Flight Of The Conchords – Live In London

Il duo mette in scena una vera e propria commedia musicale attraverso canzoni che sono interpretate in maniera fantastica, con un pubblico che partecipa attivamente ed è estasiato da questo spettacolo.

È difficile spiegare ad un italiano cosa sia il duo neozelandese Flights Of The Concords, autore di questo gran disco dal vivo registrato a Londra.

I due all’anagrafe sono Bret McKenzie e Jemaine Clement, compagni di stanza nel campus della Victoria University di Wellington, Nuova Zelanda. I due un bel giorno decisero di fare musica acustica proponendosi con pezzi loro davanti al pubblico. Non andò bene, o se la guardiamo da un differente punto di vista andò benissimo, nel senso che i loro brani venivano presi in maniera ironica dal pubblico che credeva che scherzassero. Preso atto di ciò il duo continuò su quel versante comico e andò benissimo, come testimonia questo fluviale e partecipato concerto a Londra. Dopo una fortunata trasmissione su una radio locale neozelandese i nostri approdarono alla BBC con una serie radiofonica basata su un duo musicale che cercava il successo. Finirono poi sul canale americano HBO, con la serie Flight Of The Conchords, che narrava le vicissitudini del duo alla ricerca del successo negli Stati Uniti. Arriviamo quindi all’ottobre del 2018 all’Eventim Apollo di Londra dove si svolse questo incredibile concerto, che è qualcosa di molto lontano dalle nostre concezioni. Il duo mette in scena una vera e propria commedia musicale attraverso canzoni che sono interpretate in maniera fantastica, con un pubblico che partecipa attivamente ed è estasiato da questo spettacolo. Se si ha quantomeno una conoscenza base dell’inglese si riderà e non poco, perché ci sono autentiche chicche, come nella canzone The Summer of 1353, che parla di He Man, il personaggio dei Masters Of The Universe, come del doppio maschio, perché He – Egli e Man – Uomo…
Oltre alle due chitarre li accompagna la The New Zeland National Orchestra, per un effetto davvero stupefacente. Oltre ad un’immensa ironia c’è comunque molto di più. Innanzitutto un bellissimo e divertito omaggio a David Bowie, figura fondamentale per loro, e anche trattandolo in maniera ironica riescono a farne cogliere la grandezza, attraverso un modo di far ridere tutto anglosassone.
Un disco inusuale, interessante e divertente, che ci può far scoprire un mondo molto bello e nuovo. Se si dovesse fare un paragone, anche se non molto centrato, in Italia qualcosa di simile lo fanno Marco Presta e Antonello Dose nella trasmissione radiofonica di Rai Radio 2 Il Ruggito del Coniglio, ma i Flight Of The Conchords sono di maggior talento e di più ampio respiro.
Un concerto incredibile.

Tracklist
01. Father and Son
02. Band Reunion
03. Iain and Deanna
04. Inner City Pressure
05. New Zealand Symphony Orchestra
06. Summer of 1353
07. Complimentary Muffin
08. Stana
09. Stuck in a Lift
10. Foux du Fafa
11. Seagull
12. Mutha’uckas – Hurt Feelings
13. One More Anecdote
14. Back on the Road
15. Thank You London
16. Bowie
17. Bus Driver
18. Tuning
19. Robots
20. Shady Rachel
21. Carol Brown
22. The Most Beautiful Girl (In The Room)

Line-up
Bret McKenzie
Jemaine Clement

FLIGHT OF THE CONCHORDS – Facebook

The Voices & Aries – La Tua Mano Dà, La Tua Mano Prende

La Tua Mano Dà, La Tua Mano Prende è un lavoro assolutamente fuori dal comune, in cui accadono molte cose in un’ambientazione fortemente minimalista e soprattutto dall’approccio musicale pressoché inedito.

Fruttuosa collaborazione fra i The Voices e Pierluigi “Aries” Ammirate, usando solo chitarre, voci sintetizzatori.

Il risultato è un disco che va ben oltre la musica, molto neoclassico a partire dalla copertina, sembra quasi di sentire composizioni create quasi fossero parte di un’opera o del rito di qualche culto ancora a noi sconosciuto. La Tua Mano Dà, La Tua Mano Prende è un lavoro assolutamente fuori dal comune, in cui accadono molte cose in un’ambientazione fortemente minimalista e soprattutto dall’approccio musicale pressoché inedito.
Pierluigi è un chitarrista molto dotato tecnicamente, fortemente metal e creativo, che qui usa la chitarra come se fosse un’orchestra, creando scale, fughe e droni, il tutto molto ben composto e di grande effetto. Un discorso a parte lo merita la voce, una polifonia che sale al cielo come una preghiera, una forza alla quale ci si arrende molto volentieri e che estrania totalmente dalla realtà. Infatti The Voices nasce come progetto sperimentale di musica a cappella, ma dimenticatevi di ciò che avete sentito fino ad ora in materia. Infine i sintetizzatori vengono usati come moderni organi, che innalzano il resto del contesto e lo rendono molto neoclassico. Il disco è in modalità download ad offerta libera sul bandcamp della bresciana Masked Dead Records, una delle etichette italiane di metal e molto altro più innovative. Scorrendo il suo ampio catalogo, di cui abbiamo già trattato sulle nostre pagine, si possono ascoltare dischi che vanno ben oltre il significato e la forma del metal, per un viaggio che speriamo continui ancora a lungo. Questo ep è una vera e propria inusuale esperienza sonora, ad esempio la conclusiva Entrambe Le Mani è un manifesto di un qualcosa che tocca la nostra vera intimità, ed è molto esplicativa su cosa sia questo progetto. Innovazione ma anche molta antichità, in una connessione fra futuro ed origini molto fertile ed interessante.

Tracklist
1.Creatura Angelica
2.Per Queste Strade
3.Complice Eterea
4.Entrambe Le Mani

Cotard – Depths

Depths apre lo scenario su un musicista assai interessante e su un viaggio appena cominciato.

