Lo-Ruhamah – Anointing

E’ un sound estremo, atmosfericamente angosciante, quello che compone Anointing e i suoi nove capitoli, un black metal che non rinuncia alla debordante potenza del death, ma la modella a suo piacimento.

Nata negli Stati Uniti nel lontano 2002, ma oggi di base in Estonia, torna tramite la I,Voidhanger la band death/black dei Lo-Ruhamah, a dieci anni esatti dal debutto The Glory Of God.

Poche notizie per questa realtà che, come tradizione della label, risulta fuori dai canoni dei generi da cui prende ispirazione, per poi viaggiare per conto proprio, tra post rock, un’anima disperatamente progressiva, ed un’ aura mistica ed occulta che rende la proposta misteriosamente matura.
E’ un sound estremo, angosciante, quello che compone Anointing e i suoi nove capitoli, un black metal che non rinuncia alla debordante potenza del death, ma la modella a suo piacimento, tra ritmiche fantasiose e mai statiche, urla di lacerante disperazione e terrificanti interventi in screaming, come se il protagonista avesse una diatriba con un demone, maligno ed ingordo di anime.
Ecco allora che bordate di metallo estremo di stampo death annichiliscono atmosfere post rock per tornare al black metal primigenio, mentre l’opener Mouth, le parti intimiste e dark progressive della seguente Sibilant Chorus, il lento incedere doom/black di Vision And Delirium, il caos ragionato di The Corridor, portano l’ascoltatore in uno stato quasi ipnotico, mentre Aeon conclude questa mezzora abbondante di suoni ed emozioni estreme.
I Lo-Ruhamah hanno dato voce alle anime oscure che si celano in un mondo dove non si conoscono le paranoie insite nell’uomo moderno, troppo impegnato a rincorrere un benessere effimero, accorgendosi troppo tardi di come il filo tra dolore, sofferenza e dannazione sia sottile.

Tracklist
1. Mouth
2. Sibilant Chorus
3. Rending
4. Charisma
5. Vision And Delirium
6. The Corridor
7. Lidless Eye
8. Coronation
9. Aeon

Line-up
Harry Pearson – Drums
Matthew Mustain – Guitars
J. Griffin – Bass, Vocals

LO-RUHAMAH – Facebook

Fäulnis – Antikult

In Antikult ci sono parti più rabbiose, ma la maggioranza del disco è occupata da ottimi mid tempo, con chitarre che sono molto vicine all’atmospheric black metal, però la musica dei Faulnis è meno caricata da distorsioni e più limpida e chiara.

Nuovo disco per i veterani tedeschi Fäulnis, con il loro black metal tendente al depressivo e all’atmosferico.

Antikult non si discosta molto dagli episodi precedenti, confermando l’ottima capacità compositiva del gruppo. Dentro Antikult si dipanano storie di disagio e di dolore, raccontate in tedesco, ma molto comprensibili. Per mezzo del black metal il gruppo di Amburgo costruisce una sorta di film scena per scena, mettendo l’ascoltatore al centro della narrazione. Definire poi questo disco black metal è riduttivo, si potrebbe quasi definirlo post black, perché i Fäulnis mostrano uno dei futuri possibili per questo genere che non è solo tale ma un modi di sentire la vita. In Antikult ci sono parti più rabbiose, ma la maggioranza del disco è occupata da ottimi mid tempo, con chitarre che sono molto vicine all’atmospheric black metal, però la musica dei Fäulnis è meno caricata da distorsioni e più limpida e chiara. Non mancano i momenti più classici, dove il black metal scorre in maniera più antica e vicina al verbo originale. Chi li conosce già sa cosa aspettarsi, mentre per chi non li ha mai sentiti saranno un’ottima sorpresa. I Fäulnis fanno parte della sottostimata scuola tedesca del black metal, che è stata fondamentale per lo sviluppo del genere, e che è stata anche più aderente allo spirito originale di molte altre scene. Dischi come Antikult, come detto sopra, sono anche innovativi e portano in avanti la crescita di un qualcosa che sta diventando davvero grande, ovvero il black metal altro. Storie, dolore ed empatia.

