitars

https://www.facebook.com/pg/systemhouse33/posts/

Bewitcher – Under the Witching Cross

Under the Witching Cross segue di tre anni il debutto omonimo e propone un travolgente esempio di metal ottantiano, ben prodotto e con una serie di devastanti, crudeli e piacevolmente vecchia scuola

Quando alla qualità si abbina un minimo di talento, anche un genere come lo speed/black metal old school può regalare grandi lavori come questo secondo album dei Bewitcher, trio proveniente da Portland.

Under the Witching Cross segue di tre anni il debutto omonimo e propone un travolgente esempio di metal ottantiano, ben prodotto e con una serie di devastanti, crudeli e piacevolmente vecchia scuola: otto deraglianti tracce che non trovano ostacoli, una serie di cavalcate speed/thrash black metal ignoranti, rocciose ma valorizzate da un lavoro ritmico eccellente, colme di riferimenti alle band storiche del genere, ed in grado di far saltare il banco.
Siamo in territori infernali e i Bewitcher si aggirano tra in cerca di anime a colpi di Venom, Sodom, Motorhead ed attitudine black metal, con un sound che non manca di chiari riferimenti alla new wave of british heavy metal, nei solos e nei mid tempo che si alternano a bolidi musicali che risultano distruttivi come venti atomici.
Savage Lands Of Satan e la seguente Hexenkrieg formano un avvio sfolgorante, la title track e In The Sign Of The Goat e la spettacolare e blasfema Rome Is On Fire sono invece il picco qualitativo di questo gran bel lavoro firmato Bewitcher: quando il genere viene proposto a questi livelli riesce ancora ad avere un suo perché.

Tracklist
1. Savage Lands Of Satan
2. Hexenkrieg
3. Under The Witching Cross
4. Heathen Women
5. Too Fast For The Flames
6. In The Sign Of The Goat
7. Rome Is On Fire
8. Frost Moon Ritual

Line-up
Mateo Von Bewitcher – Guitars, Lead Vocals
Andreas Magus – Bass, Vocals
Rand Crusher – Drums

https://www.facebook.com/BewitcherOfficial

Sinners Bleed – Absolution

Un lavoro distruttivo, tecnicamente ineccepibile ma consigliato solo ai fans del metal estremo di stampo death/thrash.

Il 2019 segna il ritorno dei deathsters tedeschi Sinners Bleed, quintetto nato nella seconda metà degli anni novanta ma con un solo album alle spalle, From Womb To Tomb, licenziato nel 2003.

Purtroppo i molti problemi legati alla line up, hanno fermato a lungo il cammino del gruppo nella scena death metal europea, un silenzio durato sedici anni che si interrompe grazie ad Absolution, di fatto la rinascita per i Sinners Bleed.
Absolution, disco di death metal potenziato da feroci accelerazioni thrash ed ispirato alla scena statunitense, non dà tregua, ci prende per il colletto e ci sbatte al muro, mentre una serie di ganci al basso ventre ci lasciano inermi a terra.
Dieci brani tra Obituary e Machine Head, una prova di forza che non lascia dubbi sulla voglia di rifarsi del quintetto berlinese, grazie ad un sound che nel genere risulta un muro sonoro invalicabile.
Tempo per scaldare i motori con l’intro e Age Of The Crow inizia a martellare i padiglioni auricolari senza pietà, la tecnica non manca di certo al combo che si inerpica per spartiti intricati dando sfoggio di bravura oltre che d’impatto.
Solos che si avvolgono come serpenti tra le ritmiche telluriche di brani portentosi come The Second Being o Behind The Veil, l’album vive di scossoni estremi, concedendo poco alla melodia che rimane travolta dall’impatto violento e senza compromessi.
Un lavoro distruttivo, tecnicamente ineccepibile ma consigliato solo ai fans del metal estremo di stampo death/thrash.

Tracklist
1. Intro
2. Age Of The Crow
3. Gleaming Black
4. The Second Being
5. Devouring Hatred
6. Behind The Veil
7. Dawn Of Infinity
8. Absolution
9. Obedience
10. Jesus’ Delusion Army

Line-up
Jan Geidner – Vocals
Sebastian Ankert – Guitar
Arne Maneke – Guitar
Henrik Fuchs – Bass
Eric Wenzel – Drums

https://www.facebook.com/SinnersBleedBand

Out Of Order – Facing the Ruin

Band tedesca esistente dal 1991, gli Out Of Order sono fautoridi un power thrash metal old style che mostra però riff stantii, parti vocali spesso confuse e poco centrate ed una grinta che non riesce ad uscire degnamente dai solchi di Facing the Ruin.

