Ep di rodaggio, da parte dei Rough Grind, con quattro brani piacevoli e dalle buone melodie: ci aspettiamo un altro passo avanti fin dal prossimo lavoro.
Debutto per i Rough Grind, band finlandese proveniente da Jyvaskla che, con questi quattro brani, entra nel mondo del mercato discografico di buon passo.
Le porte si aprono al cospetto dell’opener Gilded Cage, brano di hard rock melanconico e dalle melodie tastieristiche di scuola aor, ma già dalla successiva e roboante Leap Of Faith i richiami a certo alternative rock moderno e di scuola statunitense si fanno più incisivi.
Diciamolo subito, urge un cantante: il buon Sami è ruvido il giusto nei momenti in cui la band attacca la spina e suona graffiante e massiccia, ma cede il passo e risulta forzato nei chorus melodici (Bulletproof). Siamo arrivati in un attimo alla conclusiva Hereafter, semi ballad in crescendo che conclude Trouble Or Nothing, ep che porta con sé molti pregi, con un sound composto da un piacevole mix di hard rock americano (Alice In Chains), atmosfere dal piglio dark romantico ed una variante melodica dei Poisonblack, e qualche difetto da correggere in corso d’opera.
Un ep di rodaggio, quindi, da parte dei Rough Grind, con quattro brani piacevoli e dalle buone melodie: ci aspettiamo un altro passo avanti fin dal prossimo lavoro.
Tracklist
1.Gilded Cage
2.Leap Of faith
3.Bulletproof
4.Hereafter
Line-up
Sami – Vocals, And Guitars
Ville – Guitars
Ari – Bass
Killi – Drums
Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.
Davvero tanto carne al fuoco in questo esordio discografico targato North Of South, progetto solista del chitarrista e compositore spagnolo Chechu Gomez.
Le nuove latitudini musicale del nostro abbracciano una moltitudine di generi diversi uniti in un unico sound che, a dispetto, dell’enorme quantità di ispirazioni funziona, anche se l’orecchio che serve per apprezzare la musica di Gomez è di quello più aperto ad ogni esperienza uditiva. New Latitudes risulta così un’esperienza di ascolto totale, passando dal metal al rock latino di Santana, dal jazz al pop, dal punk al progressive senza ovviamente dimenticare la tradizione spagnola nel suono della chitarra acustica, che emerge a tratti unendo le varie atmosfere che cambiano ad ogni nota.
Uno spartito in piena burrasca creativa, un mare in tempesta che porta a riva note stravolte su relitti di generi assolutamente distanti, mentre facilmente vengono in mente i maestri Cynic negli angoli strumentali che guardano al metal estremo.
Sono attimi, perché in brani originali come l’opener The Human Equation o Balance Paradox le intuizioni di Gomez portano a confondere l’ascoltatore travolto dalle onde create sul pentagramma di New Latitudes.
Anche in questo lavoro, la tecnica strumentale di livello assoluto viene messa al servizio delle già intricate canzoni, così che l’ascoltatore è portato a concentrarsi sui vari generi e cambi di atmosfere piuttosto che seguire evoluzioni fine a sé stesse.
Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.
Tracklist
01. The Human Equation
02. Nobody knows
03. Balanced Paradox
04. Before we die
05. Crystal Waters
06. There’s no Glamour in Death
07. Time will tell
08. Faith is not Hope
09. Montreux
Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.
I Beartooth sono una alternative rock/punk metal statunitense nata inizialmente come one man band dell’ex Attack Attack! Caleb Shomo, ad oggi band a tutti gli effetti con Kamron Bradbury e Zach Huston alle chitarre e la sezione ritmica composta da Oshie Bichar al basso e Connor Denis alla batteria.
Per Red Bulls Records esce Disease, il terzo lavoro sulla lunga distanza, dopo gli ottimi riscontri ed il successo diel debutto Disgusting licenziato nel 2014 e soprattutto del secondo album uscito un paio di anni fa ed intitolato Aggressive.
I Beartooth sono la classica band alternative da classifica che amalgama metal moderno, punk, un pizzico di cattiveria hardcore e melodie rock dall’appeal radiofonico, quindi con l’aspettativa di fare un buon bottino di dollari e diventare uno dei gruppi più amati dai kids mondiali dai gusti che guardano ai canali rock satellitari.
Caleb Shomo è il guru del progetto Beartooth, cantante dalla voce che convince, tra rabbiose parti scream e toni melodici che più ruffiani di così non si può, che attira su di sé l’attenzione dei fans e da abile songwriter riesce a creare una raccolta di brani piacevoli e con le potenzialità per fare sfracelli. Disease non aggiunge e non toglie niente ai lavori di genere: dodici tracce tra grinta rock/metal e melodie pop, rock alternativo dal successo assicurato, a suo modo ben strutturato ed in possesso di un talento per cori e refrain di facile presa che sono la strada per il successo.
L’album scorre che è un piacere, la formula è quella usata a suo tempo da chi di questi suoni è maestro e la lista dei brani da top ten parte dall’opener Greatness Or Death per arrivare alla conclusiva Clever, passando per la title track, You Never Know ed Enemy. Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.
Tracklist
1.Greatness or Death
2.Disease
3.Fire
4.You Never Know
5.Bad Listener
6.Afterall
7.Manipulation
8.Enemy
9.Believe
10.Infection
11.Used and Abused
12.Clever
Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.
