Thrash Bombz – Dawn

Tornano i Thrash Bombz, alfieri del thrash metal old school, con questo ottimo Ep intitolato Dawn.

Tornano i siciliani Thrash Bombz, alfieri del thrash metal ottantiano, con un nuovo Ep che, seppur seguendo la strada intrapresa nel precedente full-length di inizio anno, porta con sé, un’importante novità in seno alla band.

Causa la defezione del vocalist Leonardo Botta, infatti, la band ha deciso di affidare le parti vocali al bassista Angelo “Destruktor” Bissanti, già al microfono sull’album della sua “creatura” Blood Evil (“Infection”, pubblicato all’inizio di quest’anno), singer di razza e protagonista di un’ottima prova, tra vocals agguerrite in puro stile ottantiano, ricche di vari spunti e di debordante personalità.
Venti minuti circa nei quali i Thrash Bombz confermano quanto di buono fatto sul precedente album: i brani sono quanto di più coinvolgente potete trovare in ambito old school, chiaramente ispirati alle band che hanno fatto grande il genere oltre vent’anni fa, ma suonati con ottima tecnica e personalità, il che li rende una delle realtà più convincenti della nostra penisola in questo ambito musicale.
La coppia d’asce formata dalla ritmica di Giuseppe “UR” Peri e la solista di Salvatore “Skizzo” Li Causi mietono vittime come un mitragliatore sferragliante nell’ambito di uno scontro a fuoco: Li Causi, in piena forma, sforna solos straordinari, sostenuto dalla seconda chitarra di Peri ed un lavoro della sezione ritmica (lo stesso Bissanti al basso e Vincenzo “Vihol” Lombardi alle pelli) potente, veloce, ma oltremodo elegante laddove la band si concede passaggi dall’alto tasso melodico, come lo struggente strumentale che dà il titolo all’album.
Con sei brani notevoli, i Thrash Bombz nobilitano il genere continuando la loro tradizione che li vuole fautori di un thrash che alterna sfuriate metalliche (grandiose a mio parere … Presence ed Eternal Punishment) ad un talento mostruoso nel saper inserire parti strumentali tecnicamente ineccepibili e dal grande impatto emotivo, aspetto che ne rende vario e maturo il sound.
Ottimo lavoro, dunque, consigliato non solo ai fan del genere ma adatto anche a chi ha confidenza con i suoni metallici più classici: per il gruppo potrebbe essere una sorta di ripartenza vista l’importanza del cambio di vocalist nel contesto di una band; dal mio canto consiglio, per chi ancora non l’avesse ascoltato, anche il bellissimo album “Mission Of Blood”.

Tracklist:
1. Unknown…
2. …Presence
3. Drown in Your Misery
4. Eternal Punishment
5. Dawn
6. Human Obliteration

Line-up
Giuseppe “UR” Peri – Guitars
Angelo “Destruktor” Bissanti – Vocals, Bass
Salvatore “Skizzo” Li Causi – Guitars
Vincenzo “Vihol” Lombardi – Drums

https://www.facebook.com/ThrashBombzOfficial

In Tormentata Quiete – Cromagia

Ciò che stupisce in “Cromagia” è un senso melodico che non viene mai meno,trasformandosi nel vero filo conduttore di un lavoro che è spettacolare tanto musicalmente quanto a livello lirico.

Il terzo album degli In Tormentata Quiete si rileverà una delle consuete croci per chi tenta chi catalogare la musica come se si trattasse di riordinare dei libri in una biblioteca, rispettando un rigoroso ed ineluttabile ordine alfabetico.

L’ensemble bolognese, ed è questo ciò che conta, regala l’ennesima perla di una carriera che, come spesso accade dalle nostre parti per chi tenta di fare musica nella sua accezione artistica più elevata, è destinata più allo status di culto che non a quello di realtà di successo.
Del resto, non credo che gli In Tormentata Quiete si siano mai posti prioritariamente quest’ultimo obiettivo, soprattutto operando e vivendo in un paese come l’Italia nel quale se non appari non esisti e dove, se proponi musica che costringe ad essere ascoltata e non semplicemente sentita, sei irrimediabilmente destinato a restare nel cuore di pochi fortunati.
All’interno di Cromagia possiamo trovare folk, prog, black e cantautorato italiano, una ricetta che parrebbe, messa giù così, dannatamente intricata, eppure tutto scorre senza che nessuna di queste componenti prevarichi mai l’altra, stupendo per l’equilibrio raggiunto, quasi come quando si osservano quei folli funamboli che attraversano i canyon camminando su una sottile fune tesa sopra baratri profondi centinaia di metri …
Per una volta mi trovo piuttosto d’accordo con le note di presentazione, nelle quali si accenna a nomi quali Solefald, Ulver e Devil Doll, riferimenti che, francamente, potrebbero risultare controproducenti al momento del dunque: nonostante ciò i nostri si rivelano del tutto degni, se non proprio a livello di sonorità sicuramente per attitudine, dell’accostamento a questo manipolo di geniali sperimentatori.
Ciò che stupisce ulteriormente, con tali premesse, è un senso melodico che in Cromagia non viene mai meno, trasformandosi nel vero filo conduttore di un lavoro che è spettacolare tanto musicalmente quanto a livello lirico, con il suo concept incentrato sulle emozioni ed i sentimenti associati ai singoli colori.
L’intreccio vocale è un ulteriore aspetto capace di elevare gli In Tormentata Quiete sul resto della concorrenza: due voci pulite, l’una maschile, l’altra femminile, si scambiano continuamente i ruoli “disturbate” da uno screaming acido che opera per lo più con la funzione di controcanto, quasi a voler sporcare, con le sue efferate incursioni, quelle tessiture melodiche che, a lungo andare, si insinuano nella mente e nel cuore di chi ascolta.
Bastano dodici minuti, quelli nei quali si sviluppa l’accoppiata iniziale Blu / Il Profumo del Blu, a chi non avesse mai ascoltato una nota degli ITQ, per capire d’essere al cospetto di una realtà unica nel panorama italiano e per attendersi ulteriori meraviglie sonore (tra le quali spiccano l’elegia di Verde ed il black/folk di La Carezza Del Giallo) nel corso dei restanti tre quarti d’ora.
Ma, intanto, il destino di talenti trasversali come questi è quello d’essere capiti da pochi: troppo colti per chi ha bisogno di musica usa e getta, troppo metallici per i tolemaici del progressive (mi pare di sentirli “ …. ah, quella voce gracchiante …”), troppo melodici per i metallari, infine troppo superiori alla media per poter diventare, anche solo per sbaglio, un fenomeno di massa.
Quei pochi che, appunto, non si sono mai adeguati al minimalismo spastico degli sms e riescono a leggere almeno tre righe di una mail senza avvertire un calo di attenzione, provino a dare una chance agli In Tormentata Quiete

Tracklist:
1. Blu
2. Il Profumo del Blu
3. Rosso
4. Il Sapore del Rosso
5. Verde
6. Il Sussurro del Verde
7. Giallo
8. La Carezza del Giallo
9. Nero
10. La Visione del Nero
11. InVento

Line-up:
Maurizio D’Apote – Bass
Francesco Paparella – Drums
Lorenzo Rinaldi – Guitars
Antonio Ricco – Keyboards
Marco Vitale – Vocals (harsh)
Irene Petitto – Vocals
Simone Lanzoni – Vocals

IN TORMENTATA QUIETE – Facebook

https://soundcloud.com/mykingdommusic/itq-lvdn

Cadaveria – Silence

Al quinto album di una discografia che negli anni non ha accusato alcuna caduta di tono, Cadaveria con la sua band continua a regalare opere oscure con disarmante naturalezza.

Torna la regina del metal estremo, Cadaveria, con la sua band omonima.