Antonio Rubino, oltre che suonare nei Satan’s Grind, è il chitarrista dei baresi Symptoms Of The Universe, un giovane gruppo del quale cui abbiamo recensito il primo demo.

Cotard è un progetto parallelo e totalmente slegato dal gruppo di cui sopra, nato dalla torrenziale musicalità di Antonio. Depths è un disco totale, nel senso che esplora centinaia di diversi territori musicali, non ha punti di riferimento né centralità, perché è una insieme di suoni nato per farci pensare, o semplicemente per farsi ascoltare. Questo è il debutto su lunga distanza, poiché è già stato pubblicato uno spilt con la one man band inglese di black ambient metal Neroartico. Il disco, composto da 10 tracce (5 brani, 1 intro e 4 interludi) è stato interamente scritto da Antonio, tranne che per la collaborazione con Nicola Picerno in The Wake e la cover di Funeral Music for Queen Mary di Purcell. La cover rende evidente la provenienza classica di Antonio, che è un musicista fatto e finito che riesce a fondere molto bene tecnica e pathos, e questo disco è strutturato come un lavoro di musica classica, con interludi, temi, fughe e tutto il repertorio. Musicalmente il sentire di Antonio è davvero di un altro pianeta, si viaggia ad un’altezza molto alta. Come tutti i grandi lavori solisti, Cotard ha un disegno che noi possiamo solo intravedere, perché la totalità può essere afferrata solo dall’autore, in quanto la nostra è una visione estremamente personale che consente comunque di cogliere molto bene la grandiosità musicale di questo progetto. La libertà è totale, non ci sono vincoli né obiettivi commerciali, e si insegue un sogno musicale che si realizza in ogni canzone di questo album che è molto particolare ed unico. Ci sono scampoli di metal e non solo, di neoclassicismo e di prog, per andare oltre ogni schema e genere. La produzione è accurata, anche se forse un qualcosa di più potente avrebbe giovato al tutto. Depths apre lo scenario su un musicista assai interessante e su un viaggio appena cominciato.

Tracklist
01 – Intro
02 – The Wake
03 – Interlude 1
04 – Power
05 – Interlude 2
06 – Transcend
07 – Interlude 3
08 – Depths pt.1
09 – Interlude 4
10 – Depths pt.2

Line-up
Antonio Rubino

Zero23 – Songs From The Eternal Dump

Il pensiero che scaturisce dalla musica e dai rumori è potente e qui è molto presente, un ascoltare altro, un trovare altri sentieri, discostandosi dalle strade più battute e finanche inutili, quelle falsamente chiamate alternative.

Frequenze terrestri che sembrano aliene, suono che si mostrano per ciò che sono, senza gli inutili fronzoli della forma canzone.

Zero23 fa parte dell’etichetta più avanguardistica degli ultimi tempi in Italia, la massese Kaczynski Editions, che sta sondando in maniera mirabile il più nascosto sottobosco italiano. Songs From The Eternal Dump si inserisce molto bene nel discorso portato avanti da questi coraggiosi, ovvero improvvisazione ed oltre, per arrivare ad una nuova formulazione di musica. Qui non c’è nulla di alternativo o di sperimentale, ma troviamo una costante ricerca sonora che riverbera vari aspetti della realtà. Per degustare al meglio questo disco si consiglia di ascoltarlo con le cuffie, perché ci sono moltissime cose che si aggirano nella sua struttura minimale, ronzii e frequenze basse che esprimono concetti alti. Non ci si può approcciare a quest’opera (davvero limitativo chiamarlo disco, ma tant’è) con fretta o con la sicumera di avere delle risposte o delle domande, qui si medita ascoltando e si avanza meditando. Il pensiero che scaturisce dalla musica e dai rumori è potente e qui è molto presente, un ascoltare altro, un trovare altri sentieri, discostandosi dalle strade più battute e finanche inutili, quelle falsamente chiamate alternative. L’intento del disco è di recuperare e valorizzare ciò che sembra inutile e ormai perso, facendolo ritornare sotto forma di suono anche solo per un secondo, un vecchio campione riverberato che flasha la mente. Molto affascinante è il modo in cui questo lavoro riesca a calmare i nervi, o a spogliare improvvisamente la stanza dove vi trovate, come una pillola di Matrix che depauperi la realtà dalle cose in eccesso, lasciando il distillato matrice. Si respira anche grande libertà di espressione qui, come in tutti i lavori della Kaczynski Editions, che tenendo fede al suo esplosivo mentore sta minando le fondamenta del finto alternative italiano e speriamo lo faccia cadere presto.

Tracklist
1.empty little space
2.false step
3.broken souls
4.dead rats blues
5.far from home
6.crepusculo
7.macchinari avariati
8.Rome

The National Orchestra of the United Kingdom of Goats – Huntress

Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Quartetto assolutamente fuori dal comune proveniente dal Sud Tirolo, che propone una musica che ha mille riferimenti e davvero tanto da raccontate.

