Profound Evil Presence è un rantolo di blasfemia proveniente dall’angolo più buio dell’inferno, un sound che, prendendo spunto dalla scuola di Venom, Possessed e Darkthrone, si rinvigorisce di un impatto thrash/black e travolge con la sua accentuata natura estrema.
Old School nel sound ed assolutamente anticristiani per quanto riguarda testi ed attitudine, i brasiliani Power From Hell tornano a portare il loro messaggio infernale sulla scena musicale mondiale.
Profound Evil Presence è un abominio black/thrash ispirato dalla scuola ottantiana, un lavoro che brucia, avvolto dalle fiamme dell’inferno.
I Power From Hell non sono certo un gruppo di novellini, perché la loro storia inizia all’alba del nuovo millennio e con quest’ultimo lavoro arrivano al sesto album della loro luciferina discografia.
Un’atmosfera catacombale, una produzione in linea con l’attitudine old school e un’anima devota alla fiamma nera nutrono questo nuovo lavoro, composto da undici brani estremi in cui satanismo, pornografia, blasfemia, terrore e morte trovano la loro colonna sonora.
Profound Evil Presence è un rantolo di blasfemia proveniente dall’angolo più buio dell’inferno, un sound che, prendendo spunto dalla scuola di Venom, Possessed e Darkthrone, si rinvigorisce di un impatto thrash/black e travolge con la sua accentuata natura estrema.
Tracklist
1. Nightmare
2. When Night Falls
3. False Puritan Philosophies
4. Lust, Sacrilege & Blood
5. Nocturnal Desire
6. Unholy Dimension
7. Lucy’s Curse
8. Diabolical Witchcraft
9. Into The Sabbath
10. Elizabeth Needs Blood
11. Demons Of The Night
Line-up
Sodomic – Guitars and Vocals
Tormentor – Bass
T. Splatter – Drums
End Of Days conferma la band indiana come una delle realtà più convincenti in ambito estremo di matrice moderna, con ancora Lamb Of God, Machine Head e DevilDriver ad ispirare Samron Jude e soci.
Si torna a parlare di metal estremo in arrivo dalla lontana India con l’ultimo lavoro dei modern Thrashers Systemhouse 33, band capitanata dal cantante Samron Jude e di cui abbiamo parlato già in passato, all’epoca delle uscite di Depths of Despair (2013) e Regression (2016).
Incentrato sulle tematiche del Libro dell’Apocalisse, questo nuovo lavoro intitolato End Of Days cambia ancora una volta le carte in tavola per quanto riguarda il sound, che se nei due album precedenti passava dal metal panterizzato del primo all’impatto più core del secondo, qui si trasforma in un thrash metal progressivo ed assolutamente distruttivo, sempre dall’anima moderna, ma con un lavoro ritmico fantasioso e sopra le righe.
Il leader al microfono ci racconta dell’apocalisse a cui va incontro l’umanità con una carica violentissima, passando dal growl allo scream con buona padronanza del mestiere, mentre il gruppo crea muri sonori intricati che a tratti esplodono in violente ripartenze thrash metal.
L’opener Apocalypse, la devastante Great Tribulation e la death/thrash Rapture sono i brani top di questo ennesimo macello sonoro firmato dai Systemhouse 33
End Of Days conferma la band indiana come una delle realtà più convincenti in ambito estremo di matrice moderna, con ancora Lamb Of God, Machine Head e DevilDriver ad ispirare Samron Jude e soci.
Tracklist
1.Day Of Reckoning
2.Rapture
3.End Of Days
4.Lake Of Sorrow
5.Stand Up
6.Apocalypse
7.Prophesied 03:16
8.Great Tribulation
9.Cry Of Anguish
Line-up
Samron Jude – Vocals,
Leon Quadros – Bass
Mayank Sharma – Drums
Vignesh V – Guitars
Un lavoro distruttivo, tecnicamente ineccepibile ma consigliato solo ai fans del metal estremo di stampo death/thrash.
Il 2019 segna il ritorno dei deathsters tedeschi Sinners Bleed, quintetto nato nella seconda metà degli anni novanta ma con un solo album alle spalle, From Womb To Tomb, licenziato nel 2003.
Purtroppo i molti problemi legati alla line up, hanno fermato a lungo il cammino del gruppo nella scena death metal europea, un silenzio durato sedici anni che si interrompe grazie ad Absolution, di fatto la rinascita per i Sinners Bleed.
Absolution, disco di death metal potenziato da feroci accelerazioni thrash ed ispirato alla scena statunitense, non dà tregua, ci prende per il colletto e ci sbatte al muro, mentre una serie di ganci al basso ventre ci lasciano inermi a terra.
Dieci brani tra Obituary e Machine Head, una prova di forza che non lascia dubbi sulla voglia di rifarsi del quintetto berlinese, grazie ad un sound che nel genere risulta un muro sonoro invalicabile.
Tempo per scaldare i motori con l’intro e Age Of The Crow inizia a martellare i padiglioni auricolari senza pietà, la tecnica non manca di certo al combo che si inerpica per spartiti intricati dando sfoggio di bravura oltre che d’impatto.
Solos che si avvolgono come serpenti tra le ritmiche telluriche di brani portentosi come The Second Being o Behind The Veil, l’album vive di scossoni estremi, concedendo poco alla melodia che rimane travolta dall’impatto violento e senza compromessi.