Nookie è lo pseudonimo con cui la cantante Daria Stavrovich degli alternative rockers russi Slot si cimenta con la band che prende il suo nome.
La Sliptrick Records licenzia il loro terzo album, una raccolta di brani alternative rock, con qualche sporadico salto nel new metal, senza però andare oltre ad una grinta controllata e radio friendly. Exceptions è comunque un buon lavoro, nel quale il gruppo asseconda con bravura il talento vocale di Nookie, bravissima nel saper variare la sua voce a seconda dell’atmosfera di ogni canzone, proponendo sfumature vocali che vanno dalla rabbia, alla disperazione, dalla dolcezza alla mera esecuzione, davvero sorprendente quando gareggia tra intricate ritmiche con gli strumenti. Exceptions è nel suo complesso un buon lavoro di genere, l’urgenza del metal moderno si alterna con trame rock di chiara matrice statunitense, le influenze si dipanano per i brani senza però dare quel senso fastidioso di deja vu, anche perché rapiti dall’interpretazione della singer a tratti rimembrante la pantera Skin.
Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.
Magari poco conosciuta nel mercato occidentale, la band russa ha invece le carte in regola per piacere ai fans dell’alternative metal/rock a cui va il consiglio di non perdersi questo lavoro.
Gli Ink danno alle stampe, tramite la Wormholedeath, questo bellissimo album di cover degli artisti che più hanno ispirato la loro musica, in una versione personalissima e molto sentita.
Poesia in musica, magari già scritta da altri e solo riproposta ma sempre di poesia si tratta.
Gli Ink danno alle stampe, tramite la Wormholedeath, questo bellissimo album di cover degli artisti che più hanno ispirato la loro musica, in una versione personalissima e molto sentita.
Ne escono undici perle trovate nell’universo musicale attraverso due decenni, gli anni ottanta e i novanta, raccolti in questo carillon che all’apertura, come d’incanto, sprigiona introversa e drammatica musica rock.
Gli Ink hanno fatto un gran lavoro, adattando canzoni lontane tra loro e trasformandole a piacimento così da formare una tracklist che rasenta la perfezione, omogenea e ottimamente calata nel sound semi acustico di Whispers Of Calliope.
Come rappresentato in copertina non ci resta che farci chiudere gli occhi da Chris Tsantalis e compagni e lasciarci trasportare tra le note semiacustiche, a tratti supportate da una base elettronica, di Sober, brano d’apertura e capolavoro dei Tool.
Un’interpretazione spettacolare per il singer greco è quella che possiamo ascoltare nella successiva In A Manner Of Speaking, splendida canzone dei Tuxedomoon, così come nella famosa Rebell Yell di Billy Idol, due dei brani più sentiti e riusciti di questa raccolta.
Gli Ink trovano la formula per rendere magica l’atmosfera di Whispers Of Calliope, cercando nel sound dei The Tea Party e del Chris Cornell solista il segreto per un’interpretazione magistrale, con il secondo e mai dimenticato artista americano tributato con la magnifica Hunger Strike, dall’unico capolavoro dei Temple Of The Dog.
Vi sembrerà alquanto strano trovare un voto così alto per un album di cover, ma garantisco che Whispers Of Calliopeè quanto di più emozionante abbia ascoltato negli ultimi tempi per quanto riguarda il genere.
Tracklist
1.Sober
2.In a Manner of Speaking
3.First We Take Manhattan
4.Rebel Yell
5.Like The Way I Do
6.Hurt
7.Disarm
8.Knife Party
9.Never Tear Us Apart
10.Come Live With Me
11.Hunger Strike
The Seeker è un buon lavoro, interessante per chi ha amato gli impulsi dettati dal rock americano degli anni novanta e ancora freme per le uscite di quelle band e artisti che hanno portato il genere nel nuovo millennio.
Giacomo “Jack” Casile, alias Jack Brain, è un musicista e compositore calabrese noto nella scena underground per aver fondato realtà come Insomnia Creep, Greetings From Terronia,H.S. e No More Nothing.
Lo scorso anno è uscto il suo primo lavoro, da lui stesso interamente registrato, composto e arrangiato nei Lex Audiolab ed intitolato Epic Spleen, ora raggiunto dalla prima parte di The Seeker, opera che vede il nostro alle prese con diciotto brani divisi in due album.
Il sound del disco si rifà al rock alternativo dei primi anni novanta, e la Seattle del grunge è presente con una manciata di icone ad ispirare il musicista nostrano in questa raccolta di brani diretti.
Suoni distorti e chitarre sature di elettricità sono le peculiarità di brani che si muovono tra Alice In Chains, Nirvana e Screaming Trees, con l’unica variante newyorkese rappresentata dai seminali Sonic Youth.
Dalla title track, passando per Relive,Out Of The Box e The Frame, l’alternanza tra il grunge e l’alternative rock è ben in evidenza e sapientemente dosata da Jack Brain, il quale non rinuncia ad una dose di urgenza punk noise in Higher e qualche scarica elettrica di matrice Nine Inch Nails in Dissolute Guy. The Seeker risulta un buon lavoro, interessante per chi ha amato gli impulsi dettati dal rock americano degli anni novanta e ancora freme per le uscite di quelle band e artisti che hanno portato il genere nel nuovo millennio.