Grande rispetto per gli Out Of Order, cult band tedesca che arriva al terzo album ufficiale in ventotto anni di vita e di concerti macinati soprattutto nelle lande germaniche.

Sicuramente il personale tecnico sfoggiato per questa release è di grande lignaggio: le parti vocali sono state prodotte da Ralf Scheepers (Primal Fear), le chitarre da Markus Ullrich (Lanfear, Septagon) e il mixing finale è stato curato da Dirk Burke (Knorkator, Pyroclasm, Dritte Wahl) al Lakeside Studios a Berlino. Concludiamo con un breve contributo vocale di Liv Kristine (Theatre of Tragedy, Leaves’ Eyes) nella canzone On The Rise. Tutto questo per uno stile che si annuncia come una fusione del Thrash Metal della Bay Area degli anni ottanta con un innesto di melodia che dovrebbe rendere i pezzi più assimilabili.
Anche a costo di non voler essere spietati, quello che si ascolta in Facing The Ruin non corrisponde a questa descrizione; Watching You esordisce sorprendendo, con sound, stile e parti vocali prese in prestito dai Savatage, ma senza mordente e con una ricerca melodica inconcludente. Il resto del disco alterna senza continuità riff già sentiti a parti veloci che si assomigliano un po’ tutte, unite a soluzioni vocali che vorrebbero essere varie ma che risultano quasi sempre poco efficaci e male eseguite. Non c’è un solo ritornello che rimanga in mente, tra citazioni dei primi Metallica e vaghi rimandi allo stile vocale tanto caro ai Rammstein. Non c’è grinta nei solchi del disco, e non possiamo attribuire tutte le colpe ad una produzione fredda e spenta. La passione certamente porta avanti gli Out Of Order, ma senza una idea chiara musicale e qualche buona canzone, non potrà mai essere sufficiente per promuovere Facing The Ruin, che resta negli annali come uscita mediocre ed occasione sprecata.

Tracklist:
1. Watching You
2. Self Deception
3. What For
4. The Sniper
5. Guilty
6. Tears
7. God Is Angry
8. On The Rise
9. Blood Vengeance
10. Apocalypse

Line-up:
Thorsten Braun – vocals
Thomas Bauer – guitar
Sven Mittelstädt – guitar
Thomas Heinzmann – bass
Michael Kapelle – drums

OUT OF ORDER – Facebook

Protector – Summon The Hordes

I Protector tirano su, a forza di riff sparati a velocità proibitive e ritmiche da bombardamento, un muro metallico invalicabile risultando per il genere suonato una band su cui si può sicuramente contare.

Non cambia di una virgola il sound dei Protector, al settimo sigillo di una discografia infinita, tra demo, split, compilation ed appunto sette lavori sulla lunga distanza compreso questo inossidabile Summon The Hordes.

A tre anni di distanza dal precedente Cursed And Coronated, la band tedesco/svedese ci investe ancora una volta con il suo thrash metal di scuola teutonica, un carro armato metallico con le scritte Sodom-Kreator-Destruction in evidenza sulla bocca del cannone.
I Protector però non sono semplicemente dei cloni: la loro storia, partita a metà anni ottanta non lascia dubbi sulla loro attitudine old school, così come un impatto che non ha nulla da invidiare alla famosa triade del thrash metal europeo.
Un sound, quello dei Protector, rimasto fedele a sé stesso per oltre tre decenni, quindi se amavate la band prima di questo lavoro, sicuramente Summon The Hordes non vi deluderà.
Voce cartavetrata, ritmiche speed/thrash, cavalcate metalliche e accelerazioni devastanti persistono nel sound di queste dieci nuove bombe sonore, assolutamente ignoranti e senza compromessi così come il thrash metal di matrice old school vuole.
Difficile trovare un brano che più rappresenti il gruppo, i Protector tirano su, a forza di riff sparati a velocità proibitive e ritmiche da bombardamento, un muro metallico invalicabile risultando per il genere suonato una band su cui si può sicuramente contare.