Un lavoro distruttivo, tecnicamente ineccepibile ma consigliato solo ai fans del metal estremo di stampo death/thrash.
Tracklist
1. Intro
2. Age Of The Crow
3. Gleaming Black
4. The Second Being
5. Devouring Hatred
6. Behind The Veil
7. Dawn Of Infinity
8. Absolution
9. Obedience
10. Jesus’ Delusion Army
Line-up
Jan Geidner – Vocals
Sebastian Ankert – Guitar
Arne Maneke – Guitar
Henrik Fuchs – Bass
Eric Wenzel – Drums
Band tedesca esistente dal 1991, gli Out Of Order sono fautoridi un power thrash metal old style che mostra però riff stantii, parti vocali spesso confuse e poco centrate ed una grinta che non riesce ad uscire degnamente dai solchi di Facing the Ruin.
Grande rispetto per gli Out Of Order, cult band tedesca che arriva al terzo album ufficiale in ventotto anni di vita e di concerti macinati soprattutto nelle lande germaniche.
Sicuramente il personale tecnico sfoggiato per questa release è di grande lignaggio: le parti vocali sono state prodotte da Ralf Scheepers (Primal Fear), le chitarre da Markus Ullrich (Lanfear, Septagon) e il mixing finale è stato curato da Dirk Burke (Knorkator, Pyroclasm, Dritte Wahl) al Lakeside Studios a Berlino. Concludiamo con un breve contributo vocale di Liv Kristine (Theatre of Tragedy, Leaves’ Eyes) nella canzone On The Rise. Tutto questo per uno stile che si annuncia come una fusione del Thrash Metal della Bay Area degli anni ottanta con un innesto di melodia che dovrebbe rendere i pezzi più assimilabili.
Anche a costo di non voler essere spietati, quello che si ascolta in Facing The Ruin non corrisponde a questa descrizione; Watching You esordisce sorprendendo, con sound, stile e parti vocali prese in prestito dai Savatage, ma senza mordente e con una ricerca melodica inconcludente. Il resto del disco alterna senza continuità riff già sentiti a parti veloci che si assomigliano un po’ tutte, unite a soluzioni vocali che vorrebbero essere varie ma che risultano quasi sempre poco efficaci e male eseguite. Non c’è un solo ritornello che rimanga in mente, tra citazioni dei primi Metallica e vaghi rimandi allo stile vocale tanto caro ai Rammstein. Non c’è grinta nei solchi del disco, e non possiamo attribuire tutte le colpe ad una produzione fredda e spenta. La passione certamente porta avanti gli Out Of Order, ma senza una idea chiara musicale e qualche buona canzone, non potrà mai essere sufficiente per promuovere Facing The Ruin, che resta negli annali come uscita mediocre ed occasione sprecata.
Tracklist:
1. Watching You
2. Self Deception
3. What For
4. The Sniper
5. Guilty
6. Tears
7. God Is Angry
8. On The Rise
9. Blood Vengeance
10. Apocalypse
Line-up:
Thorsten Braun – vocals
Thomas Bauer – guitar
Sven Mittelstädt – guitar
Thomas Heinzmann – bass
Michael Kapelle – drums
I Protector tirano su, a forza di riff sparati a velocità proibitive e ritmiche da bombardamento, un muro metallico invalicabile risultando per il genere suonato una band su cui si può sicuramente contare.
Non cambia di una virgola il sound dei Protector, al settimo sigillo di una discografia infinita, tra demo, split, compilation ed appunto sette lavori sulla lunga distanza compreso questo inossidabile Summon The Hordes.
A tre anni di distanza dal precedente Cursed And Coronated, la band tedesco/svedese ci investe ancora una volta con il suo thrash metal di scuola teutonica, un carro armato metallico con le scritte Sodom-Kreator-Destruction in evidenza sulla bocca del cannone.
I Protector però non sono semplicemente dei cloni: la loro storia, partita a metà anni ottanta non lascia dubbi sulla loro attitudine old school, così come un impatto che non ha nulla da invidiare alla famosa triade del thrash metal europeo.
Un sound, quello dei Protector, rimasto fedele a sé stesso per oltre tre decenni, quindi se amavate la band prima di questo lavoro, sicuramente Summon The Hordes non vi deluderà.
Voce cartavetrata, ritmiche speed/thrash, cavalcate metalliche e accelerazioni devastanti persistono nel sound di queste dieci nuove bombe sonore, assolutamente ignoranti e senza compromessi così come il thrash metal di matrice old school vuole.
Difficile trovare un brano che più rappresenti il gruppo, i Protector tirano su, a forza di riff sparati a velocità proibitive e ritmiche da bombardamento, un muro metallico invalicabile risultando per il genere suonato una band su cui si può sicuramente contare.
Tracklist
1. Stillwell Avenue
2. Steel Caravan
3. Realm of Crime
4. The Celtic Hammer
5. Two Ton Behemoth
6. Summon the Hordes
7. Three Legions
8. Meaningless Eradication
9. Unity, Anthems and Pandemonium
10. Glove of Love
Line-up
Martin Missy – vocals
Michael Carlsson – guitar
Mathias Johansson – bass
Carl-Gustav Karlsson – drums
I Death Angel hanno composto e suonato un’opera di metallo esaltante, potente, veloce, diretto ma a tratti progressivo, prodotto impeccabilmente e moderno senza smarrire l’attitudine old school.