Tracklist
1.The Seeker
2.Relive
3.Roger Rabbit
4.Out Of The Box
5.Higher
6.The frame
7.Dissolute Guy
8.Zen
9.Oroboro
Line-up
Giacomo Jack Casile – Voce,chitarre,basso,drum programming
Trattandosi di una raccolta, i brani mantengono una buona qualità media, rivelandosi melodici e ruvidi il giusto per non apparire troppo pop.
La Sliptrick Records ci presenta un’altra alternative band proveniente dalla Russia: dopo i Nookie, progetto solista della singer Daria Stavrovich, è la volta dei Louna, anch’essi capitanati da una giovane cantante, Lousine Gevorkian.
The Best Ofè una raccolta dei migliori brani che andavano a comporre i tre lavori usciti a nome Louna: Сделай громче! (Let’s Get Louder!) il debutto del 2010, Время Х (Time Of The X), licenziato un paio di anni dopo, e Behind The Mask, ultimo urlo alternative del 2013.
Molto conosciuti nel loro paese, i Louna in questi anni hanno raggiunto una buona popolarità, presenti a molti festival in terra russa, con apparizioni anche negli Stati Uniti.
Il sound del quintetto non si discosta molto dall’hard rock moderno di estrazione statunitense, un classico se si suona alternative: molto meno originale e più commerciale di quello dei Nookie, l’album riesce a convincere per un appeal elevato e sicuramente più indirizzato alle radio.
Lineare è forse la parola più adatta per descrivere la musica dei Louna, belle canzoni con qualche sfuriata metal, ma in generale adagiata su un innocuo alternative rock da classifica, appunto piacevole ma nulla più.
Ovviamente, trattandosi di una raccolta, i brani mantengono una buona qualità media, rivelandosi melodici e ruvidi il giusto per non apparire troppo pop: cantati in lingua madre ma assolutamente non ostici, hanno dalla loro un’anima rock’n’roll che risulta la parte più ribelle e graffiante della musica prodotta dal gruppo di Mosca e che, affiancata a quella più pop, lascia buone sensazioni a chi si avvicina per la prima volta alla musica dei Louna.
Tracklist
01.My – eto LOUNA
02.Boytsovskiy klub
03.Vremya X
04.Biznes
05.Lyudi smotryat vverkh
06.Noch, doroga i rok
07. Shturmuya nebesa
08. S toboy |
09. Moy rok-n-roll
10. 1.9.8.4.
11.Vo mne feat. Dmitriy Rishko
12. Mama
13.Doroga boytsa
14.Sdelay gromche! | Bonus tracks:
15.Svoboda |
16.Put k sebe (acoustic)
Original Human Music risulta un ottimo lavoro, perché quando artisti di questo spessore si mettono in gioco c’è sempre da divertirsi.
Nel mondo del rock e del metal ne succedono di tutti i colori: con buona pace degli ascoltatori e dei fans accaniti di questo e quel genere gli artisti mettono al servizio di altri musicisti il loro talento ed esperienze o semplicemente collaborano, anche se, come in questo caso uno si chiama George Lynch, chitarrista dei leggendari Dokken, e l’altro è Corey Glover, voce carismatica dei non meno noti Living Colour.
Il metal classico anni ottanta incontra quello crossover del decennio successivo: un’affermazione che potrebbe apparire scontata (anche perché la storia dei due grani artisti e musicisti statunitensi non si ferma solo ai due gruppi citati), ma è indubbio che il nome delle due band citate faccia parte, più di altre esperienze vissute da Glover e Linch, della storia del metal/rock e siano pure le più lontane tra loro come approccio ed attitudine.
Diciamo subito che il progetto Ultraphonix è molto più vicino al background del cantante che del chitarrista, quindi in Original Human Music è Lynch a mettersi al servizio di un Glover debordante, sia nei brani in cui il funky prende il comando del sound, sia quelli in cui l’alternative metal ed il blues fanno la loro comparsa, più o meno evidente.
La sensazione è di essere al cospetto di una band vera, sanguigna e maledettamente coinvolgente, anche se il talento metallico di Lynch è forse leggermente soffocato dalla sound e dalla personalità del grande singer di colore.
Accompagnata da Pancho Tomaselli al basso e Chris Moore alla batteria, la coppia forma una band superlativa e l’album ne risente positivamente offrendo una raccolta di brani di crossover/rock/metal/funky/blues d’autore, con picchi qualitativi altissimi (Walk Run Crawl, Counter Culture e Free) tra i quali non manca qualche piccola caduta (Wasteland) o brani che scivolano ordinari ma illuminati dalla classe dei due leader (Take A Stand, What You Say). Original Human Music risulta un ottimo lavoro, perché quando artisti di questo spessore si mettono in gioco c’è sempre da divertirsi: da non perdere assolutamente specialmente se siete amanti del crossover rock!
Tracklist
01. Baptism
02. Another Day
03. Walk Run Crawl
04. Counter Culture
05. Heart Full Of Rain
06. Free
07. Wasteland
08. Take A Stand
09. Ain’t Too Late
10. Soul Control
11. What You Say
12. Power Trip
Line-up
Corey Glover – Vocals
George Lynch – Guitars
Pancho Tomaselli – Bass
Chris Moore – Drums
Catacombs è un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.
Terzo album per la band neozelandese Like A Storm, formata dai fratelli Brooks (Chris, Matt e Kent) più il batterista Zachary Wood.