Nei The National Orchestra of the United Kingdom of Goats non si può scindere l’aspetto musicale da quello visivo ed artistico, questo è il loro terzo album su lunga distanza e continua la narrazione iniziata con il primo ep The Chronicles of Sillyphus e proseguita con gli altri episodi discografici, di cui questo è il terzo lp. Protagonista di questa saga è la misteriosa Kolepta, della quale vediamo dipanarsi le gesta accompagnate dalla musica del gruppo. La proposta musicale viene descritta come symphonic grind pop extravaganza, e potrebbe andare benissimo, ma c’è di più. La costruzione della canzone è sicuramente progressiva, con una forte ossatura pop ed una grande attenzione quasi gotica alla drammatizzazione, che è una delle cose più rimarchevoli di questo gruppo. I nostri suonano dal vivo con costumi e pitture facciali, ognuno ha il suo ruolo nella grande storia che stanno narrando e la musica lascia il segno. Tutto scorre bene, anche se ci sono alcuni passaggi ancora acerbi che, contrastando con altri momenti davvero notevoli del disco, indicano che c’è ancora qualcosa da migliorare. Però questi piccoli difetti non si notano quasi nel quadro d’insieme che è molto originale ed unico, almeno in Italia, dove l’art rock ha avuto grandi episodi ma non una gloriosa storia. Nel libretto del disco c’è anche un fumetto che spiega il concept, disegnato molto bene da Digitkame e scritto da Thomas Torggler; inoltre sul sito della The National Orchestra of the United Kingdom of Goats compaiono ulteriori passi del racconto. Huntress è un disco piacevolmente fuori dal comune, che regala piacere nelle mattinate terse e fredde in cui il mondo appare sotto una luce diversa e forse è davvero qualcosa di diverso da quello che siamo abituati a vivere e vedere. Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Tracklist
1.Beast
2.Scent
3.Thrill
4.Attunement
5.Kill

Line-up
The Admiral
The Coachman
The Seer
The Insane

THE NATIONAL ORCHESTRA OF THE UNITED KINGDOM OF GOATS – Facebook

Crocodile Gabri – Le Mie Cose Stranissime

Esordio discografico dei catanesi Crocodile Gabri, un gruppo che fa musica totale, figlio della florida ed originale scena catanese, dove l’underground è sempre stato per fortuna diverso.

Ci sono spazi preziosissimi di musica liberata, zone temporaneamente liberate dall’obbligo di vendere, di dover costruire suoni per farli sentire negli ipermercati e far comprare i consumatori, o per seguire una moda.

Musica che sgorga direttamente dai flussi di coscienza, neuroni che diventano ritmi e viaggiano liberi senza uno scopo, se non quello di far ragionare e di smuovere le cellule che stanno dentro di noi. Quanto sopra è solo una parte del quadro più ampio che potrete trovare dentro all’esordio discografico dei catanesi Crocodile Gabri, un gruppo che fa musica totale, figlio della florida ed originale scena catanese, dove l’underground è sempre stato per fortuna diverso. In un momento, quella che sembrava una canzone pop diventa noise, l’indie rock muore ucciso dal math e si riparte con una costruzione free jazz: ricchezza musicale e di pensiero, che poi sono le due cose fondamentali per un gruppo che voglia essere tale. Si potrebbero fare tanti accostamenti, tipo i Mr. Bungle o le cose come Shellac o Tortoise, la verità è che molti possono pensare che questo disco sia di difficile ascolto, mentre si deve considerare una liberazione, via gli steccati, via i generi e le pose, lasciando spazio a liberi pensieri e ancora più liberi pensieri musicali. Che tristezza rimanere ancorati alla tradizionale forma canzone, mentre qui si corre nudi sulla spiaggia, con una bella dose di malinconia tutta sicula e tanto umorismo mai fuori posto. Fa anche capolino un pizzico di elettronica, perché tutto viene usato in funzione di ciò che si vuole fare e non il contrario. Per le anime metalliche ci sono alcune sfuriate noise che vi entreranno nel cuore e faranno amare questo disco a chi ha tanti ritmi in testa e non ne vuole lasciare nemmeno uno per strada. E’ bellissimo perdersi in un’intelligente cascata di note, bagnarsi, asciugarsi e poi buttarsi nel fango, qui tutto è finalmente possibile. Inoltre i Crocodile Gabri escono per Seminal Pastures, un’etichetta di Catania che raccoglie una scena meravigliosa e libera.

Tracklist
1.Le Mie Cose
2.Ammiraglio
3.Combo
4.Fast Boy
5.Basta Con Questo Copyright
6.Tabernacol
7.Preoccupandomi Allarmai Madame Cancellier
8.Cambiamo La Società

Pryapisme – Epic Loon OST

Sono più pazzi i Pryapisme o quelli che, elaborando un nuovo video game da lanciare sul mercato, hanno pensato di affidare loro la composizione della soundtrack?

Sono più pazzi i Pryapisme o quelli che, elaborando un nuovo video game da lanciare sul mercato, hanno pensato di affidare loro la composizione della soundtrack?

Un quesito destinato a restare irrisolto, visto che anche chi ascolta periodicamente le bizzarre espressioni musicali della band francese non è che se la passi benissimo in quanto a sanità mentale: del resto in occasione del loro ultimo album, per così dire “normale”, mi ero trovato a citare tra le varie pulsioni che ne animavano il sound l’utilizzo di passaggi davvero molto simili a quelli dei primi giochi per Pc degli anni ’90, per cui nonostante l’elevato rischio di essere trascinati nel gorgo del fallimento preconizzato per sé stessi dai cinque disturbatori, quelli dei Macrales Studio sono voluti andare fino in fondo per vedere cosa sarebbe successo.
Quindi i nostri hanno elaborato una trentina di brani (dai titoli insensati quanto esilaranti) della durata oscillante tra i due ed i tre minuti, distribuendoli su due cd affidandone la diffusione alle sapienti mani di Jehan Fillat della Apathia Records.
Ovviamente, se già il contenuto dei precedenti lavori dei Pryapisme era un emblema di geniale schizofrenia musicale, figuriamoci cosa può essere scaturito da un occasione particolare come questa: del resto qui, se si vogliono fare le pulci ai nostri, non abbiamo neppure la scusa dell’inesistenza della forma canzone, dato che per forza di cose non viene neppure richiesta.
Nonostante (o forse grazie a) tali premesse, la follia dei Pryapisme trova quasi una sua sublimazione, anche se mi riesce difficile pensare a qualcuno che possa ascoltare un tale frullato di musica in maniera disgiunta dalle immagini del video game.
Il risultato è che, benché sia da qualche era geologica che non mi piazzo più davanti al computer per cimentarmi in un videogioco, mi sta venendo una voglia insopprimibile di comperare Epic Loon solo per potervi giocare accompagnato dalla musica dei Pryapisme, consapevole del fatto che smetterei solo quando l’essere dominante della casa, il gatto, salirà sulla tastiera interrompendo il gioco facendomi regredire al primo livello (a livello mentale la regressione a livello più basso è già avvenuta da tempo…).