TRACKLIST
1.Metropolis
2.Block 19, Mahlstrom
3.Galgen, Kein Humor
4.MS Fäulnis
5.Im Auge Des Sturms
6.Kadaver
7.Arroganz Von Unten
8.Das Nagelkratzen
9.Der König

LINE-UP
Seuche – vocals
HP – drums
CW – bass
MRM – guitar
NN – guitar

Fäulnis – Facebook

Au-Dessus – End Of Chapter

Un’opera nera e tragica, emozionante, colma di dolore e di quel senso di morte che gela il sangue ed il saperlo evocare è una prerogativa di chi suona il genere con talento.

Il ramo del black metal considerato da molti la parte più evoluta del genere passeggia su un filo sottilissimo che molte volte divide le opere dei suoi seguaci tra capolavori ed autentici flop.

Ma per chi ama il metal estremo oscuro, violento ma dall’animo intimista e progressivo, non mancano certo autentiche sorprese, gruppi che dal nulla escono tramite ottime label che si muovono tra i gironi infernali dell’underground metallico.
Les Acteurs De L’Ombre Productions è una delle etichette migliori nel campo del post black metal, impressione confermata dal primo lavoro sulla lunga distanza del quartetto lituano degli Au-Dessus, che sotto la label transalpina licenzia questa opera nera e tragica, emozionante, colma di dolore e di quel senso di morte che gela il sangue, prerogativa di chi suona il genere con talento.
End Of Chapter è un’opera oscura e tremenda, gelata dal freddo della morte come rappresentato sull’artwork, divisa in parti che sono l’ideale prosecuzione dell’omonimo ep di debutto.
Quindi dal capitolo VI al XII si alternano furiose parti black metal ed oscuri e raggelanti momenti di drammatica staticità, mentre l’irruenza metallica si scontra con uno stordente talento per armonie progressive che si può considerare una delle massime espressioni del post black.
Nella musica del gruppo ci sono sfumature che portano a considerare queste sette parti come metal estremo adulto, fortemente pregno di musica dark e post rock nascosta tra le trame violente di un sound sempre in bilico tra il mondo dei morti e quello di chi ancora soffre, a causa una vita obnubilata dalla sofferenza e ben rappresentata nelle parti VII, IX e nella devastante XI.
Un album bellissimo, un’altra grande opera oscura donata da Les Acteurs De L’Ombre.

TRACKLIST
1.VI
2.VII
3.VIII
4.IX
5.X
6.XI
7.XII : End of Chapter

LINE-UP
Mantas – Vocals/bass
Simonas – Guitar
Jokūbas – Guitar
Šarūnas – Drums

AU-DESSUS – Facebook

Somnium Nox – Terra Inanis

I Somnium Nox non si limitano a proporre un black tradizionale ma lo arricchiscono di parti più rarefatte e dal buon carico melodico, funzionali nel preparare il terreno ad accelerazioni che sono comunque piuttosto ragionate.

I Somnium Nox sono una band australiana che, con Terra Inanis, fa il primo passo su lunga distanza (almeno dichiarata, in quanto in realtà il lavoro non supera la mezz’ora di durata.