Ormai lontani gli esordi con gli Opera IX, la vocalist dal 2002, anno dell’esordio (“The Shadow’s Madame”) con il progetto a suo nome, continua imperterrita a sfornare opere di metallo estremo dalle sfuriate black e fascino gotico di assoluta qualità, ed il nuovo parto dal titolo Silence non tradisce le attese, confermando la band biellese come una delle realtà più floride del panorama nazionale nonché una tra le più conosciute anche fuori dai patri confini.
Al quinto full-length di una discografia che negli anni non ha accusato alcuna caduta di tono, il gruppo continua a regalare opere oscure con disarmante naturalezza, ormai modello per qualsiasi giovane band si avvicini al genere, capitanata dalla regina nera sempre in piena forma.
Silence offre quanto di meglio la band poteva donare ai propri fan, rivelandosi un album sempre in bilico tra gotiche atmosfere, cavalcate death/black e sfuriate thrash, il tutto sostenuto da emozionanti ed oscuri passaggi, nei quali cala la violenza ma nel contempo l’aria si fa gelida e i brividi fanno tremare corpi e menti, tale è il clima orrorifico che si respira tra i solchi di queste nuove undici canzoni.
Cadaveria è sempre qui, tra un growl da strega malefica ed ambigue parti nelle quali le nenie terrorizzano ancora di più: spettacolare nella sua teatralità, rende questo viaggio nel mondo oscuro un incubo dal quale, però, non ci si vuole svegliare, ammaliati, affascinati, ipnotizzati come in un incantesimo da tanto malefico rituale.
I musicisti che accompagnano la singer, formano come sempre un team ultravincente, con la sezione ritmica composta da Killer Bob al basso e Marcelo Santos (ovvero Flegias dei Necrodeath) alla batteria, perfetti dove le ritmiche accelerano vertiginosamente, e la coppia d’asce Frank Booth e Dick Laurent i quali, ispiratissimi, sono protagonisti di una prova spettacolare colmando di solos melodici e riffoni thrash il sound dell’album.
Ottimamente prodotto, Silence regala perle di metallo oscuro come Carnival Of Doom e Free Spirit, e va in crescendo con il passare dei minuti, regalando il meglio di se nelle ultime tre tracce, Almost Ghostly, Loneliness e Strangled Idols, in un’orgia di suoni estremi ed atmosfere dark davvero da antologia.
Un album che conferma il talento di Cadaveria e dei suoi degni compari, tornati per riprendere il trono tra le band del genere ed il ruolo di guida ed influenza per qualsiasi realtà nostrana che voglia approcciarsi al metal più oscuro.

Tracklist:
1. Velo (The Other Side of Hate)
2. Carnival of Doom
3. Free Spirit
4. The Soul That Doesn’t Sleep
5. Existence
6. Out Loud
7. Death, Again
8. Exercise1
9. Almost Ghostly
10. Loneliness
11. Strangled Idols

Line-up:
Cadaveria – Vocals
Killer Bob – Bass
Marcelo Santos – Drums
Frank Booth – Guitars
Dick Laurent – Guitars

CADAVERIA – Facebook

Putrid Offal – Suffering

Un assaggio di quello che sarà il ritorno sulle scene degli storici grindsters francesi Putrid Offal.

In attesa dell’imminente full-length che vedrà la luce nel prossimo anno, la Kaotoxin immette sul mercato il nuovo singolo degli storici grindsters francesi Putrid Offal.

Nata nel lontano 1991, la band sfornò, fino alla metà degli anni novanta, lavori con buona continuità e dopo un demo d’esordio e una manciata di split si fermò, per tornare dopo vent’anni più forte di prima con questo singolo. Siamo davanti ad una band eccellente per impatto e violenza, i due brani inseriti in questo lavoro (Suffering in ben tre versioni e Livor Mortis) descrivono un gruppo compatto, che non ha nulla da invidiare alle band più conosciute del genere proposto: velocità inumana, devastazione, ritmiche mozzafiato e due voci (growl e scream) che letteralmente inchiodano l’ascoltatore, travolto da un wall of sound pari ad un vento atomico. Franck Peiffer (chitarra e voce) e Frèdèrick Houriez (basso) sono accompagnati nella nuova avventura da Philippe Reinhalter (chitarra) e la band gira a mille, lasciando esterrefatti. Come già accennato, i Putrid Offal sono pronti per uscire con il debutto su lunga distanza nel prossimo anno: il titolo sarà “Mature Necropsy” e, da quanto ascoltato in questo singolo, ne vedremo e sentiremo delle belle, state sintonizzati.

Tracklist:
1.Suffering(2014 version, taken from the full lenght Mature Necropsy).
2.Suffering(2014 demo version)
3.Suffering(1991 demo version)
4.Livor Mortis

Line-up:
Franck Peiffer – guitars & vocals
Philippe Reinhalter – guitars
Frédéric Houriez – bass & vocals

PUTRID OFFAL – Facebook

Right To The Void – Light Of The Fallen Gods

Ottimo melodic death metal con questo secondo album dei francesi Right To The Void

Imperterrito al trascorrere del tempo, specialmente in ambito underground, il death metal melodico continua a partorire band di ottime potenzialità, non solo rivolte a quello più moderno violentato da ritmiche core, tanto caro ai giovani fan di questi tempi, ma anche al più vecchio e mai domo scandinavian melodic death dei primi anni novanta, che dall’underground ha acquistato nuova linfa non potendo più contare sulle band che lo resero popolare allora, ammaliate dai dollari statunitensi e in gran parte sbiadite parodie di se stesse.

I Right To The Void, gruppo francese al secondo full-length, licenziato in questi giorni per la sempre più imprescindibile WormHoleDeath, la lezione l’hanno imparata eccome ed il loro nuovo album risulta un ottimo esempio di come si possa, seguendo sentieri già tracciati, risultare ugualmente convincenti sotto ogni punto di vista. La band esordisce con un demo nel 2010 per poi approdare nel 2013 al primo album (“Kingdom Of Vanity”), sempre per la label italiana, acquisendo nel contempo una buona esperienza live dividendo il palco con band del calibro di Napalm Death ed Immolation, esperienze che forgiano i musicisti transalpini, qui in ottima forma e più compatti che mai. Light Of The Fallen Gods si rivela così un gran lavoro di genere, sempre in bilico tra soluzioni od school e melodic-death impreziosite dall’ottimo lavoro delle chitarre, che alternano bordate estreme a solos melodici di ottima fattura(Paul e Gauthier). Una sezione ritmica di grande impatto (Hugo alle pelli e Romain al basso) ed un vocalist (Guillame) sugli scudi per tutto il lavoro, bravissimo sia nel classico growl che nell’uso dello scream dai rimandi black, molto usato nel genere ma poche volte così convincente, fanno sì che la decina di brani proposti lascino il segno; il gruppo non dà tregua e l’album, fin dall’opener Swallow’s Flight parte a mille per non fermarsi più, regalando botte di metallo estremo, cavalcate elettriche devastanti che, a tratti, lambiscono atmosfere di epicità oscura dalla notevole resa. Siamo al cospetto degli Dei, come recita il titolo, ed allora tra cielo e terra infuria la battaglia, feroce, senza esclusione di colpi, dove anche l’ascoltatore vacilla sotto il bombardamento di canzoni come le velocissime Death Circles, Fate Of Betrayal, Through The Grave e, mentre i due eserciti se le danno di santa ragione, riprendiamo fiato con la prima parte strumentale della stupenda The One Who Shoulder’s The Light. Con una produzione al top e una copertina che trasuda epicità nordica, questo lavoro potrebbe piacere non poco ai seguaci di Amon Amarth e compagnia vichinga, pur non essendo comunque un prodotto viking “tout court” ma tenendo ben saldo il cordone che lega la band al melodic death; etichette a parte, un album da ascoltare e far vostro. Promossi a pieni voti.