Lasciando da parte Metallica e Megadeth, ormai lontani dallo spirito thrash metal dei bei tempi, l’alter ego della sacra triade teutonica (Sodom- Kreator- Destruction) negli Stati Uniti è ormai formato da Testament, Overkill e Death Angel.
La band di San Francisco che originariamente era formata da giovanissimi musicisti originari delle Filippine e che, negli anni ottanta, mise a ferro e fuoco la Bay Area con album eccezionali come The Ultra-Violence e Frolic Through the Park, torna con un nuovo lavoro, l’ennesima spettacolare prova di forza della seconda parte di carriera, quella iniziata dopo il lungo stop degli anni novanta con The Art Of Dying e proseguita con una serie di prove che l’hanno riportata sul podio dei gruppi dediti al caro vecchio thrash metal. Humanicide, nuovo album uscito per Nuclear Blast, conferma tutto ciò, aumenta anzi le quotazioni di un combo che ad oggi non trova limiti, sia a livello tecnico che di songwriting, pubblicando il degno successore dei due capolavori che lo hanno preceduto (The Dream Calls for Blood e The Evil Divide).
A noi non piace il noioso track by track, ma la scaletta di Humanicide andrebbe nominata tutta, una traccia per volta per non lasciare indietro nulla di quello che il quintetto californiano ha composto e suonato, creando un’opera di metallo esaltante, potente, veloce, diretto ma a tratti (come da tradizione), progressivo, prodotto impeccabilmente e moderno senza smarrire l’attitudine old school.
Registrato e mixato da Jason Suecof (Deicide, Trivium) e masterizzato da Ted Jensen (Slipknot, Pantera), accompagnato dalla spettacolare copertina creata da Brent Elliott White (Lamb Of God, Megadeth), Humanicide non fa prigionieri e, lanciato come un missile verso Marte, spara undici cannonate ad altezza d’uomo, valorizzate da una prestazione fuori categoria del quintetto guidato da quei monumenti al thrash metal che sono Rob Cavestany e Mark Osegueda.
Dovendo citare qualche brano, quindi, si può partire dalla title track e farsi piacevolmente torturare i padiglioni auricolari dalle devastanti Divine Defector e Aggressor, dallo spettacolo assicurato dalla lunga Immortal Behated e dall’heavy metal della splendida Revelation Song.
I Death Angel sono tornati e per quest’ anno con il thrash metal direi che siamo giunti al massimo del livello raggiungibile, perché fare di meglio è davvero difficile, se non impossibile.
Tracklist
1. Humanicide
2. Divine Defector
3. Aggressor
4. I Came for Blood
5. Immortal Behated
6. Alive and Screaming
7. The Pack
8. Ghost of Me
9. Revelation Song
10. On Rats and Men
11. The Day I Walked Away
Line-up
Rob Cavestany – Guitars
Mark Osegueda – Vocals
Ted Aguilar – Guitars
Damien Sisson – Bass
Will Carrol – Drums
Giovanissimi e arrabbiati, i Three Dead Fingers arrivano all’esordio su lunga distanza sotto l’ala della Bleeding Music Records e ci investono con il loro metal estremo composto da un’adrenalinica miscela di melodic death metal e thrash metal classico.
Giovanissimi e arrabbiati, i Three Dead Fingers arrivano all’esordio su lunga distanza sotto l’ala della Bleeding Music Records e ci investono con il loro metal estremo composto da un’adrenalinica miscela di melodic death metal e thrash metal classico.
Il giovane quintetto proveniente da Stoccolma (si parla di ragazzi poco più che adolescenti) si impone all’attenzione del pubblico metallico per un impatto ed un’attitudine da veterani, il loro lavoro convince sotto tutti i punti di vista, solido e spettacolare in molti passaggi, perfetto nell’uso delle voci che si alternano in un’orgia infernale tra growl scream e clean, massiccio e colmo di veri e propri inni da cantare a sotto il palco.
Le influenze dei Three Dead Fingers sono da annoverare tra una serie di gruppi storici dei generi che compongono il sound di Breed Of the Devil, dagli Slayer agli Arch Enemy, dai primi Sepultura ai Dissection, per lasciare agli Iron Maiden la paternità di quel tocco heavy che spunta qua e là tra le varie tracce.
Dall’opener Black Rainbows in poi verrete catapultati nel mondo senza compromessi che i Three Dead Fingers hanno creato, composto da un sound adrenalinico, fughe e cavalcate metalliche da applausi, accelerazioni ritmiche da infarto e chorus che si piantano in testa al primo passaggio, pur rimanendo legati ad un’attitudine assolutamente estrema.
La title track, Nocturnal Gates, Eveline sono i brani che maggiormente spiccano all’interno di questo ottimo e convincente debutto.
Tracklist
1.Until the Morning Comes
2.Black Rainbows
3.Into the Bloodbath
4.Celestial Blasphemy
5.Breed of the Devil
6.A Virus Called Life
7.Pighead
8.Nocturnal Gates
9.Eveline
10.Goodbye
11.House of the Careless
Line-up
Gustav Jakobsson – Bass
Anton Melin – Drums
Remy “Fiskis” Strandberg – Guitars
Adrian Tobar Hernandez – Guitars
Oliwer Bergman – Vocals, Guitars
Con le sue undici esplosioni di rabbia senza soluzione di continuità, Sopravvissuti non lascia scampo: drammatico, violento, rabbioso, grazie a brani potentissimi, a tratti veloci o pervasi da mid tempo possenti come un colosso musicale che avanza lento ed inesorabile.