Trattandosi di una band alle prime uscite, visto che all’attivo fino ad oggi aveva solo il singolo Apocrypha dello scorso anno, non c’è molto su cui parametrarne l’operato, per cui Terra Inanis va valutato per quello che è ovvero un buon esempio di black metal atmosferico e dagli spunti pregevoli.
Infatti, pur non potendolo considerare innovativo nel senso letterale del termine, l’album offre tre tacce di circa dieci minuti ciascuna in gradi di farsi apprezzare dagli amanti delle sonorità oscure ma non asfissianti: i Somnium Nox non si limitano a proporre un black tradizionale ma lo arricchiscono di parti più rarefatte e dal buon carico melodico, funzionali nel preparare il terreno ad accelerazioni che sono comunque piuttosto ragionate.
I tre brani esibiscono comunque sfumature differenti: Soliloquy of Lament è black nella sua accezione più classica e beneficia di un bel crescendo conclusivo, The Alnwick Apotheosis è la traccia migliore ed anche la più anomala, visto che per una metà si snoda su velocità consistenti per poi sfumare in liquide sonorità ambient, mentre la conclusiva Transcendental Dysphoria è un black doom cupo e dai toni inquietanti e drammatici.
Indubbiamente l’uso di uno strumento tradizionale come il didgeridoo fornisce al lavoro una propria peculiarità, fornendo al sound talvolta un tocco solenne ed ancestrale, proprio quello che serve per provare ad emergere e mettere la testa fuori dal gruppone.
In Australia, negli ultimi anni, è emersa senz’altro una scena capace di interpretare la materia estrema in maniera efficace e i Somniun Nox ne sono un nuovo e fulgido esempio.

Tracklist:
1. Soliloquy of Lament
2. The Alnwick Apotheosis
3. Transcendental Dysphoria

Line-up:
Nocturnal – Guitars, Bass, Didgeridoo
Ashahalasin – Vocals
Forge – Drums
Olkoth – Keys
J.A.H – Guitars

SOMNIUM NOX – Facebook

Opprobre – Le Naufrage

Un plauso alla scena transalpina che continua a far nascere band che conoscono l’arte di emozionare.

Sembra un anno significativo per il black metal miscelato con il post black! Alla conferma dei The Great Old Ones si aggiunge l’esordio di questa giovane band, Opprobre, francese di Montpellier composta da quattro musicisti, derivanti da band come Mysticisme e Antropofago, che hanno esordito nel 2016 con il singolo Abysses in digital download e ora sulla label francese Endless Decrepitude Productions, fanno uscire Le Naufrage interamente cantato in francese, con copertina suggestiva e splendida raffigurante il dipinto del 1842, Snow Storm, dell’artista William Turner.

La proposta musicale appare già matura nell’elaborare un black metal sia raw che melodico, impastandolo con suoni post black/ dark per creare un profondo mood atmosferico ricco di pathos decadente e oscuro; l’assenza di soli, un suono di bass guitar ben presente e intarsi di piano e keyboard fanno risaltare l’arte della band transalpina. Fin dall’opening track Discerner, introdotta da rumori di vento e onde perigliose, ci si inabissa in un viaggio “ignoto” su dolenti note di keyboard, mentre in Abysses il veliero beccheggia e mostri marini gonfiano l’oceano mai sazio di tributi umani. La prima delicata parte di Inconnue, punteggiata da impressionistiche note di piano, ci conduce verso sferzanti note black cariche di primitivi istinti dove dei vendicativi pretendono continui sacrifici umani: qui lo scream esibito è particolarmente acido e ficcante, mentre il guitar sound è realmente evocativo. La title track, uno dei brani migliori, distilla puro black metal in mid tempo, creando paesaggi sonori in cui la mente è incatenata in assurdi e liquidi incubi. Ulteriore menzione per il brano finale Danse Catatonique, che con i suoi dieci minuti porta a definitivo compimento l’opera dove un io immobile agli eventi attende inerme una fine nel nulla, poiché nulla é sempre stato. In definitiva, un plauso alla band francese autrice di un buon lavoro che non entrerà nelle classifiche di merito di fine anno, ma che rappresenta una delle tante piccole pepite rinvenute durante le nostre ricerche musicali.

