K–X–P – IV

Tre tracce che cambieranno la vostra prospettiva di tempo e di ritmo, tre universi con dentro mille mondi, per un gruppo che è fra i pochi al mondo a fare qualcosa di originale e di veramente progressivo.

Difficile spiegare cosa siano i K–X–P se non li avete mai ascoltati.

Innanzitutto la vostra vita è sicuramente meno ricca se non li avete provati, in seconda battuta potete cominciare con questo nuovo disco del duo finlandese. I K–X–P fanno un progressive a trecentosessanta gradi, che spazia dall’elettronica all’ambient, con tocchi di qualcosa che si può anche avvicinare al drone, ma soprattutto fanno musica meravigliosa con i sintetizzatori, in questa occasione un modello Analog Four costruito dalla ditta Swedish Elektron. Si parte dall’immortale lezione dei Kraftwerk per arrivare molto lontano, in un continuo dialogo fra l’uomo e le macchine, vero e proprio medium attraverso il quale si manifesta la creatività umana. Elettronica ma anche tanto altro, in in un continuo mutamento di prospettive, per esempio si pensa di essere all’ascolto di un pezzo ambient, quando comincia un pezzo elettro pop, per poi mutare ancora tra mille echi diversi. Per registrare questo disco hanno usato il metodo che usano solitamente dal vivo, ovvero niente cuffie ma monitor che buttano in faccia il loro suono. Raggiungono molto bene l’obiettivo, nel senso che riescono a fare un qualcosa di davvero originale, attinente al loro background ma che evolve come fa ogni loro nuovo disco. I pezzi sono tre e rappresentano molto bene una frazione dell’immenso universo sonoro che sono gli K–X–P, ed è un viaggio continuo. Vi sono certi momenti in cui si percepisce chiaramente come alcuni suoni, perché non esiste una realtà ma solo diverse irrealtà, possono essere definiti come una nuova mutazione di qualcosa che è stato chiamato un tempo big beat, ma che ora è maggiormente etereo e meno materialistico. Tre tracce che cambieranno la vostra prospettiva di tempo e di ritmo, tre universi con dentro mille mondi, per un gruppo che è fra i pochi al mondo a fare qualcosa di originale e di veramente progressivo.

Tracklist
1.Nimetön Tie
2.Hex Bag
3.Night Eye – Smile Through Tears

KXP – Facebook

Imperials – Imperials

Il suono degli Imperials è qualcosa di moderno ma che rimanda ad un antico sentore, quella voglia di coniugare diverse culture underground e cittadine che non abbandonerà mai certi ragazzi.

L’omonimo disco d’esordio degli Imperials è un bellissimo e godibilissimo concentrato di hardcore beatdown, rapcore e testosterone con dj al seguito, il tutto fatto con uno stile ed un’impronta davvero notevole.

Innanzitutto i nostri decidono di cimentarsi in un genere che in Italia non è mai stato amato come nei paesi anglosassoni, ma questo gruppo dimostra di potersela giocar benissimo in tutti i campionati. Il loro suono è un concentrato di potenza, di velocità e di incisività che faranno impazzire chi ama i ritmi malati dell’hardcore beatdown, quegli stop and go che trasudano pesantezza, o i passaggi a bassa quota che si spera non finiscano mai. Il disco degli Imperials arriva abbastanza inaspettato nel panorama undergound dell’hardcore italiano ed è quindi bellissima sorpresa. Ascoltare questi chitarroni con sotto degli scratch è rigenerante e mette in guerra con il mondo intero. La musica degli Imperials parte da riferimenti ben precisi, come i Rise Of The Northstar soprattutto per i cori e l’arroganza positiva, i Drowning e tutto quell’hardcore beatdown a stelle e strisce che spinge impetuoso. I ragazzi usano molto bene la gamma del loro suono, sfruttando in maniera molto adeguata dj Buio, un vero valore aggiunto per il gruppo che porta in dote varietà e maggiore profondità. Ascoltando l’esordio è chiaro che ci sono ancora ampi margini di miglioramento, ci sono alcune cose da migliorare, ma il gruppo è valido e potrà stupire in futuro come ha stupito con questo disco. Qui dentro c’è tantissima energia e tanta voglia di spaccare tutto, ma la violenza non è cieca ci vede benissimo, approntando intelaiature sonore di matrice hardcore con elettronica fatta molto bene, per un risultato pressoché unico in Italia. Il suono degli Imperials è qualcosa di moderno ma che rimanda ad un antico sentore, quella voglia di coniugare diverse culture underground e cittadine che non abbandonerà mai certi ragazzi. Per fortuna.

Tracklist
1.Imperials 2k19
2.Cuntz
3.DJ Buio
4.Worms
5.We Are Imperials
6.Deep Down In My Sleep
7.Stick To The Plan
8.BELLINFERNO
9.Negativity
10.Credits

IMPERIALS – Facebook

Three Dead Fingers – Breed Of The Devil

Giovanissimi e arrabbiati, i Three Dead Fingers arrivano all’esordio su lunga distanza sotto l’ala della Bleeding Music Records e ci investono con il loro metal estremo composto da un’adrenalinica miscela di melodic death metal e thrash metal classico.

Giovanissimi e arrabbiati, i Three Dead Fingers arrivano all’esordio su lunga distanza sotto l’ala della Bleeding Music Records e ci investono con il loro metal estremo composto da un’adrenalinica miscela di melodic death metal e thrash metal classico.

Il giovane quintetto proveniente da Stoccolma (si parla di ragazzi poco più che adolescenti) si impone all’attenzione del pubblico metallico per un impatto ed un’attitudine da veterani, il loro lavoro convince sotto tutti i punti di vista, solido e spettacolare in molti passaggi, perfetto nell’uso delle voci che si alternano in un’orgia infernale tra growl scream e clean, massiccio e colmo di veri e propri inni da cantare a sotto il palco.
Le influenze dei Three Dead Fingers sono da annoverare tra una serie di gruppi storici dei generi che compongono il sound di Breed Of the Devil, dagli Slayer agli Arch Enemy, dai primi Sepultura ai Dissection, per lasciare agli Iron Maiden la paternità di quel tocco heavy che spunta qua e là tra le varie tracce.
Dall’opener Black Rainbows in poi verrete catapultati nel mondo senza compromessi che i Three Dead Fingers hanno creato, composto da un sound adrenalinico, fughe e cavalcate metalliche da applausi, accelerazioni ritmiche da infarto e chorus che si piantano in testa al primo passaggio, pur rimanendo legati ad un’attitudine assolutamente estrema.
La title track, Nocturnal Gates, Eveline sono i brani che maggiormente spiccano all’interno di questo ottimo e convincente debutto.