Tracklist
1. Stillwell Avenue
2. Steel Caravan
3. Realm of Crime
4. The Celtic Hammer
5. Two Ton Behemoth
6. Summon the Hordes
7. Three Legions
8. Meaningless Eradication
9. Unity, Anthems and Pandemonium
10. Glove of Love

Line-up
Martin Missy – vocals
Michael Carlsson – guitar
Mathias Johansson – bass
Carl-Gustav Karlsson – drums

PROTECTOR – Facebook

Barbarian – To No God Shall I Kneel

Ormai in sella ad un destriero infernale da una decina d’anni, la band toscana irrompe con il suo speed/heavy metal che a tratti sfora nel thrash di scuola tedesca, esaltante nelle tante cavalcate metalliche di cui è pregno To No God Shall I Kneel.

I Barbarian tornano con il loro quarto lavoro sulla lunga distanza che ne ribadisce l’assoluta devozione per i suoni old school.

Ormai in sella ad un destriero infernale da una decina d’anni, la band toscana irrompe con il suo speed/heavy metal che a tratti sfora nel thrash di scuola tedesca, esaltante nelle tante cavalcate metalliche di cui è pregno To No God Shall I Kneel, uno dei dischi migliori che mi sia capitato di ascoltare nel genere da diverso tempo.
La voce cartavetrata a ribadire lo spirito battagliero, la vocazione estrema del sound ed un buon uso delle melodie nei solos, fanno da cornice a veloci ripartenze speed/thrash e tellurici mid tempo metallici.
Nella sua mezzora abbondante l’album non ha un attimo di tregua nel suo totale impatto distruttivo, i brani si susseguono uno più efficace dell’altro, con attimi di puro e travolgente heavy metal old school che richiama un numero infinito di gruppi storici senza che si perda un’oncia di convincente personalità.
Dall’opener Obtuse Metal, passando per Birth And Death Of Rish’Ah, il crescendo maideniano di The Old Worship of Pain e la conclusiva title track, To No God Shall I Kneel è un esaltante tuffo nel metal guerriero e senza fronzoli che mise a ferro e fuoco gli anni ottanta, con lo speed/thrash e l’heavy metal che vengono uniti sotto il drappo insanguinato dei Barbarian.

Tracklist
1.Obtuse Metal
2.Birth and Death of Rish’Ah
3.Hope Annihilator
4.Sheep Shall Obey
5.The Beast Is Unleashed
6.The Old Worship of Pain
7.To No God Shall I Kneel

Line-up
Borys Crossburn – Guitars, Vocals
Blackstuff – Bass
Sledgehammer – Drums

BARBARIAN – Facebook

Darkthrone – Old Star

Permangono alcuni elementi che legano queste canzoni alla storia passata dei Darkthrone e che compongono il filo nero di una carriera che non ha eguali, nella quale Old Star è un punto molto luminoso e soprattutto un monito a tutti : potete fare ciò che vi pare, ma il metal è questo.

Tornano i Darkthrone, uno dei gruppi che hanno maggiormente tracciato la storia del metal nel bene e nel male.

Old Star è la nuova fatica di Fenriz e di Nocturno Culto ed è un disco vecchia scuola nella sua essenza e nella sua epifania. Innanzitutto è un lavoro molto godibile, abbastanza lontano dal black, è solo metal al cento per cento andandone a recuperare gli elementi più puri, vicini ai Celtic Frost soprattutto quando si tratta delle linee di chitarra oppure di natura speed thrash per quando riguarda il resto. Tutto ciò non stupisce più di tanto, essendo Fenriz uno dei veri dispensatori mondiali di metal antico e veloce, come si può sentire nel suo programma radiofonico su NTS. L’amore di Fenriz per il metal vecchio stile è totalizzante ed esce fuori prepotentemente in questo disco, che fin dal titolo è una dichiarazione d’amore per le vecchie vibrazioni. In Old Star tutto è volutamente vintage, ma è più preciso dire che è metal nella sua essenza più pura. Non si cerca la velocità a tutti i costi, prediligendo una costruzione della canzone in maniera che sia una crescita costante, attraverso un vortice di riff e una sezione ritmica che portano l’ascoltatore nelle regioni maledette a sud del paradiso. Era da tempo che il duo norvegese non produceva un disco così coinvolgente e completo, una vera e propria dichiarazione stilistica. Old Star è un lavoro affatto anacronistico, è credibile e molto ben prodotto, è metal marcio e sanguinolento, con giri di chitarra che penetrano il cervello, spazzando via le cazzate sul metal come zona di comfort, perché qui è sempre guerra, ossa e sangue. Permangono comunque alcuni elementi che legano queste canzoni alla storia passata dei Darkthrone e che compongono il filo nero di una carriera che non ha eguali, nella quale Old Star è un punto molto luminoso e soprattutto un monito a tutti : potete fare ciò che vi pare, ma il metal è questo.