TRACKLIST
1. Discerner
2. Abysses
3. L’Inconnue,
4. L’Inconnue, Pt. 2
5. Opprobre
6. Sensitive
7. Danse catatonique

LINE-UP
Cyril – Bass
Clément – Drums, Guitars, Synth
Vincent – Guitars, Vocals (lead)
Olivier – Guitars, Synth, Vocals

OPPROBRE – Facebook

Fen – Winter

Opere che emozionano cosi profondamente sono perle rare che non possiamo perdere.

Ritornano gli albionici Fen con il loro quinto full a tre anni di distanza da “Carrion Skies”, un altro meraviglioso opus, intriso di quella oscura vena malinconica, figlia diretta della paludosa zona dell’est dell’Inghilterra da cui provengono, le Fenland.

Il trio inglese, attivo dal 2007, continua ad elaborare un suono che si bilancia sempre meglio tra intuizioni post-rock e influssi black metal creando un equilibrio che ha pochi eguali; la nuova opera Winter, dalla copertina, come al solito, evocativa e dalle tinte pastello si dipana per una abbondante ora in sei movimenti (Pathway, Penance, Fear, Interment, Death, Sight) che descrivono il senso di perdita e l’eterno dilemma vita – morte, conducendo noi ascoltatori a un profondo viaggio interiore ricco di contrasti e dubbi; l’opera nella sua alternanza di atmosfere tristi, meditative e momenti black condotti con grande maestria da una solida sezione ritmica, da un guitar sound convinto e variegato e da uno scream incisivo, ha bisogno di essere centellinata con molti attenti ascolti perché, ad un approccio superficiale non rivela la sua alta qualità.
Le atmosfere suggestive sono molteplici, passando dall’ opener di diciassette minuti, Pathway, dove anime sferzate da tormente di neve urlano la loro ribellione all’infinito, al viaggio introspettivo di Fear dove una circolare melodia si infrange su stalattiti black affilate e disperate; l’urlo feroce di Death non lascia scampo e ci trasporta velocemente verso una “blessed death”, mentre i delicati arpeggi tinteggiati di ambient di Sight si aprono in una ultima decisa cavalcata che conclude un lavoro superbo … I Surrender, I Descend, I Dissolve, I End.
Da ricordare a lungo .

TRACKLIST
1. I (Pathway)
2. II (Penance)
3. III (Fear)
4. IV (Interment)
5. V (Death)
6. VI (Sight)

LINE-UP
Grungyn Bass, Vocals
The Watcher Guitars, Vocals
Derwydd Drums, Percussion

FEN – Facebook

Cold Body Radiation – The Orphean Lyre

Post rock, post metal, gothic, un po’ di black, dolci distorsioni e tanto tanto amore, che è solo differente da quello comune per un disco commovente, bellissimo, e luminoso, tanto luminoso.

Troppo spesso ci dimentichiamo che la musica è il principale veicolo dei nostri sogni, un Caronte che ci porta oltre, superando il nostro quotidiano, trascendendo il tutto. Invece, le note rimangono poveramente intrappolate, in schemi, stilemi, pregiudizi ed altre lenti morti.

I Cold Body Radiation riportano la musica in quota sopra le nuvole e ben al di sopra delle nostre umane facezie. Li ho conosciuti con Deer Twilight ed è stato immediato amore verso la loro triste gioia e la lieve gravità. Qui si superano nuovamente, andando ad addolcire maggiormente i loro suoni, seguendo un chiaro cammino tra Cure, post rock e un cuore che sanguina. Sono carezze, lievi strusciamenti di vite parallele che non potranno o non riusciranno ad incontrarsi mai, perché l’incompiutezza è l’unico segno tangibile e sincero dell’essere umano. Non ci sono mai cali o sbagli in questo disco, tutto fluisce come un fiume di vita, di calore, di gelo, di amore e di odio. Ogni tanto si possono ascoltare le precedenti stimmate del black metal, che anche qui è stato madre feconda per poi lasciare liberi ben presto il proprio figlio. La provenienza è l’Olanda, ma importa davvero poco il come e il quando, qui ci sarete solo voi e la musica, e quest’ultima è qualcosa di incredibilmente emozionante, volando alto come un’anima distaccata dal copro guarderete di sotto e forse capirete. Post rock, post metal, gothic, un po’ di black, dolci distorsioni e tanto tanto amore, che è solo differente da quello comune per un disco commovente, bellissimo, e luminoso, tanto luminoso.

