Sickness – Plague

Compilation a cura della Delusions of Grandeur contenente l’intera produzione dei deathsters americani Sickness.

Plague rappresenta un piccolo framento di storia del death metal statunitense: i floridiani Sickness, infatti, pubblicarono tre lavori tra il 1994 ed il 1997, ovvero il demo “Torture Of Existence”, il full-length “Ornaments Of Mutilation” e l’ultimo vagito prima del scioglimento, un altro demo intitolato semplicemente “Promo 97”.

La Delusions Of Grandeur immette sul mercato, a distanza di diciassette anni, questa compilation che raccoglie praticamente tutto ciò che la band ha prodotto nei tre anni di attività, un buon modo per conoscere una realtà “minore” a livello di popolarità, ma certo non come qualità del prodotto.
Infatti il gruppo, armato di tutto punto, spaccava alla grande, il suo death metal ai confini con il brutal, prendeva spunto sia dalle band madri del genere (Obituary) sia da quelle più brutal-grind (Brutal Truth), offrendo un crescendo di devastante metal estremo senza soluzione di continuità.
Eric Dillon e Gus Rios, rispettivamente basso e batteria, formavano una sezione ritmica dedita al massacro totale, la coppia d’asce formata da Hector Rios e Sergio Cesario, costruiva un wall of sound di riff e solos sempre al limite, mentre Kyle Symons, con un passato nei seminali Malevolent Creation, così come il batterista, cantava di torture e necrofilia in pieno stile Cannibal Corpse.
Una ventina di tracce ci fanno capire di cosa erano capaci, in termini di violenza sonora, le band di quei gloriosi anni, che comunque tenevano sempre d’occhio la musicalità dei brani, molti dei quali davvero notevoli.
I brani provenienti da “Ornaments Of Mutilation” erano eccezionali ed andavano a comporre un album di grande levatura, a suo modo un piccolo gioiello di metal estremo che, grazie a questa operazione, non è finito perso nell’oblio dei meandri dell’underground.
Ottima scelta, dunque, questa compilation della Delusions Of Grandeur, e una buona occasione per conoscere una band vissuta all’ombra dei grandi gruppi della famigerata Bay Area, ma assolutamente in grado di competere con le band più famose.
Un disco consigliato anche agli appassionati più giovani per riscoprire una band di quell’epoca storica, con la speranza che questa compilation possa costituire anche lo spunto per una reunion.

Tracklist:
1. Murder King
2. Plague
3. Yes I Killed Her
4. Controlled With a Knife
5. No Means Yes
6. Domestic Entrallment
7. Food for Worm
8. Union of the Sick
9. Your Time Has Come
10. Anatomy of Murder (Rerecorded Version)
11. I Am Christ (Rerecorded Version)
12. Anatomy of Murder
13. Cold Bitch
14. Necrosick
15. Burn the Soul
16. Putrid Incest
17. Postmortal Ceremony
18. Deceased
19. I Am Christ

Line-up:
Eric Dillon – Bass
Gus Rios – Drums
Hector Rios – Guitars
Sergio Cesario – Guitars
Kyle Symons – Vocals

De Puglia Madre – 100 % Trazzcore

Band pugliese con un suono demolitore, un strano tipo di metal di grande effetto: il trazzcore.

Band pugliese con un suono demolitore, un strano tipo di metal di grande effetto: il trazzcore.

Provenienti da Ascoli Satriano, i De Puglia Madre, o meglio ditta demolizione De Puglia Madre, si sono formati appunto per demolire con il loro suono , che è potente e devastante, con una struttura nu metal ma con uno stile molto particolare, a partire da una pesantezza davvero voluminosa ed al cantato in italiano che si rivela una scelta azzeccata.
Il trazzcore è un animale ferito sull’asfalto che, nel finire i suoi giorni, uccide ancora e lo fa con ancor più rabbia contro tutto e tutti.
Difficilmente in Italia si sentono dischi di questo tipo e di questo livello, con una produzione più che buona nonostante sia artigianale, ma forse la sua forza è proprio in questo.
I De Puglia Madre sono un gruppo che impressiona fin dal primo ascolto e sicuramente i metallari più contaminati apprezzeranno questo disco: a me ha fatto davvero piacere sentirlo e sta in continuo nelle mie orecchie.
Il cantato in italiano è un qualcosa che li rende molto particolari e soprattutto dona moltissimo alla loro musica, la nostra metrica si rivela perfetta per i De Puglia Madre.
Un’ altra loro particolarità è l’uso del basso a sei corde suonato con attitudine chitarristica e che rende il tutto più cupo.
I testi perfettamente intelligibili sono notevoli e parlano delle malattie mortali delle nostre società, del nostro essere isole, della merda che ci sta in giro, e lo fanno molto bene.
Una conferma che in certi ambiti di provincia il metal arriva davvero a toccare vette alte, tutto ciò partendo dal basso.

Tracklist:
1. Rimorso
2. Amico Nemico
3. Collasso
4. Sotto Controllo
5. Millennio
6. Indiani
7. Metamorfosi
8. Demoni Dentro
9. Mamba Negro

Line-up:
Francesco Petrillo – Batteria
Antonio Perruggino – Chitarra
Danilo Moscano – Voce
Stefano Cautillo – Basso Sei Corde

DE PUGLIA MADRE – Facebook

Aphonic Threnody – When Death Comes

Dopo un Ep e due split album gli Aphonic Threnody giungono al full-length d’esordio non tradendo le attese che i lavori in coabitazione con gli Ennui prima, e con i Frowning poi, avevano indubbiamente creato.

Dopo un Ep e due split album gli Aphonic Threnody giungono al full-length d’esordio non tradendo le attese che i lavori in coabitazione con gli Ennui prima, e con i Frowning poi, avevano indubbiamente creato.

Nell’occasione avevo benevolmente bacchettato il combo di Riccardo Veronese affermando che, mettendo assieme le tracce presenti nei due split, ne sarebbe venuto fuori un album eccellente invece di disperdere tale potenziale in uscite diverse.
Non ho certo cambiato idea al riguardo, ma per fortuna il musicista inglese ha messo sul piatto un’altra ora abbondante di funeral death-doom di grande spessore, dimostrando una vena compositiva decisamente molto fertile.
Veronese, che ritroviamo anche con altre due ottime band come Gallow God e Dea Marica, negli Aphonic Threnody si avvale della collaborazione di nostri due connazionali, i sardi Roberto M. alla voce (Dea Marica, Arcana Coelestia, Urna) e Marco Z. (Arcana Coelestia, Urna), del belga Kostas P. alle tastiere (Pantheist, Clouds), il quale, con questo disco, ha concluso la sua collaborazione con la band, e dell’ungherese Abel L. al violoncello.
Il ricorso a line-up dalle nazionalità variegate pare essere una costante per le band dedite al doom di base a Londra, basti pensare anche agli Eye Of Solitude: probabilmente è un caso, visto che spesso il peso compositivo ricade su un solo componente, ma verrebbe da pensare che questi autentici mix culturali siano in grado di far scoccare la scintilla in grado di accendere la creatività di tutti i musicisti coinvolti.
When Death Comes è, infatti, un lavoro magnifico, che rappresenta esattamente ciò che un appassionato di questo genere vorrebbe sempre ascoltare: linee chitarristiche struggenti, tastiere avvolgenti, capaci di evocare atmosfere solenni e drammatiche allo stesso tempo, un growl di rara efficacia, una base ritmica dinamica nonostante l’andamento sia inevitabilmente compassato, ed il violoncello che, in diversi frangenti assesta ai brani un’ulteriore pennellata di tinte oscure e malinconiche.
Indubbiamente la prima mezz’ora del disco è stupefacente per la bellezza delle linee melodiche proposte da Riccardo, capaci di far piombare l’ascoltatore in un’ovattata sensazione di ineluttabile dolore, facendo sì che la lunghissima Death Obsession finisca per essere un ideale prolungamento portato alle estreme conseguenze della già splendida traccia d’apertura The Ghost’s Song.
Dementia non è certo un brano trascurabile, ed è forse quello più vario all’interno della tracklist, ma risente parzialmente della sua collocazione immediatamente dopo questi due dolenti monoliti sonori, rispetto ai quali risulta meno evocativo.
The Children’s Sleep riporta le coordinate sonore verso vette emotive non comuni , grazie anche al contributo di ospiti illustri quali sua maestà Greg Chandler (Esoteric) alla chitarra e David Unsaved (Ennui) alle backing vocals.
Due minuti di delicati tratteggi pianistici introducono la nuova straziante esibizione di angoscia e sofferenza rappresentata da Our Way To The Ground, un altro brano, l’ultimo, che ci consegna una band capace di collocarsi al primo colpo ai piani nobili del funeral death-doom melodico, divenendo così un nuovo punto di riferimento per gli adoratori di Saturnus, Officium Triste e, ovviamente, My Dying Bride.