Tracklist
1 I Muffle Your Inner Choir
2 The Hardship Of The Scots
3 Old Star
4 Alp Man
5 Duke Of Gloat
6 The Key Is Inside The Wall

Line-up
Gylve Fenriz Nagell
Nocturno Culto

DARKTHRONE – Facebook

Sins Of The Damned – Striking the Bell of Death

Striking the Bell of Death è un gran bel lavoro, ma ovviamente il genere rimane di nicchia e l’album indicato agli amanti dell’heavy speed metal tradizionale.

La Shadow Kingdom non sbaglia un colpo e le uscite che vedono il suo logo sul retro di copertina regalano sempre gradite sorprese per quanto riguarda i suoni classici.

I cileni Sins Of The Damned per esempio arrivano tramite la label al traguardo del primo full length dopo svariati lavori minori che ne hanno caratterizzato la carriera dal 2013.
Una manciata di demo è servita al gruppo di Santiago per rodarsi, prima di travolgere glia amanti dei suoni old school di matrice heavy/speed metal con Striking the Bell of Death, album composto da sette brani medio lunghi, a metà strada tra l’heavy metal di scuola europea e lo speed thrash.
Un prodotto che più underground di così non si può, ma suonato egregiamente, caratterizzato da convincenti cavalcate strumentali che li avvicinano agli Iron Maiden suonati al doppio della velocità.
La voce cartavetrata ma personale il giusto per non passare nell’anonimato, il gran lavoro delle chitarre e le ritmiche forsennate, aggiungono adrenalina a brani diretti e senza compromessi, sette bombe sonore di matrice old school che non fanno prigionieri e che hanno in They Fall and Never Rise Again e The Lion And The Prey i brani migliori.
Striking the Bell of Death è quindi un gran bel lavoro, ma ovviamente il genere rimane di nicchia e l’album indicato agli amanti dell’heavy speed metal tradizionale.

Tracklist
1.Striking the Bell of Death
2.They Fall and Never Rise Again
3.Take the Weapons
4.The Lion and the Prey
5.The Outcast (Sign of Cain)
6.Victims of Hate
7.Death’s All Around You

Line-up
Maot – Guitars (lead)
Razor – Vocals, Guitars
Noisemaker – Drums, Bass
Tyrant – Drums

SINS OF THE DAMNED – Facebook

Death Angel – Humanicide

I Death Angel hanno composto e suonato un’opera di metallo esaltante, potente, veloce, diretto ma a tratti progressivo, prodotto impeccabilmente e moderno senza smarrire l’attitudine old school.

Lasciando da parte Metallica e Megadeth, ormai lontani dallo spirito thrash metal dei bei tempi, l’alter ego della sacra triade teutonica (Sodom- Kreator- Destruction) negli Stati Uniti è ormai formato da Testament, Overkill e Death Angel.