Tracklist:
1. Swallow’s Flight
2. Death Circles
3. Fate of Betrayal
4. The Sun of the Living Ones
5. Throught the Grave
6. The One Who Shoulders the Light (Part I)
7. The One Who Shoulders the Light (Part II)
8. Majesty’s Doors
9. Origins of a New World
10. This Is Our Time

Line-up:
Fabien – Bass
Hugo – Drums
Paul – Guitars
Gauthier – Guitars
Guillaume – Vocals

RIGHT TO THE VOID – Facebook

BLACK THERAPY

I romani Black Therapy, dopo l’ottimo album d’esordio hanno pubblicato di recente l’Ep The Final Outcome, contenente quattro brani di death metal melodico di livello straordinario.
A questo punto il prossimo disco su lunga distanza diventa una tappa fondamentale per la band: ne abbiamo parlato con il chitarrista e fondatore Lorenzo Carlini.

iye Ciao Lorenzo, vuoi raccontare ai lettori di Iyezine come è nato il progetto Black Therapy ?

Ciao! E’ nato tutto dalla lunga amicizia che lega me all’altro chitarrista Daniele: avevamo deciso di suonare la nostra prima cover, ma lo stesso giorno in cui l’abbiamo provata per la prima volta abbiamo subito capito che non era cosa per noi (era pessima!).
Abbiamo visto che suonando cose nostre funzionavamo molto di più, così abbiamo composto 4 brani da inserire in una demo. La ricerca degli altri musicisti non so per quale assurdo motivo è stata rapida e fortunata! 4/5 di quella band sono ancora membri attivi dei Black Therapy e ne siamo più che soddisfatti!

iye Il vostro primo full-length, “Symptoms Of A Common Sickness”, era già di ottimo livello ma nonostante
ciò siete riusciti a compiere un ulteriore passo avanti; siete soddisfatti del lavoro svolto oppure appartenete alla categoria degli incontentabili e pensate che avreste potuto fare ancora meglio ?

Secondo me “Symptoms of a Common Sickness” è un ottimo album di esordio, racchiude i nostro sogni di adolescenti e molti altri valori classici di quell’età, “The Final Outcome” invece, lo trovo più maturo e più “nostro”, diciamo che è la svolta verso il consolidarsi del nostro stile, anche la produzione è esattamente quello che avevamo in mente.

iye La cover del brano “Mad World” (che, ricordo, fa parte della colonna sonora del film Donnie Darko), è un
brano eccezionale, molto vicino alle sonorità dei Dark Tranquillity epoca “Projector”. Da dove è scaturita
una scelta così atipica?

Molte band inseriscono nei loro repertori delle cover, sia dal vivo che in studio, ma personalmente ho capito col tempo che non sono un ottimo esecutore di cose altrui, motivo per il quale non ho mai avuto una cover band, ho sempre pensato che arrangiare metal un brano di tutt’altro genere sarebbe stata l’unica scelta funzionale.
La ricerca è stata una cosa strana, avevo chiaro in mente come sarebbe stato il risultato finale prima ancora di scegliere il pezzo, per cui dovevo trovare un brano che avesse i requisiti giusti per portarmi a quelle sonorità. Questo mi ha estremamente ridimensionato le alternative, mi ha reso la scelta più lunga e complicata ma contemporaneamente non avrei avuto modo di sbagliare, era solo questione di tempo e il pezzo prima o poi sarebbe passato davanti alle mie orecchie che l’avrebbero sicuramente riconosciuto, ed ho avuto ragione!

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iye L’impressione che fornite è di una band matura e dalle potenzialità enormi, ma devo dire che mi ha
colpito molto il lavoro delle due chitarre affidate a te a Daniele Rizzo: ci spieghi quali sono le vostre
modalità di lavoro in studio?

Oggi non è più come un tempo, quando si entrava in studio, si componeva e si incideva lì. Per quella che è la nostra esperienza è necessario entrare in studio con il 99% del disco già pronto.
Prima registriamo il tutto a casa per sentire con calma se suona bene o c’è qualche modifica da fare, poi proviamo in sala e infine siamo pronti per entrare in studio.
Nella fase di registrazione ci limitiamo a riprodurre le parti nel miglior modo possibile seguendo i consigli del nostro fonico Stefano Morabito (Eyeconoclast), poi durante il mix ci divertiamo a scegliere i suoni e i vari effetti, questa è l’unica parte artistica del lavoro!

iye Chi è di voi è il maggior responsabile della scrittura dei brani?

La stesura dei brani è una fase a cui pensiamo esclusivamente io e Daniele, ognuno per conto suo compone dei riff, poi ci incontriamo e amalgamiamo il tutto completando prima le due tracce di chitarra e poi gli altri strumenti. A questo punto Alessandro (basso) e Luca (batteria) aggiungono le ultime sfumature alle loro linee e infine Giuseppe (voce) crea le linee vocali e aggiunge le liriche.

iye Il death metal melodico ha perso molta della sua popolarità anche perché le band più famose (a parte i
Dark Tranquillity) hanno virato su sonorità più mainstream, ma è vivo e vegeto nell’underground: che idea
ti sei fatto di questo tipo di svolte, In flames e Soilwork su tutte?

Io penso che ci siano due tipi di band: quelle geniali che hanno la fantasia di inventare qualcosa di nuovo e le altre che poi, alcune differenziando un po’, altre diventando la loro brutta copia, li seguono o si evolvono proseguendo da dove hanno lasciato i primi.
Ultimamente vedo una nuova scintilla all’interno del death metal melodico, è il filone che include Insomnium, Omnium Gatherum, ecc., che, a mio parere, hanno attinto dalle classiche band del ‘95 ma hanno saputo diversificarsi, raccogliere il testimone e portarlo altrove.
Rispetto molto le svolte di In Flames e Soilwork, questi sono due esempi di band geniali che non si sono limitate ad inventare un genere (il melodic death metal), ma anni dopo ne hanno inventato un secondo che non sarà prediletto dagli amanti del primo, me compreso, ma non si può di certo mettere in discussione il loro valore e percorso musicale.

iye Quali sono le tue band preferite? E cosa ascoltate abitualmente in seno ai Black Therapy?

Sono partito dall’heavy e dal thrash (Iron Maiden, Megadeth, Metallica, Testament), poi sono passato al power (Stratovarius, Sonata Arctica, Nightwish), i Children of Bodom sono stati il mio collegamento con il melodic death (Dark Tranquillity, In Flames, Soilwork, At The Gates) e al death classico con i Death su tutti. Ascolto anche molto black, soprattutto quello melodico (Dimmu Borgir, Dissection), ma anche non (Belphegor, Dark Funeral). Ultimamente mi sono appassionato al nuovo filone del melodic death (Insomnium, Omnium Gatherum, Ne Obliviscaris, Flashgod Apocalypse) e al post-depressive-black. Mi piace ascoltare anche la musica classica, il rock’n’roll e il rock settantiano.

iye La scena della capitale è ricca di band di livello assoluto un po’ in tutti i generi del metal estremo, avete
contatti con altri gruppi romani?

E’ ovvio che frequentando la scena abbiamo avuto diversi contatti e scoperto tante band valide, citerei Shores of Null, Eyeconoclast, Lahmia, Ade, Lykaion, Southern Drinkstruction, Lunarsea, Stormlord, Nerodia, Black Motel Six e tante altre!

iye Domanda d’obbligo: cosa ne pensi della scena metal italiana in generale e come vanno per voi le cose in
sede live?

Sappiamo tutti che culturalmente il genere non è molto diffuso rispetto ad altri paesi, oggi viviamo una vita frenetica e purtroppo c’è poco spazio per l’arte e gli hobby in generale, le proposte e le distrazioni sono molteplici e solo chi ha una forte passione riesce a partecipare attivamente alla scena.
Nonostante questo panorama generale, in Italia si sono creati diversi centri in cui spesso passano grandi tour e altri dove si possono fare date più piccole ma sempre piacevoli.

iye Chiaramente dopo un ep di questo livello, le aspettative per il nuovo album salgono vertiginosamente,
avete già programmato il successore di “Symptoms …” ?