Tracklist:
1.Epic Loon Theme
2.In space, no one can hear you make yourself a sandwich
3.Nostromo cryo system : fresh ice cream guaranteed !
4.An S.O.S from LV426 takes 6M years to reach Belgium
5.Acheron, the Calpamos moon, is also the name of our cat
6.Xenomorphs are just big chickens after all
7.For the smile of a child with a dolphin t-shirt
8.Evil nutshells with hay fever vs all people named Renee
9.Did prehistoric giraffes wear long ties ?
10.It’s way too hot to drink rustproof engine oil
11.The best vacuum cleaners were produced during the Cenozoic era
12.Tyrannosaure+Châlet/7=Taupiniere-(n/Saumon)²
13.Damned raptors !
14.Programming naughty pictograms in Python
15.Epic Boss Theme
16.Un quadrilobe à palmette fleurdelysé, ça a du chien
17.Even in the Carpathians, taking a train is still faster than riding a ghoul
18.What would Chester Copperpot have to say about this ?
19.A quantum mirror may generate self-petrified gorgons
20.Tidal energy through a rat’s perspective
21.Cette année, on anticipe les mites avec un inhibiteur de la pompe à proton
22.Fishermen’s villages usually hide ninjas
23.Luckily, reptiles use condoms. Phew ! No chlamydia this time…
24.Bubbles will be crapped in glue over Tokyo’s harbour
25.Muzzle, snout, fire, muzzle
26.Death by uranium hexafluoride
27.Mullet haircut Grand finale
28.Score Theme Extended (Bonus Track)
29.Epi the Clown (Bonus Track)

Line-up:
Nicolas Sénac: Guitars
Antony Miranda: Bass, Moog, Guitars
Ben Bardiaux: Keyboards
Aymeric Thomas: Drums, Percussions, Keyboards, Electronic
Nils Cheville: Guitars, Keyboards

PRYAPISME – Facebook

Aborym – Something for Nobody Vol​.​1

Un’uscita interessante, che conferma il valore e la peculiarità di una delle eccellenze nazionali in ambito metal (e non solo).

Dopo aver piazzato con Shfting.Negative un altro fondamentale tassello nel loro percorso artistico, gli Aborym tornano ad offrire musica inedita con questo lavoro intitolato Something for Nobody Vol​.​1.

Ovviamente non siamo di fronte ad un nuovo full length, perché in realtà l’album in questione è incentrato su una lunga traccia intitolata, appunto, Something for Nobody pt.1, la prima parte di una trilogia che Fabban sta scrivendo per farne una colonna sonora, commissionata dal regista Raffele Picchio per il suo cortometraggio Sakrifice.
Anche (ma non solo) per questo i venti minuti della traccia sono attraversati da molte delle pulsioni che animano la creatività del musicista pugliese; così, se per la maggior parte il contenuto è caratterizzato da una ambient a tratti alternativamente delicata ed inquieta, non mancano spunti jazzistici e altri di pungente elettronica senza che venga mai meno l’impronta del marchio Aborym, ormai riconoscibile indipendentemente dal genere musicale offerto.
Il resto del lavoro è completato da cinque remix che vedono un reciproco scambio di cortesie con Keith Hillebrandt (facente parte della cerchia dei Nine Inch Nails) con il sound producer che rimaneggia a modo suo For A Better Part e gli Aborym che fanno altrettanto con la sua Farwaysai, e i romani Deflore che industrializzano You Can’t handle The Truth ricevendo lo stesso favore per la loro Mastica Me; oltre a questi, Fabban cura anche il remix di Deathwish degli ottimi Angela Martyr.
Per mia indole fatico a ritenere i remix, chiunque ne sia l’autore e in qualsiasi ambito, un’operazione in grado di aggiungere o togliere qualcosa all’operato di un musicista o di una band, ma non per questo devono essere trascurate a prescindere, specialmente in questo caso: come detto, dipende molto anche dalla sensibilità e dalla ricettività dell’ascoltatore, resta il fatto che queste cinque tracce, alla fine, si rivelano un buonissimo contorno al brano principale, aumentando i motivi di potenziale interesse di un’opera che conferma il valore e la peculiarità di una delle eccellenze nazionali in ambito metal (e non solo).

Tracklist:
1.Aborym – Something for Nobody pt.1 (Sakrifice)
2.Keith Hillebrandt – For A Better Past (Deconstruction mix by Keith Hillebrandt)
3.Deflore – You Can’t handle the Truth (Evil dub deconstruction by Deflore)
4.Aborym – Deathwish (Ecstasy under duress remix by Aborym)
5.Keith Hillebrandt – Farwaysai (Inertia remix by Fabban, Aborym)
6.Aborym – Mastica Me (Digitalis Ambigua remix by Aborym)

ABORYM – Facebook

Nortt – Endeligt

Sono passati dieci anni ma Nortt sembra ancora più convinto nell’esplorare oscuri e vuoti abissi, ove non risiedono speranza ma solo morte e desolazione.

Perfetta sound track per un viaggio nell’inquietudine e nella disperazione.