Tracklist
1.Until the Morning Comes
2.Black Rainbows
3.Into the Bloodbath
4.Celestial Blasphemy
5.Breed of the Devil
6.A Virus Called Life
7.Pighead
8.Nocturnal Gates
9.Eveline
10.Goodbye
11.House of the Careless

Line-up
Gustav Jakobsson – Bass
Anton Melin – Drums
Remy “Fiskis” Strandberg – Guitars
Adrian Tobar Hernandez – Guitars
Oliwer Bergman – Vocals, Guitars

THREE DEAD FINGERS – Facebook

Reatzione – Sopravvissuti

Con le sue undici esplosioni di rabbia senza soluzione di continuità, Sopravvissuti non lascia scampo: drammatico, violento, rabbioso, grazie a brani potentissimi, a tratti veloci o pervasi da mid tempo possenti come un colosso musicale che avanza lento ed inesorabile.

I Reatzione sono un quartetto di musicisti provenienti dalla Sardegna e Sopravvissuti è il loro manifesto sonoro, licenziato da Dark Hammer Legion / Volcano Records.

La band, nata nel 2015 da un’idea del chitarrista Alessandro Ciuti, crea un muro sonoro invalicabile di thrash/groove metal, con la particolarità del cantato in lingua sarda, in alternanza a quella italiana.
Sopravvissuti è composto da undici mazzate metalliche potentissime, il gruppo dopo vari aggiustamenti di line up risulta un compatto carro armato musicale, che in poco più di mezzora spazza via ogni cosa al suo passaggio.
I testi affrontano vari argomenti, dai problemi politico/sociali a livello europeo, agli incendi che da sempre devastano la vegetazione dell’isola, con il metal di matrice thrash/groove metal a fare da colonna sonora.
Con le sue undici esplosioni di rabbia senza soluzione di continuità, Sopravvissuti non lascia scampo: drammatico, violento, rabbioso, grazie a brani potentissimi, a tratti veloci o pervasi da mid tempo possenti come un colosso musicale che avanza lento ed inesorabile.
In un contesto così compatto e possente spiccano, la title track, il lento incedere stoner /doom di Accabadora e la thrashy Fizu, sunto compositivo di un lavoro il cui muro sonoro trae le sue maggiori ispirazioni da Sepultura, Soulfly, Hatebreed e Down.

Tracklist
1.Raikinas
2.Inferru
3.Sopravvissuti
4.Bestia
5.Incubi
6.Fame
7.Acabbadora
8.L’inizio Della Fine
9.Rispetto
10.Fizu
11.Meno di un Verme

Line-up
Mex – Vocals
Alessandro Ciuti – Guitars
Salvatore Sechi – Bass
Mauro Carta – Drums

REATZIONE – Facebook

Forever Still – Breathe In Colours

Album dedicato dunque ai più giovani fruitori di musica rock, Breathe In Colours riuscirà sicuramente a conquistare molti cuori alternative dark.

Secondo lavoro per i Forever Still, band danese composta dalla cantante e tastierista Maja Shining e dal polistrumentista Mikkel Haastrup, raggiunti per questo album dal batterista Rune Frisch e dal chitarrista Inuuteq Kleemann (quest’ultimo solo in sede live).

Breathe In Colours è un concept futuristico, in stile Blade Runner, raccontato per mezzo di un sound nervoso, alimentato da energiche scosse alternative metal ed oscurato da atmosfere dark/gothic.
Ottima e varia la prova della cantante, ad alzare il livello di un’opera che si sviluppa per trentacinque minuti di metal moderno,con dieci brani che raccolgono ispirazioni ed influenze che vanno dai Lacuna Coil ad una versione elettronica degli Evanescence, il tutto giocato sull’alternanza tra sfumature pop e sferzanti schiaffi nu metal.
L’album, prodotto alla perfezione, è il classico lavoro studiato per entrare nelle grazie dei ragazzi sotto i vent’anni, con la vocalist che spazia tra urla metalliche e linee melodiche ruffiane, al sound che non si scosta da quanto descritto in precedenza.
Trentacinque minuti bastano e avanzano, anche perché le tracce seguono tutte la via intrapresa dal gruppo con l’opener Rewind e la successiva Fight!.
Album dedicato dunque ai più giovani fruitori di musica rock, Breathe In Colours riuscirà sicuramente a conquistare molti cuori alternative dark: in campo ci sono tutte le armi per riuscire nell’impresa, vedremo se la Nuclear Blast ci avrà visto giusto anche questa volta.

Tracklist
1. Rewind
2. Fight!
3. Breathe In Colours
4. Is It Gone?
5. Survive
6. Do Your Worst
7. Pieces
8. Rising Over You
9. Say Your Goodbyes
10. Embrace The Tide

Line-up
Maja Shining – Vocals, piano, theremin, additional synths
Mikkel Haastrup – Guitar, bass, synths, piano
Rune Frisch – Drums
Inuuteq Kleemann – Live guitar

FOREVER STILL – Facebook

Inanimate Existence – Clockwork

Gli Inanimate Existence migliorano quanto già espresso sul precedente Underneath a Melting Sky, confermando la loro sagacia nel saper esprimere la propria tecnica, rimanendo confinati in una forma canzone che vede il death metal nato nella storica area, pregno di spunti progressivi.

Nuovo lavoro per gli Inanimate Existence, trio californiano arrivato con Clockwork al quinto lavoro sulla lunga distanza.

Death metal tecnico e progressivo dunque, niente di nuovo ma assolutamente in grado di dire la sua nel panorama underground estremo grazie ad un buon talento per il songwriting che, pur tra le cascate di note dalla difficoltà sovrumana rimane leggibile per chi ascolta.
Violento ed estremo, il sound del gruppo della bay Area si sviluppa su scale iperboliche e progressive, la bravura strumentale dei musicisti alle prese con un death metal senza compromessi non lascia scampo tra le trame di brani come Voyager o Diagnosis, ispirati dai capisaldi del genere.
Gli Inanimate Existence migliorano quanto già espresso sul precedente Underneath a Melting Sky, confermando la loro sagacia nel saper esprimere la propria tecnica, rimanendo confinati in una forma canzone che vede il death metal nato nella storica area, pregno di spunti progressivi.
Il sound del trio ha molto del gruppo del compianto Chuck Schuldiner, portato ad una dimensione ancor più progressiva come nella conclusiva e spettacolare Liberation.
Una band che conferma quanto di buono fatto in passato, consigliata a ai fans del death metal tecnico e progressivo.