Sì, abbiamo già del materiale pronto anche se non vogliamo fare cose affrettate e preferiamo curarlo nei minimi dettagli per evitare passi falsi. La linea generale sarà proprio quella sentita nel nuovo EP, ma per ora dobbiamo concentrarci a promuovere questo lavoro in tour, poi ci chiuderemo ad ultimare il nuovo disco. Per ora ci si vede on stage!

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Hourswill – Inevitable

Prova del full-length superata ampiamente dal gruppo che, senza strafare, riesce ad intrattenere gli ascoltatori con grande padronanza dei propri mezzi.

Debutto sulla lunga distanza per gli Hourswill, band di Lisbona attiva dal 2009 e con alle spalle un singolo ed un demo nel 2011, con il loro metal tecnico che lascia agli annali buoni spunti e canzoni caratterizzate dall’ottimo impatto.

Certo, la band portoghese non brilla per originalità, ma ha dalla sua carte buone da giocarsi sul piatto del genere, mettendoci anima e corpo in questi nove brani devoti al verbo del teatro del sogno. Infatti, fin da Vows of Submission, che segue la classica intro, il songwriting si attesta su un prog metal classico, ben eseguito, nel quale a tratti compaiono voci in growl (Dead End Memory), che rendono il sound ancora più metallico e la band, dopo aver inserito la quinta, viaggia in tranquillità su territori sicuri, mostrando comunque buona padronanza degli strumenti. Molto bella Lessons Unlearned, in breve la traccia migliore del lavoro, che fa coppia con il brano più progressive del lotto, quella Weight Of Vengeance che regala attimi dove atmosfere più vicine al prog settantiano si amalgamano alla vena heavy del combo, per donare stupendi affreschi di musica metallica, sempre con le ottime parti in growl nella voce, che sanno tanto di prog metal nordico. Atrocity Throne risulta la traccia più pesante del disco: le ritmiche, sempre tecnicissime, si fanno grevi come macigni, avvicinandosi al metal oscuro e drammatico dei fenomenali Nevermore di Warrel Dane. I musicisti lasciano intravedere grandi potenzialità, specialmente le due asce che si rendono protagoniste di solos tecnico-melodici dal buon gusto ed estremamente funzionali all’economia dei brani, senza cadere nell’esibizione strumentale fine a se stessa. Per concludere, prova del full-length superata ampiamente dal gruppo che, senza strafare, riesce ad intrattenere gli ascoltatori con disinvoltura: Inevitable si rivela un buon lavoro per gli appassionati dei suoni tecnici, ma allo stesso tempo dai connotati metallici. Assolutamente da ascoltare.

Tracklist :
1. The Damnation Clockwork
2. Vows of Submission
3. Inevitable Collapse
4. Dead End Memory
5. Lessons Unlearned
6. Atrocity Throne
7. Nothing Divine
8. Weight of Vengeance
9. Their Hopeless Reality

Line-up:
Ruben Chamusca – Bass
Nuno S. Damião – Vocals
José Bonito – Guitars
Sérgio Melo – Guitars
Nuno Peixoto – Drums

HOURSWILL – Facebook

HaatE / Chiral – Where The Mountains Pierce The Nightsky

“Where The Mountains Pierce The Nightsky” è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone questi due progetti guidati da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

HaatE e Chiral sono i progetti solisti di due musicisti italiani che dovrebbero essere già conosciuti a chi si aggira su queste pagine, visto che abbiamo avuto occasione di commentare nei mesi scorsi i loro recenti lavori.

Ben venga, quindi, questo split album che consente in un sol colpo di ascoltare due realtà differenti ma ugualmente contigue, più orientata verso un dark/ambient la prima e catalogabile come black atmosferico la seconda.
Per l’occasione i due sfruttano in parte il materiale già edito: HaatE, infatti, ripropone la splendida Crystal e la prima parte di As The Moon Painted Her Grief, tratte dall’omonimo album, regalando comunque una buona traccia inedita quale The Crystal Pathway, mentre Chiral, di fatto, rielabora in maniera decisamente interessante alcuni dei temi già proposti in “Abisso”, presentandoli in una sola lunga traccia di venti minuti intitolata Everblack Fields of Nightside.
Appare inevitabile, quindi, parlare positivamente di questi due musicisti, sia per la qualità del loro operato, ribadita in quest’occasione, sia per la tenacia e la convinzione con la quale cercano di proporre al pubblico generi musicali sicuramente non per tutte le orecchie .
Per HaatE c’è la conferma di un modus operandi molto vicino a nomi quali Lustre o i Wolves In The Throne Room sperimentali dell’ultimo “Celestite”, mentre Chiral mostra un volto più atmospheric/ambient riducendo di molto rispetto ad “Abisso” la componente estrema del suo sound, quasi in ossequio al compagno di split e, soprattutto, ad un concept che viene ben rappresentato da queste due diverse entità: se la prima parte (HaatE) verte sul viaggio di un essere spirituale, la seconda (Chiral) narra del peregrinare terreno di una creatura mortale ma, per entrambe, nonostante diverse finalità e modalità, la fine del percorso coincide con il termine dell’esistenza.
Where The Mountains Pierce The Nightsky è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone queste due realtà musicali guidate da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

Tracklist:
HaatE
1. The Crystal Pathway
2. Crystal
3. As The Moon Painted Her Grief

Chiral
4. Everblack Fields of Nightside

HAATE – Facebook

CHIRAL – Facebook

Hell In The Club – Devil On My Shoulder

Spettacolare secondo lavoro degli Hell in The Club, super band italiana, con membri di Death SS,Secret Sphere e Elvenking.

E c’è ancora qualcuno che, quando si parla di metal nel nostro paese, arriccia il naso come se lo tsunami di talenti che, fortunatamente, il nostro caro e vecchio stivale può contare, fosse invisibile.

Per chi non avesse avuto il piacere di ascoltare il primo album di questa spettacolare band tutta italiana (“Let The Games Begin”), ricordo che gli Hell In The Club non sono altro che l’unione di musicisti appartenenti a band che hanno dato e danno tuttora lustro alla musica metallica italiana, quali Andrea Buratto al basso (Secret Sphere), Davide Moras alla voce (Elvenking), Federico Pennazzato alle pelli (Death SS, Secret Sphere), più Andrea Piccardi alla chitarra. Progetto? Band a tutti gli effetti? Poco importa, visto che i musicisti si cimentano un genere lontano anni luce da quello proposto con le band di provenienza, dando vita ad un hard rock incandescente, dalla forte impronta street ma, allo stesso tempo, moderno ed enfatizzato da una produzione spettacolare (Simone Mularoni, ovviamente) e dal songwriting stratosferico. Evitate di sedervi per ascoltare disco, intanto non durerete con il fondo schiena appoggiato sul divano per più di un minuto, sotto il bombardamento di questi tredici brani di hard rock stradaiolo tremendamente divertente. La band si diverte e ci fa divertire, puro rock’n’roll da arena, musica da lasciarsi andare e cantare a squarciagola, dimostrazione che, non esistono generi più o meno datati o cool, perché quando il livello della qualità si alza a questi livelli si può solo omaggiare i protagonisti, dal talento mostruoso, da far impallidire sia i mostri sacri degli anni ottanta, che le nuove leve scandinave da cui la band prende spunto per questo ennesimo party album. Dall’opener Bare Hands è un susseguirsi di hit, da far resuscitare cadaveri, che si trasformeranno in zombie affamati al ritmo della sensazionale Beware The Candyman, ultra rock’n’roll da infarto. Ci deve essere per forza lo zampino del diavolo, Proud esalta nel suo incedere alla Bon Jovi, le songs si alternano in un grandioso omaggio a quello che è puro divertimento in musica, Whore Paint, Pole Dancer consacrano la band e questo lavoro come uno dei più riusciti in ambito hard rock di quest’anno. Impatto e attitudine, legati insieme da soluzioni geniali, fanno di Devil On My Shoulder una risposta efficace ai sordi che continuano a sostenere che il rock è morto e, anche quando tira il freno e consegna le immancabili ballad (We Are The Ones e Muse), la band regala brividi con due brani da pelle d’oca. Spettacolare ritorno dunque per il quartetto alessandrino, protagonista di questo album che si piazza sul podio delle migliori uscite discografiche nel genere a livello internazionale.