Il gruppo, dopo il debutto uscito nel 2009 (The End of the Beginning), ha raggiunto una discreta popolarità con Awaken The Fire, lavoro che gli ha dato la possibilità di suonare in giro per il mondo di supporto alle star dell’ alternative rock Alter Bridge.
Il sound del gruppo è un post grunge animato da scariche nu metal, niente di nuovo quindi, ma perfetto per fare breccia nei cuori del fans del rock radiofonico, anche se leggermente in ritardo sulla tabella di marcia.
I fratelli Brooks hanno sicuramente il vantaggio di saper scrivere canzoni melodiche, ruffiane ma dure ed alternative quel tanto che basta per non apparire troppo adolescenziali: il rock di matrice post grunge (Alter Bridge, Nickelback) si allea con il metal moderno tra metalcore e nu metal e ne esce un album piacevole anche se non troppo personale.
I Linkin Park sono la terza band che forma il triumvirato artistico ispiratore della musica dei Like A Storm, che partono benissimo con l’opener The Devil Inside per poi inserire il pilota automatico, così da viaggiare ad andature standard, senza troppi scossoni e senza grossi sbandamenti.
All’ascolto di Catacombs si evince la ricerca di una perfezione formale, tutto è carino e al posto giusto, le sferzate metalliche, così come le melodie pop rock, si prendono a turno la scena: l’intenzione di costruire una raccolta di hits porta i Like A Storm a perdere molto in genuina attitudine e personalità, un peccato che chi segue i trend saprà perdonare ai tre fratelli neozelandesi. Catacombs è dunque un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.
Tracklist
1.The Devil Inside
2.Out Of Control
3.Catacombs
4.Complicated (Stitches & Scars)
5.Solitary
6.The Bitterness
7.Until The Day I Die
8.Hole In My Heart
9.Bullet In The Head
10.These Are The Bridges You Burned Down
11.Pure Evil
Line-up
Chris Brooks – Lead vocals, guitar, didgeridoo, keys/programming
Matt Brooks – Vocals, lead guitar, keys/programming
Kent Brooks – Bass, vocals, keys/programming
Zachary Wood – Drums
L’approdo ad una vera e propria forma canzone favorisce un approccio più lineare e meno nervoso, quindi da una parte più prevedibile ma anche maggiormente logico e attraente: di sicuro ogni brano è ben connotato da un sempre pregevole quanto misurato lavoro chitarristico.
Questo ep è il secondo lavoro per Oddfella, il progetto solista del portoghese João Henriques, uscito lo scorso anno poco dopo il full length Am/Fm.
Quella prima prova su lunga distanza, di natura strumentale, aveva messo in mostra le buone doti del musicista lusitano, evidenziate dalla proposta di un sound dalle sfumature dark ed elettroniche e sorretto da un pregevole operato dal punto di vista della tecnica esecutiva e della produzione.
L’ep autointitolato che prendiamo in esame rappresenta la naturale evoluzione di quell’album, soprattutto a causa dell’introduzione delle parti vocali che danno un senso di compiutezza al songwriting di Henriques.
I quattro brani in questione (due, Intro Spection e Interlude At Dawn, sono brevi tracce strumentali) mettono in luce un rock alternativo dai tratti velatamente oscuri, elegante e dalla buona orecchiabilità, e sicuramente molto ben interpretati (non è dato sapere se la voce sia effettivamente dello stesso João ma, in mancanza di comunicazioni al riguardo, si ritiene che possa essere così).
Chiaramente l’approdo ad una vera e propria forma canzone favorisce un approccio più lineare e meno nervoso, quindi da una parte più prevedibile ma anche maggiormente logico e attraente: di sicuro ogni brano è ben connotato da un sempre pregevole quanto misurato lavoro chitarristico. Born Again, Swimming Angels, Bridges e Drowning Angels sono brani tutti indistintamente molto belli, di grande fluidità e curati dal punto di vista melodico: João Henriques, in coda all’ultima traccia, ci saluta con un “to be continued” che fa presagire un seguito a questo ep decisamente riuscito ed in grado di schiudere nuovi scenari nel futuro degli Oddfella.
Tracklist:
1.Intro Spection
2.Born Again
3.Swimming Angels
4.Interlude At Dawn
5.Bridges
6.Drowning Angels
Bravi ed originali, gli Welcome Coffee danno vita ad un sound intrigante ed assolutamente fuori dai soliti cliché: la curiosità per una nuova prova sulla lunga distanza è davvero tanta.
Dietro il monicker Welcome Coffee troviamo cinque musicisti attivi nella scena alternativa di Trieste: la loro storia è fatta di un precedente ep (Box #2) uscito nel 2013, un primo full length (Uneven) licenziato nel 2015, uno scioglimento avvenuto dopo l’uscita dell’album ed un ritorno nel 2016.
The Mirror Showè il nuovo ep di cinque brani inediti con cui la band torna sul mercato cercando di rivedere i propri ed i nostri confini in materia musicale.
Un rock che si nutre di elettronica e rock alternativo, per poi evolversi in qualcosa di più progressivo e scivolare piano verso il rock made in Italy, se poi in tutto questo aggiungete una marea di piccoli ma importantissimi dettagli, allora il sound del gruppo diventa davvero originale, magari ostico se gli ascolti abituali sono appunto confinati ad un solo genere.