Tracklist
1. Clockwork
2. Voyager
3. Apophenia
4. Desert
5. Solitude
6. Diagnosis
7. Ocean
8. Liberation

Line-up
Cameron Porras – Guitar, Vocals
Scott Bradley – Bass, Vocals
Ron Casey – Drums (Continuum, ex-Brain Drill)

INANIMATE EXISTENCE – Facebook

Tacocat – This Place Is A Mess

Con This Place Is A Mess si torna a quando ascoltare indie era una continua sorpresa, e non come oggi che è la continua reiterazione di un qualcosa di mediocre e rigidamente codificato.

Freschissimo indie pop fatto molto bene da tre ragazze ed un ometto.

La forza di questo gruppo che esce per la Sub Pop è la grande capacità di fare pop credibile e molto orecchiabile, di grande presa e molto piacevole, quel tipo di musica che riesce a lasciarti un buon umore anche in giornate non facili. Non c’è solo il buonumore, anzi i Tacocat partono da un passato punk grunge e lo si può sentire bene nelle loro strutture sonore, la loro musica è luminosa ma parla anche del lato oscuro, sopratutto di quello che si porta dietro l’America di Trump. La loro alta orecchiabilità è data anche dalla ricerca sonora, è un disco che solo in apparenza sembra facile, ma ha salde radici nella musica anni sessanta americana, con accenni non sporadici di surf music, che aggiunge sostanza al tutto. Aiuta anche il fatto che siano di Seattle, e che siano cresciuti in un humus musicale da sempre molto fertile per la buona musica. Il grunge entra soprattutto a livello compositivo, nel senso che ci sono alcuni momenti che prendono le mosse da lì, come la bellissima traccia Little Friend, che usa in maniera adeguata e molto dinamica il contrasto tra chitarra distorta e pulita per dare un tocco molto speciale. La produzione di Erik Blood riesce a tirare fuori il meglio da una band che possiede un’impostazione profondamente indie, ma che ha un’anima errante che la porta a costruire un suono composito, originale e profondo. Con This Place Is A Mess si torna a quando ascoltare indie era una continua sorpresa, e non come oggi che è la continua reiterazione di un qualcosa di mediocre e rigidamente codificato. Un album dagli ottimi contenuti e da un suono molto bello e sottilmente godurioso, dato sicuramente dalla preponderante presenza femminile nel gruppo.

Tracklist
1.Hologram
2.New World
3.Grains of Salt
4.The Joke of Life
5.Little Friend
6.Rose-Colored Sky
7.The Problem
8.Crystal Ball
9.Meet Me at La Palma
10.Miles and Miles

Line-up
Emily Nokes
Eric Randall
Bree McKenna
Lelah Maupin

TACOCAT – Facebook

Wheels Of Fire – Begin Again

Musica che fa bene al cuore, quella del quintetto di rockers nostrani, che confezionano un piccolo gioiello melodico, tra aor e arena rock da spellarsi le mani in sinceri applausi.

Ennesimo album imperdibile per tutti gli amanti dell’hard rock melodico licenziato dalla Art Of Melody Music / Burning Minds Music Group, punto di riferimento importante per queste sonorità e non solo nel nostro paese.

Una scena che sta regalando grosse soddisfazioni quella tricolore, oggi sugli scudi grazie a questo splendido lavoro, il terzo per gli Wheels of Fire, a sette anni di distanza dal precedente Up For Anything e nove dal clamoroso debutto intitolato Hollywood Rocks.
Musica che fa bene al cuore, quella del quintetto di rockers nostrani, che confezionano (grazie anche ai molti ospiti di spessore) un piccolo gioiello melodico, tra aor e arena rock da spellarsi le mani in sinceri applausi.
Mixato e masterizzato da Roberto Priori (Danger Zone, Raintimes, I.F.O.R., Alchemy), con la collaborazione in fase di scrittura di due talenti del rock melodico made in Italy come Pierpaolo “Zorro” Monti (Raintimes, Shining Line, Charming Grace) e Gianluca Firmo (Room Experience, Firmo), Begin Again vede all’opera una manciata di ospiti come Gianluca Ferro, Ivan Ciccarelli, Susanna Pellegrini, Marcello Spera e Matteo Liberati a dare il loro contributo ad una scaletta di brani bellissimi, ultra melodici, graffianti e dall’appeal clamoroso.
Il via alle danze è qualcosa di imperdibile, con l’opener Scratch That Bitch e l’irresistibile Lift Me Up a darci il benvenuto tra note che ricordano le highway statunitensi e le arene rock dove negli anni ottanta facevano il bello ed il cattivo tempo Bon Jovi, Danger Danger e Firehouse, con un tocco di Whitesnake patinati, specialmente in quei passaggi in cui la chitarra di Stefano Zeni sprizza energia rock.
Suonato e cantato splendidamente (Davide “Dave Rox” Barbieri al microfono è garanzia di grani melodie vocali), con una Done For The Day che avrei visto bene nella colonna sonora di Rock Of Ages, l’album esplode in un arcobaleno di note melodiche grazie alle tastiere di Federico De Biase, a donare sfumature da arena rock o emozionare con delicate note (For You).
Una sezione ritmica precisa come un orologio svizzero (Marcello Suzzani al Basso e Fabrizio Uccellini alla batteria) ed una track list inattaccabile completano un lavoro che non sarà facile da superare nella scalata ad album dell’anno per quanto riguarda queste sonorità, a conferma del valore assoluto della scena melodica tricolore.