Track list:
01. Bare Hands
02. Devil On My Shoulder
03. Beware Of The Candyman
04. Proud
05. Whore Paint
06. Pole Dancer
07. We Are The Ones
08. Save Me
09. Toxic Love
10. Muse
11. Snowman Six
12. No More Goodbye
13. Night

Line-up:
Andrea “Andy” Buratto – Bass
Federico “Fede” Pennazzato – Drums
Andrea “Picco” Piccardi – Guitars (lead)
Davide “Dave” Moras – Vocals

HELL IN THE CLUB – Facebook

Circle Of Indifference- Shadows Of Light

Spettacolare esordio dei Circle Of Indifference con questo magnifico “Shadows of Light”.

Altro lavoro che se non arriva a sfiorare il capolavoro ci va tremendamente vicino.

I Circle Of Indifference sono la creatura del polistrumentista Dagfinn Øvstrud, nata lo scorso anno come one man band anche se il musicista svedese è aiutato nella lavorazione del disco da un manipolo di ottimi specialisti della scena estrema. Shadows Of Light ne è il clamoroso debutto che, insieme allo stupendo “Nightmare Years” dei Maahlas, mi ha completamente rapito tanto è il talento estremo che esce dalle composizioni di questo lavoro, all’insegna di un death metal melodico all’ennesima potenza; il tutto viene supportato da un songwriting straordinario che, senza finire troppo nell’abusato calderone del prog/death alla Opeth, stupisce per tecnica compositiva pregno com’è di canzoni che definire esaltanti è un eufemismo. Niente di nuovo, affermerà qualcuno, vero, ma qui siamo davanti ad un album talmente perfetto, così ben costruito che è impossibile non rimanerne affascinati: cavalcate elettriche accompagnano digressioni elettroniche, tutto il metal scandinavo passa per i solchi di questa straordinaria opera, in cui una produzione bombastica non è altro che la ciliegina su una torta che non riuscirete più a fare ameno di divorare. Edge Of Sanity e la loro guida Dan Swanö sono i riferimenti più logici per le soluzioni adottate in questo lavoro, senza dimenticare anche i Pain di Peter Tagtgren nelle parti elettroniche, e ho detto tutto … Aggiungete un innato senso melodico che, anche nelle parti più violente rende i brani uno più bello dell’altro, ed ecco che il grande disco è servito su un piatto d’argento dallo chef svedese, che lascia all’enorme vocalist Brandon Leigh Polaris il compito di accompagnarci per tutta la durata dell’album con il suo growls spettacolare. Tutto è perfetto, non c’è una nota fuori posto in Shadows Of Light, e la musica vi travolgerà senza darvi tempo per riprendervi tra un brano e l’altro, devastati da cotanto talento al sevizio di un metal debordante. Dove poi entra in gioco una female vocals (Darkness) i Circle Of Indifference sverniciano e mettono in fila tutte le symphonic metal band del pianeta, senza dimenticare di dare una ripassatina al metallo epico che qui diventa furiosa musica guerresca, sprizzante eroicità da tutti i pori (Another Day In Paradise). Siamo di fronte ad un album che, non fosse per l’assoluta cecità del mainstreem e di molti addetti ai lavori, farebbe il pieno nelle classifiche di fine anno in ambito estremo. Se il buon Dagfinn Øvstrud si accontenta, di sicuro non mancherà nella nostra …

Tracklist:
1. Despair (Intro)
2. A Child but Not
3. Walk with Me
4. Alone
5. Shadows of Light
6. Evil
7. This Is Not the End
8. Darkness
9. Another Day in Paradise
10. Abyss
11. Push
12. Shadows of Light (Aybars Remix)
13. Hope (Outro)

Line-up:
Dagfinn Øvstrud – All instruments, Lyrics

Guests:
Brandon L. Polaris – Vocals
Tyler Teeple – Guitars (lead)
Nikky Money – Vocals (on track 8)
Aybars Altay – Additional Instruments of Aybars Remix

CIRCLE OF INDIFFERENCE – Facebook

Chaos – Violent Redemption

Ancora grande metal dall’India con i Chaos, band thrash dall’ottima tecnica e dal songwriting devastante.

Ancora grande metal dall’India, questa volta parliamo di thrash metal con una band di Trivandrum dal nome che è tutto un programma, Chaos.

Giunta all’esordio dopo un demo del 2009, la band votata al metal della Bay Area conquista con questo ottimo primo lavoro, un massacro sonoro suonato a tratti alla velocità della luce e che, quando l’andatura rallenta ci si infrange in brani cadenzati di una pesantezza infinita, suonati a meraviglia da quattro ottimi musicisti ottimi: non solo violenza, quindi, ma tanta tecnica al servizio del vecchio thrash. Anthrax, Exodus, Death Angel e tutti i mostri sacri del genere sono chiamati in ballo dalla band indiana, che raccoglie il testimone e continua a correre per strade metalliche, non esistono semafori rossi, gli ostacoli i Chaos li travolgono con una serie di super songs che in sede live devono spaccare come poche, autentici anthem dalle accelerazioni vibranti, con solos pirotecnici e ritmiche da bombardamento sopra Pearl Harbor. Grandiosa la sezione ritmica (Vishnu al basso e Rohit alle pelli), un vocalist graffiante (JK) e un chitarrista spaventoso, una macchina da guerra che non fa prigionieri con lì aggiunta di un gusto melodico sempre ben presente nei brani dell’album (Nikhil). E’ incredibile come il gruppo riesca in tracce relativamente brevi (Heaven’s Gate a parte, i brani non superano i tre minuti) a condensare un così perfetto american style thrash metal; ognuna di esse esalta e trascina in un pogo sfrenato, a cui non riuscirete a sottrarvi sotto i colpi di War Crime, Saint, Blacklash, Merchant Of Death e Self Deliverance, le preferite dal sottoscritto che avrà il suo daffare per riprendersi da cotanta meraviglia estrema. Grande band e ottimo album.

Tracklist:
1. Ungodly Hour
2. Torn
3. Game
4. War Crime
5. Saint
6. Heaven’s Gate
7. Blacklash
8. Merchant of Death
9. Self Deliverance
10. Cyanide Salvation
11. Violent Redemption

Line-up:
Vishnu – Bass
Rohit – Drums
JK – Vocals
Nikhil – Guitars

CHAOS – Facebook

Black Therapy – The Final Outcome

I romani Black Therapy sfornano un Ep clamoroso a base di melodic death metal

Scandinavian melodic death metal: quante realtà , quante band, in tutto il mondo, si avvicinano al genere che più di ogni altro, dalla metà degli anni novanta, ha donato popolarità al metal estremo? Una marea.