Dopo dieci anni di silenzio discografico, Nortt ritorna a raggelarci con la sua arte ricolma di note funeral, black e doom perfettamente miscelate a creare una dark ambient disturbante e lugubre.
Il musicista danese, dopo “Galgenfrist” del 2007, scarnifica ulteriormente il suo suono e con poche note e suoni minimalisti offre nove composizioni lente, profonde, strazianti, da sentire nel profondo del nostro io; è musica che ci porta a un confronto continuo con noi stessi, con le nostre paure, con le nostre vite senza punti di riferimento, con un vuoto interiore difficile se non impossibile da colmare.
Il senso di morte, di abbandono, di tragicità che permeano ogni nota vanno al di là di ogni descrizione su carta, ognuno ha dentro di sé la propria interpretazione di questo mondo, che nelle note di Nortt appare maledetto e in disfacimento morale e materiale.
Pochi suoni all’interno dei brani delineano scenari di sconfinata e lugubre tragicità che raggiungono vette emozionali laceranti: in Afdo un tocco epico aggiunge splendore e magnificenza.
Le atmosfere, già terrifiche fin dall’inizio, raggiungono picchi di gelo e desolazione con il passare dei minuti e gli ultimi tre brani rilasciano segnali di morte non comuni, inerpicandosi su suoni dark ambient che non hanno nulla di umano.
Nortt afferma che negli ultimi dieci anni non ha registrato alcunché in quanto ha vissuto in un mondo dove non aveva necessità di farlo; sono passati dieci anni ma la sua arte sembra ancora più convinta nell’esplorare oscuri e vuoti abissi, ove non risiedono speranza ma solo morte e desolazione. Un grande ritorno!

Tracklist
1. Andægtigt dødsfald
2. Lovsang til mørket
3. Kisteglad
4. Fra hæld til intet
5. Eftermæle
6. Afdø
7. Gravrøst
8. Støv for vinden
9. Endeligt

Line-up
Nortt Everything

NORTT – Facebook

Ingurgitating Oblivion – Vision Wallows in Symphonies of Light

Terzo lavoro su lunga distanza per questa band tedesca che innesta su una solida base di brutal death estremamente tecnico dissonanze sperimentali che spingono il sound su territori vicini al free jazz.

Terzo lavoro su lunga distanza per questa band tedesca che innesta su una solida base di brutal death estremamente tecnico dissonanze sperimentali che spingono il sound su territori vicini al free jazz.

Indubbiamente, da questo quadro iniziale non ci si può che attendere un album complesso, dall’ascolto tutt’altro che semplice anche per chi ha familiarità con band tipo Gorguts o Suffocation, e il buon Florian Engelke, fondatore del gruppo agli albori del secolo, non fa nulla per agevolare il tutto, strutturando Vision Wallows in Symphonies of Light su quattro brani per un totale di circa cinquanta minuti, con il secondo delirante A Mote Constitutes What to Me Is Not All, and Eternally All, Is Nothing che da solo supera addirittura i venti.
Ovviamente parliamo di musica offerta a chi ha orecchie ed apertura mentale per intendere, ma questo non significa affatto che bisogna puntare il dito versi chi non dovesse trovarsi in sintonia con l’operato degli Ingurgitating Oblivion: non e affatto banale assorbire le trame contorte e sature dei berlinesi quando sfogano le proprie pulsioni estreme, così come non lo è quando divengono trame liquide condotte da xilofoni o fughe pianistiche riconducibili al jazz più sperimentale.
Tale aspetto inevitabilmente costituisce un carattere di preponderante peculiarità, finendo per spostare l’asticella della difficoltà di fruizione molto più in alto, aprendo però un fronte interessante per chi, magari, ha sempre ritenuto il death una forma musicale appannaggio di bruti privi di tecnica e talento.
Detto della prima traccia, che non deroga più di tanto dalla ferocia espositiva del metal estremo, e della già citata monumentale seconda, che si pone come ideale spartiacque tra chi continuerà ad ascoltare con interesse il lavoro e chi invece deporrà anzitempo le armi, appare senz’altro più indicato a scopo esemplificativo l’ascolto della title track proprio perché, in alcuni frangenti, le due anime vanno ancor più ad intrecciarsi dando vita ad un ibrido a tratti irresistibile.
Ottima anche A Devourer of Flitting Shades Who Dwells in Rays of Light, dallo sviluppo pressoché invertito rispetto alle altre tracce, dato che le eleganti evoluzioni strumentali occupano la parte iniziale del brano fin quasi al suo epilogo, prima di riconsegnarsi alla furia del death che va a porre, in maniera coerentemente brutale, la pietra tombale sull’opera.
Vision Wallows in Symphonies of Light è un lavoro di grande spessore tecnico e compositivo che non può e non deve finire nel calderone dei dischi in cui la sperimentazione assume una stucchevole preponderanza, e immagino che, oltre agli estimatori delle band già citate nelle prime righe, anche chi ha i Nile tra i propri gruppi di riferimento possa trovare la giusta soddisfazione nell’ascolto.

Tracklist:
1. Amid the Offal, Abide with Me
2. A Mote Constitutes What to Me Is Not All, and Eternally All, Is Nothing
3. Vision Wallows in Symphonies of Light
4. A Devourer of Flitting Shades Who Dwells in Rays of Light

Line up:
Florian Engelke – Guitars, Vocals
Adrian Bojarowski – Bass, Vocals, Synths
Paul Wielan – Drums

INGURGITATING OBLIVION – Facebook

Sándor Vály – Young Dionysos

Suono come logos creatore, immanente e fuoriuscito da una volontà di potenza di un musicista davvero capace e totale in grado di fare, se vogliamo ridurlo a qualche genere, un ambient drone molto potente e magniloquente, un magma che entra sottoterra e poi fuoriesce da qualche altra parte, ancora più potente e devastatore.

Come giustamente afferma lo stesso multi strumentista, Young Dionysus non è un disco concepito per intrattenere, chi cerca divertimento può recarsi altrove.