Tracklist
1. Scratch That Bitch
2. Lift Me Up
3. Tonight Belongs To You
4. Done For The Day
5. For You
6. Keep Me Close
7. Heart Of Stone
8. You’ll Never Be Lonely Again
9. Another Step In The Dark
10. Call My Name
11. Can’t Stand It
12. Wheels Of Fire (European Bonus Track)

Line-up
Davide “Dave Rox” Barbieri – Vocals
Stefano Zeni – Guitars
Federico De Biase – Keyboards
Marcello Suzzani – Bass
Fabrizio Uccellini – Drums

Special guests:
Gianluca Ferro – Guitar Solo
Ivan Ciccarelli – Percussion
Susanna Pellegrini – Backing Vocals
Maryan – Backing Vocals
Marcello Spera – Backing Vocals
Matteo Liberati – Backing Vocals

WHEELS OF FIRE – Facebook

Vargrav – Reign in supreme darkness

Secondo lavoro per la one-man band di Hyvinkää (Finlandia). Uscito per la prolifica Werewolf, Reign in Supreme Darkness è un riuscito affresco di quanto di più malvagio il Black Metal scandinavo possa oggi proporci.

I Vargrav, one-man band finlandese capitanata dal misterioso V-Khaoz (all’anagrafe Ville Pallonen), è quanto di più arcano ed impenetrabile ci possa oggi capitare tra le mani.

Già il nome scelto, porta con sé enigmatici occulti significati. Secondo Mr. Pallonen, intanto, il nome deriva dalla parola svedese varg (lupo) e grav (tomba); inoltre Vargrav è un palindromo (si legga al contrario, non cambia nulla) composto da 7 lettere. Sette, come ben sappiamo è il numero – tra gli altri – più spirituale, il numero magico per eccellenza, della ricerca e dell’analisi mistica. Pensiamo solamente a quante volte il numero sette compare nell’Antico Testamento oppure nella nostra vita. Per fare alcuni esempi, ricordiamo che 7 sono i giorni della settimana, 7 i pianeti sacri, 7 le virtù e i vizi capitali, 7 i Sacramenti, 7 le braccia del candelabro ebraico, 7 gli anni di disgrazia provocati, secondo la tradizione, dalla rottura di uno specchio, 7 gli anni necessari affinché il corpo si rigeneri, 7 gli attributi fondamentali di Allah (tant’è vero che il 7 è numero della perfezione nell’Islam), e ancora, i sette colori che compongono l’arcobaleno, le sette note musicali, i sette passi del Buddha, i 7 Chakra e così via. Inoltre non dobbiamo dimenticare che 7 deriva dall’unione del 3 (il ternario divino) con il 4 (il quaternario terrestre). Guarda caso è anche il numero della Piramide, che è formata dal triangolo, 3, su quadrato, 4. Infine – come diceva Ippocrate – Il sette, per le sue virtù celate, mantiene nell’essere tutte le cose; esso è dispensatore di vita, di movimento ed è determinante nell’influenzare gli esseri celesti.
Insomma, comunque si guardi il nome Vargrav, si viene magicamente catapultati nel misticismo simbolico, non solo religioso, nell’introversa introspettiva analisi del tutto, del mondo terreno, del mondo spirituale. E la sua musica, il suo secondo sforzo discografico (dopo un buon Netherstorm del 2018), non poteva che assumersi il gravoso incarico di rappresentare ed esprimere quanto il suo stesso monicker rappresenta. Ovviamente, trattandosi di Black Metal, il tutto viene qui corredato da atmosfere profondamente maligne e malignamente profonde. Sì, perché Reign in Supreme Darkness è un epicureo dell’orrore, ma di sensismo opposto, ove il criterio del bene viene implacabilmente rimpiazzato dal piacere del male. Un album che sgorga malvagità da ogni singola nota, epicamente catapultato in epoche antiche di cavalieri neri, di castelli maledetti, di demoniache creature, e di crudeli battaglie senza fine, sovrastate da un empireo nero e viola e da una luna piena, in parte offuscata dall’immagine di una crudele magica Nera Mietitrice (si veda all’occasione, la cover dell’album). Un Black Metal imponente, maestoso, corroborato da un uso costante dei synth, che qui non vivono di vita propria, non servono per creare singoli momenti dark ambient, di scontata atmosfera black lounge; divengono invece – in brani come In Streams from Great Mysteries o The Glory of Eternal Night ad esempio – parte integrante ed inseparabile di tutta la struttura musicale, accompagnando in solido chitarre e basi ritmiche – il tutto attestato sulle stesse medesime frequenze , com’è d’altronde tipico del Black Metal – in un oscuro viaggio sonoro, immaginifico (come potrebbe dirci D’Annunzio) e pertanto abile creatore e suscitatore di immagini, nere, tetre, malevole, diaboliche, inumane. L’iniqua Arcane Stargazer che chiude l’album, è il pezzo più riuscito. Più di otto minuti glaciali, in un ossimoro di gelido calore avernale, di puro Black nordico che, ricolmo di annichilente solitudine (alone in this cold tower), conduce l’ascoltatore alla ricerca vana di risposte dagli astri (i seek for answers from the stars), avvolto dalle tenebre più totali (in the absence of light), prima di un ultimo saluto alla Nera Mietitrice (i greet the glorious death).
Da Crowned by Demonstorms: Coronati ad tenebras / de gremio, sedens super peccatum / atria morte / chorus triumphi claritate / tollens ad sidera gladio / novam periodum incipere (Circondati dalle tenebre / dal grembo, siede sopra il peccato / atrio della morte / con lo splendore di cori trionfali / colui che ascende alle stelle con la spada / per l’inizio di una nuova era), che altro aggiungere?

Tracklist
1. Intro – Et in Profundis Mysteriis Operta
2. The Glory of Eternal Night
3. Dark Space Dominion
4. In Streams from Great Mysteries
5. As the Shadows Grow Silent
6. Crowned by Demonstorms
7. Godless Pandemonium
8. Arcane Stargazer