Ma quante di queste possono vantarsi d’essere legittimamente eredi a livello di qualità, delle band che di questo genere hanno fatto la storia? Poche.
E se, senza andare a cercare troppo in là, una di queste fosse proprio qui in Italia?
Arrivati al terzo lavoro dopo un demo, “Through This Path” del 2010, ed il full-lenght “Symptoms Of A Common Sickness” dello scorso anno, i romani Black Therapy licenziano questi stupefacenti quattro brani, racchiusi nell’ep The Final Outcome, uno scrigno contenente quattro brani da antologia, esaltanti, devastanti, ultramelodici, ottimamente prodotti e, ovviamente, dal tiro pazzesco.
Mad World è una delle più belle canzoni sentite ultimamente nel genere (cover di un brano presente nella colonna sonora del film “Donnie Darko”), brano spettacolare nel quale un giro di piano ultramelodico accompagna la band sul podio del genere, collocandosi molto vicino ai Dark Tranquillity di “Projector”.
Seguono la pianistica ed emozionante Sunset Of The Truth e l’accoppiata Black Crow / The Final Outcome che manda in visibilio l’ascoltatore di turno grazie alla prova straordinaria della band, che esibisce grandi ritmiche, solos melodici, doppie vocals ad alternare growls alla Stanne e scream, il tutto impregnato di una vena oscura tale da far impallidire la band scandinava.
Quindici minuti di melodic death metal semplicemente perfetto che, se dovessero essere confermati con il prossimo full-length, potrebbero portare la band a raggiungere vette fino a ieri considerate irraggiungibili.

Track list:
1. The Final Outcome
2. Black Crow
3. Mad World
4. Sunset of the Truth

Line-up:
Luca Soldati – Drums
Daniele Rizzo -Guitars
Lorenzo “Kallo” Carlini – Guitars
Giuseppe Massimiliano Di Giorgio – Vocals
Marco Cattaneo – Bass

BLACK THERAPY – Facebook

Black Capricorn – Cult of Black Friars

Chi è alla ricerca di sonorità leccate e iperprodotte passi oltre, i Black Capricorn fanno musica per chi è come loro, e ciò che ne scaturisce è uno dei migliori album italiani dell’anno.

Il terzo album in poco più di 3 anni consacra definitivamente i Black Capricorn come una delle band guida del doom nazionale.

Non era facile riuscire a migliorare il già ottimo “Born Under The Capricorn” e il tutto pareva reso ancor più difficile dal ritorno alla formazione a tre degli esordi, con il solo Kjxu ad occuparsi di voce e chitarra, coadiuvato dall’accompagnamento ritmico delle sorelle Piras. In effetti, la rinuncia alla voce più abrasiva di Matteo Carta poteva comportare qualche scompenso per la band cagliaritana, ma il barbuto leader, pur avendo una tonalità di minore impatto, riesce a fornire una prestazione credibile dietro il microfono, compensata in ogni caso nel migliore dei modi dal suo operato alla chitarra, con la quale sforna riff su riff senza disdegnare anche riuscite digressioni soliste. Rachela e Virginia fanno il loro consueto ottimo lavoro, ma non sono certo le doti tecniche del trio a rendere imperdibile questo lavoro, quanto la capacità di sfornare quasi un’ora di doom dalle ampie sfumature psichedeliche senza che queste divengano preponderanti, con il rischio di attenuare l’impatto più propriamente metallico del sound. Semmai, un mood più lisergico si manifesta soprattutto nel finale, dapprima con lo stoner/grunge al rallentatore di Arcane Sorcerer e poi con la più soffusa traccia conclusiva, To the Shores of Distant Stars, cantata da Rachela. Ma il cuore pulsante dell’album risiede particolarmente in tracce dalla magnifica resa quali la title-track, Hammer Of the Witches, e For The Abyss, e forse ancor più nella parte composta dalle tre tracce strumentali che arrivano una dopo l’altra, con le ritmate Riding the Devil’s Horses e Cat People a fare da ancelle al brano più coinvolgente, la splendida ed evocativa Anima Vagula Blandula, dall’incipit affidato al flauto, a richiamare i Cathederal di “Forest of Equlibrium” per staccarsene subito proseguendo con un arpeggio acustico ed un assolo di vibrante emotività. Come detto, qui non si va alla ricerca di suoni cristallini e virtuosismi assortiti: il trio fa nel migliore dei modi ciò che meglio gli riesce, ovvero proporre un sound che affonda radici profonde nelle origini del genere senza mai scadere nel manierismo; non c’è un solo passaggio inutilmente interlocutorio in Cult of Black Friars, ogni brano possiede una propria definita struttura che si giova dell’essenzialità priva di qualsiasi orpello messa in campo dalla band. Qualche purista troverà probabilmente difetti sparsi qua e là ma, francamente, chi se ne importa, questo è doom, non progmetal, e chi lo ascolta vuole godere di di sonorità plumbee, pastose, distorte e condividere passione e sudore con i musicisti. Chi è alla ricerca di sonorità leccate e iperprodotte passi oltre, i Black Capricorn fanno musica per chi è come loro, e ciò che ne scaturisce è uno dei migliori album italiani dell’anno.

Tracklist:
1. Atomium
2. Cult of Black Friars
3. Hammer of the Witches
4. Riding the Devil’s Horses
5. Animula Vagula Blandula
6. Cat People
7. From the Abyss
8. Arcane Sorcerer
9. To the Shores of Distant Stars

Line-up:
Fabrizio “Kjxu” Monni – voce, chitarra
Virginia Piras – basso
Rachela Piras – batteria, voce (traccia 9)

Guests:
Luca Catapano – chitarra (traccia 3)
Mr. Toro – chitarra (traccia 9)
Alessandra Cornacchia – flauto (traccia 5)

BLACK CAPRICORN – Facebook

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Sedna – Sedna

Questo è un disco che non vi farà stare meglio e non potrà consolarvi mentre state male, è sale sulle ferite, è un dolore lento ed insinuante che vi penetra in profondità senza lasciarvi requie.

Se il nome della band prende spunto da Sedna, dea del mare per gli Inuit, raffigurata nella copertina di questo debutto omonimo, mi piace pensare che ci possa essere in parte anche un rifermento al planetoide di scoperta relativamente recente, al quale è stato attribuito questo stesso nome e che compie un’orbita ellittica attorno al Sole impiegandoci circa 11.000 anni.

La musica dei Sedna, in fondo, ben rappresenta la furia della dea ma si nutre anche dell’inquietudine provocata dalla comparazione tra la nostra limitata permanenza su questo pianeta ed il moto pressoché eterno di tutti i corpi celesti, in quello spazio sterminato che ogni uomo è incapace di immaginare senza restare schiacciato dalla propria insignificanza.
Il black/sludge metal della band romagnola è l’ideale colonna sonora del tormento, del disorientamento, con le sue sfuriate alternate a momenti di calma che sottendono quasi sempre una riesplosione di riff violenti, di urla impietose che vanno ad infrangersi nella nostra incapacità di comprendere tutto ciò che è incommensurabilmente più grande di noi.
Questo è un disco che non vi farà stare meglio e non potrà consolarvi mentre state male, è sale sulle ferite, è un dolore lento ed insinuante che vi penetra in profondità senza lasciarvi requie.
Proprio quando il chiodo conficcato nella carne pare essersi arrestato nel suo tentativo di farsi ulteriore spazio, arriva in Life _ Ritual la voce dell’ospite Stefania Pedretti, sorta di Diamanda Galas portata alle estreme conseguenze, a far ripiombare nella più cupa alienazione anche l’ascoltatore più disincantato.
A parte quest’episodio a sé stante, i tre Sons (Of The Ocean, Of Isolation, Of The Ancients) sono brani di un’intensità difficilmente descrivibile, nei quali le rare aperture melodiche sono l’ultimo vano respiro per chi sta annegando o l’illusoria visione di un’oasi per chi si è perso nel deserto.
Certo, questo genere musicale ad alcuni potrà anche apparire ripetitivo e privo di sbocchi, ma tutto sta nell’avere ben chiaro cosa si vuole ascoltare dalle band alle prese con queste sonorità; per quanto mi riguarda, ciò che propone il trio cesenate con questo suo primo passo su lunga distanza, è esattamente ciò che serve per intraprendere un opprimente viaggio nelle più recondite profondità, che siano queste rappresentate da abissi oceanici oppure da quelle ben più perigliose della psiche umana, poco importa: i Sedna hanno meravigliosamente assolto a questo loro compito.