TRACKLIST
1.the ghost of my things
2.sinking of a wish
3.all the little things you forget are stored in heaven
4.at sea
5.the orphean lyre
6.spiral clouds
7.you where missing
8.the forever sun

COLD BODY RADIATION – Facebook

Earth And Pillars – Pillars I

Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima.

Il black metal è uno dei linguaggi musicali più ricchi e vari che siano mai esistiti.

Come in un laboratorio si possono acquisire elementi e conoscenze standard per poi fare qualcosa di completamente nuovo, una fotografia di un angolo ancora sconosciuto. Gli Earth And Pillars fanno proprio questo, inventano un qualcosa che non c’era prima, seppur usando elementi conosciuti. Si potrebbe definire per facilità il loro black metal come atmosferico, mentre sarebbe più appropriato dire che lo suonano nell’atmosfera, poiché la loro musica porta lontano, molto lontano. Pillars I è un disco di valore assoluto, incredibile dalla prima all’ultima nota, contenente un miliardo di emozioni, di lacrime e voli radenti su foreste innevate, ma soprattutto di libertà, sia di creare che di immaginare. Il gruppo fa una musica che è in parte suono, ma in gran parte sentimento, un sentire diverso rispetto a quello che possiamo provare. Nelle loro lunghe canzoni si alternano sfuriate e pezzi quasi elettro ambient, per poi riprendere il viaggio, mischiando sudore, freddo e morte. L’atmosfera che pervade il disco, il suo nucleo più nascosto è un magma che brucia incessantemente, un continuo cercare, un sublimare il nostro destino di sofferenza. Da molto tempo non si ascoltava un disco come Pillars I in ambito black metal atmosferico, come in altri ambiti. Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima. Ognuno qui deve aggiungere qualcosa di suo, lasciando il suo io, perché qui c’è di meglio. Tastiere, chitarre distorte, caverne e radure incontaminate.
Chiudere gli occhi ed ascoltare.
Stupefacente, sognante e tremendamente vivo.

TRACKLIST
1.Pillars
2.Myth
3.Solemnity
4.Penn

EARTH AND PILLARS – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Atom – Spectra

Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature

Per la one man band Atom, l’ep Spectra arriva due anni dopo Horizons, un buon full length del quale avevo avuto l’occasione di parlare su IYE.

Rispetto a quel lavoro le coordinate stilistiche non cambiamo ma, semmai, vedono una valorizzazione dei loro aspetti migliori: il black metal atmosferico proposto da Fabio, musicista cesenate che è dietro il monicker Atom, è piuttosti diretto non perché banale, ma in quanto raggiunge lo scopo senza indulgere in tentazioni avanguardistiche o sperimentali.
Sia nelle parti più aspre, con le consuete accelerazioni ritmiche, sia in quelle più riflessive, il filo conduttore melodico è sempre in primo piano, rendendo questa mezz’ora scarsa di musica un’altra buona dimostrazione di capacità compositive.
Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene comunque ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature, operazione che avviene in maniera efficace in Night Sleeper, dove in un lasso di temo relativamente breve scorrono pulsioni depressive, postblack, epic e vocals che spaziano da evocative parti corali a stentorei passaggi pulite per arrivare, poi, al consueto screaming.
Proprio questo, come nel precedente lavoro, continua ad essere un aspetto dolente, rivelandosi di qualità inferiore al contesto strumentale nel quale viene inserito: talvolta viene esasperato in stile DSBM (Spectra), in altri momenti diviene più canonico ma stranamente risulta un po’ troppo effettato e relegato sullo sfondo a livello di produzione (Dasein).
Come in Horizons si rivela molto efficace il lavoro chitarristico nelle sue diverse sembianze, il che impreziosisce un album che denota un ulteriore passo avanti per un progetto in possesso di tutti i crismi per ritagliarsi un minimo di spazio vitale in un settore congestionato come non mai e nel quale, nonostante molti la pensino diversamente, il livello medio si sta decisamente alzando.