Vály è uno sciamano che porta la sua musica nel cosmo attraverso l’atto di suonare tutto ciò che incontra con piglio metal e punk. Urgenza, sangue, ansia e paura, ma anche un immenso immaginario che come in un rito orfico sprigiona la sua forza primordiale per far espandere il suono nell’etere. Con questa musica si torna all’origine catartica della musica, quale musa ispiratrice per l’uomo, essendo in grado di agire sulla totalità psichica dell’essere umano. Suono come logos creatore, immanente e fuoriuscito da una volontà di potenza di un musicista davvero capace e totale in grado di fare, se vogliamo ridurlo a qualche genere, un ambient drone molto potente e magniloquente, un magma che entra sottoterra e poi fuoriesce da qualche altra parte, ancora più potente e devastatore. Dentro Young Dionysus possiamo trovare una scrittura musicale di altissimo livello, senza confini e senza limiti, e uno dei pregi maggiori di Vály è di riuscire a tessere un discorso coerente nonostante l’immensità della materia, e il pericolo di debordare grazie al suo talento. Accade invece che il disco sia molto coerente con il suo enunciato, e si dipani davanti agli occhi, ma soprattutto dentro al cervello di chi è disposto ad accogliere un cosmos più che un’opera musicale. Stupisce anche la grande accessibilità del linguaggio musicale di Vály, che come un medium riesce a farsi tra sé stesso e il suo sterminato universo musicale, scrivendo un disco davvero bello ed originale. Si viene rapiti dalla bravura e dall’attitudine metal del musicista, e capita che a volte durante i concerti spacchi il pianoforte a colpi di ascia, nella stessa maniera nella quale rompe le convenzioni musicali.

Tracklist
1. Young Dionysus
2. Drumwork
3. Overture
4. Vine Song
5. Bacchanale

EKTRO RECORDS – Facebook

Deflore – Spectrum Decentre Epicentre

La spina dorsale del progetto è il ritmo, soprattutto l’esplorazione e la manipolazione di quest’ultimo, la costante ricerca sonica più che sonora e l’incredibile varietà di vedute, e qui il pensiero laterale musicale diventa dominante.

Seppure uscito a marzo non è mai troppo tardi per parlare di questo disco.

I Deflore hanno pubblicato un disco totale, pieno di suoni e stili, ma soprattutto fedele alla linea del rumore. Spectrum Epicentre è un disco che affronta una tempesta durissima e duratura nell’oceano della musica di avanguardia, nel senso che questo gruppo sta proprio davanti. Industrial, techno, elettronica, accenni di metal, reminiscenze di Narcolexia e come substrato dei Cccp, i Deflore portano avanti un discorso musicale splendido e davvero unico. La spina dorsale del progetto è il ritmo, soprattutto l’esplorazione e la manipolazione di quest’ultimo, la costante ricerca sonica più che sonora, e la incredibile varietà di vedute, e qui il pensiero laterale musicale diventa dominante. Loro stessi definiscono la loro musica psichedelia industriale, ma è una definizione per difetto, perché qui c’è tantissimo d’altro. Nella stessa canzone ci sono Godflesh, una colonna sonora in stile Wipeout, e poi un’atmosfera da convento maledetto. L’elettronica rimbalza tra muri di chitarre, e i sintetizzatori si fanno un giro su autostrade desertiche, con i Kraftwerk dentro l’autoradio per poi esplodere gioiosamente. Sinceramente è un disco che è davvero difficile da descrivere, perché ha mille spigoli, angoli ciechi dove le sorprese sono sempre dietro l’angolo.
Continua l’avventura rumorista e avanguardistica di Christian Ceccarelli e Emiliano Di Lodovico.

TRACKLIST
1. MASTICA / ME
2.BETONIERA
3.APOLLO
4.RARE / FRACTO Phase I
5.KING DEAF
6.TREESONG

LINE-UP
Christian Ceccarelli – Bass, Grooves, Samples and Snyths.
Emiliano Di Lodovico – Guitar, Synths and Radio.

DEFLORE – Facebook

Helheim – landawarijaR

Un perfetto e affascinante incrocio tra sonorità viking black e suoni prog;una band unica !

Attivi fino dal lontano 1993, quando fu pubblicato l’omonimo demo, i leggendari Helheim all’alba del 2017 pubblicano il loro nono full e continuano a sviluppare il loro suono che testimonia sia liricamente che musicalmente l’attaccamento alle più profonde tradizioni norrene.

Da ogni nota di questo disco emerge la fierezza delle loro radici, l’epica spavalderia, la furia di antichi guerrieri che vogliono rivivere antiche atmosfere ormai dimenticate. In tutti questi anni di attività la band ha evoluto, pur restando ancorata al più puro viking/black, il proprio suono partendo dalla furia cieca di perle black come Jormundgand (1995) e Av norrøn ætt (1997), per poi incorporare altre influenze folk, heavy e progressive creando un loro personale suono; anche la stabilità della line up negli anni ha contribuito a rafforzare la loro personalità . Il disco è splendido! Fin dal primo brano (Ymr) si assiste a un continuo alternarsi di suoni prettamente black cupi ed oscuri con momenti più meditabondi e folkeggianti solcati da squarci melodici e atmosferici con evocative chitarre, come nella meravigliosa title track che ingloba in modo naturale echi prog d’annata, omaggiando la Premiata Forneria Marconi con il tema principale di Impressioni di Settembre; gli ascoltatori più “open minded” sicuramente si emozioneranno come il sottoscritto. Anche il passare da clean vocals a scream e chorus suggestivi contribuisce a creare un’opera magnifica che potrebbe ritagliarsi uno spazio tra le migliori di questo inizio anno. La ricerca melodica in ogni brano, mai banale, ritaglia sprazzi di grande gusto e sensibilità senza perdere mai l’urgenza e la forza distruttiva di questa grande band viking/black; e l’arte creata da questi artisti, libera da biechi vincoli commerciali, continua a librarsi fiera nel cielo …

TRACKLIST
1. Ymr
2. Baklengs mot intet
3. Rista blóðørn
4. landawarijaR
5. Ouroboros
6. Synir af heiðindómr
7. Enda-dagr

LINE-UP
V’gandr – Bass, Vocals
Hrymr – Drums, Drum programming
H’grimnir – Vocals, Guitars (rhythm)
Reichborn – Guitars (lead)

HELHEIM – Facebook

Captain Quentin – We’re Turning Again

I Captain Quentin fanno musica con la manopola del flusso di coscienza totalmente aperta, note che fluttuano nel nostro cervello in un’inebriante doccia sonora piena di forza e di originalità.