Tracklist:
1.Sons of the Ocean
2.Sons of Isolation
3.Life _ Ritual
4.Sons of the Ancients

Line-up:
Taio – Drums
Nil – Guitars, Vocals
Elyza – Bass, Vocals

SEDNA – Facebook

Horrified – Descent Into Putridity

Esordio all’insegna del death metal old school per gli Horrified.

Esordio sulla lunga distanza per questo combo proveniente dal regno unito, devoto al death metal old school.

Gli Horrified sono una giovane band di Newcastle formatasi appena due anni fa, con all’attivo un demo dello scorso anno intitolato “Carcinogenic Feasting”; la firma con Memento Mori li porta a raggiungere il traguardo del primo full-length, un concentrato di death metal old school debitore della scena scandinava a cavallo fra gli anni ottanta e novanta. Parliamo degli albori della scena, ed infatti Descent Into Putidrity sembra proprio uscire da una cassetta demo di quei gloriosi anni, quando anche le maggiori band del genere muovevano i primi passi e gettavano le basi per uno dei più importanti generi della musica estrema. La band si muove bene tra teschi, cimiteri e putridume vario, lasciato dai cadaveri decomposti: ci sono, tra i trenta minuti di questo massacro, dei buoni spunti (Narcolepsy, Tomb Of Rebirth), il gruppo spara sette bordate estreme tutte grinta e velocità, purtroppo la produzione rimane legata agli standard di quegli anni, la batteria risente di un suono un po’ troppo piatto ed il resto risulta ovattato. Forse non siamo più abituati ad ascoltare lavori del genere, ormai abituati ad uscite iperprodotte anche nel death old school, rimane quel senso di nostalgia (per chi ha qualche capello bianco in testa) per anni che non torneranno più, quando per supportare la scena underground si premevano contemporaneamente i pulsanti start e rec per duplicare cassette su cassette. Descent Into Putridity è un prodotto che, sostanzialmente, potrà attrarre soprattutto gli estimatori dei primissimi vagiti di Entombed, Dismember ed Unleashed.

Tracklist:
1. Tomb of Rebirth
2. Narcolepsy
3. Mortally Deceased
4. Descent Into Putridity
5. Buried Among Putrified Flesh
6. Veil of Souls
7. Repugnant Degeneration

Line-up:
Matthew Henderson – Drums
Daniel Alderson – Guitars (lead) Vocals
Dan H – Bass
Ross Oliver – Guitars (lead)

HORRIFIED – Facebook

Aevum – Impressions-Il Palcoscenico Della Mente

Impressions letteralmente incanta, trattandosi di una vera e propria opera rock/metal, nella quale l’elemento elettrico supporta il suono classico in un un vortice di stili e generi, mantenendo sempre in buona evidenza una componente oscura che trascina l’ascoltatore nel mezzo di un duello all’ultimo sangue tra i vari strumenti e tra le diverse voci.

Un’opera quanto mai ambiziosa, questo viaggio musicale degli Aevum, un affascinante tuffo in atmosfere da “fantasma del palcoscenico”, misteriose come quelle di un vecchio teatro abbandonato, nel quale gli unici abitanti sono gli spettri di un mondo ormai lontano e dimenticato.

Il gruppo nasce in quel di Torino da un’idea della cantante Evelyn Moon e del pianista Richard ai quali, dopo vari avvicendamenti di line-up, si uniscono altri musicisti per formare l’assetto definitivo che consta di ben sette elementi.
Prima di questo album d’esordio, la band ha realizzato due Ep autoprodotti, “Celestial Angels” e “Nova Vita”, rispettivamente nel 2008 e 2012. Impressions letteralmente incanta, trattandosi di una vera e propria opera rock/metal, nella quale l’elemento elettrico supporta il suono classico in un un vortice di stili e generi, mantenendo sempre in buona evidenza una componente oscura che trascina l’ascoltatore nel mezzo di un duello all’ultimo sangue tra i vari strumenti e tra le diverse voci (liriche, teatrali e scream e growl), come se i vari abitanti spettrali si dessero il cambio su un palcoscenico in disuso, per vivere ancora una volta la gloria artistica di un tempo che fu.
L’etichetta gothic sta un po’ stretta a quest’album, perché a mio parere siamo davanti ad un rock sinfonico dalle forti connotazioni dark, ma pur sempre con una precisa impronta operistica, con i brani che si susseguono senza interruzioni, inframmezzati da camei strumentali che chiudono e riaprono lo scontro titanico tra i vari protagonisti del lavoro, che siano essi strumenti o voci poco importa, mantenendo l’attenzione dell’ascoltatore altissima e costringendolo a restare in balia della musica del gruppo per tutta la durata dell’album.
Sono grandiose le parti più metalliche, autentiche cavalcate nelle quali classico e moderno si fondono per regalare attimi di musica esaltante (Lost Soul), se vogliano un po’ sulla scia dei Therion ma, laddove la band svedese, specialmente nei primi album, affiancava il classico al death metal, gli Aevum sono più vicini al symphonic black, sia nelle ritmiche sia nell’uso della voce in scream.
I nove minuti di To Be Or … To Be sono da standing ovation e mi fermo qui, perché questo lavoro è composto da undici movimenti che devono essere solo ascoltati e che, tutti insieme, danno vita ad un capolavoro dal titolo Impressions, album che vola sul podio dei migliori di quest’anno che va a concludersi.

Tracklist:
1. Il palcoscenico della mente
2. Blade’s Kiss
3. Intermezzo
4. The Battle
5. Il lamento della ninfa
6. Impressioni
7. Lost Soul
8. To Be or…to Be
9. Aevum
10. Monsters
11. Adieu à la scène

Line-up:
Matt – Drums
Violet – Bass
Lord of Destruction – Guitars (lead)
Richard – Piano, Vocals (backing), Growls
Evelyn Moon – Vocals (female opera clean )
Ian – Synth and Keyboards
Hydra – Vocals (opera clean and scream)

AEVUM – Facebook

Bethlehem – Hexakosioihexekontahexaphobia

L’ultimo disco dei Betlehem, pur non essendo imprescindibile, mostra un progresso rispetto al materiale più recente pubblicato dalla storica band tedesca.

Nell’ascoltare il settimo album dei Bethlehem, a vent’anni di distanza esatti dall’esordio “Dark Metal”, non si può fare a meno di cogliere quanto la band tedesca abbia mutato nel frattempo le proprie coordinate stilistiche.

Il black-doom degli esordi è lontano nel tempo ma è anche vero che, paradossalmente, il sound ha subito gran parte delle proprie mutazioni nel corso del primo decennio, mentre il gap stilistico tra l’ultimo full-length originale (“Mein Weg”, del 2004) e quest’ultimo parto è decisamente più ridotto, non volendo tener conto della breve parentesi di fine decennio con Kvarforth al microfono, culminata con la controversa riedizione del “S.U.I.Z.ID. album” e il successivo rigurgito black dell’Ep “Stönkfitzchen”.
Hexakosioihexekontahexaphobia è un disco che mostra sicuramente un volto più raffinato e maturo dei Bethlehem: infatti, qui il leader e unico superstite della formazione originale, Jürgen Bartsch, si preoccupa soprattutto di presentare, assieme alle immancabili tracce dai tratti sperimentali, brani soprattutto in grado di catturare l’attenzione senza sforzi sovrumani da parte degli ascoltatori.
Questo almeno è quanto avviene per le prime due tracce (Ein Kettenwolf greint 13:11-18 e Egon Erwin’s Mongo-Mumu), all’insegna di un dark metal piuttosto sinuoso che l’idioma tedesco rende ancor più decadenti nel loro incedere, ma indubbiamente è il quarto brano, Gebor’n um zu versagen, che si candida come uno dei picchi dell’album, grazie ad un refrain decisamente azzeccato.
Nazi Zombies mit Tourette-Syndrom (titolo notevole), riporta la band su territori sperimentali con risultati altalenanti, mentre Spontaner Freitod, dopo un furioso avvio, si trasforma ben presto in un limaccioso brano dai tratti doom.
La bella ed evocativa Höchst alberner Wichs riporta l’album ad un sound in linea con la sua parte iniziale, e l’azzeccato strumentale Ich aß gern’ Federn e la più intimista Letale Familiäre Insomnie confermano la bontà di tale scelta.
Dopo una non troppo efficace Kinski’s Cordycepsgemach, è Antlitz eines Teilzeitfreaks che ha il compit di chiudere un album che sicuramente trae giovamento dalla buona prestazione vocale di Guido Meyer de Voltaire, valido sia nelle parti pulite sia in quelle “harsh”
In definitiva, quando una band, che in passato ha fatto dell’originalità della proposta il proprio vessillo, risulta più convincente proprio nella parti maggiormente fruibili è inevitabile porsi qualche domanda ma, come detto in fase di introduzione, proprio la maturità esibita dal trio finisce per compensare, senza però riuscire a rimpiazzarla, la carica innovativa degli esordi facendo sì che, in effetti, i brani più ambiziosi ed intricati nella loro costruzione alla fine risultino soprattutto cervellotici.
In questo senso l’assimilazione del lavoro non viene agevolata da una durata che supera l’ora, anche se nel complesso si può affermare che Hexakosioihexekontahexaphobia non è certo un disco deludente e, in ogni caso, mostra un passo avanti rispetto al materiale più recente pubblicato dai Bethlehem.
Buono, ma non imprescindibile, quindi, con nota di demerito per una copertina francamente insulsa oltre che di pessimo gusto …

