Il Segno del Comando – L’Incanto dello Zero

L’Incanto dello Zero rappresenta l’album che in ambito progressive mancava da tempo: la tecnica sopraffina dei protagonisti è asservita del tutto ad una scrittura che appare fresca ed attuale, nonostante affondi le sue radici in un epoca destinata a non finire mai nel dimenticatoio.

L’Incanto dello Zero, nuovo album de Il Segno del Comando, costituisce la prova tangibile di quanto la musica sia un qualcosa che magicamente sa offrire sempre nuovi spunti e nuovi squarci di grande creatività.

Il gruppo guidato da Diego Banchero ha una genesi che risale alla metà degli anni novanta, quando nacque come una sorta di costola degli storici Malombra per divenire poi a sua volta un nome di culto, nonostante una produzione discografica piuttosto ridotta che ha trovato però nuovo slancio ed impulso in questo decennio; Il Segno del Comando, anche in virtù di una più frequente attività dal vivo, ha assunto da diverso tempo le sembianze della band vera e propria, cessando d’essere una sorta di progetto solista del bassista genovese, il quale, pur mantenendo sempre ben salde le redini della sua creatura, occupandosi in gran parte sia della composizione che della stesura dei testi, si è attorniato di un gruppo di musicisti di grande spessore in grado di interpretarne al meglio le brillanti intuizioni.
L’Incanto dello Zero rappresenta l’album che in ambito progressive mancava da tempo: la tecnica sopraffina dei protagonisti è asservita del tutto ad una scrittura che appare fresca ed attuale, nonostante affondi le sue radici in un epoca destinata a non finire mai nel dimenticatoio; inoltre il sound esibisce quella robustezza in grado di renderlo appetibile anche alla platea degli appassionati di metal devoti alla frangia più occulta del genere.
Anche l’aspetto lirico ha il suo peso in tutto questo, rivelandosi molto più significativo percentualmente nell’economia del lavoro rispetto ad altre band: Diego si è sempre interessato di esoterismo e non a caso i due precedenti album Der Golem (2001) e Il Volto Verde (2013) traggono ispirazione dalle omonime opere dello scrittore austriaco Gustav Meyrink; questa volta il testo al quale viene fatto riferimento è il ben più recente libro di Cristian Raimondi intitolato Lo Zero Incantatore, alla cui stesura lo stesso Banchero ha comunque collaborato
Per chi non ha familiarità con questo tipo di studi, i testi dell’album rappresenteranno una sequela di abbaglianti enunciazioni, spesso geniali, talvolta di difficile decrittazione, ma sempre comunque capaci di tenere desta l’attenzione dell’ascoltatore anche sul versante concettuale del lavoro.
Dal punto di vista prettamente musicale L’Incanto dello Zero offre invece oltre un’ora di suoni magnifici, coinvolgenti, destinati ad imprimersi nella memoria ascolto dopo ascolto e da lì non schiodarsi per molto tempo, grazie ad una varietà compositiva che vede ergersi a protagonisti, oltre allo stesso Banchero con il suo basso, interpreti di assoluto livello e di grande esperienza come i chitarristi Davide Bruzzi e Roberto Lucanato, il cantante Riccardo Morello, il tastierista Bepi Menozzi ed il batterista Fernando Cherchi . Chi cerca punti di contato con qualche band del passato ne troverà per forza, perché “rien ne se perd, rien ne se crée” non è un enunciato che possa valere solo per la chimica, nonostante il buon Lavoisier a quello si riferisse: così, se l’incipit di Sulla Via Della Veglia può richiamare il Banco e quello di Le 4 A gli Area, in realtà il sound di ogni traccia ha sua fisionomia ben delineata, pur nel suo costante evolversi in svariate direzioni, che riporta infine ad una sola matrice denominata Il Segno Del Comando.
Il Calice Dell’Oblio, Sulla Via Della Veglia, Nel Labirinto Spirituale, Le 4 A e Il Mio Nome E’ Menzogna sono solo alcune delle tracce fondamentali che invito ognuno ad ascoltare, in modo di farsi un’idea propria del valore di quest’opera destinata ad alzare ulteriormente l’asticella per chi voglia cimentarsi con queste sonorità d’ora in poi, con la speranza che possa far breccia in un’audience come quelle costituita dagli appassionati di progressive, di norma poco propensa a dare un supporto incondizionato a chi continua a proporre musica originale.

Tracklist:
1. Intro – Il Senza Ombra
2. Il Calice Dell’Oblio
3. La Grande Quercia
4. Sulla Via Della Veglia
5. Al Cospetto Dell’Inatteso
6. Lo Scontro
7. Nel Labirinto Spirituale
8. Le 4 A
9. Il Mio Nome E’ Menzogna
10. Metamorfosi
11. Outro – Aseità

Line-up:
Diego Banchero – Bass
Fernando Cherchi – Drums
Roberto Lucanato – Guitars
Riccardo Morello – Vocals
Davide Bruzzi – Guitar, Keyboards
Beppi Menozzi – Keyboards

Guests:
Paul Nash – Guitar (tracks: 5, 10)
Luca Scherani – Keyboards (track: 6)
Maethelyiah – Vocals (tracks: 5, 10)
Marina Larcher – Vocals (track: 3)

IL SEGNO DEL COMANDO – Facebook

Roine Stolt’s The Flower King – Manifesto Of An Alchemist

L’ennesimo valido lavoro offerto da un artista il cui operato si colloca costantemente su un livello medio alto, grazie alla bravura sua e dei musicisti di cui si circonda, senza possedere però quello spunto decisivo necessario per arrivare all’eccellenza assoluta.

Pur considerandolo un’artista meritevole della massima stima e di altrettanto successo non sono mai riuscito ad entrare del tutto in sintonia con l’idea di progressive di Roine Stolt, del quale ricordo con molto più piacere la militanza nei magnifici Transatlantic (dove comunque c’è molta farina del suo sacco) piuttosto che l’attività con la sua band principale, The Flower Kings, e lo stesso dicasi anche per la recente creatura denominata The Sea Within.

Per i miei gusti il musicista svedese esprime una versione tropo soffusa del progressive, ineccepibile quanto si vuole dal punto di vista tecnico ed esecutivo, ma avara di quegli slanci emotivi che il genere in questione dovrebbe evocare ad ogni pie’ sospinto.
Va da sé che non si può non accogliere con soddisfazione questa nuova uscita targata Roine Stolt’s The Flower King, perché in Manifesto Of An Alchemist non c’è davvero nulla che non vada per allietare le orecchie di chi voglia ascoltare, nel nuovo millennio, sonorità che rielaborano in maniera fedele e competente quanto offerto dai campioni del genere negli anni ‘70 e ‘80.
A tale proposito basta puntare subito alla traccia numero 5, Rio Grande, un bellissimo episodio strumentale che in certi passaggi sembra essere stato sottratto con destrezza alle sessioni di registrazione di A Trick of the Tail o Wind And Wuthering e questo, nel bene e nel male, è quanto bisogna attendersi da un lavoro del genere, piacevole, carezzevole ma destinato a non lasciare un segno indelebile nell’ascoltatore, a meno che questo non sia un fan incallito del prolifico musicista scandinavo.
Ovviamente quanto portato ad esempio in precedenza non deve far pensare ad un’operazione blandamente calligrafica da parte del buon Stolt, che unisce con sapienza gli insegnamenti del prog del secolo scorso con le pulsioni provenienti da oltreoceano (la sua lunga frequentazione con Neal Morse nei già citati Transatlantic in tal senso si percepisce chiaramente, specie in un brano come Lost America): il risultato è l’ennesimo valido lavoro offerto da un artista il cui operato si colloca costantemente su un livello medio alto, grazie alla bravura sua e dei musicisti di cui si circonda, senza possedere però quello spunto decisivo necessario per arrivare all’eccellenza assoluta.