Line-up
V-Khaoz – All instruments

VARGRAV – Facebook

COMUNICATO

Quasi tre anni di attività intensa e qualche migliaio di recensioni pubblicate hanno consentito alla nostra webzine di ritagliarsi uno piccolo spazio nello sterminato universo di chi, dando sfogo alle proprie passioni, cerca di fornire un servizio agli appassionati di metal e rock.
Il fatto che il nostro operato sia stato apprezzato anche da chi ne beneficia, direttamente o indirettamente ( parliamo quindi di musicisti, etichette e agenzie di promozione), ci ha portato nel corso dell’ultimo periodo ad essere letteralmente inondati da una quantità di materiale da recensire tale che, per potervi far fronte, sarebbe necessario avvalersi di almeno una quindicina di prolifici collaboratori e di un editor che avesse la possibilità di svolgere la sua attività a tempo pieno.
Così non è, e la condizione necessaria per proseguire la nostra avventura senza snaturarci e, soprattutto, far sì che il tutto resti un impegnativo ma piacevole hobby, è quella di ricalibrare gli obiettivi in maniera più realistica e confacente alle nostre possibilità.
Pertanto, a partire da oggi, il nostro focus sarò rivolto quasi esclusivamente alle recensioni, lasciando spazio alle interviste solo per quanto riguarda quelle tratte dalla trasmissione Overthewall, in onda settimanalmente su Witch Web Radio, alla quale peraltro collaboriamo con una nostra rubrica; quindi non pubblicheremo più video o news di varia natura, salvo ovviamente eccezioni qualora lo si ritenga necessario.
Sporadicamente potremo pubblicare annunci di eventi live dei quali saremo partner, oppure articoli retrospettivi o altro ancora ma senza che questo ci vincoli in alcun modo rispetto a qualsiasi tipo di richiesta.
La cosa più difficile è però scegliere quali dischi recensire, perché quelli che vengono trattati sono solo una minima parte rispetto a quanto ci viene proposto e quando la richiesta supera la capacità dell’offerta è necessario fornirsi di opportuni criteri di selezione; in questi anni abbiamo pensato che fosse giusto e naturale dare prioritariamente  spazio ai gruppi e alle etichette italiane ma questo, alla fine, ci ha fatto perdere di vista l’obiettivo primario di MetalEyes che è invece quello di divulgare a prescindere musica che sia di qualità e che, soprattutto, dia anche soddisfazione a chi deve scriverne.
In fondo non c’è nulla di più universale della musica e adottare un mero criterio geografico per scegliere cosa recensire si rivela quanto mai limitante, fermo restando che per ovvi motivi le produzioni provenienti dal nostro paese godranno sempre e comunque di un’attenzione particolare, come è normale che sia.
Invitiamo, quindi, chiunque voglia sottoporci del materiale musicale per una recensione ad inviarci, senza particolari preamboli, un promo digitale scaricabile all’indirizzo e-mail stefano.metaleyes@gmail.com .
Il riscontro è probabile ma non assicurato, quanto meno non lo sarà in tempi rapidi, ma sicuramente un lavoro meritevole avrà molte più possibilità d’essere recensite.
Tanto vi dovevamo al fine di rendere trasparente un modus operandi che, non dovendo rispondere ad alcun editore od inserzionista pubblicitario, ci consente di effettuare le nostre scelte in totale autonomia e libertà.

Lo staff di MetalEyes

Oigres – Psycho

Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Oigres è il nuovo progetto solista che vede all’opera Sergio Vinci, conosciuto nell’ambiente estremo italiano anche per essere stato il leader degli ottimi Lilyum, una delle migliori espressioni nazionali a mio avviso per quanto riguarda il black metal nelle sue vesti più ortodosse.

I brani contenuti in questo lavoro hanno però ben poco a che vedere con quell’esperienza, se non per l’approccio diretto e rabbioso che qui si estrinseca sotto forma di un thrash/groove hardcore cantato prevalentemente in italiano e che, anche per questo, rimanda a livello attitudinale a gruppi come i Negazione e relativa genia di provenienza piemontese.
I testi abrasivi, ma non privi di slanci poetici, sono sorretti da un sound che non si perde in preamboli ma va dritto all’obiettivo lasciando spazio a tempi più diluiti solo nella pregevole traccia ambient di chiusura, Outro – Openclosed.
Come detto, il nome Lilyum vale qui essenzialmente quale sorta di garanzia della bravura e della sincerità di un musicista come Sergio, che qui si disimpegna in maniera lineare ma alquanto efficace anche nelle vesti di cantante.
Brani come Fermo, Lontano Da Me e Stella, in particolare, sono sferzate di energia contenenti un’urgenza espressiva che, probabilmente, all’interno di una band rischiava d’essere in qualche modo mediata o filtrata, mentre lo stesso monicker prescelto testimonia ampiamente come questa nuova avventura sia, per Sergio Vinci, un qualcosa di intimo, al riparo da qualsiasi interferenza esterna dal punto di vista prettamente compositivo.
Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: anche se, come si può intuire dalla mia premessa, non posso considerare la fine dei Lilyum come una buona notizia, la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Tracklist:
1. Intro – Lifog
2. Fermo
3. Lontano Da Me
4. Stella
5. I Am
6. Scivola Via
7. No Fear, No Truth
8. Outro – Openclosed

Line-up:
Sergio Vinci

OIGRES – Facebook

Bethlehem – Lebe Dich Leer

Il sound dei Bethlehem, come sempre, abbina alla sua base black un tocco teatrale ed un’anima dark doom e il risultato appare in linea con il trend delle ultime uscite, ovvero buono ma non imprescindibile.

A circa tre anni dall’ultimo lavoro autointitolato tornano gli storici Bethlehem con il loro nono album di una carriera che ha ormai superato il quarto di secolo.

La creatura musicale da qualche tempo nelle mani del solo Bartsch gode di una meritata aura di culto che ne rende sempre molto attese le uscite anche se, francamente, le produzioni di questo decennio hanno fornito risultati validi ma non eclatanti.
Lebe Dich Leer ha sicuramente il pregio di andar via liscio e diretto nei due trascinanti primi brani, Verdaut in klaffenden Mäulern e Niemals mehr leben, mentre le cose non scorrono altrettanto bene allorché il sound si fa decisamente più ricercato e avanguardistico.
In tal senso contribuisce, nel bene e nel male, lo screaming della vocalist polacca Onielar, confermata rispetto al precedente album, che a mio avviso ben si adatta a ritmiche dirette ed incalzanti, ma molto meno allorché il sound esibito richiede un’interpretazione diversa rispetto a tonalità a tratti parossistiche.
Il sound dei Bethlehem, come sempre, abbina alla sua base black un tocco teatrale ed un’anima dark doom e il risultato appare in linea con il trend delle ultime uscite, ovvero buono ma non imprescindibile.
In sintesi, oltre che nelle già citate tracce iniziali, le valide e ficcanti sfuriate propriamente black si manifestano a intermittenza confermando quello che in molti pensano ma non tutti dicono, ovvero che scelte compositive maggiormente lineari spesso producono risultati ben più apprezzabili e tangibili rispetto a digressioni e scostamenti dalla via maestra che, in mancanza di geniali scintilli, finiscono solo per diluire i contenuti: questo non vale solo per i Bethlehem, chiaramente…

Tracklist:
1. Verdaut in klaffenden Mäulern
2. Niemals mehr leben
3. Ich weiß ich bin keins
4. Wo alte Spinnen brüten
5. Dämonisch im ersten Blitz
6. An gestrandeten Sinnen
7. Ode an die obszöne Scheußlichkeit
8. Aberwitzige Infraschall-Ritualistik
9. Bartzitter Flumgerenne

Line-up:
Bartsch – Bass, Electronics
Torturer – Drums
Karzov – Guitars, Electronics
Onielar – Vocals

Kampfar – Ofidians Manifest

L’arte pura dei Kampfar rifulge ancora una volta; più black e meno viking, ma sempre potenti, feroci e personali.