Tracklist:
1. Spectra
2. Night Sleeper
3. Dasein

Line-up:
Fabio – Vocals, Guitars, Drum programming

ATOM – Facebook

Lotus Thief – Gramarye

Gramarye è la manifestazione definitiva del talento musicale cristallino esibito dai californiani Lotus Thief.

L’ascolto di dischi di questa portata, composti da gruppi semi sconosciuti, non è solo una bella sorpresa ma costituisce, semmai, uno dei tanti buoni motivi per continuare tentare di scrivere di musica, visto che in caso contrario ben difficilmente avrei potuto imbattermici.

Qualcuno potrà obiettare con ragione che i Lotus Thief sono stati autori di un buonissimo album prima di Gramarye e che, per questo motivo, è strano che fino ad oggi io ne ignorassi l’esistenza, ma non ho alcuna remora ad ammetterlo e faccio, anzi, i complimenti più sinceri a chi li aveva già intercettati in occasione di Rervm; del resto, ciò che importa è quanto contenuto all’interno del disco oggetto della recensione, e parlare del passato di una band (facilmente reperibile in rete anche se ignota fino a quel momento) per lo più rappresenta un modo facile e indolore per allungare il brodo, quando gli argomenti da trattare scarseggiano.
Non è questo il caso, ovviamente, pertanto veniamo al dunque: Gramarye è la manifestazione definitiva del talento musicale cristallino esibito dai californiani Otrebor e Bezaelith, duo rodato ed integrato in quest’occasione dall’apporto di una Iva Toric che arricchisce ancor più i contenuti del lavoro, ridefinendo ancora un volta i confini del metal, un galassia in costante movimento ed espansione alla faccia dei detrattori e dei media italiani più importanti, i quali continuano a contrabbandarlo come una sorta di sub cultura appannaggio di drogati e disadattati.
Se costoro avessero orecchie per sentire forse cambierebbero radicalmente idea nello scoprire la bellezza e la profondità che i Lotus Thief riversano nel loro ultimo disco: Gramarye è un termine che in inglese arcaico stava ad indicare una forma di conoscenza occulta, ed infatti i cinque brani si ricollegano ad altrettante opere letterarie intrise di questa materia, in un viaggio millenario che parte dal Libro dei Morti dell’Antico Egitto per giungere fino all’era contemporanea, con The Book Of Lies di Aleister Crowley.
Un percorso magico ed affascinante, nel corso del quale la musa Bezaelith, sostenuta in più di un passaggio dal controcanto della Toric, ci guida supportata da un tappeto sonoro di inestimabile bellezza, per il quale è decisivo il contributo ritmico e compositivo offerto dal drummer Otrebor. Post black metal, space rock, ambient, dark, molte sono le etichette e le sfumature che si è tentati di affibbiare a queste sonorità: la verità è che nessuna di queste vi aderisce in maniera perfetta: se The Book Of Dead appare l’episodio più robusto e metallico, quindi definibile con più di una buona ragione post black, la più rarefatta Circe (qui il libro in questione è ovviamente l’Odissea) cambia il volto e l’umore del lavoro, mantenendo ugualmente elevata la tensione emotiva e lo spessore melodico.
Non viene meno tutto ciò neppure nelle successive The Book Of Lies, in una più ambientale Salem, dotata di una fase iniziale che crea la giusta attesa nei confronti di apertura graduale, ma sempre in qualche modo trattenuta, fino a giungere alla meravigliosa Idisi, brano memorabile per forza evocativa che, di fatto, arriva a finalizzare quanto preparato dalla canzone precedente.
Gramarye, seppure sia collocabile nello stesso segmento stilistico con una certa approssimazione, rischia seriamente di oscurare per valore un altro bellissimo lavoro come Kodama degli Alcest, anch’essi facenti parte di quella fabbrica inesauribile di tesori musicali meglio conosciuta come Prophecy Productions.