I Reatzione sono un quartetto di musicisti provenienti dalla Sardegna e Sopravvissuti è il loro manifesto sonoro, licenziato da Dark Hammer Legion / Volcano Records.
La band, nata nel 2015 da un’idea del chitarrista Alessandro Ciuti, crea un muro sonoro invalicabile di thrash/groove metal, con la particolarità del cantato in lingua sarda, in alternanza a quella italiana.
Sopravvissuti è composto da undici mazzate metalliche potentissime, il gruppo dopo vari aggiustamenti di line up risulta un compatto carro armato musicale, che in poco più di mezzora spazza via ogni cosa al suo passaggio.
I testi affrontano vari argomenti, dai problemi politico/sociali a livello europeo, agli incendi che da sempre devastano la vegetazione dell’isola, con il metal di matrice thrash/groove metal a fare da colonna sonora.
Con le sue undici esplosioni di rabbia senza soluzione di continuità, Sopravvissuti non lascia scampo: drammatico, violento, rabbioso, grazie a brani potentissimi, a tratti veloci o pervasi da mid tempo possenti come un colosso musicale che avanza lento ed inesorabile.
In un contesto così compatto e possente spiccano, la title track, il lento incedere stoner /doom di Accabadora e la thrashy Fizu, sunto compositivo di un lavoro il cui muro sonoro trae le sue maggiori ispirazioni da Sepultura, Soulfly, Hatebreed e Down.
Tracklist
1.Raikinas
2.Inferru
3.Sopravvissuti
4.Bestia
5.Incubi
6.Fame
7.Acabbadora
8.L’inizio Della Fine
9.Rispetto
10.Fizu
11.Meno di un Verme
Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.
Oigres è il nuovo progetto solista che vede all’opera Sergio Vinci, conosciuto nell’ambiente estremo italiano anche per essere stato il leader degli ottimi Lilyum, una delle migliori espressioni nazionali a mio avviso per quanto riguarda il black metal nelle sue vesti più ortodosse.
I brani contenuti in questo lavoro hanno però ben poco a che vedere con quell’esperienza, se non per l’approccio diretto e rabbioso che qui si estrinseca sotto forma di un thrash/groove hardcore cantato prevalentemente in italiano e che, anche per questo, rimanda a livello attitudinale a gruppi come i Negazione e relativa genia di provenienza piemontese.
I testi abrasivi, ma non privi di slanci poetici, sono sorretti da un sound che non si perde in preamboli ma va dritto all’obiettivo lasciando spazio a tempi più diluiti solo nella pregevole traccia ambient di chiusura, Outro – Openclosed.
Come detto, il nome Lilyum vale qui essenzialmente quale sorta di garanzia della bravura e della sincerità di un musicista come Sergio, che qui si disimpegna in maniera lineare ma alquanto efficace anche nelle vesti di cantante.
Brani come Fermo,Lontano Da Me e Stella, in particolare, sono sferzate di energia contenenti un’urgenza espressiva che, probabilmente, all’interno di una band rischiava d’essere in qualche modo mediata o filtrata, mentre lo stesso monicker prescelto testimonia ampiamente come questa nuova avventura sia, per Sergio Vinci, un qualcosa di intimo, al riparo da qualsiasi interferenza esterna dal punto di vista prettamente compositivo. Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: anche se, come si può intuire dalla mia premessa, non posso considerare la fine dei Lilyum come una buona notizia, la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.
Tracklist:
1. Intro – Lifog
2. Fermo
3. Lontano Da Me
4. Stella
5. I Am
6. Scivola Via
7. No Fear, No Truth
8. Outro – Openclosed
Si passa con disinvoltura da cavalcate heavy metal a brani diretti e speed thrash, in parte penalizzati dalla poco curata parte cantata, mentre la buona preparazione al basso ed alla chitarra alzano di qualche punto il valore di un album assolutamente rivolto ai soli appassionati del genere.
Proposta all’insegna del più puro underground quella di questa one man band di origine messicana denominata Hellnite, creatura del polistrumentista Paolo Belmar.
Attivi come band dal 2013, con l’uscita dell’ep Manipulator, gli Hellnite ricominciano dal Canada dove Belmar si è trasferito per poi esordire con questo full length intitolato Midnight Terrors, licenziato dalla Sliptrick Records.
L’album si compone di nove brani dalle ispirazioni heavy/thrash old school: discreto il songwriting, buona la prova strumentale, ma poco incisiva la prova al microfono, questi sono in poche parole i pregi ed i difetti di Midnight Terrors, album che potrebbe trovare buoni riscontri tra gli amanti del thrash metal anni ottanta.
Si passa con disinvoltura da cavalcate heavy metal a brani diretti e speed come Thrash Of The Living Death, in parte penalizzati dalla poco curata parte cantata, mentre la buona preparazione al basso ed alla chitarra alzano di qualche punto il valore di un album assolutamente rivolto ai soli appassionati del genere.
Iron Maiden, Slayer, Sodom e Destruction sono le band storiche che escono prepotentemente dall’ascolto di Midnight Terrors, mentre lo strumentale Darker Than Black e l’aggressiva Necromancer si rivelano i brani più riusciti.