Si parla sempre poco di questa band norvegese, o meglio, si cita il suo nome solo quando ci sono nuove release, ma quando si discute o si legge di Black Metal è raro che siano ricordati, eppure non parliamo di un gruppo anonimo o di scarsa forza e personalità.

I Kampfar sono attivi dal lontano 1995, con il promo e l’omonimo EP del 1996 (uscito per Season of Mist) hanno dato inizio alle danze pagane e viking dei musicisti, capitanati da sempre dal vocalist Dolk, compiendo nell’arco di otto full length, compreso questo, un percorso sempre più personale e pervaso di grande forza interpretativa. La band ha intrapreso un cammino evolutivo lento, mantenendo sempre una propria identità, passando dai primi dischi più dediti a un suono viking feroce e cattivo, ricordiamoci dell’esordio su lunga distanza Mellom Skogkledde Aaser con la sua meravigliosa e tematica cover, senza dimenticare le fredde distese di Kvass, ma ogni disco non può non colpire direttamente il freddo cuore di ogni sostenitore della materia viking e black. Ora, dopo l’ottimo Profan del 2015, ritornano con Ofidians Manifest,  un lavoro in cui si ricalca la purezza della loro ispirazione, anche se la band ora predilige più una personale visione black che viking. L’opera è molto varia nel suo incedere, è ispirata, non ricorre a nessun stratagemma manieristico, abbiamo fierezza, esaltazione con un suono energico ma allo stesso tempo dotato di una eleganza strumentale di prim’ordine. Dolk dimostra di saper colpire a fondo con il suo scream aspro ed espressivo, dove si richiamano oscurità e glacialità, mentre la capacità strumentale infiamma tutto il disco, inglobando al suo interno note pianistiche, tastieristiche e di cello che “colorano” di inedito il tutto. Un brano come Dominans colpisce per per il suo andamento ipnotico e conturbante ed è il punto di incontro tra le vocals di Dolk e di Agnete Kioslrud (singer rock norvegese, nota per vecchie collaborazioni con Dimmu Borgir) a creare un andamento maestoso. La forza evocativa di Natt, addolcita da note pianistiche, dimostra che i musicisti amano comunque sperimentare, mentre le note bathoriane di Eremitt ci ricordano quale potenza i musicisti siano in grado di sviluppare mentre il coro, in grado di far accapponare la pelle, ci inietta una grande dose di adrenalina e ci fa ulteriormente capire la grandezza dell’arte di questi musicisti. Non facciamo passare in secondo piano l’importante ritorno dei Kampfar, prestiamoci la giusta attenzione e godiamo dell’arte pura da loro espressa.

Tracklist
1. Syndefall
2. Ophidian
3. Dominans
4. Natt
5. Eremitt
6. Skamløs!
7. Det sorte

Line-up
Dolk Drums, Vocals
Jon Bakker Bass
Ask Drums, Vocals
Ole Hartvigsen Guitars

KAMPFAR – Facebook

Haunt – If Icarus Could Fly

Heavy metal old school, legato alla new wave of british heavy metal ed alle sonorità anni ottanta, mezzora di cavalcate maideniane, pregne di atmosfere epiche che faranno la gioia degli amnti del metal classico con qualche capello bianco sulla chioma sempre più rada.

La Shadow Kingdom colpisce ancora: la label statunitense licenzia il secondo lavoro su lunga distanza degli Haunt, quartetto californiano al debutto un paio d’anni fa con un ep, seguito dal primo full length uscito lo scorso anno (Burst Into Flame).

il 2019 vede il gruppo di Fresno sul mercato con un nuovo ep (Mosaic Vison) prima che If Icarus Could Fly arrivi a confermare l’ottima proposta della band californiana.
Heavy metal old school, legato alla new wave of british heavy metal ed alle sonorità anni ottanta, mezzora di cavalcate maideniane, pregne di atmosfere epiche che faranno la gioia degli amnti del metal classico con qualche capello bianco sulla chioma sempre più rada.
La band, nata come progetto solista del bassista, chitarrista e cantante Trevor William Church dei Beastmaker, vede tra le proprie fila il chitarrista John Tucker, compagno d’avventura di Church anche nel gruppo doom americano, il batterista Daniel “Wolfy” Wilson e Taylor Hollman al basso, per un combo che convince dalla prima all’ultima nota di questo gioiellino underground.
Un lavoro curato nel songwriting, a tratti davvero esaltante tra ritmiche che si trasformano in cavalcate che non conoscono passi falsi, refrain metallici perfetti per far drizzare le orecchie ai defenders duri e puri, grazie ad un lotto di brani che nelle varie Run And Hide, Cosmic Kiss e l’inno Defender trovano il sentiero giusto per arrivare sulla cima della montagna dove regna il dio metallo.
Le ispirazioni vanno dagli Iron Maiden agli Warlord, passando per una buona fetta della storia dell’heavy metal classico, puro come l’acqua che sgorga dalla fonte sulla cima dove regnano gli immortali.

Tracklist
1.Run and Hide
2.It’s in My Hands
3.Cosmic Kiss
4.Ghosts
5.Clarion
6.Winds of Destiny
7.If Icarus Could Fly
8.Defender

Line-up
Daniel “Wolfy” Wilson – Drums
Trevor William Church – Vocals, Guitar, Bass
Taylor Hollman – Bass (2018-present)
John Tucker – Guitars

HAUNT – Facebook

Reveal – Overlord

Il sound di Overlord ovviamente non si discosta dai parametri storici del genere con una serie di cavalcate potenti e melodiche, ispirate alla scena power tedesca, ma che tra lo spartito non mancano di richiamare il power scandinavo che affiancò quello tedesco negli anni di maggior successo.