Stefano Ferrara al basso, Andrea Parlante alle tastiere, Davide Angiolini batteria, Andrea “Armando” Scarcia al microfono e Bill Lee Curtis alla chitarra, non si lasciano intimidire da barriere e catene: la musica viaggia libera tra funky, metal lampi di musica elettronica dura come l’acciaio forgiato dai Nine Inch Nails, per divertirsi con l’alternative rock dei Primus o dei geniali Faith No More e poi, come d’incanto, prendere una chitarra acustica, l’armonica e lasciare che la bellissima Come Potevo ci ricordi che anche il rock italiano degli anni novanta ha regalato grande musica (Timoria).
Se vi sembra che il sound racchiuso in questo lavoro metta troppa carne al fuoco, niente di più sbagliato, tutto funziona a meraviglia e la band ne esce vincitrice.
Bravi ed originali, gli Welcome Coffee danno vita ad un sound intrigante ed assolutamente fuori dai soliti cliché: la curiosità per una nuova prova sulla lunga distanza è davvero tanta.
Tracklist
Stefano Ferrara – Bass guitar
Andrea Parlante – Keyboards
Davide Angiolini – Drums
Andrea Scarcia – Vocals
Bill Lee Curtis – Guitars
Line-up
1.The Mirror Show
2.Doppelgänger
3.Come Potevo
4.116
5.Notte Araba
Split album per due band britanniche molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.
Due notevoli realtà britanniche uniscono le forze in questo split intitolato This Is As One, edito dalla Sharptone Records: gli inglesi Loathe, dei quali vi abbiamo parlato all’uscita del bellissimo full length The Cold Sun, licenziato lo scorso anno, ed i gallesi Holding Absence.
Due brani per ognuno dei gruppi, alle prese con un heavy moderno e sperimentale dalle reminiscenze djent per i Loathe, e con un post hardcore melodico gli Holding Absence.
Come sull’album, il gruppo del bravissimo singer Kadeem France spara bordate di metal moderno, caricato a pallettoni metalcore ma originale nel saper cambiare atmosfera in un nanosecondo: teatrale, e per certi versi progressivo, il sound di questi due nuovi brani conferma i Loathe come un’entità a sé stante nel panorama metallico moderno, con White Hot e Servant And Master che accrescono le aspettative per un nuovo album.
Il sound degli Holding Absence è molto più lineare e meno originale di quello dei loro colleghi: la band gallese ha un approccio melodico e radiofonico, ciò che serve per cercare la gloria tra i fans di un certo alternative rock più consono alle classifiche e vicino ai 30 Second To Mars.
L’alternanza tra melodie catchy e sfuriate rock sono valorizzate dalla voce del singer Lucas Woodland, con i due brani in programma che, in qualche modo, placano il clima estremo respirato con i Loathe.
Due band molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.
Tracklist
1. Loathe – White Hot
2. Loathe – Servant and Master
3. Holding Absence – Saint Cecilia
4. Holding Absence – Everything
Line-up
Loathe :
Kadeem France
Erik Bickerstaffe
Sean Radcliffe
Connor Sweeney
Feisal El-Khazragi
Holding Absence:
Lucas Woodland – Vocals
Feisal El-Khazragi – Guitars
Giorgio Cantarutti – Guitars
James Joseph – Bass
Ashley Green – Drums
Questo ep di quattro pezzi ha un suono desert rock stoner assai valido, tra riff che guardano dall’altra parte dell’oceano e momenti maggiormente legati al meglio della nostra scena alternativa.
Nuova prova, anche se risale al 2017, per il gruppo stoner rock Il Vile da Verbania.
Questo ep di quattro pezzi ha un suono desert rock stoner assai valido, tra riff che guardano dall’altra parte dell’oceano e momenti maggiormente legati al meglio della nostra scena alternativa. Le canzoni hanno un buon sviluppo e un leggero sentore di blues, ed il cantato in italiano conferisce loro un’aura di malinconia e disillusione che è davvero affascinante. Addirittura, quando il gruppo va leggermente più lento, come in Tagli, dà il meglio e sembra di sentire qualcosa che da tempo si bramava, un suono distorto ma con elementi tipici dell’underground italico. I nostri sono in giro dal 2006, e si sente, poiché riescono sempre ad offrire quello che si sono proposti di fare. Per loro stessa ammissione, il modello è il desert rock stoner, con la differenza che al posto del panorama desertico c’è quello delle valli ossolane, ma la loro sintesi è originale e permette di avere molti sfoghi. Questo disco è il primo dopo l’assestamento nella formazione a quattro, che effettivamente ha dato un qualcosa in più. Zero è anche la conferma che, quando si hanno ottime idee in ambito musicale, il cantato in italiano non sottrae nulla ma anzi aggiunge qualcosa, e in questo caso Il Vile non potrebbe cantare in un altro idioma, perché l’italiano calza a pennello. Questo lavoro è per chi ama il gusto della sabbia e dell’asfalto e cerca qualcosa di qualità, fatto con passione e mestiere.
Tracklist
1. Schiena di serpe
2. Zero
3. Tagli
4. 4 cilindri per l’Inferno
Line-up
Enrico “MAIO” Maiorca – Voce, Chitarra, Parole
Alessandro “CUIE” Cutrano – Chitarra
Paolo “POL” Castelletta – Basso e Cori
Nathan DM Leoni – Batteria
Un tocco di alternative rock, un pizzico di grunge, hard rock sudista quanto basta e la ricetta dei Red Eleven per conquistare i palati dei fans è pronta, buon appetito.
