Excuse – Goddess Injustice

Goddess injustice è un ep rivolto a chi ama lo speed metal classico, ma sarà apprezzato dai thrashers.

Puro e furioso speed metal finlandese come avrebbero voluto farlo tanti gruppi negli anni ottanta, senza esito positivo perché non avevano la classe e la carogna di questi ragazzi.

Secondo episodio su supporto fonografico per questo gruppo che ha esordito nel 2013, e si è subito fatto breccia nel cuore di tanti metallari. Gli Excuse in realtà scuse non ne fanno e vanno velocissimi, con un impianto sonoro che ricorda sì come detto sopra lo speed metal anni ottanta, ma varia per alcuni elementi originali che ci sono, diciamo simili, ma molto meglio, rispetto a gruppi thrash recenti come i Municipal Waste. Dischi come questo fanno la gioia dei veri metallari e di tutti coloro che vogliono sentire un disco che diverte, anche grazie ad una grande potenza, perizia e velocità. Questi finlandesi sanno come far pogare la gente e con questo ep dovrebbero conquistare una più ampia fetta di pubblico, anche perché il loro genere di riferimento non è così inflazionato, ma soprattutto manca di gruppi validi come loro. Infatti per pubblicarli si sono unite due etichette come la Shadow King e la Hellsheadbangers che di metal vero ne sanno molto. Goddess Injustice è un ep rivolto a chi ama lo speed metal classico, ma sarà apprezzato dai thrashers.

TRACKLIST
1.Obsessed… With The Collapse Of Civilization
2.Breaking News (We Told You So!)
3.Invitation From Beyond
4.Baphomet

Blackgate – Ronin

Ronin è un buon lavoro che sicuramente non cambierà la storia della nostra musica preferita ma sprigiona molta energia e, sopratutto, risulta un sincero tributo all’heavy metal.

I Ronin, nella cultura del Sol Levante, sono una particolare frangia dei più famosi Samurai, quelli che hanno perso il legame con il proprio signore per la morte di quest’ultimo o per la perdita di fiducia nei loro confronti, diventando guerrieri erranti.

Sulla copertina del primo lavoro dei power thrashers americani Blackgate campeggia proprio uno di questi bellicosi guerrieri giapponesi, ai quali il titolo è dedicato, mentre sullo sfondo un paese è in preda ad un furioso incendio.
Fuoco e fiamme metalliche, che si alimentano con il power metal del quintetto del Michigan, potenziato da potenti ritmiche thrashy e solos di chiara ispirazione heavy.
Un album old school, per dirla come va di moda in questi anni, composto da quattordici brani che comprendono anche quelli del primo ep uscito un paio di anni fa, un po’ prolisso per l’ora abbondante di durata, che nel genere è veramente tanta, ma probabilmente il gruppo ha cercato di presentarsi all’appuntamento con il primo full length con tutta la musica a disposizione.
Power metal, speed e thrash si alleano per formare il sound di Ronin, le tracce mantengono un approccio metallico molto ottantiano, diretto quel tanto che basta per avvicinarsi al mood del thrash metal, senza dimenticare la lezione dei gruppi classici, più europei che americani a dire il vero, ma questo è un dettaglio.
Ronin incalza e i primi sette brani sono saette metalliche che squarciano il cielo notturno, mentre il paese brucia; alla velocità della luce le varie BPS, la titletrack, l’ottima The Soldier sparano mitragliate ritmiche, che si trasformano in cavalcate chitarristiche di buona fattura e supportate da una produzione sufficientemente in linea con i prodotti odierni.
La seconda parte del disco regala i brani migliori: le lunghe The Veil e Last Son guardano all’heavy metal dei classici Maiden e Priest, velocizzati e tributati dai riff e solos in uscita dalle due asce, mentre Iron Legion torna a solcare territori thrash, questa volta con il basso in grande evidenza.
Ronin è un buon lavoro che sicuramente non cambierà la storia della nostra musica preferita ma sprigiona molta energia e, sopratutto, risulta un sincero tributo all’heavy metal.