Perché dovreste sentire un disco, o peggio, perché sprecare parte del vostro prezioso e sempre più esile tempo per ascoltare un disco ?

Dovreste proprio essere convinti e fortemente motivati. Nel disco dei Captain Quentin non vi dovreste più preoccupare del tempo, perché qui il tempo perde materialità per diventare assoluto, ovvero slegato dal tutto. I Captain Quentin fanno musica con la manopola del flusso di coscienza totalmente aperta, note che fluttuano nel nostro cervello in un’inebriante doccia sonora piena di forza e di originalità. Come nume tutelare ovviamente abbiamo il buon caro vecchio Mr. Zappa, ma qui c’è di più, c’è più melodia e naturalezza rispetto ad una nouvelle totalmente vague. In questo disco il gruppo ha fatto tutto il processo di registrazione da solo e si sente il risultato. Il mix è stato poi fatto da due membri degli Appaloosa nel loro studio di Pisa. L’album è davvero piacevole e stupisce sempre con sorprese, come il maggior uso dei sintetizzatori rispetto agli altri lavori. Gioia, passione, originalità e divertimento.
E comunque, Yoko no, sempre no.

TRACKLIST
1. Dieci minuti lunghi trenta
2. Caffè connection
3. Zewoman
4. Malmo
5. Avevo un cuore che ti amava
Franco
6. Say no no to the lady
7. Aghosto
8. Yoko, o no?

CAPTAIN QUENTIN – Facebook

Qaanaaq – Escape From The Black Iced Forest

Cinque brani piuttosto lunghi e ricchi di repentine aperture melodiche, alternate a qualche accelerazione e a fughe strumentali di matrice prog, sono quanto offre un album anomalo come Escape From The Black Iced Forest.

Più o meno dal nulla sbucano questi Qaanaaq, band bergamasca che propone una stramba mistura tra doom, death, gothic e progressive.

Se, in teoria, questi indizi parrebbero portare su territori affini ad Opeth e successiva genia, in raelta, nonostante la band di Åkerfeldt sia un riferimento dichiarato dal quintetto lombardo, il sound gode di una personalità sorprendente, offerta in particolare dal lavoro tastieristico di Luca Togni, capace di caratterizzare ogni brano con un approccio misurato quanto incisivo.
Niente a che vedere quindi, con ampie aperture sinfoniche od invadenti orchestrazioni plastificate: il tocco di Luca Togni è quanto mai legato al progressive settantiano ed è volto più a punteggiare il sound che non ad assumerne il controllo, lasciando che gli altri strumenti (suonati da altri due Togni, Mattia e Luca, rispettivamente al basso e batteria, e da Dario Leidi alla chitarra) si sbizzarriscano nel contribuire a creare un tappeto sonoro sul quale esibisce un growl piuttosto efficace Enrico Perico (dalle tonalità che ricordano non poco quelle di Mancan degli Ecnephias).
Cinque brani piuttosto lunghi e ricchi di repentine aperture melodiche, alternate a qualche accelerazione e a fughe strumentali di matrice prog, sono quanto offre un album anomalo come Escape From The Black Iced Forest, frutto compositivo di musicisti non più di primo pelo che vi hanno riversato una freschezza compositiva raramente riscontrabile oltre che la dote, anche’essa in via d’estinzione, di non interpretare il proprio ruolo in maniera seriosa, a partire dall’immaginario groenlandico che aleggia sull’intero progetto, almeno a livello lirico (Qaanaaq è, appunto, la città più a nord di quella che qualche buontempone pensò di chiamare “terra verde” ).
Probabilmente i suoni di tastiera esibita da Luca Togni potranno lasciare perplessi i più, mentre personalmente li trovo geniali nel loro apparente minimalismo, in quanto capaci di insinuarsi in maniera velenosa nel cervello (micidiali in tal senso il finale di Body Walks e la parte centrale di High Hopes); resta oggettivamente difficile catalogare i Qaanaaq in maniera esaustiva, perché il doom, che è il primo genere dichiarato, viene esibito nella sua forma più riconoscibile solo nella traccia finale Red Said It Was Green, perché anche la stessa Untimely At Funerals, che parte proprio come una vera marcia funebre, cambia volto più volte fino ad approdare a passaggi che lambiscono la fusion.
In definitiva, l’opera prima dei Qaanaaq si rivela tutt’altro che cervellotica o particolarmente ostica ma è ugualmente rivolta a menti sufficientemente aperte.

Tracklist:
1. Body Walks
2. Eskimo’s Wine Is A Dish Best Served Frozen
3. Untimely At Funerals
4. High Hopes
5. Red Said It Was Green

Line-up:
Enrico Perico – vocals
Dario Leidi – guitar
Mattia Togni – bass
Luca Togni – keyboards
Nicola Togni – drums

QAANAAQ – Facebook

Queen Elephantine – Kala

Psichedelia pesante e molto noise, acida e fuzz, rituale e cosmica.

Psichedelia pesante e molto noise, acida e fuzz, rituale e cosmica. Non bastano le parole per provare l’esperienza sonora che fanno vivere i Queen Elephantine.