La strada è lunga e difficile per il musicista messicano, anche se tra i solchi dell’album non mancano quegli spunti interessanti su cui poter lavorare in futuro.
Tracklist
1.Projection
2.Phantom Force
3.Spirits Prevail
4.Beasts From The Deep
5.Thrash Of The Living Dead
6.Darker Than Black
7.Stage On Fire
8.The Necromancer
9.Midnight Terrors
La giostra gira vorticosa, le tracce si susseguono spazzando via tutto come sferzate di un vento metallico tempestoso dove i tanti cenni ai maestri dell’heavy thrash metal anni ottanta non fanno che confermare l’assoluta dedizione e attitudine dei Seax.
Attivi da una decina d’anni e con tre full length rilasciati tra il 2012 ed il 2016, tornano con il loro speed/thrash metal vecchia scuola i Seax, band proveniente da Worchester in Massachusetts.
Licenziato dalla Shadow Kingdom Records, il nuovo album intitolato Fallout Ritualsnulla aggiunge e nulla toglie non solo al quartetto statunitense ma a tutto un genere, radicato nella scena underground degli anni ottanta.
I Seax non si nascondono certo dietro un dito, sono una band nata per travolgere gli ascoltatori con ritmiche velocissime ed un impatto diretto, lasciando all’esperienza live l’ultima parola sulle proprie capacità.
L’opener Fallout funge da conto alla rovescia prima Rituals ci investa con tutta la sua potenza old school, tra solos vorticosi, voce aggressiva che non rinuncia all’uso del falsetto ed un approccio assolutamente senza compromessi. Bring Down The Beast, Interceptor e gli altri brani che compongono il nuovo album dei Seax non concedono pause, la giostra gira vorticosa, le tracce si susseguono spazzando via tutto come sferzate di un vento metallico tempestoso dove i tanti cenni ai maestri dell’heavy thrash metal anni ottanta non fanno che confermare l’assoluta dedizione e attitudine della band.
Inutile affermare che Fallout Rituals è pane solo per i denti degli heavy/thrashers dai gusti old school, chiunque non porti ancora jeans stretti, chiodo e scarpe da ginnastica giri alla larga dai Seax e dalla loro musica.
Tracklist
1.Fallout
2.Rituals
3.Killed by Speed
4.Bring Down the Beast
5.Feed the Reaper
6.Interceptor
7.Winds of Atomic Death
8.Legions Arise
9.Riders of the Oldworld
10.Born to Live Fast
…But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.
Dal più oscuro underground estremo tricolore arrivano i Polymorphia, band proveniente da Lecco al debutto con questo ep di cinque brani intitolato …But Secretly We Thirst.
Il gruppo, nato nel 2017, è composto attualmente dai tre membri fondatori Matteo Tagliaferri alla batteria, Davide Maglia alla chitarra, Silvio Bergamaschi al basso, ai quali si è aggiunto il cantante Luca Beloli.
L’ep mostra una band con buone potenzialità, il cui sound è un oscuro death metal con richiami al thrash di matrice statunitense, valorizzato da un buon lavoro chitarristico e brutalizzato dal possente e profondo growl di cui è capace il vocalist.
L’atmosfera che si respira tra il solchi di questi primi cinque brani segue le tematiche ispirate ad autori come H.P. Lovecraft, Hermann Hesse, Dickens e Lautréamont e all’analisi sulla mente umana ed i suoi misteri, con la musica che, tra Morbid Angel e Slayer, imprime il suo marchio metallico su brani dall’ottimo tiro come l’opener Ode To The Ocean, la title track e Madness Dream, traccia molto interessante conclusa da un lento passaggio dai rimandi doom/death.
Prodotto dalla Vomit Arcanus Production, …But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.
Tracklist
1.Ode To The Ocean
2….But Secretly We Thirst
3.Fog
4.Madness Dream
5.Censer
Cease To Exit spazza via tutto in poco tempo, ma alla fine ci sarà molto da ricostruire perché, dopo un simile micidiale terremoto sonoro, rimarranno solo le macerie a ricordarci del passaggio dei Noisem.
Death, thrash, grindcore, punk, il tutto mescolato in un folle cocktail estremo chiamato Cease To Exist, nuovo album degli statunitensi Noisem, ex Necropsy arrivati al terzo full length.
Il trio di Baltimora ritorna sul mercato tramite la 20 Buck Spin con questo dinamitardo lavoro composto da dieci brani per appena ventuno minuti di massacro sonoro, nel quale i generi descritti formano una devastante esplosione che forma un fungo atomico di proporzioni bibliche.
Diretto e perfetto nella sua aggressività misurata, nella durata ma non negli effetti, Cease To Exittorna a rinverdire i fasti del grindcore di matrice Terrorizer/Repulsion/primi Napalm Death, con una carica esplosiva che non lascia spazio ad altro che non sia un sound riottoso e belligerante.
Si sale sulle barricate con Constricted Cognition e Deplorable per non scendere più fino alla conclusiva Ode To Absolution, guidati da Harley Phillips, Sebastian Phillips e Ben Anft , mentre le ossa si accumulano tra blast beat, vocals al vetriolo ed una ben delineata attitudine punk/hardcore. Cease To Exit spazza via tutto in poco tempo, ma alla fine ci sarà molto da ricostruire perché, dopo un simile micidiale terremoto sonoro, rimarranno solo le macerie a ricordarci del passaggio dei Noisem.