TRACKLIST
1. Bps
2. Ronin
3. Dying Age
4. Horizon’s Fall
5. Caesar
6. The Soldier
7. You Better Run
8. Beneath
9. The Veil
10. Last Son
11. I Am the Night
12. Iron Legion
13. Hollow Men
14. Bps (Reprise)

LINE-UP
Ryan Lunsford – Drums
Jeff Kollnot – Guitars
Matt Cremeans – Guitars
David Cuffman – Vocals
Zach Flora – Bass

BLACKGATE – Facebook

MINDWARS – Sworn To Secrecy

Se amate i pionieri dello Speed-Thrash anni ’80 e quindi gli stilemi del genere non vi disturbano, il disco fa per voi.

Il nome della band evoca subito i grandissimi Holy Terror e, guarda caso, nella band italo-americana milita Mike Alvord, proprio un ex della band californiana fautrice dei capolavori “Terror and Submission” e, appunto, “Mind Wars”.

Mike e Roby Vitari (batterista già con i Jester Beast) nel 2013 decisero di ritornare a proporre questo tipo di sonorità (si erano conosciuti nel 1989 quando gli HOLY TERROR erano in tour in Europa) insieme al bassista Danny “Z” Pizzi. Dopo il trascurabile debutto “The Enemy Within” del 2014, ci propongono quello che un mio caro amico ha definito giocosamente “Vetust-Metal”. Putroppo in Sworn To Secrecy non c’è neanche l’ombra del “Sacro Terrore” che fu (sic!). L’album si apre con la title track e immediatamente ci troviamo catapultati in pieno Speed-Thrash ottantiano senza infamia né lode, riff diretti, ma che abbiamo ascoltato migliaia di volte. Cradle To Grave non cambia di molto, però il rallentamento e il sofferto assolo nel finale, prendono allo stomaco. Il concetto stilistico è ribadito in Lies e tutte le composizioni non escono quasi mai dai solchi di parti alternate tra tempi più veloci e altri maggiormente cadenzati. Il “tiro” non manca e, altro fattore che non aiuta a far decollare Sworn To Secrecy è la voce di Alvord, che si esprime senz’altro meglio sugli episodi meno concitati come in Prophecy. Unico a dare davvero una spinta decisiva per proseguire l’ascolto dell’album è il drumming preciso, energico e ben inserito nelle composizioni. L’album gode di suoni nitidi, l’energia non manca, anche se mi sfugge un po’ il senso di tale proposta nel nuovo millennio. Comprendo la voglia di suonare un genere al quale si è particolarmente affezionati, ma se si mette sul mercato un prodotto si deve possedere la capacità di coinvolgere l’ascoltatore dando il meglio di sé e provando a inserire qualcosa di “nuovo” (qui le virgolette sono d’obbligo). Se amate i pionieri del genere e quindi “il già sentito” non vi disturba, il disco fa per voi, anche perché, senza particolari guizzi, il disco si fa ascoltare. Inoltre il ricorso ad un vocalist più dotato potrebbe portare molti benefici alla band . Li attendiamo comunque fiduciosi alla prossima release.

TRACKLIST
1. Sworn to Secrecy
2. Cradle to Grave
3. Lies
4. Twisted
5. Helpless
6. Scalp Bounty
7. Rest Now (for Tomorrow Comes)
8. No Voice
9. Prophecy
10. Release Me
11. Transporting

LINE-UP
Danny “Z” Pizzi – Bass
Roby Vitari – Drums
Mike Alvord – Guitars, Vocals

MINDWARS – Facebook

Solar Mass – Pseudomorphosis

Gran bel debutto, con un metal ottantiano ossessivo e potente.

Death speed metal primitivo e molto vicino allo spirito hardcore.