Per gli amanti del power tedesco e nord europeo che ultimamente si sentono poco considerati dal mercato metallico, ecco che arriva in soccorso la nostrana Wormholedeath, che distribuisce il nuovo e secondo lavoro dei Reveal, band fondata dal chitarrista spagnolo Tino Hevia (Darksun, Nörthwind ), raggiunto in questa avventura dal singer svedese Rob Lundgren.

Overlord non delude le aspettative dei fans del genere, a partire dagli ospiti che affiancano la band, dai nomi importanti almeno per chi si nutre di pane e power metal, come Marcos Rodriguez dei Rage, Tom Nauman dei Primal Fear e Marcus Siepen dei Blind Guardian.
Il sound di Overlord ovviamente non si discosta dai parametri storici del genere con una serie di cavalcate potenti e melodiche, ispirate come scritto alla scena power tedesca, ma che tra lo spartito non mancano di richiamare il power scandinavo che affiancò quello tedesco negli anni di maggior successo di molti gruppi diventati icone come Gamma Ray, Rage, Stratovarius e Blind Guardian.
Ottima la prestazione del quotato singer, vero animale heavy/power alle prese con una serie di brani lineari, dall’alto tasso melodico, magari fuori tempo massimo rispetto al volubile mercato, ma perfetto per scavare solchi nel cuore dei fans.
Si parte alla grande con le prime quattro tracce, tra cui spicca l’irresistibile appeal orientaleggiante dell’opener The Name of Ra e la graffiante The Crussaders: i Reveal mettono sul piatto la loro ricetta, magari poco personale ma assolutamente godibile, d’altronde il genere è questo e farsi avviluppare dalle ritmiche di Path Of Sorrow e dalle aperture melodiche che attraversano tutti i brani è un attimo.
It’s Only Show ha un tiro hard rock, quasi aor nel chorus, Road To Newerending ha un taglio progressivo, mentre siamo già alla fine di questo ottimo lavoro consigliato a tutti gli amanti dei suoni melodic power, suonato bene, prodotto ancora meglio e dotato di un grande appeal.

Tracklist
01. The Name Of Ra
02.- I’m Elric
03.- Master of Present and Past
04.-The Crussaders
05.- My Pain
06.- Metal Skin
07.- Path of Sorrow
08.- It’s only a Show
09.- Remember my Words
10.- Road of Never ending
11. (bonus track) It’s only a Show (ft. Saeko)

Line-up
Rob Lundgraen – Vocals
Tino Hevia -Guitars
David Figuer – Lead Guitars
Jorge Ruiz -Bass
Elena Pinto – Keyboards
Dani Cabal – Drums

REVEAL – Facebook

Redwolves – Future Becomes Past

L’album ha un sapore particolare, sempre in bilico fra passato, presente e futuro, innovando ma anche inserendosi nella via nordica al rock pesante.

La Danimarca è sempre stata una terra fertile per quanto riguarda la musica heavy rock, ed è infatti la casa dei Redwolves.

Il loro debutto sulla lunga distanza, Future Becomes Past è un disco impressionante per quanto riguarda il suono, un heavy psych rock che porta questa tendenza musicale nel futuro, con un groove molto coinvolgente ed incalzante. I danesi possiedono in gran misura le stimmate del gruppo heavy rock di classe, riescono a macinare riff di grande sostanza che sono la colonna portante del loro disco fondendosi con la particolare voce di Rasmus Cundell, vera e sofferta. Qui dobbiamo aprire un capitolo a parte, poiché proprio Rasmus è stato vittima di un violento pestaggio la notte dell’ultimo dell’anno del 2016, e i testi e la sua voce riportano le tracce profonde che ciò ha lasciato su di lui, perché non è facile rimettere tutto a posto. Infatti la musica dei Redwolves possiede un’immanente senso di malinconia verso il mondo, come se solo il vibrare deille chitarre e della batteria potesse salvarci, anche solo per i pochi minuti di una canzone. Questo disco è un bel balsamo per l’anima ma anche per il corpo perché con questi ritmi non è facile stare fermi, grazie anche a ritornelli che rimangono impressi nella mente e nelle gambe.
L’album ha un sapore particolare, sempre in bilico fra passato, presente e futuro, innovando ma anche inserendosi nella via nordica al rock pesante. I Redwolves possiedono molte soluzioni e le usano tutte, confezionando un prodotto molto al di sopra della media, ben strutturato ed altamente godibile. Certamente nel loro suono è presente anche la tradizione americana all’hard rock, ma viene rielaborata qui in maniera diversa, integrandola con quella scandinava alla quale i danesi sono contigui. Ci sono momenti di luce e momenti di ombre, ma il messaggio globale e di godersi la vita fin che si può, perchè i casini sono dietro l’angolo. Future Becomes Past è un lavoro che piacerà ad ascoltatori di aree diverse oltre a chi apprezza il il rock, perché questa è musica alla quale bisogna solo dare una possibilità, anche per testi profondi e mai scontati.

Tracklist
1. Plutocracy
2. Rigid Generation
3. The Abyss
4. Fenris
5. The Pioneer
6. Voyagers
7. Farthest From Heaven
8. Temple Of Dreams

Line-up
Rasmus Cundell – vocals
Simon Stenbæk – guitar
Nicholas Randy Tesla – bass
Kasper Rebien – drums

REDWOLVES – Facebook

Satan Takes A Holiday – A New Sensation

A loro modo originali, i Satan Takes A Holiday non deludono neanche questa volta: A New Sensation smuove montagne e agita mari con la sua altalena, su e giù per il rock’n’roll che, partendo dagli anni sessanta, arriva elaborato e manipolato dal gruppo fino al nuovo millennio.

Sono arrivati al quinto lavoro i rockers svedesi Satan Takes A Holiday, trio che unisce al rock’n’roll di matrice scandinava un mix di garage, alternative e groove rock per un risultato esplosivo.