Alternative hard rock band dal suono che più americano non si può in arrivo dalla Finlandia.
I Red Eleven tornano dopo cinque anni dal primo album, Idiot Factory, con questo ep di cinque brani dal titolo Fueled By Fire, un concentrato di rock duro a stelle e strisce, ispirato dall’alternative di fine secolo scorso, ma con neanche troppo velate ispirazioni southern.
Con le melodie sempre protagoniste, anche nei momenti più rocciosi, la band di Jyväskylä, senza far gridare al miracolo ci propone cinque buone canzoni che hanno tutto al posto giusto, riff hard rock, refrain ed appeal alternative, atmosfere calde e sudaticce tipiche della frontiera e melodie accattivanti.
Tony Kaikkonen e soci lasciano ad altri le atmosfere fredde che ispirano le pianure della terra dei mille laghi, per salire a cavallo di una fiammeggiante Harley Davidson ed affrontare il caldo infernale delle pianure americane, con in sottofondo il riff assassino della potentissima Redneck’s Promised Land, top song di Fueled By Fire ed influenzata non poco dai Black Label Society.
Un tocco di alternative rock, un pizzico di grunge, hard rock sudista quanto basta e la ricetta dei Red Eleven per conquistare i palati dei fans è pronta, buon appetito.
Tracklist
1.You’ve Been Warned
2.Back in Time
3.Redneck’s Promised Land
4.Again
5.Last Call
Line-up
Tony Kaikkonen – Vocals
Teemu Liekkala – Guitars / Backing vocals
Tero Luukkonen – Guitars
Samuli Saari – Drums
Petteri Vaalimaa – Bass
Let Sleeping Dogs Lie è un ep, e tutto si sviluppa nell’arco di un quarto d’ora nel corso del quale la band spara raffiche di alternative rock che arrivano dritte al cuore degli amanti del genere e di gruppi come Hole e Foo Fighters.
Tra Los Angeles e Parigi si muove questo gruppo rock di nome Talia, una delle nuove promesse del modern rock’n’roll di matrice statunitense.
Let Sleeping Dogs Lie è il quarto lavoro, uscito per Pavement Entertainment, prodotto nientemeno che da Steve Albini, leggendario musicista e produttore con un curriculum che coincide con la storia del rock tra gli anni novanta ed il nuovo millennio.
Rock’n’roll, alternative ed un pizzico di attitudine punk rock sono gli ingredienti per fare di Let Sleeping Dogs Lie un album tipico dalla scena statunitense, con il classico sound che incorpora quegli elementi che fecero degli anni novanta un vulcano rock in continuo fermento prima di eruttare lava grunge ed esplodere in fuochi alternative.
Il suono è scarno e diretto, e già dal primo brano si sente la mano del Steve Albini musicista di estrazione hardcore: la voce del chitarrista Nicolas Costa lascia qualche dubbio, essendo poco energica per il tipo di sound offerto, mentre i brani nel loro insieme creano una la giusta atmosfera elettrica. Let Sleeping Dogs Lie è un ep, e tutto si sviluppa nell’arco di un quarto d’ora nel corso del quale la band spara raffiche di alternative rock che arrivano dritte al cuore degli amanti del genere e di gruppi come Hole e Foo Fighters, con la convinzione da parte del sottoscritto che se le tracce presenti fossero state lasciate alla voce della Love, sarebbero letteralmente deflagrate.
Qualcosa più di un dettaglio, anche se l’album a tratti lascia trasparire delle potenzialità che i Talia devono ancora esprimere del tutto: aspettiamo fiduciosi.
Tracklist
1. Afraid Of Heights
2. Still Waters
3. Wreckage
4. Bleed You Dry
5. In The Evening (New Wave)
Line-up
Nicolas Costa – Vocals & Guitar
Alice – Bass
Mickey – Drums
Il lavoro è fatto di dieci brani medio lunghi, per quasi un’ora di rock nervoso e instabile, con l’unico difetto di risultare leggermente prolissi, per il resto i The Insane Slave hanno fatto un gran lavoro arrivando al debutto con un album interessante e maturo.
Si torna a parlare della scena rock portoghese con i The Insane Slave, alternative rock band di Oporto, attiva da una decina d’anni ma con solo un ep alle spalle licenziato nel 2011 (The Night Rider EP), ed ora finalmente con un full length, il primo, in uscita per Raising Legends.
L’album esce sotto forma di concept, con dieci tracce che raccontano la storia di Jack, lo schiavo folle, una colonna sonora ad accompagnare il tema concettuale che risulta appunto un buon alternative rock, vario e a suo modo originale, virtù non così scontata di questi tempi.
Il taglio drammatico delle canzoni, la voce molto interpretativa e grintosa e l’atmosfera di tensione creano un’aura drammatica che attraversa l’album, mentre con il passare dei minuti il clima si infittisce, alimentato da una elettricità folle, tra momenti lineari e scudisciate rabbiose che ricordano le trame dei brani dei System Of A Down.
Il lavoro è fatto di dieci brani medio lunghi, per quasi un’ora di rock nervoso e instabile, con l’unico difetto di risultare leggermente prolissi, per il resto la band ha fatto un gran lavoro arrivando al debutto con un album interessante e maturo.