Tracklist:
1. Rainsong
2. Lost America
3. Ze Pawns
4. High Road
5. Rio Grande
6. Next To A Hurricane
7. The Alchemist
8. Baby Angels
9. Six Thirty Wake-Up
10.The Spell of Money

Line-up:
Roine Stolt – lead vocals, guitars, synths, keyboards, bass
Marco Minnemann – drums
Michael Stolt – bass, vocals
Jonas Reingold – bass
Rob Townsend – sax
Max Lorentz – Hammond B3, vocals
Zach Kamins – Moog & keys
Hans Froberg – vocals
Nad Sylvan – vocals

THE FLOWER KINGS – Facebook

 

Vision Quest – Vision Quest

Un buon esempio di rock melodico, impreziosito da parti progressive che seguono la storia, regalando una serie di brani dalle melodie rock di stampo aor ma nei quali non manca l’energia.

Il melodic rock trova l’ennesimo progetto tutto italiano a valorizzare tutti gli aspetti che ne decretarono il successo mondiale negli anni ottanta, i Vision Quest, band nata da diversi anni e composta da Guido Ponzi alla voce, Marco Bartoli alle prese con tastiere e basso ed Emiliano Belletti alla chitarra.

Il loro monicker riprende il titolo di un film uscito nel 1985 ed intitolato appunto Vision Quest e che nella colonna sonora vedeva all’opera, oltre a Madonna, nomi del calibro di Journey, Foreigner, John Waite, Sammy Hagar e Dio.
Aiutati da un buon numero di ospiti, i Vision Quest danno vita ad una rock opera divisa in due parti, The Kingdom e The Journey, che raccontano le vicende di Orion e dell’ancella Avathar.
Licenziato dalla Rockshots, l’album risulta appunto un buon esempio di rock melodico, impreziosito da parti progressive che seguono la storia, regalando una serie di brani dalle melodie rock di stampo aor ma nei quali non mancano energia hard rock ed appunto splendide parti in cui il progressive d’autore valorizza la musica che racconta le vicende dei due protagonisti.
Un’ora di musica che celebra il periodo ottantiano e la parte più melodica delrock con una raccolta di brani che vede nella prima parte le splendide The Sacred Crown e The Immortal svettare sulle altre tracce, mentre nella seconda, dedicata alle vicende che vedono protagonista Avathar, si parte alla grande con l’arena rock di Evil Laughter e continuando l’ascolto ci si imbatte nelle splendide trame melodico progressive di Lost In Time.
Questo ottimo debutto omonimo si rivela quindi un lavoro imperdibile per gli amanti del rock melodico e dei gruppi ai quali inevitabilmente la band si ispira.

Tracklist
PART 1: THE KINGDOM
1.The Quest Begins
2. Medieval Hero
3. The Sacred Crown
4. Valley Of The Lost
5. The Eve Of The Battle
6. Avathar
7. Immortal

PART 2: THE JOURNEY
8.Evil Laughter
9. Eternal Love
10. Master Of Hopes
11. All These Years
12. Lost In Time
Bonus Track: “Dragon Of Tomorrow”, “The Run”

Line-up
Guido Ponzi – lead and backing vocals
Marco Bartoli – keyboards, bass guitars, instruments sequencing
Emiliano Belletti – electric guitars

Guests musicians :
David Putney – speech in The quest begins
Silvia Saccani – vocals and backing vocals in Eternal Love
Mirko Pratissoli – sax solo in Avatar and Lost in Time
Ilaria Cavalca – piano in Avatar and The Eve of the Battle
Stefano Riccò – acoustic guitar in The Eve of the Battle
Luke “Hollywood” Barbieri – metal guitars in Eternal Love, Lost in Time, All these Years
Johnatan Gasparini – guitar lead in Master of Hopes
Alfredo Pergreffi – clean guitar in Eternal Love
Helder Stefanini – drums

VISION QUEST – Facebook

Althea – The Art Of Trees

Una cascata di note che non mantiene prigionieri gli Althea in un determinato spazio temporale, ma permette loro di muoversi a piacimento tra il rock progressivo di ogni epoca.

E’ incredibile come la musica sia capace di troncare ogni parola superflua e dare sempre una risposta, zittire tutti e regalare a coloro che la colgono una via di fuga al piattume di una società con poche certezze e tanta stupidità.

Drammi che lasciano posto ad una sequela di frasi senza capo ne coda e che l’uomo saggio dovrebbe ignorare, cercano risposte tra le trame splendide di opere come il secondo lavoro su lunga distanza degli Althea dopo le meraviglie progressive di Memories Have No Name, licenziato un paio di anni fa e tornato lo scorso anno in versione fisica tramite la Sliptrick Records, etichetta che licenzia anche questo bellissimo The Art Of Trees.
Dario Bortot e compagni, da band collaudata, non cambiano di molto il proprio sound rispetto al primo lavoro. gli Althea hanno un loro approccio alla musica progressiva che li fa riconoscere immediatamente, sempre supportati da produzioni ed arrangiamenti di livello superiore e da un’alternanza tra le parti metalliche e quelle più soft che, oltre ad essere assolutamente personali, sono anche il loro maggior pregio.
Una musica delicata, raffinata ed elegante, supportata da un talento melodico straordinario si muove sinuosa tra le partiture progressive dei brani: una cascata di note che non mantiene prigionieri gli Althea in un determinato spazio temporale, ma permette loro di muoversi a piacimento tra il rock progressivo di ogni epoca.
Gli Althea sono bravi a non lasciarsi attrarre troppo da soluzioni cervellotiche e, invece di limitarsi ad esibire al mondo le loro capacità tecniche, lasciano che siano le emozioni scaturite dalla voce di Bortot e dalle splendide melodie di brani come One More Time, Evelyn, The Art Of Trees e Away From Me a prendere per mano l’ascoltatore accompagnandolo in questo bellissimo viaggio a ritroso in una vita che potrebbe essere quella di ciascuno di di noi.

Tracklist
01. For Now
02. Deformed to Frame
03. One More Time
04. Today
05. Evelyn
06. Not Me
07. The Shade
08. The Art of Trees
09. Away From Me feat. Michele Guaitoli
10. Burnout

Line-up
Dario Bortot – Guitars, Keys & Synths
Alessio Accardo – Vocals
Sergio Sampietro – Drums
Andrea Trapani – Bass

ALTHEA – Facebook

The Tangent – Proxy

Proxy torna a regalare un’ora di emozionante progressive rock suonato con l’anima, la classe ed il talento per riunire in un solo sound prog settantiano, jazz, fusion e ritmiche funk rock.