Tracklist
1.Constricted Cognition
2.Deplorable
3.Penance for the Solipsist
4.Putrid Decadence
5.Filth and Stye
6.Eyes Pried Open
7.Sensory Overload
8.Downer Hound
9.So Below
10.Ode to Absolution
Line-up
Harley Phillips – Drums
Sebastian Phillips – Guitars
Ben Anft – Vocals, Bass
The Fallen Entities è un bombardamento death/thrash metal che non concede tregua, ruvido, diretto e old school, dal lavoro ritmico più vario rispetto a quello di molte altre band, ma sempre legato ad un genere che ha come base un muro sonoro massiccio e potente.
Tornano gli storici Opprobrium, band di New Orleans nata a metà anni ottanta come Incubus e trasformatasi nella devastante realtà odierna nel 1999 per volere del batterista Moyses M. Howard e del chitarrista/cantante Francis M. Howard.
The Fallen Entities è il sesto lavoro sulla lunga distanza, un bombardamento death/thrash metal che non concede tregua, ruvido, diretto e old school, dal lavoro ritmico più vario rispetto a quello di molte altre band, ma sempre legato ad un genere che fa del muro sonoro massiccio e potente la base per brani che pescano a pari misura dal thrash anni ottanta (Slayer) e dal death metal di scuola statunitense dei primi anni del decennio successivo.
Niente di nuovo rispetto a quanto fatto in passato dal duo dunque, ma è indubbio che l’impatto di brani come le telluriche Creation That Affect o la title track, brano top dell’album con la lunga e a suo modo progressiva Throughout The Centuries.
Lavoro rivolto ai fans del death/thrash più ignorante e violento, The Fallen Entitiesè un macigno estremo potentissimo e senza compromessi.
Tracklist
1. Dark Days, Dark Times
2. Creations That Affect
3. Wicked Mysterious Events
4. The Fallen Entities
5. Throughout The Centuries
6. Turmoil Under The Sun
7. In Danger
8. Obstructive Behaviour
Line-up
Moyses M. Howard – Drums
Francis M. Howard – Guitars, Vocals
La band suona un heavy thrash old school che tradisce ispirazioni americane, quindi dal grande impatto, ben prodotto, veloce e basato su un lavoro strumentale di buona fattura.
Dal Lussemburgo arrivano i Lost In Pain, realtà di tutto rispetto dell’underground metallico europeo, arrivati con questo nuovo album al terzo su lunga distanza dopo il debutto omonimo del 2011 ed il precedente Plague Inc. licenziato nel 2015.
La band suona un heavy thrash old school che tradisce ispirazioni americane, quindi dal grande impatto, ben prodotto, veloce e basato su un lavoro strumentale di buona fattura.
I primi Metallica sono probabilmente la band che più si avvicina al sound del quartetto di Niedercorn, composto da Hugo Centeno (voce e chitarra), Dario Raguso (chitarra), Luca Daresta (batteria) e Nathalie Haas (basso), che partono a manetta con la title track e arrivano al traguardo passando per devastanti accelerazioni, groove e mid tempo pesantissimi.
La loro attitudine old school è mitigata da una produzione in linea con quanto proposto oggigiorno, punto a favore dei Lost In Pain che risultano tradizionalisti nel sound ma sul pezzo in quanto a scelte in sala d’incisione.
Accenni a qualche sfumatura estrema a livello d’impatto fanno il resto e brani possenti come Rebellious Protesters o A Word risultano delle potenti mazzate heavy/thrash, così come funzionano le melodie metalliche della semi ballad in crescendo God Of Destruction.
In conclusione Gold Hunters è un album diretto, potente e ben suonato, assolutamente consigliato agli amanti del thrash metal di matrice statunitense.
Tracklist
1.Gold Hunters
2.Mining for Salvation
3.Revolt
4.Rebellious Protesters
5.Burnout
6.A Word
7.God of Destruction
8.The Great Illusion
Line-up
Hugo Centeno – Vocals / Lead Guitar
Dario Raguso – Guitar / B.Vocals
Luca Daresta – Drums
Nathalie Haas – Bass / B. Vocals
Immaculate Preconception si rivela un ep davvero suggestivo, tra i più riusciti ultimamente nel suo ambito: i Necrofili con sagacia sanno manipolare la materia creando un sound che, anche se a tratti può ricordare i Necrodeath, risulta ugualmente personale e molto coinvolgente.
Tornano con un nuovo ep i laziali Necrofili, attivi dal 2005 e con alle spalle due lavori su lunga distanza, il debutto omonimo uscito proprio nell’anno di inizio attività e The End Of Everything licenziato nel 2017, dodici anni dopo il precedente lavoro.