Lo sviluppo dei brani potrebbe far storcere il naso ai fans del genere, abituati alla solita formula del rock alternativo, molto più facile e diretta, mentre in Memories Of A Future, Secret Files o The Exodus Of A Born Man la band sfoggia un’attitudine hard rock progressiva di buon livello, ma appunto meno diretta di molti suoi colleghi.
Le influenze, oltre a quella dei SOAD, non mancano e sono riscontrabili nel rock americano dei primi anni del nuovo millennio con Audioslave e Queen Of The Stone Age, quindi se le band citate sono tra i vostri ascolti, The Insane Slaveè altamente consigliato.
Tracklist
01.The Insane Slave
02.Memories of a future
03.Secret Files
04.Winds of Anarchy
05.The Bandit Song
06.Gipsy moonlight
07.Sands Of Time
08.Soul Tattoos
09.Desert Ride
10.The Exodus of a born man
Line-up
Freddie – Drums, Vocals
André – Bass
Alex – Guitars
César – Guitars, Vocals
La band forse si specchia leggermente troppo su una formula che alla lunga lascia qualcosa in termini di scorrevolezza, ma le idee ci sono, qualche buona canzone anche, quindi per noi l’album è promosso anche se non con lode.
Terra di tradizione metal e rock, la Svizzera ha dato i natali anche agli Steelmade, trio alternative hard rock nato tra le Alpi e composto da Paul Baron alla voce, Jadro alla chitarra e Joe Williams alla batteria.
Il debutto è targato 2016 e si intitola Love Or A Lie, quindi il terzetto di rocker torna dopo tre anni con un nuovo lavoro che si compone di una dozzina di brani incentrati su un alternative hard rock che, se da una parte, risulta l’ormai classico suono in voga nel nuovo millennio, dall’altra non rinuncia a qualche sfumatura più tradizionale specialmente nei solos.
Parte bene The Stories We Tell, le prime tracce convincono, potenti il giusto, molto americane nell’approccio che nasconde un’anima blues (Fairytales Of Childhood Days) e quindi pregne di attitudine ribelle.
La voce maschia e sporcata da un approccio rock’n’roll convince, Raise Your Voice (molto più moderna), Ashes Over Waters, il suono grasso e corposo di The Beast For Last e la grinta di Stupidity sono i momenti migliori di un album che a tratti però risulta leggermente ripetitivo: non un peccato mortale, ma certe formule ripetute all’eccesso creano un’atmosfera di stanca colpevole della poca fluidità dell’album.
La band forse si specchia leggermente troppo su una formula che alla lunga lascia qualcosa in termini di scorrevolezza, ma le idee ci sono, qualche buona canzone anche, quindi per noi l’album è promosso anche se non con lode.
Tracklist
1.Remember When (A Piece Of Contemporary History)
2.Raise Your Voice
3.The Stories We Tell
4.Fairytales Of Childhood Days
3:30
5.Ashes Over Waters
6.Trial And Tribulation
7.The Best For Last
8.Deal With The Devil
9.Stupidity
10.Appearance And Reality
11.Desire And Love
12.We Are Bizarre
Line-up
Paul Baron – Vocals
Jadro – Guitar
Joe Williams – Drums
Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.
Arrivano da Barcellona i Flames At Sunrise, giovane band alternative al debutto con Born In Embers, full length del quale la Wormholedeath cura la promozione.
In questo ambito, oltre a buone canzoni, se hai tra le tue fila un talento al microfono, uomo o donna che sia, parti già con parecchi metri di vantaggio sulla concorrenza e questo è il caso del gruppo catalano, che può vantare le prestazione di Eve Nezer, giovanissima cantante che si produce in una notevole prova tra clean e scream d’impatto.
Il sound dei Flames At Sunrise si posiziona perfettamente tra il rock ed il metal alternativo, dal piglio dark/gothic quando le melodie prendono spazio ed il gruppo lascia alla cantante la scena, spettacolare nei vari cambi di tonalità e molto interpretativa.
Ma i Flames At Sunrise ovviamente non si fermano qui ed il resto della band sale in cattedra nei momenti più metallici dell’album quando scudisciate alternative colmano di umori nu metal brani dal piglio drammatico come Shades Falls Into Oblivion (in quota Disturbed), brano che da solo, se non vi sono bastati i fuochi d’artificio di Ark Flesh e The Myth (Eurodice’s Death), vale l’acquisto di questo ottimo lavoro.
I Flames At Sunrise conquistano: delicatamente dark quando si placa la tempesta, rabbiosi e potentissimi quando le chitarre gridano dolore seguendo le montagne russe su cui sale con una naturalezza disarmante la voce della cantante. Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.
Tracklist
1.Ember
2.Dolmer
3.Ark Flesh
4.Dark Ages
5.The Myth (Eurodice’s Death)
6.Never Coming Home II
7.Shades Falls Into Oblivion
8.III faces
9.More Than Fear
Line-up
Eve Nezer – Vocals
Jordi Domìnguez – Guitars
Eric Knight – Guitars
Jose Escobar – Bass
Alvaro Garcia – Drums
Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un’altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.
Un rock alternativo che si colora di pastelli progressivi, un quadro musicale quanto mai vario tra impulsi elettrici moderni e cambi umorali in un sound che guarda anche al passato senza perdere un briciolo di quella naturale propensione al rock del nuovo millennio che i Dite esprimono ad ogni nota di The Hollow Connection, il loro primo lavoro sulla lunga distanza.