Tracklist:
1. Ein Kettenwolf greint 13:11-18
2. Egon Erwin’s Mongo-Mumu
3. Verbracht in Plastiknacht
4. Gebor’n um zu versagen
5. Nazi Zombies mit Tourette-Syndrom
6. Spontaner Freitod
7. Warum wurdest du bloß solch ein Schwein?
8. Höchst alberner Wichs
9. Ich aß gern’ Federn
10. Letale familiäre Insomnie
11. Kinski’s Cordycepsgemach
12. Antlitz eines Teilzeitfreaks

Line-up:
Jürgen Bartsch – Guitars, Electronics, Bass, Keyboards
Florian “Torturer” Klein – Drums, Samples
Guido Meyer de Voltaire – Vocals, Bass

BETHLEHEM – Facebook

Necroart – Lamma Sabactani

Musica oscura,adulta, i Necroart ci consegnano un album da ascoltare senza riserve, per i fans di Sadness,Samael e My Dying Bride.

Fautori di un metal estremo che negli anni novanta spopolava, i Necroart arrivano al terzo full-length di un percorso artistico iniziato all’alba del nuovo millennio, che li ha portati a licenziare tre demo nei primi quattro anni e due album, “The Opium Visions” nel 2005 e “The Suicidal Elite” nel 2010. Lamma Sabactani punta su un sound più diretto e aggressivo, pur mantenendo le coordinate stilistiche del combo lombardo, votate ad un dark metal doom, a tratti progressivo e dalle sfuriate black, oscuro e malato, una manna per i fan orfani di tali sonorità che, diciamolo, ridicolizzano tante gothic band di questi anni, con i loro suoni puliti e dalle belle fanciulle in copertina ma, in quanto ad attitudine, neanche paragonabili a gruppi come i Necroart.

Iniziando dalla copertina, di una semplicità pari ad un impatto blasfemo disarmante, la band vomita suoni oscuri e voci malate dall’impatto dark e scream di matrice black che si rincorrono su tutto l’album, le melodie toccano emozioni ormai sopite, travolte dai suoni bombastici di questi ultimi anni, come solo le grandi band di metà anni novanta sapevano regalare, ancora influenzate dal dark ottantiano e dal doom/death. E’ un piacere riscoprire tra i solchi della title-track, di Agnus Dei, di Redemption, echi dei Sadness di “Ames De Marbre” e “Danteferno”, il dark doom dei My Dying Bride e le sfuriate black dei primi Samael; teatrali e malvagiamente neri come la pece, i brani di questo album conquistano fin da subito, anche per una vena progressive che rende il tutto molto maturo. Con la loro musica oscura e adulta, i Necroart non scherzano e ci consegnano un lavoro da ascoltare e far vostro senza riserve, degni eredi di un modo di suonare musica estrema che continua ad affascinare, in barba alle mode dettate dalle regole del mainstream!

Tracklist:
1. Lamma Sabactani
2. Magma Flows
3. The Demiurge
4. Agnus Dei
5. Redemption
6. Joining the Maelstrom
7. Stabat mater
8. Of Ghouls, Maggots and Werewolves
9. Cyanide and Mephisto

Line-up:
Francesco Volpini – Bass
Marco Binda -Drums
Filippo Galbusera – Guitars
Davide Zampa – Guitars
Davide Quaroni – Keyboards
Massimo Finotello – Vocals

NECROART – Facebook

Rorcal / Process Of Guilt – Split

Un altro split 12” interessante quello che ci viene proposto da un pool di etichette, con due band dedite a sonorità a cavallo tra black-sludge-doom con una vena industrial come gli svizzeri Rorcal ed i portoghesi Process of Guilt.

Un altro split 12” interessante quello che ci viene proposto da un pool di etichette, con due band dedite a sonorità a cavallo tra black-sludge-doom con una vena industrial come gli svizzeri Rorcal ed i portoghesi Process of Guilt.

Il lato A è appannaggio degli elvetici che, in realtà, con i loro tre brani mostrano una maggiore propensione al black metal, in particolare facendo riferimento ai Blut Aus Nord dei “Memoria Vetusta”, il che corrisponde ad un’interpretazione del genere dai tratti prevalentemente avanguardistici e claustrofobici. In IX non vi sono particolari deviazioni rispetto ad un percorso violento e dissonante, mentre in XI affiora qualche rallentamento e il brano, nonostante qualche lieve concessione melodica, appare ancora più feroce rispetto al precedente; X riparte esattamente dalla fine di XI per poi sfociare in ritmi maggiormente cadenzati. Quando il testimone passa, voltando il lato, ai Process Of Guilt, si capisce subito che i lusitani interpretano il loro pesante sludge dalle sfumature industrial/postmetal nel miglior modo possibile, ovvero imprimendo al proprio sound quel marchio che avevano già proposto con successo in occasione del loro magnifico ultimo album “Fæmin”. Un impatto sonoro denso, avvolgente, dalle distorsioni portate alle estreme conseguenze rappresenta, di fatto, un muro di totale incomunicabilità che si fa musica: impietosi i primi due movimenti di Liar, mentre quello di chiusura è costituito da due minuti e mezzo di minaccioso ambient. Da notare come, alla fin fine, le band possiedano un approccio musicale non del tutto dissimile pur approdandovi da diversi versanti stilistici (i Rorcal dal black ed i Process Of Guilt dal doom), a rimarcare quanto il rapporto di collaborazione in atto tra loro da tempo abbia prodotto un reciproco arricchimento dei rispettivi sound. Uno split da avere per chi apprezza queste sonorità, ancor più appetibile per il formato 12” molto curato dal punto di vista grafico, disponibile nella (ormai classica) edizione limitata a 666 copie …

Tracklist:
Side A
1. Rorcal – IX
2. Rorcal – X
3. Rorcal – XI

Side B
4. Process of Guilt – Liar: Movement I
5. Process of Guilt – Liar: Movement II
6. Process of Guilt – Liar: Movement III

Line-up:
Rorcal
Bruno da Encarnação – Bass
Ron Lahyani – Drums
Diogo Almeida – Guitars
JP Schopfer – Guitars
Yonni Chapatte – Vocals

Process Of Guilt
Custódio Rato – Bass
Gonçalo Correia – Drums
Nuno David – Guitars
Hugo Santos – Vocals, Guitars

RORCAL – Facebook

PROCESS OF GUILT – Facebook

childthemewp.com