P.S. : l’ascolto di “When Death Comes” in funzione della scrittura della recensione è coinciso con un evento tragico che ha colpito persone alle quali sono molto legato: questo, indubbiamente, mi ha fatto trovare privo di difese di fronte alla sofferenza evocata dagli Aphonic Threnody, costringendomi a versare infine quelle lacrime liberatorie che, fino ad un certo punto, ero riuscito a trattenere.
Queste righe sono dedicate ad Ale, che un destino atroce ha sottratto a genitori ed amici troncando bruscamente quello che sarebbe dovuto essere il suo lungo cammino su questa terra …

Tracklist:
1. The Ghost’s Song
2. Death Obsession
3. Dementia
4. The Children’s Sleep
5. Our Way to the Ground

Line-up:
Riccardo V. – Guitars, Bass
Roberto M. – Vocals
Abel L. – Cello
Marco Z. – Drums
Kostas P. – Keyboards, Piano

Guests :
Greg Chandler – Guitars on “The Children’s Sleep”
Josh Moran – Guitars on “Dementia”
David Unsaved – Backing Vocals on “The Children’s Sleep”

APHONIC THRENODY – Facebook

Dead Alone – Nemesis

Lasciatevi rapire dalla musica dei Dead Alone, Nemesis vi entrerà dentro per non lasciarvi più, impossessandosi del vostro corpo e della vostra anima.

Quarto, bellissimo lavoro per i tedeschi Dead Alone: Nemesis raccoglie in sessanta minuti molte delle sfumature del metal estremo ed in un unico cd le amalgama per creare un sound nero come la pece.

Black, death, doom ed atmosfere dark per un’opera che affascina, colma com’è di elementi che, specialmente in Europa, hanno trovato negli anni molti estimatori.
A dispetto di un’età media dei musicisti bassa, la band sforna album dal 2006, con l’esordio “Silvering Marrow”, da lì in poi un’uscita ogni due anni, il che dimostra come il gruppo cose da dire ne abbia molte.
L’ep “Phobia” del 2008 e poi due full-length, “Vitium” e “Ad Infinitum”, tracciano la strada che porta all’arrivo dell’ottimo Nemesis, licenziato dalla Supreme Chaos.
Il sound della band è un magniloquente death/doom che, nelle parti veloci, viene violentato da ritmiche black, sempre cattivo, disperato, buio, colmo di quella oscurità che ne fa un prezioso diamante nero.
Scordatevi soluzioni ruffiane di moda negli ultimi tempi: Nemesis è estremo, come deve esserlo un’opera dove la struttura portante dei brani si nutre dei generi elencati, lasciando alla sola The Awakening, posta in chiusura, qualche accenno orchestrale (arrangiata da Christos Antoniou, già con Septic Flesh e Chaostar), non lasciando tregua dal primo all’ultimo minuto, ed è facile annegare in un mare di suoni tremendamente oscuri ma molto affascinanti.
La musica dei Dead Alone risulta, così, pregna di quelle inevitabili influenze, per niente scontate, riscontrabili nel black/death dei polacchi Behemoth, rallentati dal death/doom suonato dalle band greche, Septic Flesh su tutti, ma anche Nightfall, con accenti meno orchestrali ma molto più estremi, lasciando che le atmosfere dark che aleggiano nelle canzoni si presentino a noi come fantasmi in un vecchio maniero, raggelando l’atmosfera che si fa inquietante ad ogni passaggio.
I Dead Alone dimostrano una maturità ed una personalità da gruppo ormai scafato, e ciò rende inevitabilmente Nemesis un’opera riuscita, che ha nelle stupende Great New World, Confession e Watch Me Fall i picchi di un lavoro che piacerà proprio per il suo eclettismo ad ascoltatori abituati a suoni diversi, ma uniti sotto questo tetto fatto di ottime note oscure.
Lasciatevi rapire dalla musica di questi quattro musicisti tedeschi, Nemesis vi entrerà dentro per non lasciarvi più, e come un demone si impossesserà del vostro corpo e della vostra anima. Da avere.

Tracklist:
1. Nemesis
2. Eclipse
3. Great New World
4. Of Ash & Flesh
5. Confession
6. Wreckage
7. Watch Me Fall
8. As Worlds Collide
9. Shade
10. The Awakening
11. Confession (Alternative Mix) *

Florian Hefft – Bass, Vocals
Martin Hofbauer – Guitars
Sebastian Bichler – Drums
Fred Freundorfer – Guitars

DEAD ALONE – Facebook

Folkstone – Oltre… L’Abisso

Un album che è una perla per chi vuole provare emozioni diverse in un’epoca di plastificazione del passato e desertificazione del presente, per non parlare di un futuro che non esiste.

Nuovo disco per il migliore gruppo folk metal italiano e non solo: tornano i Folkstone con il loro quinto album in studio e con la loro miscela di metal e musica medioevale, ma sotto c’è molto di più.

La fantastica produzione di questo disco mette in risalto la grandezza dei Folkstone i quali, con un tappeto di musica dura, strumenti medioevali e melodie che abbiamo ormai dimenticato, scrivono testi bellissimi e davvero inediti alle nostre latitudini. Nel folk metal è facile cadere nel ridicolo, tentando di scimmiottare musiche ed atteggiamenti del passato, mentre è altrettanto difficile fonderli con la modernità musicale. I Folkstone riescono dove molti falliscono e vanno anche oltre, ponendosi davvero nella prospettiva di antichi cantori dei borghi medioevali dell’Alta Italia, in un epoca che ha lasciato tracce indelebili nella nostra cultura. Durante tutto il loro percorso i Folkstone hanno sempre avuto ben chiara in testa la direzione e questo disco è il compimento, non necessariamente un arrivo definitivo, della loro poetica. Per chi non avesse ancora letto la bibbia del folk metal, il libro “Folk Metal” di Fabrizio Giosuè, il genere è un universo affollatissimo nel quale la bellezza convive con la faciloneria e tanto altro. Con Oltre … L’Abisso i Folkstone mostrano d’essere una delle migliori band del movimento, le loro liriche sono incredibili e sembrano davvero scritte in un tempo ormai andato: per esempio L’Ultima Notte è davvero una canzone ansiogena, per come descrive gli ultimi momenti di vita della vittima di razzia notturna in un villaggio, mentre In Caduta Libera, scelto come singolo, è una chiarissima dichiarazione d’intenti. Compare anche una bellissima interpretazione di Tex, dei Litifiba, e non deve stupire poiché i primi Litfiba sono molto vicini ai Folkstone. Ogni passaggio del disco, ogni giro di chitarra e ritmo di batteria è curato in tutti i particolari ed è un valore aggiuntivo per un’opera già di per sé ottima. Un album che è una perla per chi vuole provare emozioni diverse in un’epoca di plastificazione del passato e desertificazione del presente, per non parlare di un futuro che non esiste. Ma la forza può arrivare da un passato che in fondo è dentro a tutti noi. O se va male può essere una grande festa e basta.