Il gruppo capitanato da Carlo Pelliccia (voce e chitarra) e Marco Dalmasso (batteria), dopo vari cambi di line up oggi si completa oggi con Alessandro Fusacchia (chitarra) e Gianluca Marchionni (basso). Immaculate Preconception presenta cinque brani di notevole death/thrash, devastante ma dalle aperture melodiche che ne accentuano atmosfere e sfumature, con un intro suggestiva che riporta le parole di Giordano Bruno, frate francescano, filosofo e scrittore del XVI secolo, condannato dalla chiesa per eresia. Infaithcted esplode in una serie di accelerazioni death/thrash, con lo scream che ne potenzia l’indole estrema, cambi di tempo e cavalcate metalliche mettono in evidenza l’ottima tecnica di cui si può fregiare il quartetto. Campo de’ Fiori è un crescendo thrash progressivo, dai rallentamenti possenti che ne accentuano l’atmosfera drammatica e le tematiche che riguardano la morte sul rogo dello stesso Giordano Bruno; The Shapeless Thing è invece un brano thrash/black ad un primo ascolto più lineare ma anch’esso pervaso da una serie di cambi di tempo micidiali, mentre Army Of The Ripper risulta un brano dalle ispirazioni heavy metal, meno abrasivo ed estremo dei brani precedenti e valorizzato da una serie di aperture melodiche accentuate dalla comparsa della voce pulita.
In conclusione Immaculate Preconception si rivela un ep davvero suggestivo, tra i più riusciti ultimamente nel suo ambito: i Necrofili con sagacia sanno manipolare la materia creando un sound che, anche se a tratti può ricordare i Necrodeath, risulta ugualmente personale e molto coinvolgente.
Tracklist
1. A Lullaby for Reason
2. Infaithcted
3. Campo de’Fiori
4. The Shapeless Thing
5. Army of the Reaper
Line-up
Carlo Pelliccia – Vocals & Guitars
Alessandro Fusacchia – Guitars
Gianluca Marchionni – Bass
Marco Dalmasso – Drums
La personale visione di violenza e ferocia in musica messa ancora una volta in campo dai Possessed è impressionante e Revelations Of Oblivion, aldilà del monicker in calce sulla copertina, è a tutti gli effetti un album capolavoro.
E’ fuor di dubbio che il ritorno dei leggendari Possessed dopo più di trent’anni sia per i fans del death metal l’evento dell’anno.
La band statunitense è appunto una vera leggenda per chi in tutti questi anni ha seguito l’evoluzione del re dei generi estremi, nato nell’ormai lontano 1985 tra i solchi di Seven Churches, il loro primo importantissimo lavoro.
Purtroppo la storia del gruppo di Jeff Becerra, bassista e singer nonché unico superstite della formazione che registrò quello che di fatto col tempo è diventato un documento storico, si fermò, per i motivi che più o meno conosciamo tutti, dopo solo due anni, all’indomani dell’uscita dell’ep The Eyes Of Horror, successore del secondo full length, Beyond The Gates licenziato dalla band nel 1986.
Il ritorno di chi è stato progenitore di un genere che in tanti anni ha regalato artisti, gruppi ed opere che sono ben presenti nella storia della musica moderna, si intitola Revelations Of Oblivion, è stato registrato ai NRG Studios e Titan Studios con Jeff Becerra come produttore esecutivo, mentre Daniel Gonzalez l’ha co-prodotto.
Sua maestà Peter Tägtgren ha masterizzato e mixato il tutto nei suoi Abyss Studios in Svezia, mentre l’artwork è opera dell’artista polacco Zbigniew Bielak già al lavoro per Paradise Lost, Absu, Deicide e Ghost, tra gli altri.
Licenziato dalla Nuclear Blast l’album vede Jeff Becerra affiancato da una band che vede Daniel Gonzalez e Claudeous Creamer alle chitarre, Emilio Marquez alla batteria e Robert Cardenas al basso, una band compatta che dà vita ad una serie di brani feroci, estremi, spettacolari nel certosino lavoro in studio, ed assolutamente luciferini.
Questo è death/thrash metal suonato nel nuovo millennio, seguendo e perfezionando le linee tracciate tanti anni fa, ma senza risultare stantio o semplicemente nostalgico, e risultando tecnicamente perfetto sia nelle ritmiche sia nelle parti indiavolate di chitarra, in un’atmosfera di lugubre e maligna magniloquenza musicale.
Si viene così travolti da un armageddon di suoni metallici, una micidiale arma di distruzione che prende avvio da No More Room In Hell passando per un lotto di brani perfetti in ogni dettaglio.
La personale visione di violenza e ferocia in musica messa ancora una volta in campo dai Possessed è impressionante e Revelations Of Oblivion, aldilà del monicker in calce sulla copertina, è a tutti gli effetti un album capolavoro.
Tracklist
1. Chant Of Oblivion
2. No More Room In Hell
3. Dominion
4. Damned
5. Demon
6. Abandoned
7. Shadowcult
8. Omen
9. Ritual
10. The Word
11. Graven
12. Temple of Samael
Line-up
Jeff Becerra – Vocals
Daniel Gonzalez – Guitars
Emilio Marquez – Drums
Robert Cardenas – Bass
Claudeous Creamer – Guitars
Strepitoso lavoro di una nuova band, che si pone e subito quale esponente di spicco del progressive speed metal.
Quando la tradizione dei secondi anni ottanta si amalgama alla perfezione con suoni moderni.