I Dite sono sono un quartetto di musicisti originari della provincia di Belluno con esperienze in altre band con le quali si sono confrontati con generi diversi come il folk metal, l’alternative rock e il prog metal, ed unite le forze hanno dato vita al gruppo nel 2014 con l’intento di unire le loro esperienze ed ispirazioni in un unico sound.
Il loro primo ep, An Explanation, viene riproposto in nuova veste all’interno di questo nuovo lavoro: The Hollow Connection, registrato ai Nadir Studio di Tommy Talamanca, leader storico dei Sadist, in quel di Genova, risulta un’ora abbondante di rock emozionante, tecnico e fuori per lunghi tratti dai soliti schemi predefiniti che ormai incatenano la musica moderna.
I Dite fin da subito cercano una loro strada, anche se molte delle atmosfere di questo album possono portare alla mente i Tool, magari con toni meno introspettivi e più aperti a soluzioni ed emozioni delicatamente rock.
Ma i parallelismi con band più famose finiscono quando la band con maturità ci confonde piacevolmente, tra parti marcatamente pop, coinvolgenti armonie semiacustiche o elettriche sfumature alternative e post rock.
Cambiano le immagini e i colori con cui i Dite giocano con lo spartito, mettendo a disposizione dell’ascoltatore non solo un bagaglio tecnico di tutto rispetto, ma la bellissima ed emozionante voce di Mattia Fistarol.
L’album ha nelle prime tracce più spinta ed urgenza espressiva (il singolo In Pills, Leap Of Faith) per poi deliziarci con un rock progressivo d’autore e concedere almeno due brani capolavoro: Selling A Friend e God’s Bowl, dove Fistarol duetta con una splendida voce femminile.
In Sharp Eye un canto estremo sottolinea il ritorno ad un sound più energico, sempre in bilico tra post rock e progressive e, con l’anima bagnata dalla pioggia di Seattle, ci lascia alla conclusiva e strumentale title track.
Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.
Tracklist
1.In Pills
2.Leap Of Faith
3.Fill This Page
4.If So
5.Selling A Friend
6.Normal Being
7.God’s Bowl
8.About Chance
9.Scars Of Light
10.Venus
11.Sharp Eyes
12.The Hollow Connection
Line-up
Mattia Fistarol – Vocals, Guitars
Filippo Viel – Guitars
Simone Giovinazzo – Bass
Emil Bortoluzzi – Drums
Un lavoro vario, maturo, un viaggio nel rock dell’ultimo trentennio nel quale ogni brano ha una sua ispirazione e linea guida, tra alternative, rock, elettronica, grunge, post rock e si potrebbe andare avanti elencando un’infinità di band e sottogeneri che appaiono e scompaiono tra le trame di Quinceañera.
Dopo l’esplosione del rock dalle camicie di flanella e talenti buttati via tra eroina e crisi esistenziali, Seattle ha continuato a sfornare musicisti, magari non più sotto i riflettori come negli ultimi anni del nuovo millennio, ma pur sempre fautori di un modo di fare rock che è diventato un marchio di fabbrica.
I Vendetta Red sono di Seattle, esordirono addirittura nel 1998, anno che aveva già visto affievolirsi il fermento generato da Nirvana & company e si leccava le ferite con chi cercava fortuna cavalcando un destriero ormai zoppo (Nickelback e il cosiddetto post grunge).
Quattro album nei primi cinque anni del nuovo millennio, un paio di ep e lo split targato 2005 che decretava la fine della band, almeno fino al 2010 e all’annuncio di una reunion live avvenuta al Corazon di Seattle, prima di riprendere i lavori e tornare dopo un paio di singoli con questo Quinceañera, album che ne decreta ufficialmente la rinascita anche e soprattutto qualitativamente parlando.
Un lavoro vario, maturo, un viaggio nel rock dell’ultimo trentennio nel quale ogni brano ha una sua ispirazione e linea guida, tra alternative, rock, elettronica, grunge, post rock e si potrebbe andare avanti elencando un’infinità di band e sottogeneri che appaiono e scompaiono tra le trame di Quinceañera.
Oggi i Vendetta Red sono Zach Davidson, Leif Andersen, Jonah Bergman e Burke Thomas, e sono tornati con un lavoro bellissimo, una raccolta di brani alternative rock come piace chiamarlo a molti, che spazia tra Beatles e Jane’s Addiction, Screaming Trees e Smiths, con un tocco di pazzia punk rock alla Iggy Pop e la bellezza intrinseca di un Marc Bolan ipnotico e psichedelico.
Non conosce passo incerto questo lavoro, ci ammalia con la sua verve cangiante, la sua alternanza di colori vivaci e la sua totale anarchia compositiva, mentre oggi la pioggia è cessata e a Seattle splende il sole.
Tracklist
1.Swim
2.Wild and Dangerous
3.The Dreamers
4.Encantado
5.Where There’s a Will, There’s a Pinche Guey
6.West of Birmingham
7.Deceiver
8.The Unending War
9.No Way Out
10.Acquiesce
11.Til You Have Forgiven Me
12.The Circle
Line-up
Zach Davidson – lead vocals, guitars, piano, organ
Leif Andersen – lead guitar, lap steel, mandolin, violin, keyboards, programming, synthesizers
Jonah Bergman – bass
Burke Thomas – drums, percussion