Tracklist:
1. In Caduta Libera
2. Prua Contro Il Nulla
3. La Tredicesma Ora
4. Mercanti Anonimi
5. RespiroAvido
6. Manifesto Sbiadito
7. Le Voci Della Sera
8. Nella Mia Fossa
9. Fuori Sincronia
10. Soffio Di Attimi
11. L’Ultima Notte
12. Ruggine
13. Tex ( Litfiba )
14. Oltre… L’Abisso

Line-up:
Lore – Bagpipes, Bombard, Flute, Vocals (lead)
Roberta – Bagpipes, Bombaurd, Vocals
Andrea – Bagpipes, Percussions, Vocals
Matteo – Bagpipes, Vocals
Edoardo – Drums
Maurizio – Guitars, Bagpipes, Citern, Woodwind instruments
Federico – Bass
Silvia – Harp, Tambourine, Percussions
Luca – Guitars

FOLKSTONE – Facebook

My Shameful – Hollow

I My Shameful sciorinano oltre un’ora di dolorose litanie prive di sbocchi atmosferici ma intrise di un mood opprimente.

Per essere una band dedita al funeral-death doom, i finlandesi My Shameful sono senz’altro piuttosto prolifici, visto che Hollow è il loro sesto album in poco più di un decennio (dal 2003, anno della pubblicazione di “Of All the Wrong Things”), alla luce anche della pausa di 5 anni intercorsa tra il quarto ed il quinto full-length.

Il ritorno con “Penance”, avvenuto lo scorso anno, era stato buono ma non eccezionale, anche se nel sound della creatura di Sami Rautio emergeva quale tratto distintivo un umore molto più cupo che non malinconico, finendo per rendere decisamente più impegnativo l’ascolto.
Tratti distintivi, questi, che non subiscono mutamenti particolari in Hollow, dove vengono semmai accentuati e focalizzati tali aspetti, sciorinando oltre un’ora di dolorose litanie prive di sbocchi atmosferici ma intrise di un mood opprimente ai limiti dell’asfissia.
Pregio e limite, questo, per un disco la cui lunghezza certo costituisce un parziale ostacolo ad una fruizione agevole e, del resto, il genere non è fatto per essere cantato sotto la doccia ma, semmai, per essere assimilato con calma e pazienza pari alla lentezza dei tempi dilatati lungo i quali i musicisti che vi si dedicano srotolano le loro lunghe composizioni.
Il lavoro pare comunque vivere di due fasi piuttosto distinte: infatti, se i primi quattro brani mostrano un passo decisamente più lento, salvo le accelerazioni presenti nell’opener Nothing Left At All, culminante nel soffocante funeral di Hour Of Atonement, da The Six in poi il sound prende a lambire sonorità dai tratti meno claustrofobici; in questa traccia, in particolare, la migliore del disco a mio avviso, i My Shameful si muovono come se fossero una versione più dinamica degli Worship, anche se, nel complesso, la scuola funeral finlandese è quella che imprime il proprio marchio indelebile nel sound di Sami, partendo dagli imprescindibili Thergothon, passando per i Colosseum senza dimenticare Shape Of Despair e Skepticism, pur se depurati dall’uso delle tatsiere.
Sprazzi chitarristici di matrice gothic si affacciano nella successiva Murdered Them All ma è un apparizione fugace, visto che No Greater Purpose ci fa ripiombare una disperazione composta ma terribilmente plumbea, per un altro degli episodi chiave dell’album.
Now And Forever, titolo che non fa presagire certo una chiusura rivolta ad un futuro roseo, con il suo finale magnifico e leggermente più ritmato mette la pietra tombale sul quello che è il miglior album che potessero pubblicare oggi i My Shameful, con suoni essenziali ma sorretti da una buona produzione, e una prestazione vocale davvero efficace per la cruda negatività che Sami Rautio riesce ad evocare.
Con la dipartita, ahimè forzata, dei Colosseum e l’ormai (troppo) lungo silenzio di Skepticism e Shape Of Despair, i My Shameful, meritatamente, si dividono oggi con i Profetus lo scettro del funeral doom nordeuropeo.

Tracklist:
1. Nothing left at all
2. Hollow
3. And I will be worse
4. Hour of atonement
5. The Six
6. Murdered them all
7. No greater purpose
8. Now and forever

Line-up:
Sami Rautio – vocals, guitars
Twist – bass
Jürgen Fröhling – drums

MY SHAMEFUL – Facebook

Bretus – The Shadow Over Innsmouth

Il suono di questo disco è fangoso e non lascia speranza, accompagnandoci per mano verde e lasciva nell’antico porto di Innsmouth.

Nuovo disco della band doom catanzarese Bretus, una delle migliori in Italia e non solo.

Alla fine, è successo ciò che era nei nostri migliori incubi, ovvero che il lento e corrosivo suono dei Bretus incontrasse il più grande medium di incubi di tutti i tempi: H.P. Lovecraft.
La quinta fatica discografica dei Bretus, dopo l’epico split con i Black Capricorn (difficile immaginare uno split migliore), è incentrata su uno dei racconti del ciclo di Cthulhu.
Innsmouth e il suo porto sono una discesa verso gli inferi, anzi chi conosce Lovecraft sa che c’è qualcosa di ben peggiore dell’inferno.
I Bretus mettono superbamente in musica tutta l’angoscia dello scrittore ed effettivamente il doom metal è forse la musica più indicata per musicare l’angoscia lovecraftiana: la sua lentezza, la sua profondità, lo scavare incessante ma senza fretta, il lasciare grande spazio all’immaginazione dell’ascoltatore sono tutte caratteristiche che questo genere musicale condivide con l’uomo di Providence.
I Bretus portano avanti dal 2000 l’incubo in musica, ispirandosi ad un immaginario ben definito e ben presto si conquistano la loro fama nella scena tanto da essere invitati al Malta Doom Fest e più recentemente al Doom Over Vienna IX. Il festival maltese è uno dei migliori festival doom del globo anche perché a Malta c’è un’ottima scena, forse eredità dei Templari ?
Nel 2012 pubblicano “In Onirica” che è appunto un disco maggiormente sognante e con un suono più etereo rispetto a questo; in  The Shadow Over Innsmouth il velo dell’incubo notturno è un dolce ricordo, poiché l’incubo diventa realtà, anche se in Lovecraft c’è sempre il dubbio di cosa sia davvero reale o no, lasciandoci con una domanda : è la nostra vita in fondo ad essere un incubo, o gli incubi sono la vita ?
Il suono di questo disco è fangoso e non lascia speranza, accompagnandoci per mano verde e lasciva nell’antico porto di Innsmouth.
Forse è l’opera migliore dei Bretus fino a questo momento, anche se essendo una band dalle infinite potenzialità ci aspettiamo sempre qualcosa di grandioso.
Recentemente ho letto che alcuni studiosi, cosiddetti eretici, affermano che le opere di Lovecraft non siano affatto di fantasia, ma che descrivano, in maniera romanzata qualcosa che esiste davvero, siano essi annunaki o antichi dei di qualche pianeta lontano.
A voi la scelta.

Tracklist:
1 Intro
2 The Curse Of Innsmouth
3 Captain Obed Marsh
4 Zadok Allen
5 The Oath Of Dagon
6 Gilman House
7 The Horrible Hunt
8 A Final Journey

Line-up:
Ghenes – Chitarra
Zagarus – Voce
Azog – Basso
Striges – Batteria

BRETUS – Facebook

D.A.M – The Awakening

Dopo l’ottimo Ep “Phantasmagoria”, a distanza di pochi mesi ancora un centro pieno per i D.A.M

Tornano, a pochi mesi di distanza dal bellissimo ep “Phantasmagoria” i symphonic/power metallers D.A.M di Guilherme De Alvarenga: la band di Belo Horizonte, autrice di un ottimo full-length di debutto (“Tales Of The Mad King”) lo scorso anno, brucia le tappe, qualitativamente parlando, andando a confermare quanto di buono aveva fatto sentire nell’Ep, continuando la crescita esponenziale di un songwriting che, ad oggi, risulta una garanzia; i suoni classici, amalgamati con sapienza dalla band con grandiose parti di death metal melodico contornanti di parti sinfoniche e power, avvicinano il gruppo alle band scandinave.