I Manifestic sono un quartetto tedesco, nettamente superiore alla media degli esordienti. Il loro è un techno-thrash che colora sapientemente di tinte progressive la base speed metal di partenza, forte di doti esecutive di assoluto prim’ordine. Anche il songwriting è veramente da paura: colpisce, più di tutto, una maturità di scrittura sicura e impressionante. Le undici composizioni sono inoltre pervase da un flavour fantascientifico, evidente sin dalla grafica (interna ed esterna) e dai suoni di synth che aprono la title-track, che connota in termini freddi e quasi siderali la proposta dei quattro. Un punto di riferimento sono senz’altro i Megadeth del sommo Rust in Peace (anno di grazia 1990), nonché i Voivod del periodo 1987-1988. Tutto è peraltro calato con molta originalità e personalità nel nostro presente ed il platter certo incontrerà i favori di impazzisce per i Vektor di Black Future ed i Sacral Rage del secondo e terzo disco. Quello dei Manifestic è peraltro un album assai vario e completo da tutti i punti di vista: una vera e propria geometria del caos cosmico, che in Time Will Collapse sposa trame nere di matrice primi Slayer e nell’apertura di Code of Silence sa altresì confrontarsi in modo intrigante e generoso con la grande tradizione dell’hard americano e dello US metal più melodico: altri aspetti che fanno di questo Anonymous Soulsun prodotto assolutamente da avere.
Tracklist
1- Anonymous Souls
2- Deaf, Dumb and Blind
3- Wide Open
4- Time Will Collapse
5- Incognito
6- Spiritual Abyss
7- Silicon War
8- Code of Silence
9- 263
10- Pillars of Democracy
11- Poisoned Waters
Line up
Tristan – Bass
Jerome – Drums
Rob – Guitars / Vocals
Samy – Guitars
Il thrash-core della Grande Mela non muore mai e fa scuola anche nella Bulgaria di questa notevole e potentissima band.
Nati sette anni or sono, i bulgari Mosh-Pit Justice sono un entusiasmante trio, arrivato già al quarto album. Il loro è un thrash assai aggressivo e potentissimo, di scuola newyorkese (Nuclear Assault e Overkill, omaggiati in copertina), che non esclude comunque, col suo approccio molto core, inattese aperture epico-melodiche, in stile Sanctuary.
L’energia degli otto pezzi non viene mai meno e lascia quasi senza respiro l’ascoltatore. Il fatto, peraltro, che certe tracce raggiungano i sei minuti dice non poco circa la capacità dei tre di costruire canzoni anche alquanto articolate, senza alcuna caduta. La band dell’Europa orientale riesce quindi a lasciare il segno, con una voce duttile e cori ben curati. La chitarra la fa naturalmente da padrona, ottimamente supportata da una sezione ritmica che guarda al thrash ottantiano, con frutto, competenza e una adeguata capacità di aggiornamento. La velocità e le variazioni ritmiche sono le due costanti del lavoro, con un sound moderno e dinamico, arioso e dalla grande forza, con assoli marziali ed a tratti quasi epici. Con i loro inni di battaglia (urbana), i Mosh-Pit Justice si candidano ad un posto al sole e quanti amano il thrash metal impregnato di hardcore ne saranno conquistati. Veramente un grandissimo lavoro, massiccio e dalla notevole forza d’impatto.
Track list
1- Round to Decay
2- Feed Me to the Flames
3- God Wills It
4- The Serpent’s Call
5- State of Damnation
6- In the Final of Days
7- Prove Your Faith
8- Forging Our Fate
Line up
Maryian Georgiev – Bass
Georgy Peichev – Vocals
Staffa Vasilev – Guitars / Drums
Un album riuscito, anche in presenza delle spigolose ed intricate vie della tecnica, che il gruppo dimostra a tratti di saper maneggiare senza stancare l’ascoltatore, il cui ascolto è consigliato agli amanti del thrash moderno e del death core tecnico e progressivo.
Quelli della Raising Legend Records continuano a proporci ottime realtà nate specialmente nel loro paese, il Portogallo.
E’ il momento degli Equaleft, band proveniente da Oporto e fautori di un thrash metal moderno pregno di groove e molto tecnico, con passaggi progressivi al limite del djent.
Il quintetto, attivo dal 2004, arriva con We Defy al secondo lavoro sulla lunga distanza, cinque anni dopo il precedente Adapt & Survive ed un ep uscito una decina d’anni fa. We Defy alterna momenti ipertecnici ad altri più lineari che poi sono il punto di forza di un album che non cede proprio grazie a questi chiaroscuri che impediscono all’ascoltatore di rimanere imbrigliato nelle tele di brani come la title track, uno di quelli che più si avvicinano al djent.
Quando gli Equaleft decidono di picchiare decisi e diretti, il thrash/groove metal moderno prende il sopravvento, rallentato da macigni sonori in cui il growl di matrice deathcore è un grido abissale.
Da questo lato Mindset è uno dei brani più riusciti dell’intero lavoro, così come la devastante Strive e la progressiva Fragments.
Un album riuscito, anche in presenza delle spigolose ed intricate vie della tecnica, che il gruppo dimostra a tratti di saper maneggiare senza stancare l’ascoltatore, il cui ascolto è consigliato agli amanti del thrash moderno e del death core tecnico e progressivo.
Tracklist
1.Before Sunrise
2. Once Upon a Failure (ft. André Ribeiro from Sullen and Sollar – guitar solo)
3. We Defy
4. Mindset
5. Endless
6. Strive
7. Overcoming
8. Fragments
9. Realign (ft. Nuno Cramês “Veggy” – guitar solo)
10. Disconnected
11. Uncover the Masks (ft. José Pedro Gonçalinho – saxophone)
Line-up
Miguel “Inglês“ – Vocals
Bernardo “Malone“ – Guitar
Miguel Martins – Guitar
Marco Duarte – Drums
André Matos – Bass