Superata la soglia dei quindici anni di attività, quello che sembrava nato come un super gruppo di talenti della scena progressiva è diventata una band dalla discografia importante, tra opere inedite e live.

Il tastierista e cantante Andy Tillison ed i suoi The Tangent tornano così sul mercato con un nuovo album a poca distanza dal precedente The Slow Rust Of Forgotten Machinery, lavoro assolutamente di classe ma che appariva leggermente altalenante nel songwriting.
Tillison aggiusta subito il tiro e Proxy torna a regalare un’ora di emozionante progressive rock suonato con l’anima, la classe ed il talento per riunire in un solo sound prog settantiano, jazz, fusion e ritmiche funk rock.
La title track apre l’album con i suoi sedici minuti di musica progressiva assolutamente tradizionale: Gentle Giant, Camel e new prog britannico traspaiono sullo spartito dei The Tangent, che cambiano subito registro con lo strumentale The Melting Andalusian Sky, per unire King Crimson a soluzioni fusion.
Su intuizioni funky è strutturata A Case Of Misplaced Optimism, mentre le conclusive The Adulthood Lie e Supper’s Off si completano di sfumature che tornano su lidi più tradizionali pur rimanendo legate ad atmosfere fusion, marchio di fabbrica dei The Tangent.
Accompagnato come sempre da musicisti di livello assoluto come Theo Travis ai fiati (Soft Machine), da Jonas Reingold (Flower Kings/Steve Hackett band) al basso, Luke Machin (Maschine/Francis Dunnery band) alla chitarra, Steve Roberts (ex Magenta/Godsticks) alla batteria, e Goran Edman (Karmakanic/ex Yngwie Malmsteen band), Tillison ed i suoi The Tangent sono diventati un appuntamento per gli amanti del rock progressivo, chiamati in causa dal musicista nella conclusiva Supper’s Off, in quanto in buona parte rei di un attaccamento maniacale e conservatore alla musica scritta negli anni settanta a scapito del doveroso supporto agli artisti contemporanei: dovendo giudicare in base alla qualità delle della scena progressive rock attuale (e non solo di quella), non possiamo che essere d’accordo con lui.

Tracklist
1. Proxy
2. The Melting Andalusian Skies
3. A Case Of Misplaced Optimism
4. The Adulthood Lie
5. Supper’s Off
6. Excerpt From “Excerpt From “Exo-Oceans”

Line-up
Andy Tillison – Vocals, Lyrics, Keyboards, Composer
Jonas Reingold – Bass Guitar
Theo Travis – Sax & Flute
Luke Machin – Guitar
Steve Roberts – Drums
With special guest: Goran Edman – Vocals

THE TANGENT – Facebook

BAD As – Midnight Curse

Un album per il quale vale la pena perdersi per una quarantina di minuti tra le sue trame, fatte da una ragnatela di influenze ed ispirazioni che portano il sound del gruppo a viaggiare tra diversi generi, dal rock al metal per mano alla propria anima progressiva.

Il panorama metal/rock nazionale negli ultimi anni si sta valorizzando in modo esponenziale grazie a label molto attive come la Rockshots Records, la quale non manca di dare il suo prezioso supporto a gruppi e artisti di ottimo livello (nazionali ed internazionali) che vanno ad impreziosire la scena.

I BAD As debuttano per l’etichetta con Midnight Curse, un album per il quale vale la pena perdersi per una quarantina di minuti tra le sue trame, fatte da una ragnatela di influenze ed ispirazioni che portano il sound del gruppo a viaggiare tra diversi generi, dal rock al metal per mano alla propria anima progressiva.
Il gruppo, fondato dal bassista Alberto Rigoni, si completa con Alessio “Lex” Tricarico alle chitarre, Marino De Bortoli alla batteria e Mattia Martin alla voce, protagonista come i suoi compagni di una prova sopra le righe.
Midnight Curse ci presenta una band dalla personalità debordante, con un sound che risulta un perfetto mix tra metal progressivo e rock alternativo, tradizione e modernità al servizio di una raccolta di brani potenti e melodici, supportati da una precisa e robusta base ritmica, riff e solos progressivamente metallici, ma che sanno essere taglienti e spettacolarmente heavy, il tutto legato da una prova vocale di livello assoluto.
Senza perdere la bussola i BAD As riescono a far convivere le due principali ispirazioni in tracce che brillano di freschezza compositiva: niente di originale ma talmente ben fatto che dal riff ultra heavy di Black Star in poi è un susseguirsi di spumeggianti saliscendi tra potenza e melodia, raffinato progressive ed irruente hard rock alternativo.
Una raccolta di brani diretti, mediamente corti se pensiamo all’opera come un lavoro progressivo, ma assolutamente perfetti fin dalla title track alla successiva Coming far Away, da Dream Fighter alla conclusiva Dark Element, passando per le due ballad, lo splendido crescendo emozionale di Cause Of My Poetry e This Time.
Tra le trame di Midnight Curse si può riconoscere più di una band che ha ispirato i BAD As, ma la personalità del gruppo e la qualità dei brani riuscirà a conquistare lo stesso senza troppi e spesso inutili paragoni.

Tracklist
1. Black Star
2. Midnight Curse
3. Coming Far Away
4. Shadows of the Night
5. Cause of my Poetry
6. Dream Fighter
7. Open Your Mind
8. At a Sunset
9. This Time
10. Dark Element

Line-up
Mattia Martin – Vocals
Alessio “Lex” Tricarico – Guitars
Marino De Bortoli – Drums
Alberto Rigoni – Bass

BAD AS – Facebook

Athrox – Through The Mirror

La band, dotata di una personalità debordante, ci travolge con la sua raffinata e drammatica potenza, i brani si susseguono, storie e problematiche di tutti i giorni vengono raccontate attraverso uno specchio, mentre la musica segue la narrazione tra spettacolari e cangianti momenti di metal dall’alta potenze espressiva.

Dopo due anni dal bellissimo esordio Are You Alive?, puntualmente recensito da MetalEyes, tornano tramite Revalve Records gli Athrox, band toscana che suona heavy/thrash metal dai molti ricami progressivi e dalle ispirazioni che trovano le proprie radici nel nobile e raffinato metallo statunitense.