Ci ritroviamo così, in poco tempo, davanti ad un gruppo maturo, che regala canzoni dal potenziale enorme, suonate divinamente da un terzetto di ottimi musicisti, e supera di gran lunga molte delle più conosciute band europee.
Certo, stiamo parlando di una band brasiliana, ed allora è utile ricordare che, nel paese verdeoro, è forte la tradizione metallica, non solo per il successo delle band più conosciute (Sepultura, Angra), ma anche per un underground più vivo che mai, di cui i D.A.M sono diventati ormai una delle band di punta.
The Awakening si sviluppa su più di un’ora di metallo incandescente: i brani, tutti bellissimi, portano in sé una minor foga rispetto a “Pahntasmagoria”, che era incentrato su songs velocissime, mentre su quest’album la band lavora di fino, gli interventi delle vocals pulite sono più presenti ed il tutto risulta più rivolto al power piuttosto che al death melodico.
Non mancano comunque devastanti parti nelle quali il trio dà battaglia (la title-track), ma l’impronta di The Awakening è più classica e a mio parere piacerà non poco anche ai fan dei suoni heavy/power.
Guilherme De Alvarenga continua a dare spettacolo con i tasti d’avorio, in un turbinio di scale suonate alla velocità della luce, oppure regalando melodicissime parti dove la vena sinfonica del gruppo, questa volta, esce allo scoperto ancora più magniloquente, aiutato come sempre dall’ottimo Edu Megale, prezioso compare e chitarrista dal gusto melodico straordinario, dal tocco elegante ma grintoso e potente quando, insieme al basso di Caio Campos, decidono di aggredirci con debordanti parti ritmiche.
Prodotto da De Alvarenga in collaborazione con David Fau, The Awakening non tradisce le attese, il metal del gruppo è quanto di più esaltante e spettacolare possiate trovare in giro oggi, i richiami alle band scandinave come i primi In Flames e Children Of Bodom sono sempre presenti, così come ai gruppi più classici (Stratovarius), andando questa volta anche a prendersi a spallate con i Rhapsody più oscuri e regalando perle come Nightmare (T.M.S pt II), con l’intervento della voce di Jessica Delazare, Reborn From The Shadows, Violated Angel e la conclusiva, grandiosa, Thelema, brano che raggiunge l’apoteosi metallica regalando un finale di lavoro entusiasmante che conferma i D.A.M come una delle più convincenti realtà dedite al genere.
Notizie fresche dal gruppo: è in programma un tour in Giappone, il che dovrebbe dare al gruppo la meritata visibilità in una terra storicamente sensibile ai suoni metallici, sperando che presto possano sbarcare anche nel vecchio continente. Boa sorte …

Tracklist:
1.From The Ashes(T.J.O.T.F)
2.The Great Work(Magnum Opus PT 1)
3.Reborn From The Shadows
4.Lies
5.The Breaking Point(T.M.S PT IV)
6.Illusions
7.The Awakening
8.Violated Angel
9.Nightmare(T.M.S PTII)
10.Separation
11.Alone
12.Thelema

Line-up:
Guilherme De Alvarenga – Vocals, Keyboards, Synths
Edu Megale – Guitars
Caio Campos – Bass

D.A.M – Facebook

Dantalion – Where Fear Is Born

Quello che forse hanno perso a livello di peculiarità del sound, i Dantalion lo hanno guadagnato in immediatezza senza per questo smarrire quel gusto per composizioni dai tratti oscuri e malinconici che li contraddistingueva anche nella loro precedente incarnazione.

Gli spagnoli Dantalion sono attivi già da diversi anni, nel corso dei quali sono passati dalle sonorità di stampo black degli esordi, stemperate con il tempo in umori più melodici e dalle sfumature depressive per approdare infine all’attuale forma di gothic-death doom.

La trasformazione riuscita in maniera sicuramente efficace, a giudicare dalla resa di questo ultimo album Where Fear Is Born, che presenta una serie di brani piuttosto efficaci per quanto del tutto in linea con le tendenze del genere. La band di Vigo mette sul piatto tutta la propria esperienza ner disegnare passaggi struggenti, per lo più affidati ad un lavoro chitarristico che non lesina anche assoli prolungati.
Brani medio lunghi si susseguono senza particolari momenti di stanca, mostrando al contrario più di un episodio di splendida fattura tra i quali, su tutti, spicca The Tree of the Shadows.
Il rimpasto di line-up che vede quali superstiti della formazione originaria i soli Villa e Brais, si è rivelato funzionale al nuovo corso intrapreso dai Dantalion: l’attuale vocalist Diego è pressoché antitetico al predecessore Sanguinist, dall’urlo di matrice depressive, esibendo un ottimo growl, mentre appare meno convincente nelle parti pulite e, nel contempo, gli altri due nuovi arrivi svolgono senza sbavature il loro compito.
Il risultato finale è un lavoro senz’altro bello, ovviamente dalla ridotta componente innovativa, con il quale i galiziani si vanno a collocare sulla scia degli Helevorn e delle altre band che stanno portando la scena doom spagnola ad emergere in maniera prepotente negli ultimi anni.
Quello che forse hanno perso a livello di peculiarità del sound, i Dantalion lo hanno guadagnato in immediatezza senza per questo smarrire quel gusto per composizioni dai tratti oscuri e malinconici che li contraddistingueva anche nella loro precedente incarnazione.
Nonostante l’oggettiva bontà di questo lavoro, finisco ugualmente per rimpiangere la band capace di proporre quell’intrigante mix di DSBM e gothic-doom che tanto mi aveva affascinato in “Return to Deep Lethargy”.
Va da sé che bisogna prendere atto del fatto che i Dantalion di oggi sono fondamentalmente un’altra band, né migliore né peggiore, semplicemente diversa.

Tracklist:
1. Revenge in the Cold Night
2. Raven’s Dawn
3. Lost in a Old Memory
4. The Tree of the Shadows
5. Nightmare….
6. Listening to the Suffering of the Wind
7. Black Blood, Red Sky

Line-up:
Villa – Drums
Brais – Guitars
David – Bass
Andrés – Guitars
Diego – Vocals

DANTALION – Facebook

Cropsy Maniac – Sheer Terror

Ep di buon grind/death da parte degli statunitensi Cropsy Maniac.

Sembra di essere tornati indietro di vent’anni: fortunatamente il metal estremo old school, grazie all’underground, sta tornando a mietere vittime come ai bei tempi (primi anni novanta) ed in tutto il mondo nascono band dedite ai suoni che, all’epoca, fecero sfracelli.

Copertina splatter, sound devastante e tanta attitudine sono le armi messe in campo dagli statunitensi Cropsy Maniac, all’esordio con questo Ep di cinque brani, cortissimo ma che ci dice molto sulla band del Kentucky: all’insegna di un grind dall’impatto massacrante, che tiene più di un piede nel death metal old school, questo lavoro piace per la capacità della band di estremizzare il genere senza sconfinare nel grindcore, mantenendo le coordinate stilistiche dei vecchi Terrorizer. Grande è il lavoro delle chitarre, che hanno un tocco europeo molto apprezzabile (Creepy Things), investendo di riff l’ascoltatore torturato dai due axeman Kevin Herr e Aaron Whitsell.
Buon lavoro della sezione ritmica (Travis Ruvo alle pelli e lo stesso Whitsell al basso) e vocals brutali che vomitano testi gore e splatter come se piovesse (Kevin Reece).
Tra i brani spicca la conclusiva Dawn In The Rotting Paradise, cover degli storici Haemorrhage.
Nove minuti sono pochini, ma la band americana dimostra di saperci fare: essendo di formazione recente (2013), i Cropsy Maniac hanno sicuramente i numeri per far bene anche sulla lunga distanza.