Tracklist:
1.The Book Of The Dead
2.Circe
3.The Book Of Lies
4.Salem
5.Idisi

Line-up:
Bezaelith – bass, synth, guitar, vox
Iva Toric – synth, backing vox
Otrebor – drums

LOTUS THIEF – Facebook

Endalok – Englaryk

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a se stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine.

Demo in cassetta per questo gruppo black provieniente dalla fertile Islanda, che ultimamente è molto incline al black metal, ed ovviamente, come tutte le cose che vengono da quell’isola è di ottima qualità.

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a sé stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine, come se si staccassero ombre dagli strumenti per invadere i nostri incubi. La loro musica sembra provenire da un ‘altra dimensione, la stessa nella quale stanno i demoni e coloro che sono morti invano. Gli strumenti sembrano ognuno andare per conto loro, ma in questa apparente dodecafonia il senso è chiaro: non c’è senso, e saremmo pazzi a cercarlo. Bisogna abbandonarsi a questo flusso di musica pesante ed ombre. Gli Endalok come detto prima, giocano in un campo tutto loro, con una proposta davvero particolare e molto interessante. Questa cassetta è soltanto la prima uscita per loro, poiché poi seguirà il disco su lunga distanza, sempre per la portoghese Signal Rex, che non sbaglia un gruppo. Questa è musica che funziona da porta dimensionale, si passa per andare oltre, seguendo il nostro destino. E’ davvero notevole il percorso che sta facendo il black metal, che grazie a dischi come questo entra in territori inesplorati e fertili, andando in mille direzioni con una velocità impressionante, in continua evoluzione.
Cassetta di un’altra dimensione.

TRACKLIST
1.Hræ Guðs Fargað
2.Óhugnaðurinn
3.Englaryk
4.Formlaust

ENDALOK – Facebook

Ars Moriendi – Sepelitur Alleluia

Ars Moriendi è un black metal davvero differente, essendo il black solo un punto fermo di partenza, poiché qui dentro troviamo tantissimo, soprattutto una trama compositiva molto vicina al jazz.

Nel medioevo, non quello che stiamo vivendo ma l’altro, quello migliore, e fino al diciassettesimo secolo, la sera della Septuagesima, ovvero la settantesima sera prima della pasqua cristiana, il coro della chiesa seppelliva simbolicamente l’Alleluia durante un funerale simbolico.

Ciò perché l’Alleluia nella liturgia cristiana rappresenta la gioia, per cui il suo seppellimento indicava l’inizio di un duro periodo di meditazione e di pentimento, dove non vi era spazio per gioia e felicità, il tutto nel più pieno spirito medioevale.
Come si poteva esprimere questi sentimenti se non con del black metal, come quello di Arsonist, l’uomo dietro a Ars Moriendi? Questo disco è costruito intorno ad un accadimento liturgico, per espandersi come il ghiaccio nelle fredde notti d’inverno. Il seppellimento dell’Alleluia è il preteso per ricercare con un atmospheric black all’interno dell’animo medioevale la ragione per questa lunga penitenza, indagano un volta di più il nostro male oscuro, che è peggiorato da quando c’è il cristianesimo. Ars Moriendi è poi un black metal davvero differente, essendo il black solo un punto fermo di partenza, poiché qui dentro troviamo tantissimo, soprattutto una trama compositiva molto vicina al jazz. Grazie a tutti questi elementi il disco funziona benissimo, ed è un notevole documento sonoro, una dimostrazione che con il black si possono fare grandi cose, poiché riesce a descrivere benissimo alcuni stati d’animo che si legano chimicamente alle ombre, che sono dentro e fuori di noi. Il mondo di Ars Moriendi è perduto per la maggior parte degli umani, ma chi ascolterà questo disco con uno certo spirito, ritroverà molte cose importanti. Il metal viene percorso per gran parte, con alcuni riff che ci riportano al vero metal anni ottanta, per poi arrivare addirittura ad inserti trip hop. Varietà ma non confusione, ed una grande forza compositiva per un album molto bello, moderno ma antico nello stesso tempo.