La band, fondata dal chitarrista Sandro Seravalle e del batterista Alessandro Brandi quattro anni fa, alza il tiro con questo secondo lavoro dal titolo Through the Mirror, registrato, mixato e masterizzato presso gli studio Outer Sound Studio di Giuseppe Orlando, presentandoci dieci perle metalliche che alternano atmosfere drammatiche, sferzate di rabbioso thrash metal e splendidi momenti di raffinata musica dure progressiva.
Assolutamente all’altezza è la prova dei musicisti su cui si staglia la voce del cantante Giancarlo Picchianti, migliorato in modo esponenziale rispetto alla comunque ottima performance sul primo lavoro, che risultava più classicamente heavy rispetto a questo secondo gioiellino heavy/thrash/prog metal.
La band, dotata di una personalità debordante, ci travolge con la sua raffinata e drammatica potenza, i brani si susseguono, storie e problematiche di tutti i giorni vengono raccontate attraverso uno specchio, mentre la musica segue la narrazione tra spettacolari e cangianti momenti di metal dall’alta potenze espressiva.
Gli Athrox si fanno preferire quando l’irruenza thrash prende il comando delle operazioni, mantenendo comunque un tocco progressivo che non inficia l’ascolto anche di chi, senza tanti fronzoli, preferisce in impatto diretto (Ashes Of Warsaw, Decide Or Die), anche se l’album risulta vario ed assolutamente difficile da catalogare in un solo genere.
Meritano una menzione la progressiva opener Waters Of The Acheron, la potente Sadness n’ Tears e la conclusiva Fallen Apart, ma è l’ascolto in toto di questo lavoro che vi porterà a segnarvi la band toscana come uno dei gruppi più convincenti di questo ultimo periodo dell’anno in corso.

Tracklist
1.Waters of the Acheron
2.Ashes of Warsaw
3.Empty Soul
4.Through the Mirror
5.Imagine the Day
6.Decide or Die
7.Sadness n’ Tears
8.Fragments
9.Dreams of Freedom
10.Fallen Apart

Line-up
Giancarlo “IAN” Picchianti – Lead Vocals
Sandro “SYRO” Seravalle – Guitars
Francesco “FRANK” Capitoni – Guitars
Andrea “LOBO” Capitani – Bass Guitars
Alessandro “AROON” Brandi – Drums

ATHROV – Facebook

Opeth – Garden Of The Titans: Live At Red Rocks Amphitheatre

Gli Opeth hanno ormai raggiunto uno status che li pone tra i grandi della musica moderna di stampo progressivo ed i loro live sono un’esperienza uditiva assolutamente coinvolgente, quindi nessuna sorpresa negativa scaturisce dall’ascolto di questo live.

Gli Opeth sono una delle band più importanti che la scena metallica Scandinava ha sfornato negli ultimi trent’anni, un gruppo capace di fare scuola in quello che, dalla nascita della band del geniale Mikael Åkerfeldt è diventato un genere dei più seguiti nel panorama estremo, amalgamando impulsi death e black con la musica progressiva.

Da almeno tre lavori, però, gli Opeth hanno preso una strada che li ha portati a rivalutare sonorità più classiche trasformandosi in una creatura progressiva più vicina al tradizionale sound settantiano.
Il live in questione ci presenta gli Opeth di oggi, dopo i festeggiamenti per il ventennale con quello che era l’ultima testimonianza del gruppo in concerto, uscita nel 2010 (In Live Concert at the Royal Albert Hall), un lavoro che fotografa la band nel tour di supporto all’ultimo album in studio Sorceress, licenziato un paio di anni fa.
Garden Of The Titans: Live At Red Rocks Amphitheater immortala la band sul palco del Red Rocks Amphiteatre di Denver l’11 maggio 2017 ed esce ni formati DVD, Blu-ray (entrambi corredati di CD audio) e vinile.
Tre brani presi dall’ultimo album e poi una carrellata di tracce a coprire quasi per intero la discografia fanno di questo live un buon riassunto di quello che la band ha prodotto in questi anni, ed avendo l’opportunità del solo ascolto possiamo sicuramente affermare che l’operazione merita l’attenzione degli amanti del gruppo svedese.
Gli Opeth hanno ormai raggiunto uno status che li pone tra i grandi della musica moderna di stampo progressivo ed i loro live sono un’esperienza uditiva assolutamente coinvolgente, quindi nessuna sorpresa negativa scaturisce dall’ascolto di questo live, trattandosi di una performance di altissimo livello con la quale il gruppo emoziona come pochi sanno fare, grazie a vere gemme sonore come Ghost Of Perdition, In My Time Of Need, The Devil’s Orchard e Deliverance.
Ovviamente l’intera la tracklist è di assoluta qualità, e se sicuramente i fans di vecchia data storceranno il naso per la mancanza di brani dai primi cinque magnifici lavori, grazie all’altissimo livello della musica contenuta in questo live tutto questo si riduce ad un semplice dettaglio.

Tracklist
1. Sorceress
2. Ghost Of Perdition
3. Demon Of The Fall
4. The Wilde Flowers
5. In My Time Of Need
6. The Devil’s Orchard
7. Cusp Of Eternity
8. Heir Apparent
9. Era
10. Deliverance

Line-up
Mikael Åkerfeldt – Guitars, Vocals
Martín Méndez – Bass
Martin Axenrot – Drums, Percussion
Fredrik Åkesson – Guitars
Joakim Svalberg – Keyboards, Piano, Mellotron

OPETH – Facebook

Grey Czar – Boondoggle

La passione ed il talento portano a fare dischi come questo, una piccola grande gemma che suona molto bene e che potrà piacere trasversalmente agli ascoltatori di generi diversi fra loro.

Attivi dal 2010, gli austriaci Grey Czar propongono un’inusuale miscela di prog, doom e stoner, il tutto con un taglio molto personale e particolare.

La loro musica contiene molti spunti, i ritmi cambiano spesso e i riff vanno a creare un affresco vicino alle opere prog degli anni settanta, seppure con maggiore durezza. Ci sono elementi musicali in questo gruppo che non si possono ritrovare altrove, una certa drammatizzazione della canzone che viene divisa in molti rivoli che poi vanno a sfociare in un fiume che porta al mare. La voce di Roland Hickmann viene utilizzata come uno strumento, elevando ad un altro livello anche i quelli veri che sono sempre ben amalgamati, con una produzione che riesce ad incanalare bene tutto facendoli rendere al massimo. Il respiro delle canzoni tende sempre verso l’alto, per arrivare al cielo con un’epicità che ha preso qualcosa dall’heavy metal, pur essendo fortemente diversa da quel genere. La storia di questi quattro austriaci è comune alla maggior parte dei musicisti nel globo terrestre, ovvero gente che prova e suona sottraendo tempo ad affetti e famiglia, quasi sempre in qualche scantinato dopo aver lavorato tutto il giorno, eppure quel fuoco arde sempre e ti porta, come nel caso dei Grey Czar, a produrre e far uscire il proprio lavoro senza l’ausilio di promoter o etichette. Nella fattispecie, Boondoggle è un’ottima prova, che mostra tante facce diverse di un gruppo dalle notevoli dote e ancora tanta potenzialità. Ciò che stupisce maggiormente è la disinvoltura con la quale cambiano spesso il passo dei loro pezzi, accentuando ora una caratteristica ora un’altra, ma rimanendo sempre fedeli ad un forte struttura, perché si sente che sono un gruppo molto solido. La passione ed il talento portano a fare dischi come questo, una piccola grande gemma che suona molto bene e che potrà piacere trasversalmente agli ascoltatori di generi diversi fra loro. Inoltre i dischi dei Grey Czar sono sempre trampolini per spiccare il volo nei loro infuocati concerti.