Tracklist:
1. Cirque Du Absurd
2. Creepy Things
3. Shear Terror
4. I Strangled Mine
5. Dawn in the Rotting Paradise (Haemorrhage cover)

Line-up:
Travis Ruvo – Drums
Kevin Herr – Guitars
Aaron Whitsell – Guitars, Bass
Kevin Reece – Vocals, Lyrics

CROPSY MANIAC – Facebook

Revel In Flesh – Death Kult Legions

Uno dei capolavori old school death metal dell’anno.

Uno dei dischi dell’anno in campo old school death metal è questo mastodontico lavoro dei tedeschi Revel In Flesh che rappresenta, insieme a “The Crawling Chaos” dei Puteraeon, licenziato anch’esso dalla Cyclone Empire, un manifesto di quello che era ed è fortunatamente ancora oggi il death metal scandinavo.

Prodotto agli Unisound studios da sua altezza Dan Swanö, Death Kult Legions è quanto di meglio potete trovare se amate il metal estremo dei primi anni novanta, proveniente dalle terre del nord Europa, una lava death metal che vi travolgerà nel suo essere devota al miglior sound nato negli ultimi venticinque anni.
La band, nata nel 2011, ha all’attivo due full lenght(“Deathevokation” del 2012 e “Manifested Darkness” del 2013) più una marea di split (ben quattro in questo 2014); il terzo ed ultimo lavoro sulla lunga distanza è una botta notevole, un album sacrificato sull’altare del death metal con tutti i crismi per essere considerato nel suo piccolo un cult.
Grandiose parti chitarristiche in pieno stile Edge Of Sanity (era “The Spectral Sorrows”) saldano le cuffie alle orecchie, rallentamenti e accelerazioni, tra Dismember e Hipocrisy, sconvolgono ed esaltano in egual misura; i brani elargiscono cattiveria, ma anche fantastiche melodie nei solos e frenate doom come solo gli autori di “Purgatory Afterglow” e “The Fourth Dimension” sapevano regalare e, quando decidono di inserire la quarta e scappare via (Hurt Locker), riescono ad elargire un furioso spettacolo estremo.
Il riff di Cryptcrawler è uno dei più belli sentiti da anni nel genere, colonna portante di una song capolavoro, così come l’enorme When Glory Turns To Ruin, mentre le campane sabbatiane che aprono la cattivissima Graveyard Procession sono puro delirio metallico.
Musicisti che sanno come far male, tutti sul pezzo, compreso il cavernoso e terribile growl di Haubersson, simile ma con due note sotto all’ex leader dei ‘Sanity, un lotto di canzoni fantastiche, ed una copertina epocale, rendono questo lavoro imperdibile; certo, qui si parla di old school ed allora non troverete il minimo accenno di modernità, ma se volete godere per cinquanta minuti di quello che è il re dei generi estremi non rimarrete delusi da Death Kult Legions.

Tracklist:
1. In the Name of the Flesh
2. When Glory Turns to Ruin
3. Black Oath Impurity
4. Graveyard Procession
5. Deathkult Legions
6. Frozen Majesty
7. Hurt Locker
8. Cryptcrawler
9. As Souls Descend
10. Leviathan
11. Necropolis

Line-up:
Gotzberg – Bass
Vogtsson – Drums
Herrmannsgard – Guitars
Maggesson – Drums, Guitars (lead)
Haubersson – Guitars, Bass, Vocals

REVEL IN FLESH – Facebook

Assumption – The Three Appearances

Gran disco, l’ennesimo partorito in ambito estremo dalla musicalmente sempre fertile Trinacria.

Gli Assumption sono un duo palermitano composto da Giorgio e David, musicisti che troviamo coinvolti anche in altre band già portate in evidenza da Iyezine: il primo, che si occupa della voce e di tutti gli strumenti ad eccezione della batteria, lo ritroviamo anche con Elevators to the Grateful Sky, Sergeant Hamster Haemophagus e Morbo, mentre il secondo, che si dedica appunto al lavoro dietro alle pelli, è tutt’ora anch’esso coinvolto nelle ultime due band.

Musicisti versatili, dunque, visto che nei gruppi citati si spazia dallo stoner al death, dalla psichedelia al grindcore: sotto il monicker Assumption i due, invece, affidano la loro urgenza espressiva ad un death-doom di grande fascino, derivante da caratteristiche peculiari che talvolta ne rendono persino un po’ forzata la collocazione in tale ambito stilistico.
The Three Appearances presenta una mezz’oretta di musica che, almeno nella sua prima metà circa, coincidente con i primi tre brani, ci riporta di peso all’alba degli anni ’90, per l’esattezza proprio al 1991, anno di grazia che vide l’uscita di tre capolavori epocali per il metal estremo: “Necroticism …” dei Carcass, “Forest Of Equilibrium” dei Cathedral e “Blessed Are The Sick” dei Morbid Angel: non è un azzardo affermare ciò, visto che un ascoltatore attento potrà rinvenire agevolmente un growl profondo alla David Vincent sovrastare un riffing di stampo carcassiano, spesso rallentato fino alla bradicardia, così come avveniva nella irreplicata pietra miliare edita dalla band di Lee Dorrian.
Esagero? No, anche perché, essendo (purtroppo) sufficientemente vecchio per aver potuto ascoltare quei dischi in tempo reale, e per di più quand’ero già adulto, le prime piacevoli sensazioni provate all’ascolto del lavoro degli Assumption sono state proprio quelle legate a tali sonorità apparentemente antiche, eppure sempre dannatamente attuali.
Il duo siciliano riesce in questa non facile impresa senza disdegnare di regalare un’ultima parte di album dai tratti più sperimentali, come quella rappresentata dai dodici minuti della title-track, laddove viene immessa un’importante componente psichedelica che va a compenetrarsi con passaggi di morbosa lentezza, sempre sorretti da un growl e da un chitarrismo davvero convincenti da parte di Giorgio.
Gran disco, l’ennesimo partorito in ambito estremo dalla musicalmente sempre fertile Trinacria.

Tracklist:
1. Moribund State Shift
2. The NonExisting
3. Veneration of Fire
4. The Three Appearances (Snag Gsum)

Line-up:
David – batteria
Giorgio – chitarra, basso, synth, voce

ASSUMPTION – Facebook

Starbynary – Dark Passenger

Grandissimo esordio su Bakerteam per gli Starbynary con “Dark Passenger”, capolavoro di power/prog metal.

Magniloquente, esaltante, metallico nella concezione più pura e tecnica, elegante, raffinato: insomma, questo straordinario debutto ha tutte le carte in regola per piacere ai fan del metallo nobile, risultando una cascata di melodie fra accelerazioni power e tecnica prog al servizio di una decina di brani bellissimi.