TRACKLIST
01. Sepeliture
02. Ecce homo
03. A La Vermine
04. Je Vois Des Mortes
05. Fleau Francais

ARS MORIENDI – Facebook

Svoid – Storming Voices of Inner Devotion

Album molto originale, prodotto benissimo e dall’assoluta qualità compositiva

Non mi starò a dilungare su quanto le etichette date alla musica in generale siano molte volte riduttive se non fuorvianti e mentre a chi scrive servono per lasciare un minimo di indicazione per il lettore, in alcuni casi diventano dei boomerang che si abbattono sul recensore di turno che, magari in buona fede, cerca di spiegare l’arte musicale contenuta in un album.

Storming Voices Of Inner Devotion è uno di questi album, pregno di così tanta originalità da mettere in difficoltà più di un ascoltatore, figuriamoci chi oltre ad ascoltare deve pure provare a descriverlo.
Post black metal, parto da qui e in effetti molte ritmiche, l’aura oscura che aleggia sui brani e l’uso dello scream portano sicuramente verso questa direzione, ma basta un attimo agli Svoid per far cadere tutte le certezze che ad un primo e superficiale ascolto ci siamo creati, allargando i confini persino di questo genere che, partendo da una solida base black, dona sfumature diverse a seconda di chi ci si approccia.
Il gruppo (un terzetto) è attivo dal 2009, proviene dall’Ungheria e questo lavoro è il suo secondo full length, successore di To Never Return del 2013 e del debutto in formato ep uscito nel 2011 (Ars Kha).
Storming Voices of Inner Devotion è un bellissimo affresco di musica estrema, il black metal è sicuramente una parte importante del sound proposto, ma il gruppo va oltre, cercando (riuscendoci) di rompere un bel po’ di barriere, non solo tra i generi estremi, convogliando note figlie di altri mondi musicali,in un unico spartito.
Musica estrema dall’alto tasso progressivo, questo è certo, ritmiche ed atmosfere rock che si incontrano e lasciano spazio a parti metalliche in modo talmente naturale (o cosi la band le fa sembrare) che, appunto, bisognerebbe trovare un’etichetta specifica solo per la musica degli Svoid.
Loro la chiamano anti-cosmic metal, io per questa volta ci rinuncio e vi lascio alle bellissime Crown Of Doom, Never To Redeem, all’irresistibile chorus di Eternal , al basso che sa tanto di The Cure di Forlorn Heart e alla furia estrema della conclusiva In Damnation Vast.
Album molto originale, prodotto benissimo e dall’assoluta qualità compositiva, un perfetto vestito nero cucito con stoffa proveniente dal black, dall’alternative, dal dark e dal prog moderno, la taglia non conta, magicamente vi si cucirà addosso e non riuscirete più a toglierlo.

TRACKLIST
1. Through the Horizon
2. Crown of Doom
3. Never to Redeem
4. Death, Holy End
5. Eternal
6. A Mind in Chains
7. Lefelé a setét mélységbe
8. Forlorn Heart
9. Bloodline
10. Long I’ve Gone (Where All Sinks)
11. In Damnation Vast

LINE-UP
S – Bass, Vocals, Guitars
Dániel – Drums, Vocals
Gergő – Guitars, Vocals

SVOID – Facebook