Tracklist
1.Age of Man
2.Fire Water Holy Ghost
3.Profession of Faith
4.Weight of Worlds
5.Thunder Bay
6.Forlorn March
7.Sail Away
8.White Velvet
9.Create Break or Animate
10.Vast Empyrean
11.Everqueen
12.Deep Sea

Line-up
Roland Hickmann – Guitar & Vocals
Wolfgang Brunauer – Bass & Vocals
Florian Primavesi – Guitar & Vocals
Wolfgang Ruppitsch – Drums

GREY CZAR – Facebook

GC Project – Two Of A Kind

I GC Project hanno dato vita ad un lavoro affascinante, a tratti raffinato, mai troppo metallico, ma dalle molte influenze che pescano ovviamente nel mondo della musica progressiva degli ultimi quarant’anni.

Giacomo Calabria è un batterista e compositore nostrano che, con il suo progetto solista, arriva con Two Of A Kind al secondo lavoro licenziato dalla Sliptrick Records.

L’album è il successore del debutto uscito targato chiamato GC Project di tre anni fa (Face The Odds), un interessante viaggio musicale attraverso i sentimenti umani descritti tramite un progressive rock/metal dalla tecnica sopraffina e dal buon gusto per gli arrangiamenti e con le melodie sempre in primo piano.
In questo lavoro vivono anime progressive che vanno appunto dal rock al metal, passando per generi ed ispirazioni anche molto lontane tra loro come la fusion.
Una musica totale che vede Giacomo Calabria alle prese con una raccolta di brani che sfuggono ad una precisa identificazione, mostrando un’anima errante nel mondo delle sette note.
Aiutato da una proficua campagna di crowdfunding, il musicista nostrano con la sua band ha dato vita ad un lavoro affascinante, a tratti raffinato, mai troppo metallico, ma dalle molte influenze che pescano ovviamente nel mondo della musica progressiva degli ultimi quarant’anni.
L’apertura è lasciata a Desert In The Sky, brano prog metal di chiara ispirazione Dream Theater, band che rimane una delle maggiori ispirazioni specialmente quando i GC Project induriscono i suoni, per poi come detto viaggiare su un tappeto magico che li porta indietro fino agli anni settanta tra Yes e Genesis, la nostra PFM e qualche accenno all’hard blues dei Led Zeppelin.
Con una follia compositiva che provoca cambi di atmosfera ed impatto ad ogni brano, la band ci regala momenti di musica notevole come The Great Red Spot Of Jupiter, la stupenda ballad Black Rose, i saliscendi sull’ottovolante progressivo di The Genius And The Magician e le note fusion di 5 Seasons Of Sonora.
Two Of A Kind risulta quindi un lavoro assolutamente riuscito e da non perdere se siete amanti della musica progressiva.
Tracklist
1. Desert In The Sky
2. The Land Of Broken Dreams
3. The Great Red Spot Of Jupiter
4. Forget Me Again
5. Black Rose
6. Restlessness
7. It’s All About
8. The Genius And The Magician
9. Through The Wind
10. 5 Seasons Of Sonora
11. The Westland
12. Two Of A Kind

Line-up
Giacomo Calabria

GC PROJECT – Facebook

Black Oath – Behold The Abyss

Behold The Abyss è una raccolta di brani che ci conducono verso la parte magica, oscura e rituale del metal, un lavoro fuori dal tempo dedicato a chi ascolta la musica in maniera sicuramente non frettolosa.

I Black Oath sono un’entità progressive doom nata nella nostra penisola nel 2006 in quel di Milano.

Il quartetto lombardo, capitanato dal bassista, chitarrista e cantante A.Th, arriva al quarto full length, licenziato dalla High Roller Records, di una discografia che si completa di un buon numero di ep, split e demo.
Behold The Abyss è un lavoro che si muove agevolmente nella parte oscura e mistica del metal progressivo, con un composto da atmosfere dark e doom: un’atmosfera occulta e misteriosa avvolge questo splendido album che si ispira ai classici della tradizione tricolore che, per quanto riguarda il genere, rimane una delle più importanti e rispettate a livello mondiale.
I Black Oath la lezione dei maestri (Death SS, Paul Chain e Goblin su tutti) l’hanno imparata a dovere, amalgamandola però con altre e non meno importanti ispirazioni che vanno dai Black Sabbath al metal classico dei Mercyful Fate fino al gothic dark dei Fields Of The Nephilim, creando un’atmosfera mistica ed evocativa di grande effetto.
Behold The Abyss, in virtù delle caratteristiche elencate, risulta un ottimo esempio di musica oscura: un alone magico contorna brani che tanto sanno di rituali, come la lunga ed affascinante title track, Lilith Black Moon, Once Death Sang (valorizzata dalla presenza al microfono di Elisabeth, cantante dei Riti Occulti) e la metallica e trascinante Profane Saviour.
Behold The Abyss è una raccolta di brani che ci conducono verso la parte magica, oscura e rituale del metal, un lavoro fuori dal tempo dedicato a chi ascolta la musica in maniera sicuramente non frettolosa.

Tracklist
1. Behold the Abyss
2. Chants of Aradia
3. Lilith Black Moon
4. Once Death Sang
5. Profane Saviour
6. Everlasting Darkness

Line-up
A.Th – vocals, bass, guitar
Gabriel – guitar
Bon R. – guitar
Chris Z. – drums

BLACK OATH – Facebook

Old Rock City Orchestra – The Magic Park Of Dark Roses

Album emozionante, intenso, oscuro e sinfonico, The Magic Park Of Dark Roses è un viaggio affascinante nella migliore tradizione della musica rock progressiva: per gli amanti del genere un ascolto obbligato.

L’universo del rock progressivo continua a meravigliare i suoi ascoltatori, specialmente quelli che non si sono rinchiusi nello spazio temporale del decennio settantiano, ma hanno continuato il viaggio alla scoperta di chi ha fatto tesoro della lezione impartita dai grandi gruppi del passato per creare qualcosa di personale.

L’Italia è sempre stata una culla per il genere continuando a sfornare realtà di spessore anche nel nuovo millennio, dai suoni progressivi classici alle varie contaminazioni che il genere ha subito in questi anni.
Gli umbri Old Rock City Orchestra sono uno degli esempi più fulgidi di tutto questo, tenendosi lontani dai suoni moderni e metallici tanto di moda e restando più vicini ad un approccio tradizionale, pregno di sfumature ed atmosfere dark.
The Magic Park Of Dark Roses è il loro terzo full length, dopo Once Upon A Time, album di debutto licenziato dalla band nel 2012, ed il bellissimo Back To Earth, uscito tre anni fa.
Il trio proveniente da Orvieto si ripresenta con questo nuovo e notevole lavoro, prodotto dalla band in collaborazione con Avanguardia Convention: un viaggio progressivo nei meandri di un rock che si nutre di hard rock come di sonorità sinfoniche, blues e psichedelia, ma questa volta con l’aggiunta di atmosfere dark e a tratti folk, in un arcobaleno di suoni dai tenui colori che tendono al nero, ma sempre eleganti, emozionanti e raffinati.
The Magic Park Of Dark Roses è una raccolta di brani a tratti spettacolari, con una prestazione da incorniciare per i tre musicisti, in particolare della tastierista Cinzia Catalucci con la sua splendida e personale voce.
Il concept oscuro e magico dell’album allontana la band dal precedente lavoro, facendole vestire i panni della progressive dark band a tutti gli effetti e regalare attimi di musica straordinaria come la notevole title track, la seguente Abraxas, che ricorda nel refrain gli Uriah Heep di Salisbury (Bird Of Prey), l’oscura The Fall (nella quale la singer offre un’interpretazione degna di Kate Bush), le armonie folk di Visions, la magica A Night In The Forest, cantata dal chitarrista e bassista Raffaele Spanetta, le sinfonie progressive di A Spell Of Heart And Soul Entwined, il ritorno alle sonorità di Back To Earth con il rhythm and blues di Soul Blues e il maestoso finale progressivo lasciato alla strumentale Golden Dawn.
Album emozionante, intenso, oscuro e sinfonico, The Magic Park Of Dark Roses è un viaggio affascinante nella migliore tradizione della musica rock progressiva: per gli amanti del genere un ascolto obbligato.