La band svedese torna con A New Sensation, l’ennesima mezz’ora di potente e a tratti scanzonato sound, irresistibile e pregno di umori vintage, ma perfettamente bilanciato con un appeal moderno e divertente che li accompagna nelle prove live, dimensione ottimale per la musica del gruppo.
A loro modo originali, i Satan Takes A Holiday non deludono neanche questa volta: A New Sensation smuove montagne e agita mari con la sua altalena, su e giù per il rock’n’roll che, partendo dagli anni sessanta, arriva elaborato e manipolato dal gruppo fino al nuovo millennio.
Registrato al Dustward studio di Stoccolma con il produttore Stefan Brändström e licenziato dalla Despotz records, l’album risulta una bomba rock che deflagra ogni volta che si schiaccia il tasto play, un arcobaleno di colori garage/punk/alternative rock che vi indicherà la via per la dannazione sotto i colpi inesorabili delle varie Set Me On Fire, Hell Is Here, Girls e l’irresistibile Blow.
Divertimento, irriverenza, ironia, energia, non mancate all’appuntamento con i Satan Takes A Holiday ed il loro nuovo lavoro.

Tracklist
01. A New Sensation
02. Unicorn
03. Set Me On Fire
04. Hell Is Here feat Tess De La Cour
05. Sessions And Cash
06. Pilot
07. Girls
08. I Believe What I See (If I See In My Feed)
09. Kingslayer
10. BLow

Line-up
Fred Burman – guitar, lead vocals
Johannes Lindsjöö – bass guitar, vocals
Danne McKenzie – drums, backing vocals

SATAN TAKES A HOLIDAY – Facebook

Imminence – Turn The LIght On

Un disco che avrà sicuramente un buon riscontro commerciale, ma che in eredità non lascia niente, anzi in alcuni momenti persino irrita per la ripetitività delle sue strutture sonore.

Il terzo disco degli svedesi Imminence può essere considerato come il punto di partenza di chi voglia addentrarsi nelle sonorità metalcore maggiormente vicine all’alternative e alle cose più melodiche.

In Turn The Light On troviamo tutti gli stereotipi più commerciali e glamour del metalcore : melodie accattivanti, cori da concerto e tanto pop, tanto al punto che sarebbe meglio definire questo genere pop metal, più che metalcore. Dischi come questo sono super prodotti, e dal vivo non sono facili da replicare, ma visto il successo dei concerti degli svedesi si può affermare che vi riescano. Turn The LIght On ha ogni cosa al suo posto, le canzoni scorrono bene, ma è tutto diretto ad uso esclusivo di un pubblico giovane. Questo suono è molto vicino ad essere il nuovo emo, nel senso di emotional, prendendo come esempio gli inglesi Bring Me The Horizon e le loro schiere di ragazzine adoranti. Nulla di male in ciò, ma gruppi come loro e gli Imminence sono davvero difficili da accostare al metal, eppure sono una delle cose che tengono in piedi il mercato della musica dura. Infatti la sussidiaria della Nuclear Blast Records, la Arising Empire, pubblica questo album, ma nel suo catalogo c’è di molto meglio e soprattutto di maggiormente accattivante. Per chi cerca la durezza e il groove del metalcore questo è il posto sbagliato, mentre chi cerca il pop metal fatto bene potrebbe trovare ciò che cerca, anche se si potrebbe fare molto meglio. Un disco che avrà sicuramente un buon riscontro commerciale, ma che in eredità non lascia niente, anzi in alcuni momenti persino irrita per la ripetitività delle sue strutture sonore.

Tracklist
1. Erase
2. Paralyzed
3. Room To Breathe
4. Saturated Soul
5. Infectious
6. The Sickness
7. Death of You
8. Scars
9. Disconnected
10. Wake Me Up
11. Don’t Tell a Soul
12. Lighthouse
13. Love & Grace

Line-up
Eddie Berg – vocals/violin
Harald Barrett – guitars
Christian Höijer – bass
Peter Hanström – drums

IMMINENCE – Facebook/

Hexvessel – All Tree

All Tree, grazie alla sua forte matrice esoterica, ci fa toccare con mano delle cose che stanno morendo perché noi ci stiamo allontanando in maniera oramai irrimediabile dal nostro vero baricentro.

Tornano gli Hexvessel, uno dei gruppi più interessanti che abbiamo in Europa, e lo fanno con un disco struggente che riporta il progetto al neofolk.

La creatura finlandese, fondata da Mat “Kvohst” McNerney nel 2009, fa da sempre una musica esoterica, una fuga pressoché totale dalla modernità, con una approfondita ricerca nella tradizione e nell’esoterismo. Negli ultimi episodi Hexvessel si era allontanato dal neofolk e dal dark folk, per addentrarsi in maniera risoluta in territori più psichedelici, e nonostante molti seguaci del gruppo non lo avessero apprezzato la qualità era buona. Con questa ultima opera si torna a casa, trattando delle fiabe celtiche e di un mondo ben preciso che si colloca nel nord Europa, anche se ci sono varie scorribande verso sud come Journey To Carnac, che parla della spettacolare e per noi enigmatica località della Bretagna, dove vi sono moltissimi menhir e dolmen, silenti testimoni della nostra antichità. All Tree è un gran bel disco di folk tenebroso, affascinante, suonato molto bene e con una splendida attitudine. Il ritorno al folk, che comunque non era mai stato completamente bandito dal progetto, è attestato anche nella ripresa della collaborazione con il musicista e discografico inglese Andrew McIvor, con cui in pratica era cominciato tutto con il primo disco Dawnbearer. L’album è come un sogno, una frequenza che proviene direttamente dall’antichità, un respirare un’aria antica prettamente celtica, una cultura imbevuta di natura e di antichi contatti con altre dimensioni. Qui tutto ciò è reso molto bene, anche grazie all’adeguato uso di molti strumenti, che giostrano in maniera sapiente attraverso una composizione ben studiata. Ogni particolare è curato e nulla è lasciato al caso, ed il risultato è un disco fra i migliori nel genere neofolk e dark folk degli ultimi anni. Oltre a sognare e a viaggiare in territori lontani All Tree, grazie alla sua forte matrice esoterica, ci fa toccare con mano delle cose che stanno morendo perché noi ci stiamo allontanando in maniera oramai irrimediabile dal nostro vero baricentro. Dischi come questo ribilanciano il tutto, riportandoci dolcezza, bellezza e cose preziose.

Tracklist
1 Blessing
2 Son Of The Sky
3 Old Tree
4 Changeling
5 Ancient Astronaut
6 Visions Of A.O.S.
7 Sylvan Sign
8 Wilderness Spirit
9 Otherworld Envoy
10 Birthmark
11 Journey To Carnac
12 Liminal Night
13 Closing Circles

HEXVESSEL – Facebook

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