Loro sono gli Starbynary e l’album si intitola Dark Passenger: nati come trio, composto dal bravissimo vocalist Joe Caggianelli e dai funambolici Leo Giraldi alla sei corde e Luigi Accardo alle keys, si avvalgono in quest’occasione della collaborazione di Diego Ralli alle pelli e nientemeno che di Mike Lepond dei Symphony X al basso.
L’album è un concept tratto dall’opera “La Mano Sinistra Di Dio” dello scrittore Jeff Lindsay (dalla quale è stata poi tratta la serie televisiva Dexter), ed è un monumento al genere di rara bellezza, tra fughe tastieristiche, cavalcate power e momenti in cui la vena prog del gruppo ammalia tra fantastiche melodie, non perdendo mai di vista il nostro amato metal anzi, nobilitandolo, con un songwriting sopra le righe.
La musica della band non dà tregua, le parti in cui l’ascoltatore è travolto dall’onda anomala creata dal terremoto di note create dal gruppo si susseguono senza soluzione di continuità, per più di un’ora di metallo che scorre alla velocità della luce, suonato divinamente e marchiato a fuoco da atmosfere neoclassiche spettacolari.
Impossibile non rimanere affascinati: la band infila una dietro l’altra perle che risplendono, incastonate in questo gioiello di musica che definire grandiosa è un puro eufemismo.
Le prove dei musicisti sono da manuale, con Joe Caggianelli che si dimostra vocalist superlativo, mettendo in fila più di un collega, assecondando lo strapotere di tastiere e chitarra, che si dividono gli applausi dello stupito (e meravigliato da cotanta classe) ascoltatore di turno.
Le influenze, in un genere in cui non è sicuramente l’originalità il principale punto di forza, ci sono ma vanno ricercate nel meglio del power nazionale, dai Labyrinth ai Vision Divine, passando per l’epicità elegante e neoclassica dei gruppi scandinavi e un gusto strutturale dai rimandi progressive che spinge l’album tra i capolavori di un anno da ricordare per il metal nazionale: Dark Passenger si attesta tra le migliori uscite in assoluto, spinto da brani fantastici come …Dawn Of Evil, la title-track, Codex, The Ritual e l’ultima grandiosa mezzora composta da Look Around Turn Away e la conclusiva The End Begins.
Disco da avere assolutamente, Dark Passenger è un’opera eccezionale che ci consegnandoci una band che alo stato attuale nel genere ha pochi eguali.

Tracklist:
1. Before The Dawn…
2. …Dawn Of Evil
3. Dark Passenger
4. Blood
5. Reflections
6. Codex
7. My Enemies
8. The Ritual – Modus Operandi
9. Turn Around, Look Away!
10. The End Begins

Line up:
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo – Keyboards

Guests:
Mike Lepond – Bass
Diego Ralli – Drums
Bea Sinigaglia – Soprano on “Dawn Of Evil”

STARBYNARY – Facebook

Mindwars – The Enemy Within

Esordio dei Mindwars, band di Mike Alvord, chitarrista degli storici Holy Terror.

I Mindwars non sono altro che la band di Mike Alvord, storico chitarrista dei seminali Holy Terror, autori nella seconda metà degli anni ottanta di due capisaldi del thrash metal dell’epoca: “Terror And Submission” e “Mindwars”.

Della partita fanno parte anche il batterista Roby Vitali, torinese di adozione e già dietro le pelli di Headcrasher, The Art Of Zapping e Jester Beast, e Danny Z.Pizzi, bassista conosciuto nell’underground torinese. Il sound del gruppo non può non ricordare quello della band di Alvord, thrash metal old school di scuola statunitense, marcatamente ottantiano anche nella produzione, così da sembrare in tutto e per tutto un disco dell’epoca. Nostalgici? Forse, ma The Enemy Within ha in sé un fascino irresistibile, specialmente per chi quegli anni li ha vissuti lontano dalle menate computerizzate di questi giorni, quando una TDK registrata con la vecchia piastra Teac aveva un valore che, purtroppo, oggi si è inevitabilmente perduto. La band dall’alto della sua esperienza sa come giocare con la materia, i brani dell’album appaiono da subito compatti e massacranti, lasciando che le influenze dell’epoca tornino prepotentemente alla ribalta con in testa, nei brani rallentati, i Black Sabbath, ed un occhio alla New Wave Of British Heavy Metal che aveva fatto sfracelli anche nel nuovo continente, qui punkizzata dalla band di Alvord. Tra velocità speed, solos, riff di ottima fattura e frenate che variano il sound, rendendolo mai noioso, The Enemy Within regala brani stupendi, colmi di quell’attitudine ormai andata praticamente perduta nelle band attuali, a parte pochi casi scovati nell’underground. Retrobution, Final Battle, Master of War, raccolgono l’eredità delle band dell’epoca (Holy Terror, ovviamente, ma anche Whiplash e Rigor Mortis) e le portano nel nuovo millennio raccontando, tra le loro note, una fetta di storia importantissima del metal mondiale. Album da considerare come libro di testo per chiunque si voglia avvicinare al genere e per i giovani fan del thrash, tanto bistrattato da molti addetti ai lavori quanto uno dei generi cardine per l’evoluzione della nostra musica preferita. Fondamentale.

Track list:
1. Upside Down
2. Crash
3. Speed Kills
4. Retrobution
5. Time in the Machine
6. Lost
7. Chaos
8. Final Battle
9. Masters of War
10. Death Comes Twice
11. Walking Alone

Line-up:
Danny “Z” Pizzi – Bass
Roby Vitari – Drums
Mike Alvord – Guitars, Vocals

MINDWARS – Facebook

Paganizer – 20 Years In A Terminal Grip

Mastodontica raccolta per gli svedesi Paganizer, opera consigliata a tutti i fan del death metal old school.

Monumentale opera firmata Paganizer per festeggiare al meglio i vent’anni di attività: 20 Years Of A Terminal Grip è una raccolta imperdibile per tutti i fan del death metal old school.

Con otto full-length all’attivo (il primo, “Deadbanger”, datato 1998) ed una miriade di Ep e split album, la band di Rogga Johansson, musicista instancabile, ideatore e protagonista di altri progetti sempre all’insegna del metal estremo, raccoglie vent’anni di musica in questo doppio cd, licenziato dalla Cyclone Empire, a ripercorrere una carriera all’insegna di quel death old school di matrice scandinava, dalle tematiche gore, influenzato da Entombed, Dismember e Grave (ovvero, il gotha del death nordeuropeo), senza compromessi e dall’impatto devastante. Più di altre operazioni analoghe effettuate da parte di band magari più note, questa raccolta risulta un ottimo modo per entrare ancora di più nel mondo di questo genere: i Paganizer, pur essendo una band di secondo piano sotto l’aspetto commerciale, hanno scritto invece pagine importanti a livello qualitativo, e la loro discografia dimostra che, sotto la spinta del suo leader, personaggio dall’attitudine e dalla passione fuori dal comune, si possono ottenere buoni risultati senza necessariamente snaturarsi. Il formato proposto per la raccolta è un doppio cd, il secondo dei quali decisamente stuzzicante in quanto presenta rarità, versioni demo e brani mai editi, per un lavoro di recupero di un pezzo di storia del death metal scandinavo assolutamente da avere. I Paganizer oggi, assieme al buon Rogga alla sei corde ed al microfono, vedono in line-up Dennis Blomberg alla chitarra solista, Matthias Fiebig alle pelli e Martin Klasén al basso; la copertina del lavoro ad opera di Daniel “Devilish” Johnson è quanto di più brutale ed old school si possa trovare, un’autentica chicca per gli amanti degli artwork a sfondo horror, a completare questo tributo, non solo ad una band, ma a tutto il death metal classico.

Track list:
Disc 1
1. Nailed Forever
2. Bleed Unto Me
3. Among the Unknowing Dead
4. Scandinavian Warmachine
5. Even in Hell
6. You Call It Deviance
7. Frontier Cthulhu
8. Life Slips Away
9. Meateater
10. Colder
11. Just Here Rotting
12. Landscapes Made of Human Skin
13. Crusader
14. On Your Knees
15. The Cadaverous
16. Beyond Redemption
17. Mass of Parasites
18. No Divine Rapture
19. Their Skin Suits Me

Disc 2
1. Natures Bleeding
2. Religious Cancer
3. Viking Hammer
4. Blood on the Axe
5. Ode to the Horde
6. The Cyclone Empire
7. This Place Is Rot
8. Gasmask Obsession
9. Abortion Van
10. Hell Is Already Here
11. Massdeath Maniac
12. Army of Maggots
13. Flesh Collector
14. The Morbidly Obscene
15. The Festering of Sores
16. The Return of Horror
17. Born to Be Buried Alive
18. Carbonized Resurrection
19. Flesh Nest
20. Vaken Mardröm
21. Nothing Really Matters
22. This Place of Dying
23. Morbid Warfare
24. Grinded and Exiled V 1.0
25. Fleshnaut V 1.0
26. Buried Alive
27. NY Ripper

Line-up:
Rogga Johansson – Vocals, Guitars
Matthias Fiebig – Drums
Dennis Blomberg – Bass
Martin Klasén – Bass

PAGANIZER – Facebook

Mirna’s Fling – For The Love Of Me

Arjan Hoekstra ci guida in un mondo dai colori tenui ma tendenti invariabilmente a rivestirsi di una cappa di grigio, stante il mood malinconico che pervade anche episodi ingannevolmente più spensierati.