Tracklist
1.The Magic Park Of Dark Roses
2. Abraxas
3. The Fall
4. Visions
5. A Night In The Forest
6. The Coachman
7. A Spell Of Heart And Soul Entwined
8. Thinkin’ ‘bout Fantasy
9. Soul Blues
10. Golden Dawn

Line-up
Cinzia Catalucci – Vocals/Keyboards
Raffaele Spanetta – Guitars/Bass/Vocals
Mike Capriolo – Drums/Percussion/Backing vocals

OLD ROCK CITY ORCHESTRA – Facebook

The Selfish Cales – Haapsalu

Haapsalu si rivela un lavoro che amalgama con disinvoltura i generi citati, cullandoci con bellissime parti melodiche, armonizzazioni vocali e digressioni tecniche di altissimo livello, il tutto con un’aura di magico rock progressivo d’alta scuola.

Haapsalu è un paese dell’Estonia affacciato sul Mar Baltico e meta del viaggio che ha ispirato questo terzo lavoro dei torinesi The Selfish Cales, splendida realtà progressiva e psichedelica che con questo lavoro inizia un nuovo percorso sia per quanto riguarda il sound che gli interpreti, guidati dall’unico reduce della passata line up, Andy Cale.

Haapsalu è un album di rock progressivo che lascia spazio alla psichedelia, al blues e al glam di scuola Mark Bolan, lasciando poco al rock moderno a favore di un approccio ben saldo negli anni sessanta e settanta.
Armonie acustiche, elettrizzanti chitarre hard rock e cambi tempo ed atmosfere ci accompagnano dal momento in cui il treno si ferma ad Haapsalu e noi vi si sale per affrontare questo viaggio tra il rock progressivo d’alta scuola che inizia con Baltic Memories, brano che ci dà il benvenuto nel mondo dei The Selfish Cales.
Beyond The Last Horizon mette in risalto l’anima più progressiva del gruppo, giocando su molti cambi di ritmo e si colloca tra due gemme musicali come la title track e la splendida e sognante Winterfell, brano acustico e progressivo che ricorda a tratti gli Yes.
Chestnut Maze è il singolo che ci porta verso la seconda metà dell’opera, che ha in Kaspar Hauzer uno dei momenti migliori, tra bellissime linee vocali e ritmiche progressive di grande tecnica ed impatto.
Haapsalu si rivela un lavoro che amalgama con disinvoltura i generi citati, cullandoci con bellissime parti melodiche, armonizzazioni vocali e digressioni tecniche di altissimo livello, il tutto con un’aura di magico rock progressivo di grande fattura.

Tracklist
1.Baltic Memories
2.Smokey Shades
3.Haapsalu (free)
4.Beyond The Last Horizon
5.Winterfell
6.Chestnut Maze (free)
7.Fairytales, Nowadays
8.Kaspar Hauser
9.You Can’t Sit With The Sabbath

Line-up
Andy Cale – Frontman (Guitar, Sitar, Lead Voice)
Giuseppe Floridia – Bass, Vocals
Alberto Rocca – Keyboards, Vocals
Luca Zanon – Drums

THE SELFISH CALES – Facebook

Gösta Berlings Saga – Et Ex

Una lunga fuga strumentale divisa in otto capitoli è quello che ci riserva la band svedese e l’album diventa così un’opera che va oltre i soliti canoni rock per trasformarsi in musica totale.

Tornano con un nuovo lavoro di progressive rock strumentale gli svedesi Gösta Berlings Saga, quartetto attivo da più di un decennio e che ha trovato uno status di band culto per gli amanti del genere grazie ad una manciata di lavori di ottima fattura.

Dal debutto Tid Är Ljud, uscito nel 2006, fino a quest’ultimo lavoro intitolato Et Ex, la band di Stoccolma ha elaborato il proprio sound, ponendo le basi per una discografia che non trova punti deboli, grazie ad opere che si ispirano agli anni settanta conservando una loro precisa identità.
Anche questa volta, partendo da una struttura crimsoniana, i Gösta Berlings Saga trovano la porta astrale per un altro viaggio nel tempo, tra input settantiani e moderni accenni progressivi, immettendo nella propria musica sfumature provenienti da altri generi in un mosaico musicale di alto spessore.
Anche in Et Ex, come per gli altri lavori, la parola d’ordine è emozionare senza troppi tecnicismi, ma con lampi di geniale musica progressiva che sfiora atmosfere da colonna sonora, elaborando influenze ed ispirazioni e facendone propria l’anima compositiva.
Una lunga fuga strumentale divisa in otto capitoli è quello che ci riserva la band svedese e l’album diventa così un’opera che va oltre i soliti canoni rock per trasformarsi in musica totale, difficile da digerire in tempi nei quali si dedica sempre meno tempo al vero ascolto a favore di un approccio usa e getta anche in generi adulti come il progressive rock.
Avvicinatevi alla musica dei Gösta Berlings Saga solo se siete amanti del genere, in tal caso scoprirete un mondo parallelo di note progressive d’autore.

Tracklist
1. Veras tema
2. The Shortcomings of Efficiency
3. Square 5
4. Over and Out
5. Artefacts
6. Capercaillie Lammergeyer Cassowary & Repeat
7. Brus från stan
8. Fundament

Line-up
Alexander Skepp – Drums & Percussion
David Lundberg – Fender Rhodes, Mellotron & synthesizers
Gabriel Tapper – Bass guitar & Moog
Taurus Rasmus Booberg – Guitars & synthesizers

GOSTA BERLINGS SAGA – Facebook

Emphatica – Time

Progressive rock, ma non solo, è quel che si trova nello scrigno di sensazioni, paesaggi musicali dai mille colori che questa volta si muovono dalle ispirazioni psichedeliche degli anni 60/70 per arrivare ai giorni nostri in un’escalation di note.

Lo scorrere del tempo è la chiave di lettura di questi settanta minuti di musica totale, un viaggio scandito dalle innumerevoli ispirazioni e sensazioni che il polistrumentista Gerardo Sciacca immette nello spartito di Time, ultimo lavoro a firma Emphatica.