La band di San Francisco che originariamente era formata da giovanissimi musicisti originari delle Filippine e che, negli anni ottanta, mise a ferro e fuoco la Bay Area con album eccezionali come The Ultra-Violence e Frolic Through the Park, torna con un nuovo lavoro, l’ennesima spettacolare prova di forza della seconda parte di carriera, quella iniziata dopo il lungo stop degli anni novanta con The Art Of Dying e proseguita con una serie di prove che l’hanno riportata sul podio dei gruppi dediti al caro vecchio thrash metal.
Humanicide, nuovo album uscito per Nuclear Blast, conferma tutto ciò, aumenta anzi le quotazioni di un combo che ad oggi non trova limiti, sia a livello tecnico che di songwriting, pubblicando il degno successore dei due capolavori che lo hanno preceduto (The Dream Calls for Blood e The Evil Divide).
A noi non piace il noioso track by track, ma la scaletta di Humanicide andrebbe nominata tutta, una traccia per volta per non lasciare indietro nulla di quello che il quintetto californiano ha composto e suonato, creando un’opera di metallo esaltante, potente, veloce, diretto ma a tratti (come da tradizione), progressivo, prodotto impeccabilmente e moderno senza smarrire l’attitudine old school.
Registrato e mixato da Jason Suecof (Deicide, Trivium) e masterizzato da Ted Jensen (Slipknot, Pantera), accompagnato dalla spettacolare copertina creata da Brent Elliott White (Lamb Of God, Megadeth), Humanicide non fa prigionieri e, lanciato come un missile verso Marte, spara undici cannonate ad altezza d’uomo, valorizzate da una prestazione fuori categoria del quintetto guidato da quei monumenti al thrash metal che sono Rob Cavestany e Mark Osegueda.
Dovendo citare qualche brano, quindi, si può partire dalla title track e farsi piacevolmente torturare i padiglioni auricolari dalle devastanti Divine Defector e Aggressor, dallo spettacolo assicurato dalla lunga Immortal Behated e dall’heavy metal della splendida Revelation Song.
I Death Angel sono tornati e per quest’ anno con il thrash metal direi che siamo giunti al massimo del livello raggiungibile, perché fare di meglio è davvero difficile, se non impossibile.

Tracklist
1. Humanicide
2. Divine Defector
3. Aggressor
4. I Came for Blood
5. Immortal Behated
6. Alive and Screaming
7. The Pack
8. Ghost of Me
9. Revelation Song
10. On Rats and Men
11. The Day I Walked Away

Line-up
Rob Cavestany – Guitars
Mark Osegueda – Vocals
Ted Aguilar – Guitars
Damien Sisson – Bass
Will Carrol – Drums

DEATH ANGEL – Facebook

Three Dead Fingers – Breed Of The Devil

Giovanissimi e arrabbiati, i Three Dead Fingers arrivano all’esordio su lunga distanza sotto l’ala della Bleeding Music Records e ci investono con il loro metal estremo composto da un’adrenalinica miscela di melodic death metal e thrash metal classico.

Giovanissimi e arrabbiati, i Three Dead Fingers arrivano all’esordio su lunga distanza sotto l’ala della Bleeding Music Records e ci investono con il loro metal estremo composto da un’adrenalinica miscela di melodic death metal e thrash metal classico.

Il giovane quintetto proveniente da Stoccolma (si parla di ragazzi poco più che adolescenti) si impone all’attenzione del pubblico metallico per un impatto ed un’attitudine da veterani, il loro lavoro convince sotto tutti i punti di vista, solido e spettacolare in molti passaggi, perfetto nell’uso delle voci che si alternano in un’orgia infernale tra growl scream e clean, massiccio e colmo di veri e propri inni da cantare a sotto il palco.
Le influenze dei Three Dead Fingers sono da annoverare tra una serie di gruppi storici dei generi che compongono il sound di Breed Of the Devil, dagli Slayer agli Arch Enemy, dai primi Sepultura ai Dissection, per lasciare agli Iron Maiden la paternità di quel tocco heavy che spunta qua e là tra le varie tracce.
Dall’opener Black Rainbows in poi verrete catapultati nel mondo senza compromessi che i Three Dead Fingers hanno creato, composto da un sound adrenalinico, fughe e cavalcate metalliche da applausi, accelerazioni ritmiche da infarto e chorus che si piantano in testa al primo passaggio, pur rimanendo legati ad un’attitudine assolutamente estrema.
La title track, Nocturnal Gates, Eveline sono i brani che maggiormente spiccano all’interno di questo ottimo e convincente debutto.

Tracklist
1.Until the Morning Comes
2.Black Rainbows
3.Into the Bloodbath
4.Celestial Blasphemy
5.Breed of the Devil
6.A Virus Called Life
7.Pighead
8.Nocturnal Gates
9.Eveline
10.Goodbye
11.House of the Careless

Line-up
Gustav Jakobsson – Bass
Anton Melin – Drums
Remy “Fiskis” Strandberg – Guitars
Adrian Tobar Hernandez – Guitars
Oliwer Bergman – Vocals, Guitars

THREE DEAD FINGERS – Facebook

Reatzione – Sopravvissuti

Con le sue undici esplosioni di rabbia senza soluzione di continuità, Sopravvissuti non lascia scampo: drammatico, violento, rabbioso, grazie a brani potentissimi, a tratti veloci o pervasi da mid tempo possenti come un colosso musicale che avanza lento ed inesorabile.