Nati ad Hong Kong, non hanno fissa dimora, si possono trovare nello loro numerose uscite, quattro album, split e sette pollici. La loro psichedelia pesante e rituale è la continuazione della lotta per portare il rumore e la confusione quella vera al centro dell’arena. Bisogna abbandonarsi a Kala, lasciare che il trip salga e vi prenda, non resistete alle sirene elettriche. Questa non è musica, ma un rituale per espandere le nostre coscienze, allargare gli orizzonti e le sinapsi. Gli strumenti sono appunto un mezzo per creare stati di coscienza alterati, senza pose o forme da assumere, questo è puro flusso, rimodellando la materia secondo multiversi che inventiamo noi. dischi come Kala sono da studiare, assaporare, ma certamente non possono essere ascoltati in mezzo alla folla, ma bisogna cercare un qualche spazio meditativo, sia fisico che spirituale. In certi frangenti il gruppo, ora di stanza a Providence, ricorda la psichedelia tedesca tendente al krautrock, quello splendido tentativo di sintesi che poi non si ripeterà più. Ed invece qualcosa è tornato indietro, sotto forma di un disco di rumore cosmico, colonna sonora di pianeti che si spostano su assi lontani milioni di anni luce, ma con la nostra mente possiamo arrivarci, possiamo esserci ascoltando i Queen Elephantine, traghettatori neuronali.

TRACKLIST
1.Quartered
2.Quartz
3.Ox
4.Onyx
5.Deep Blue
6.Throne of the Void in the Hundred Petal Lotus

LINE-UP
Indrayudh Shome – Guitar
Ian Sims – Drumset
Mat Becker – Bass
Srinivas Reddy – Guitar
Derek Fukumori – Percussion
Samer Ghadry – Guitar, Synth
Nathanael Totushek – Drumset + Percussion on 2,4,6
Nick Disalvo – Mellotron on 1, 2, 3
Michael Scott Isley – Percussion on 2,4
Danny Quinn – Surgeon Pepper

QUEEN ELEPHANTINE – Facebook

öOoOoOoOoOo – Samen

Un lavoro al quale l’appellativo di caleidoscopico sta persino stretto, per cui non resta che mettersi in testa le cuffie e provare a seguire, per quanto possibile, un percorso che non conosce un solo metro in rettilineo

L’iniziale colpo di genio da parte di questa band è riservato a solutori più che abili … che diamine di monicker potrà mai essere öOoOoOoOoOo, ci si chiede al primo impatto ?

Vabbé, poi dalle note biografiche scopri che una tale sfilza di O va pronunciata Chenille, che in francese significa bruco, e la lampadina improvvisamente si accende: cos’è infine öOoOoOoOoOo se non una buffa rappresentazione grafica del peloso insetto, realizzata utilizzando i caratteri disponibili sulla tastiera di un PC ?
La sensazione di avere a che fare con un a masnada di pazzoidi, sulla falsariga dei connazionali 6:33, si fa così strada ancor prima di iniziare l’ascolto, cosicché Rules Of The Show non impiega molto a far comprendere che ci si è preso addirittura per difetto: al confronto, la citata (ed immensa) band di Lille appare quasi un consesso di grigi impiegati del catasto, facendone sembrare la geniale follia un qualcosa di pericolosamente vicino alla normalità.
Gli öOoOoOoOoOo sono tra l’altro solo in due, la cantante Asphodel (attiva anche nella gothic band Penumbra e con saltuarie collaborazioni con miriadi di band, tra le quali i Carnival In Coal, il che ci aiuta a capire qualcosa in più) ed il funambolico polistrumentista Baptiste Bertrand, aiutati dal batterista Aymeric Thomas dei non meno schizoidi Pryapisme, ma in realtà sembrano in una quindicina, tra le molteplici voci e vocine proposte dalla cantante, strumenti di ogni genere che si palesano per un attimo per poi svanire nel nulla, growl minacciosi ed una percussività tentacolare.
Insomma, ce n’è abbastanza per prefigurare il classico quadro di amore od odio nei confronti del duo transalpino, per cui si tratta di decidere da quale delle due parti collocarsi: personalmente tendo ad essere, in maniera paradossale, più allergico all’avanguardismo applicato alla materia estrema mentre sono propenso a guardare favorevolmente esibizioni come queste, che sono sempre rischiosamente in bilico tra la genialità ed il ricorso al TSO.
Parlare di brani in un simile contesto è impresa ardua quanto superflua, tanto è sghembo l’andamento di un lavoro al quale l’appellativo di caleidoscopico sta persino stretto, per cui non resta che mettersi in testa le cuffie e provare a seguire, per quanto possibile, un percorso che non conosce un solo metro in rettilineo: Asphodel è una sorta di entità dai mille volti costantemente cangianti, con Diamanda Galas, Amy Lee, Edith Piaf, Bjork, Paperina (!), il Trio Lescano e chissà quante altre voci femminili evocate per un battito di ciglia o poco più.
Il sound segue questa schizofrenia inarrestabile che trova una parvenza di forma canzone nella sola Purple Tastes Like White, mentre nei restanti brani soul, gothic, symphonic metal, jazz, grind e “post tutto” si alternano e si aggrovigliano fino ad incatenare chiunque abbia voglia e pazienza di arrivare alla fine di Samen.
Già, perché a quel punto la giostra riparte, scoprendo ogni volta passaggi ignorati, perduti o che forse esistono solo nella nostra mente, vallo a sapere, fatto sta che questo lavoro degli öOoOoOoOoOo si rivela una piacevole follia che, non troppo casualmente, giunge dalla Francia e da un’etichetta come la Apathia che sembra aborrire tutto ciò che abbia una parvenza di normalità.
Ovviamente non per tutti, nemmeno per molti, sicuramente consigliato solo a chi non si arrende dopo l’ascolto delle prime stramberie …

Tracklist:
1. Rules Of The Show
2. Fucking Freaking Futile Freddy
3. Meow Meow Frrru
4. No Guts = No Masters
5. Bark City (A Glimpse Of Something)
6. Purple Tastes Like White
7. I Hope You Sleep Well
8. Well-oiled Machine
9. Chairleg Thesis
10. Fumigène
11. LVI
12. Hemn Be Rho Die Samen

Line-up:
Asphodel – Vocals, lyrics
Baptiste Bertrand – Guitars, Bass, Vocals,Programming
Aymeric Thomas (session) – Drums

Guests:
Germain Aubert on #11
Raphaël Verguin on #4 #5 #11
Adrien Cailleteau on #7 #8

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