Ne avevamo già parlato quattro anni fa di questo musicista e songwriter nostrano il quale torna, dopo lo splendido Metamorphosis, con un altro mastodontico lavoro.
Progressive rock, ma non solo, è quel che si trova nello scrigno di sensazioni, paesaggi musicali dai mille colori che questa volta si muovono dalle ispirazioni psichedeliche degli anni 60/70 (Rising Moon) per arrivare ai giorni nostri in un’escalation di note che, parlando la lingua universale della musica moderna, lasciano poche briciole al loro passaggio come una sorta di pollicino musicale, per indicarci una via che ci conduca alla comprensione di questo nuovo lavoro.
Nel sound degli Emphatica vivono una moltitudine di anime: psichedeliche, rock, elettroniche, new wave, classiche che si scambiano continuamente il timone portando l’ascoltatore verso sensazioni diverse, creando un via vai di emozioni cangianti.
All’ascolto di Time ognuno prediligerà un capitolo rispetto ad un altro (splendide a mio avviso le note progressive settantiane di Echoes From The Past, quelle classiche di Fireplaces Tales, le liquide divagazioni di Echoes From The Future e il sunto compositivo dei quattordici lunghi minuti di Dying Sun), ma è nel suo complesso che l’album trova una precisa identità, trattandosi di un’opera strumentale che pretende un ascolto attento e scrupoloso per godere di ogni nota, passaggio e movimento.
Un’ altra perla musicale firmata Emphatica da non perdere assolutamente se siete ascoltatori attenti aldilà dei generi.

Tracklist
1.Rising Moon
2.Echoes From the Past
3.Wandering in the Desert
4.Our Sleeping Souls
5.Fireplace Tales
6.Mother (Once We Had a Dream)
7.Reversal
8.Shattered Lights
9.Echoes From the Future
10.Before We Grow Old
11.Deep Space Dissonance
12.Dying Sun

Line-up
Gerardo Sciacca

EMPHATICA – Facebook

Watershape – Perceptions

Il sound dei Watershape riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.

La tradizione nostrana per quanto riguarda la musica progressiva viene puntualmente confermata dalle uscite discografiche di un certo spessore anche nel nuovo millennio.

Il genere riserva sempre piacevoli sorprese e l’Italia in questo campo scaglia frecce che colpiscono al cuore gli amanti della musica progressiva, a mio avviso mai come in questo periodo aperta a mille ispirazioni ed influenze.
Il metal ha dato una grossa mano al genere, scuotendo dalle fondamenta un’attitudine conservatrice e donando verve ed soluzioni intriganti ad un sound che rischiava di rimanere confinato ai soli reduci dagli anni settanta.
Gli Watershape, per esempio, sono una band fondata da Francesco Tresca, batterista degli Arthemis ed ex Power Quest, raggiunto da una manciata di musicisti che hanno militato o militano in ottimi gruppi della scena tricolore come Hypnotheticall, Sinastras e Hollow Haze.
Il loro sound riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.
L’album è un piacevole viaggio tra queste sfumature ed atmosfere, la band in modo raffinato ed intelligente non calca mai la mano su questa o quella ispirazione ma lascia che la musica fluisca libera, così che i passaggi dal rock progressivo a quello metallico non risultano mai forzati, al limite dettati da momenti di atmosferico rock che va dai King Crimson (Inner Tide ricorda gli splendidi momenti di pacata atmosfera dei brani che hanno fatto di In The Court Of The Crimson King uno degli album più belli della storia) ai Porcupine Tree (una delle tante concessioni all’era moderna del prog, insieme ai Pain Of Salvation ed ai più estremi Opeth).
Il resto è musica rock/metal d’alta scuola, progressiva e tecnica ma senza strafare, lasciando che siano i brani e le loro atmosfere a donare emozioni all’ascoltatore.
Da segnalare la prestazione di Nicolò Cantele, cantante che ricorda a tratti Damian Wilson, per diversi anni frontman dei Threshold, band che con i Dream Theater completa la parte metal della musica del gruppo, e di spessore le prestazioni degli musicisti coinvolti che valorizzano splendidi brani come Beyond The Line Of Being, la metallica Cyber Life o la classica The Puppets Gathering, a mio avviso il punto più alto di questo bellissimo album consigliato senza riserve a tutti gli amanti dei suoni progressivi.

Tracklist
01. Beyond The Line Of Being
02. Cyber Life
03. Alienation Deal
04. Stairs
05. The Puppets Gathering
06. Inner Tide
07. Fanciful Wonder
08. Seasons
09. Cosmic Box #9

Line-up
Nicolò Cantele – Vocals
Mirko Marchesini – Guitars
Mattia Cingano – Bass & Chapman Stick
Enrico Marchiotto – Keyboards & Synths
Francesco Tresca – Drums & percussions

WATERSHAPE – Facebook

Krakow – Minus

Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

I Krakow danno alle stampe il loro quinto album, sterzando verso sonorità a metà strada tra psych rock, progressive e metal estremo e confezionando un piccolo gioiello di musica non così scontata come si potrebbe pensare, specialmente se si considera la band norvegese una gruppo progressive moderno.

Il quartetto di Bergen ha condensato il materiale in poco più di mezzora di musica evocativa, psichedelica e dai tratti progressivi, ma lascia spazio pure a sonorità più cool come lo stoner per un risultato interessante.
In Minus, quindi, non ci sono riempitivi, la musica scorre su un letto psichedelico, creando atmosfere fuori dal tempo sferzate da venti progressivamente metallici; la parte estrema, rilevante nella notevole The Stranger, si contrappone ai momenti evocativi ed atmosferici, mai dilatati ma tenuti in tensione da un songwriting essenziale.
Phil Campbell è ospite gradito nell’opener Black Wandering Sun, in From Fire From Stone nuvoloni sludge appaiono all’orizzonte portando perturbazioni di stampo Neurosis, mentre è il doom/progressive che rende la title track il brano più riuscito dell’intero lavoro.
Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

Tracklist
1. Black Wandering Sun
2. Sirens
3. The Stranger
4. From Fire, From Stone
5. Minus
6. Tidlaus

Line-up
Frode Kilvik – Bass, Vocals
René Misje – Guitar,Vocals
Kjartan Grønhaug – Guitar
Ask Ty Arctander – Drums

KRAKOW – Facebook

Riverside – Wasteland

Wasteland conferma i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tornare sul mercato con un nuovo album dopo una tragedia come quella capitata ai Riverside non è sicuramente compito facile, così come la scelta di continuare come trio dopo la perdita del chitarrista Piotr Grudziński, deceduto nel 2016.