I Reatzione sono un quartetto di musicisti provenienti dalla Sardegna e Sopravvissuti è il loro manifesto sonoro, licenziato da Dark Hammer Legion / Volcano Records.

La band, nata nel 2015 da un’idea del chitarrista Alessandro Ciuti, crea un muro sonoro invalicabile di thrash/groove metal, con la particolarità del cantato in lingua sarda, in alternanza a quella italiana.
Sopravvissuti è composto da undici mazzate metalliche potentissime, il gruppo dopo vari aggiustamenti di line up risulta un compatto carro armato musicale, che in poco più di mezzora spazza via ogni cosa al suo passaggio.
I testi affrontano vari argomenti, dai problemi politico/sociali a livello europeo, agli incendi che da sempre devastano la vegetazione dell’isola, con il metal di matrice thrash/groove metal a fare da colonna sonora.
Con le sue undici esplosioni di rabbia senza soluzione di continuità, Sopravvissuti non lascia scampo: drammatico, violento, rabbioso, grazie a brani potentissimi, a tratti veloci o pervasi da mid tempo possenti come un colosso musicale che avanza lento ed inesorabile.
In un contesto così compatto e possente spiccano, la title track, il lento incedere stoner /doom di Accabadora e la thrashy Fizu, sunto compositivo di un lavoro il cui muro sonoro trae le sue maggiori ispirazioni da Sepultura, Soulfly, Hatebreed e Down.

Tracklist
1.Raikinas
2.Inferru
3.Sopravvissuti
4.Bestia
5.Incubi
6.Fame
7.Acabbadora
8.L’inizio Della Fine
9.Rispetto
10.Fizu
11.Meno di un Verme

Line-up
Mex – Vocals
Alessandro Ciuti – Guitars
Salvatore Sechi – Bass
Mauro Carta – Drums

REATZIONE – Facebook

Oigres – Psycho

Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Oigres è il nuovo progetto solista che vede all’opera Sergio Vinci, conosciuto nell’ambiente estremo italiano anche per essere stato il leader degli ottimi Lilyum, una delle migliori espressioni nazionali a mio avviso per quanto riguarda il black metal nelle sue vesti più ortodosse.

I brani contenuti in questo lavoro hanno però ben poco a che vedere con quell’esperienza, se non per l’approccio diretto e rabbioso che qui si estrinseca sotto forma di un thrash/groove hardcore cantato prevalentemente in italiano e che, anche per questo, rimanda a livello attitudinale a gruppi come i Negazione e relativa genia di provenienza piemontese.
I testi abrasivi, ma non privi di slanci poetici, sono sorretti da un sound che non si perde in preamboli ma va dritto all’obiettivo lasciando spazio a tempi più diluiti solo nella pregevole traccia ambient di chiusura, Outro – Openclosed.
Come detto, il nome Lilyum vale qui essenzialmente quale sorta di garanzia della bravura e della sincerità di un musicista come Sergio, che qui si disimpegna in maniera lineare ma alquanto efficace anche nelle vesti di cantante.
Brani come Fermo, Lontano Da Me e Stella, in particolare, sono sferzate di energia contenenti un’urgenza espressiva che, probabilmente, all’interno di una band rischiava d’essere in qualche modo mediata o filtrata, mentre lo stesso monicker prescelto testimonia ampiamente come questa nuova avventura sia, per Sergio Vinci, un qualcosa di intimo, al riparo da qualsiasi interferenza esterna dal punto di vista prettamente compositivo.
Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: anche se, come si può intuire dalla mia premessa, non posso considerare la fine dei Lilyum come una buona notizia, la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Tracklist:
1. Intro – Lifog
2. Fermo
3. Lontano Da Me
4. Stella
5. I Am
6. Scivola Via
7. No Fear, No Truth
8. Outro – Openclosed

Line-up:
Sergio Vinci

OIGRES – Facebook