Mirna’s Fling è il progetto solista del musicista olandese Arjan Hoekstra (The Good Hand, Alvenrad) e For The Love Of Me ne è la prima testimonianza discografica edita dalla piccola ma qualitativa Trollmusic.

Se dovessi cominciare ad elencarvi tutte le influenze, i riferimenti, gli accostamenti che fa scaturire l’ascolto di questo lavoro mi ridurrei ad elencare un arido elenco di artisti più o meno noti, quindi per l’occasione mi limiterò a dire che, per farvi un’idea di ciò che vi dovrete attendere nell’approcciarvi a questo disco, è sufficiente pensare a chiunque, negli ultimi trent’anni, sia stato in grado di emozionarvi solo con la propria voce accompagnata da una chitarra acustica, dal pianoforte e qualche altro strumento non elettrico collocato sapientemente e sobriamente all’interno dei singoli brani.
Qualsiasi nome vi sia venuto in mente in prima battuta, senz’altro lo ritroverete tra le note di questa raccolta, siano esse racchiuse in brani dalle sfumature dark, dalle reminiscenze neo folk o in semplici ballate: la voce di Arjan ci guida in un mondo dai colori tenui ma tendenti invariabilmente a rivestirsi di una cappa di grigio, stante il mood malinconico che pervade anche episodi ingannevolmente più spensierati.
La produzione di Markus Stock (Empyrium, The Vision Bleak) valorizza al massimo le undici perle elargite da Hoekstra, a fronte di una struttura compositiva apparentemente semplice che, al contrario, racchiude diversi passaggi ricchi di particolari che una registrazione non ottimale avrebbe finito per occultare.
Misery, Goodbye, Winter’s Breeze e il capolavoro assoluto World of Make Believe sono solo i picchi di un lavoro che non conosce cali e che sussurra all’anima di ciascuno lasciandole in eredità più di una ferita, nonostante le armi utilizzate sembrino a prima vista poco affilate.
Del resto, “che cosa succede alla vostra anima quando un rapporto ha causato distruzione e disperazione per troppo tempo”? Questo è quanto ci chiede Arjan Hoekstra nelle note di presentazione: non ho una risposta vera e propria a questa domanda, di sicuro For The Love Of Me giunge a spargere ulteriore sale laddove ci sono già state frequenti lacerazioni.
Contro ogni previsione sto letteralmente consumando questo disco, che per certi versi mi procura un senso di malinconico smarrimento più insanabile di quanto non riescano a fare molti album del mio amato doom.
Melancholy is not a sickness …

Tracklist:
1. Misery
2. Goodbye
3. Surreal
4. Rendez-vouz
5. Lost in light
6. World of make believe
7. Trouble
8. Winter`s Breeze
9. The final mourning song
10. For the love of me
11. Stranded

Line-up:
Arjan Hoekstra – All Instruments, Vocals

MIRNA’S FLING – Facebook

Apneica – Pulsazioni…Conversione

Prova formidabile per gli Apneica, altra gemma nascosta che merita d’essere portata alla luce.

C’è decisamente qualcosa che non quadra, dopo aver ascoltato questo Ep dei sardi Apneica, e non sto parlando della qualità del lavoro che, come vedremo, è assolutamente al di sopra della media, ma del fatto che fino ad oggi ben pochi paiono essersi accorti del potenziale enorme di questa band.

Probabilmente il fatto di non esser supportati da una label o da qualche agenzia che curi la promozione dell’Ep influisce non poco al riguardo, e questo è un vero peccato, visto che ho perso il conto delle band che non valgono un’unghia degli Apneica e che, nonostante questo, vivacchiano sotto le comode ali protettive di etichette anche di un certo nome.
Così, chi si attende di dover ascoltare un prodotto artigianale o ancor peggio, raffazzonato, si ritrova folgorato da un primo brano come Alba Artificiale che, in qualche modo, smentisce parzialmente l’etichetta death-doom che accompagna i ragazzi di Sorso: personalmente ritrovo anche un notevole influsso del post metal più nobile, che sposta il sound verso lidi per certi versi inconsueti, ma forse più consoni ai quei mondi alieni descritti dalle ottime liriche rigorosamente in italiano .
Anche se lo stile della band del sassarese è sicuramente molto personale (e in un genere come questo, credetemi, è tutt’altro che scontato riuscirci) il primo nome che mi viene in mente a livello di contiguità stilistica è un altra giovane realtà nostrana, ovvero i bresciani (EchO).
L’ottima alternanza tra growl e voce pulita esibita da Ignazio Simula è l’ideale mezzo espressivo per assecondare le doti compositive di Alessandro Seghene, mastermind del gruppo ed impeccabile chitarrista; il passaggio da progetto solista a band a tutti gli effetti è coinciso con l’approdo a sonorità più focalizzate rispetto al death-doom sperimentale e strumentale contenuto nel lavoro omonimo uscito nel 2011, risultato al quale ha contribuito ovviamente anche la coppia ritmica costituita da Francesco Pintore (basso) e Luigi Cabras (batteria).
In effetti, questa differenza è riscontrabile ascoltando proprio il brano di chiusura, la title-track, uno strumentale perfettamente eseguito e di indubbia qualità al quale, però, l’assenza del contributo vocale che ci aveva accompagnato nei primi venti minuti dell’Ep, finisce per non rendere del tutto giustizia.
Assenza di Gravità e In Orbita, infatti, sono altre due tracce dall’enorme impatto e non c’è dubbio che il growl del buon Ignazio contribuisce ad inasprire i suoni tanto quanto la sua voce pulita ne ingentilisce i tratti, evitando così che il sound assuma connotazioni interlocutorie.
Se Pulsazioni … Conversione rappresentava una sorta di test voluto da Alessandro per verificare la resa degli Apneica in questa loro nuova veste, direi che gli esiti sono andati ben oltre le più rosee aspettative: il lavoro è un vero proprio gioiello che deve finire al più presto sulla scrivania di qualche label lungimirante (e in Italia ce ne sono, sicuramente) in grado di aiutare i nostri a raggiungere, con la loro musica, più persone possibili anche al di fuori dei confini nazionali, laddove la ricettività verso questo tipo di suoni è di gran lunga superiore.

Tracklist:
1.Alba Artificiale
2.Assenza di Gravità
3.In Orbita
4.Pulsazioni…Conversione

Line-up:
Ignazio Simula-Vocal
Alessandro Seghene-Guitars
Francesco Pintore-Bass
Luigi Cabras-Drum

APNEICA – Facebook

Southern Drinkstruction / Carcharodon – Pizza Commando

“Pizza Commando” è un disco che nasce dall’amicizia e dalla voglia di fare musica e, infatti, i risultati sono ottimi grazie a queste grandi premesse.

Devastante split con due gruppi fra i più potenti e divertenti in Italia.
Uniti da una sincera amicizia e stima, nonché dagli stessi vizi ed abusi, i Southern Drinkstruction e i Carcharodon convolano finalmente e giustamente a nozze con questo disco equamente diviso.