Il successore del bellissimo Love, Fear and The Time Machine suscita sicuramente la curiosità di chi segue da anni il percorso musicale del gruppo polacco, una band diventata di culto per i progsters da quando, nel lontano 2003, esordì con Out Of Myself.
Mariusz Duda, Michał Łapaj e Piotr Kozieradzki, aiutati da una manciata di ospiti, continuano il loro personale viaggio nel mondo della musica progressiva con Wasteland, poetica, tragica ed ombrosa opera che non lascia spazio a molte critiche ed ammalierà i fans del genere.
Introverso, concettualmente durissimo, sferzante di nobile metallo ed attraversato da un’atmosfera di malinconica poetica rock, Wasteland è aperto dall’intro The Day After, sorta di presentazione dei nuovi Riverside e del mood che aleggerà nell’album, che parte invece rabbioso con Acid Reign, spettacolare brano progressive metal.
Lament è un altro brano top del disco: la voce melanconica si erge su un tappeto sonoro che alterna bordate elettriche ad arpeggi delicati e dark, mentre The Struggle For Survival è uno splendido strumentale di oltre nove minuti che, di fatto, divide l’album e lascia al tenue incedere di River Down Below il compito di accompagnarci nella parte conclusiva dell’opera.
La title track è uno straordinario esempio di metal progressivo, in cui oscure atmosfere di matrice folk sono spazzate da venti metallici in un saliscendi emozionale intenso e coinvolgente.
L’album si chiude con le raffinate note dark del pianoforte in The Night Before, traccia che scrive la parola fine di un’ opera molto suggestiva, confermando i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tracklist
1. The Day After
2. Acid Rain Part I. Where Are We Now? Part II. Dancing Ghosts
3. Vale Of Tears
4. Guardian Angel
5. Lament
6. The Struggle For Survival Part I. Dystopia Part II. Battle Royale
7. River Down Below
8. Wasteland
9. The Night Before

Line-up
Mariusz Duda – vocals, electric and acoustic guitars, bass, piccolo bass, banjo, guitar solo on ‘Lament’ and ‘Wasteland’
Michał Łapaj – keyboards and synthesizers, rhodes piano and Hammond organ, theremin on ‘Wasteland’
Piotr Kozieradzki – drums

RIVERSIDE – Facebook

Sweeping Death – In Lucid

In Lucid è un album nel quale la tecnica importante dei protagonisti è al servizio di brani che non lasciano spazio alla banalità, rifacendosi a band storiche del genere ma con la dovuta dose di personalità.

Il precedente ep dal titolo Astoria ci aveva presentato una band assolutamente in grado di dire la sua nell’affollato panorama del metal progressivo europeo, grazie ad un sound maturo ed affascinante che univa thrash metal nobile alla Mekong Delta, intricate parti progressive ed heavy che molto avevano dei maestri Savatage, alternate a devastanti ripartenze classiche di scuola Annihilator.

Tornano così gli Sweeping Death con il primo full length, un’opera straordinariamente riuscita e perfettamente calata in un contesto metallico e progressivo di assoluto valore.
In Lucid risulta quindi un album nel quale la tecnica importante dei protagonisti è al servizio di brani che non lasciano spazio alla banalità, rifacendosi a band storiche del genere ma con la dovuta dose di personalità.
Squadra che vince non si cambia, e la line up è la stessa del precedente lavoro, con il vocalist Elias Witzigmann a scuotere le fondamenta dietro al microfono con una prestazione emozionante, i due Bertl (Simon ed Andreas, alla chitarra e al basso) coadiuvati da Markus Heilmeier (chitarra) e Tobias Kasper (batteria e piano) a formare una band che sanno il fatto suo, dimostrandolo in ogni passaggio.
Heavy/thrash metal progressivo, drammatico e a tratti teatrale, è quello che ascolterete tra le note di In Lucid, composto da nove brani uno più intenso dell’altro, a cominciare dalla magnifica Blues Funeral, per attraversare i cinquanta minuti a disposizione del gruppo tra atmosfere di tensione palpabile, tragiche note progressive e splendide partiture estreme che compongono le varie Suicide Of A Chiromantist, Resonanz e la title track, la quale aggiunge alle ispirazioni già citate gli Evergrey e i Symphony X.
In Lucid è un album fortemente raccomandato agli amanti del metal progressivo dalle atmosfere teatrali ed oscure.

Tracklist
1.Eulogue
2.Blues Funeral
3.Horror Infernal
4.Suicide of a Chiromantist
5.Purpose
6.Resonanz
7.Antitecture
8.Lucid Sin
9.Stratus

Line-up
Elias Witzigmann – Leadvox
Simon Bertl – Guitar / Backingvocals
Markus Heilmeier – Guitar
Tobias Kasper – Drums/Piano
Andreas Bertl – Bass

SWEEPING DEATH – Facebook

Tamarisk – The Ascension Tape

Nastro di culto, da parte di uno sfortunato ma pionieristico gruppo inglese, tra i primissimi a lanciare il new progressive britannico a inizio degli Eighties.

Il new prog inglese inaugurato ufficialmente nel 1983 dai debutti sulla lunga distanza di Marillion e IQ nasce in realtà alla fine degli anni Settanta, con il desiderio di riproporre in forma aggiornata le sonorità del rock sinfonico nato al principio del decennio precedente.

Tra il 1978 e il 1979 nascono i grandiosi Twelfth Night, per certi aspetti i Van Der Graaf degli anni Ottanta. Nel 1981, escono poi i primi dischi dei francesi Edhels, dei norvegesi Kerrs Pink (tra Camel e Pink Floyd) e degli olandesi Light, mentre i Lens (primo nucleo degli IQ) ripropongono e modernizzano certo space progressive, con il loro primo ed unico nastro, Seven Stories Into Eight. La scena londinese è anch’essa in pieno fermento: dal nord-est della capitale inglese, giungono i Tamarisk. Nel 1982, incidono il loro primo demo, The Ascension Tape: solo tre composizioni, ma di eccellente qualità e molto rappresentative del nascente movimento e della declinazione artistica che il Regno Unito inizia a fornirne. Riusciti intrecci di chitarra fluida e tastiere pompose, ottimo gusto, raffinatezza e melodia, azzeccati inserti più hard rock – in anticipo di tre anni sul gioiello medievaleggiante Different Breed dei Beltane Fire – contribuiscono a codificare l’approccio stilistico dei Tamarisk. L’anno seguente il quintetto inglese registra una seconda cassetta, Lost Properties, nuovamente di tre pezzi. A quel punto, il materiale per realizzare un LP c’è, ma il contratto non arriva e la band si scioglie. Dalle sue ceneri nasceranno i Dagaband – una sorta di ELP in versione più hard – e successivamente Quasar (attivi tra il 1984 ed il 1988, autori di due splendidi dischi: lo storico Fire in the Sky e Lorelei) e Landmarq, questi ultimi tutt’ora sulla breccia, dal vivo in particolare. Membri dei Tamarisk, inoltre, hanno poi lavorato con i Jadis e gli Enid del grande keyboards-player Robert Godfrey. Oggi, chi volesse risalire alle origini del new prog albionico riascoltando i Tamarisk non deve più fare molta fatica: tutte le incisioni del gruppo, finalmente, sono state riversate su compact disc prima con il titolo di Frozen in Time (2012) e quindi – risuonate per l’occasione, del tutto remixate e rimasterizzate – come Breaking the Chains, pubblicato proprio quest’anno dalla Cult Metal Classics assumendo come titolo quello del migliore brano di Ascension Tape.

Tracklist
– Ascension
– Christmas Carol
– Breaking the Chains

Line up
Andy Grant – Vocals
Richard Harris – Drums
Steve Leigh – Keyboards
Peter Munday – Guitars
Mark Orbell – Bass

1984 Autoprodotto