Pizza Commando è una mazzata declinata in diverse maniere e stili, ma fondamentalmente si parla di metal e bassezze umane.
I due gruppi fanno un metal diverso ma che sta bene anche messo nello stesso disco, facendo apprezzare maggiormente la bravura e l’originalità di questi gruppi.
I Southern Drinkstruction, già recensiti su queste pagine, sono un gruppo romano nato nel 2005, grazie al chitarrista Pinuccio Ordnal, per suonare southern metal, thrash e death: hanno al loro attivo un Ep e due ottimi dischi tra cui il bellissimo “Drunk Till Death” del 2012.
I Carcharodon, anch’essi già da trattati da Iyezine in occasione del loro ultimo album “Roachstomper”, sono una band ligure che fa un metal molto affascinante ed originale, ricco di varie influenze e tante idee nuove.
Questo disco non si può propriamente definire uno split, poiché è vero che i due gruppi si dividono lo spazio, ma c’è anche un pezzo suonato insieme, Zuppa Romana, cover del grande gruppo tedesco anni ottanta Schrott Nach 8, oltre al fatto che come detto si tratta di due realtà molto coese.
Il risultato è un disco che il metal italiano, e non solo, non aveva mai sentito, qualcosa di davvero originale e godurioso, derivante non solo dall’addizione di due gruppi ma proprio dal loro comune sentire.
I Southern Drinkstruction si sono un po’ allontanati dal southern metal e si sono parecchio induriti, diventando ancora meglio di prima se possibile.
I Carcharodon, invece, sono uno strano animale a trenta teste e quattro apparati riproduttivi, con un suono nemmeno lontanamente paragonabile a qualche altro gruppo ed un futuro che saprà stupire.
Due gruppi che, quindi, sono cresciuti molto in questi anni e che non è esagerato definire grandi band.
Pizza Commando è un disco che nasce dall’amicizia e dalla voglia di fare musica e, infatti, i risultati sono ottimi grazie a queste grandi premesse.
Un bagno di sangue e pomodoro.

Tracklist:
1. Southern Drinkstruction – The South Face
2. Southern Drinkstruction – Cadillac Mammoths
3. Carcharodon – The Hornet and the Hunter
4. Carcharodon – From North to South
5. Southern Drinkstruction / Carcharodon – Zuppa Romana
6. Southern Drinkstruction – Vultur Montain
7. Southern Drinkstruction – My Only Words
8. Southern Drinkstruction – The Cursed Track
9. Southern Drinkstruction – Suck, Duck, Truck, Fuck
10. Southern Drinkstruction – Southern Drinkstruction
11. Carcharodon – Champagne and Caviar
12. Carcharodon – Cadillac Grinder
13. Carcharodon – Zombie Jesus
14. Carcharodon – Pit of Mammoths

Line-up:
Southern Drinkstruction
Francesco Basthard – Voce
Pinuccio Ordnal – Chitarra
Carlo Zorro – Basso
Andrea Eddie Vegenius – Batteria

Carcahrodon
Pixo – Voce e Basso
Boggio – Chitarra
Max – Chitarra
Zack – Batteria

SOUTHERN DRINKSTRUCTION – Facebook

CARCHARODON – Facebook

The Shiver – The Darkest Hour

Ottimo terzo lavoro per i The Shiver con il loro alternative rock dalle digressioni darkwave.

I The Shiver sono una band italiana che fa un rock alternativo impregnato di suoni dark wave, nata nel 2005 da un’idea della cantante e compositrice Federica Sciamanna e dal batterista Francesco Russo.

Arrivano, con The Darkest Hour, al terzo album dopo aver dato alle stampe l’esordio “Inside” nel 2008 e “A New Horizon” nel 2010, oltre ad un Ep acustico dal titolo “The Acoustic Experience”. La band in questi anni ha raggiunto una buona popolarità specialmente fuori dai confini nazionali, esibendosi live con band del calibro di The Misfits, Papa Roach, The Ark e Negramaro. Il nuovo album, prodotto e arrangiato da Mario Cristi, conferma la vena compositiva della band, la loro musica si approccia alla materia rock con buon gusto ed ottimo senso melodico, i brani spaziano dall’alternative alla dark wave; il connubio di queste sonorità con l’elettronica, presente in modo massiccio, unito alla bellissima voce della Sciamanna, crea atmosfere malinconiche, anche se la new wave ottantiana rimane un sentiero sicuro per il viaggio musicale della band, che fa dell’eleganza compositiva e di esecuzione il prprio punto di forza. Non spingono mai troppo i The Shiver, le chitarre non affondano i colpi, ma piuttosto accompagnano la vena della vocalist in questo viaggio tra i mali di un’umanità in disfacimento. L’album parte alla grande con la bellissima Ocean, da cui è stato estratto un video, presentandoci un gruppo collaudato; i brani si susseguono e ci avvolgono in un abbraccio sonoro: The Key, Forgotten Soul e Into The Darkest Hour ammaliano, ma è tutto l’album che si dimostra maturo in ogni frangente. L’alternative rock degli ultimi vent’anni viene nobilitato in questo lavoro dai The Shiver, i quali, aggiungendovi un’ottima miscela di Depeche Mode e Placebo, riescono a regalare un album davvero sopra le righe, dove sugli scudi sale prepotentemente la classe sopraffina di questi splendidi musicisti. Sarebbe l’ora che la band raccogliesse i suoi frutti anche nel proprio paese, lampante esempio dell’umanità descritta in The Darkest Hour.

Tracklist:
1.Ocean
2.The Key
3.Little Lonely Boy
4.Forgotten Soul
5.Bury
6.The Secret
7.Into the Darkest Hour
8.Runaway
9.Anything
10.Over

Line-up:
Federica Faith Sciamanna – Vocals
Francesco Finch Russo – Drums
Michele Colantuoni – Bass
Vincenzo Lodolini – Guitars

THE SHIVER – Facebook

Lilyum – Glorification of Death

I Lilyum preferiscono essere piuttosto che apparire e questo loro quinto album convince per l’adesione ad uno stile consolidato ma reso affascinante da un’interpretazione sentita e personale

I Lilyum sono parte integrante dello zoccolo duro del black metal, quello fatto di sonorità dirette, ritmiche veloci, suoni crudi e privi di particolari fronzoli, il tutto inserito in un contesto pervaso da un’aura fortemente oscura e misantropica.

Per molti questo può costituire un limite dovuto alla riproposizione di sonorità indubbiamente datate, ma molto più prosaicamente ritengo che la musica debba trasmettere qualcosa all’ascoltatore e ciò va ben oltre gli stili e gli spunti innovativi.
Sperimentare senza andare in una direzione precisa è inutile e talvolta serve solo per gettare fumo negli occhi e mascherare persino carenze tecniche o compositive; molto meglio, allora, fare nel migliore dei modi musica priva di particolari sorprese, ma proposta con competenza e con la giusta attitudine. I Lilyum preferiscono essere piuttosto che apparire e questo loro quinto album convince per l’adesione ad uno stile consolidato ma reso affascinante da un’interpretazione sentita e personale, capace di regalare brani trascinanti come Dark Holocaust e Veins Of Stone, senza dimenticare una traccia più avvolgente, con i suoi ritmi meno parossistici, come la title-track; Kosmos Reversum e Lord J. H. Psycho svolgono il loro lavoro in maniera ottimale, mentre Xes (vocalist anche dei potentini Infernal Angels) fornisce un minimo elemento di discontinuità rispetto agli stilemi del genere rinunciando all’abusato screaming e optando invece per un efficacissimo growl. Alla fine qualcuno si potrà chiedere se sia utile pubblicare oggi lavori con queste caratteristiche: la mia risposta è sì, perché il valore di un album non si misura con un ipotetico “novitometro” bensì attraverso ben altri parametri, gran parte dei quali ovviamente del tutto soggettivi, come lo è per esempio il fatto che io consideri tempo decisamente ben speso quello impiegato per ascoltare Glorification Of Death

Tracklist:
1. Transgressus Absconditus / Through Gateways Unseen
2. Christ Will Fall
3. Mater Pestis
4. Dark Holocaust
5. Glorification of Death
6. Veins of Stone
7. Torchbearer of the Cadaverous Dawn
8. Extinction
9. Necrosis
10. Todessendung 013

Line-up:
Kosmos Reversum – Guitars, Percussion, Programming
Lord J. H. Psycho – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards
XeS – Vocals

LILYUM – Facebook

childthemewp.com