Questi neozelandesi pubblicano il loro debutto prima in cassetta, in seguito uscirà il mini lp e per ultimo il cd. Tutto per la Iron Bonehead Productions, che ha molto fiuto nello scovare gruppi metal brutali, lineari e fedeli alla linea. Il loro suono è un concentrato di metal, dallo speed al death, passando per cose più vicine allo spirito thrash hardcore, senza disdegnare passaggi più lenti, il tutto in pieno spirito anni ottanta, che sta tornando prepotentemente. Gli anni ottanta stanno tornando in molti ambiti, dalla musica ai costumi, ed il metal in quegli anni ha fatto cose straordinarie, che sono di fondamentale importanza ancora oggi. E proprio da un disco come questo si possono capire le ramificazioni, i sedimenti sonori che passano da un’epoca ad un’altra, proprio perché non sono legati al momento, ma fanno parte di un genere codificato. Il metal di quella decade, e anche questo Pseudomorphosis, risentiva fortemente della paura del nucleare, dell’apocalisse che avrebbe potuto cancellare il mondo come lo conosciamo, e quindi le ambientazioni musicali erano distopiche ma non troppo. I Solar Mass sarebbero uno dei gruppi preferiti dei discepoli di Mad Max, ascoltati nelle poche cuffie rimaste, per la loro capacità di descrivere molto bene con la loro musica un più che probabile inverno nucleare.
Gran bel debutto, con un metal ottantiano ossessivo e potente.

TRACKLIST
1. Arc Furnace
2. Emergence
3. (Sgr A*)Exegesis
4. Weaponised
5. Heat Death

SOLAR MASS – Facebook

Thermit – Saints

Un album che vale la pena cercare come l’arca perduta

Mi chiedo spesso il motivo per cui delle ottime band licenzino album autoprodotti, risultando comunque ben fatti sotto ogni punto di vista, mentre altre hanno la fortuna di accasarsi con label importanti (a livello underground) per poi deludere con lavori approssimativi, specialmente per quanto riguarda produzione e master.

Saints è l’esempio lampante di come dietro ad album con i crismi dall’autoproduzione si nasconda spesso un piccolo gioiellino metallico, supportato da un buon songwriting e da un ottimo lavoro in sala.
Loro sono i Thermit, gruppo heavy/thrash polacco attivo dal 2009 e con un paio di lavori minori alle spalle (un demo ed un ep), arrivano quest’anno al traguardo del debutto con Saints, album suonato alla grande, prodotto quel tanto che basta per valorizzare il gran lavoro strumentale dei cinque musicisti di Poznam che, con piglio e sfrontatezza, affrontano la materia metallica mettendo in campo grinta, freschezza ed un’ottima preparazione strumentale.
Saints si avvale di una sezione ritmica varia e martellante (Przydep alle pelli e Fabian al basso) che non disdegna repentini cambi di tempo e un approccio che, a tratti, non è eresia chiamare progressivo.
Le chitarre seguono con solos e riff le intricate partiture, mentre un cantante tripallico spettacolarizza il tutto con una prova grintosa, melodica e personale, cambiando registro su ogni brano e mettendo l’ombrellino sul cocktail metallico preparato dal gruppo.
I santi sono tutti sotto il palco a fare headbanging, esaltati da questa raccolta di brani che non lascia scampo, la storia del metal fa capolino tra lo spartito dell’album non facendo mancare il supporto in termini di ispirazione, sia delle storiche thrash bad della Bay Area che l’heavy classico di estrazione europea.
Un lavoro ritmico sontuoso elargito da quel mostro di bravura che di nome fa Fabian, ultimo arrivato in casa Thermit, con il suo basso fa la differenza come Lewandowski al centro dell’area di rigore, e contribuisce a rendere Saints un debutto coi fiocchi, con Zombie Lover, la splendida Smoke & Soot, dove la band regala spunti hard blues e di fatto suonando il primo brano thrash blues della storia, il ruvido mid tempo Fairyland, con le due asce (Jendras e Modly) sugli scudi; ancora,  l’esaltante Louise, dove Trzeszcz fulmina il microfono con una prova sopra le righe e, quando i Thermit decidono di suonare heavy metal, la titletrack prende i Judas Priest per il colletto e Painkiller al confronto sembra una sigla di cartoni animati per bambini.
Un album che vale la pena cercare come l’arca perduta, spettacolare nel saper amalgamare, con spunti a tratti geniali, heavy metal, thrash, hard rock. prog e blues; ascoltatelo e ditemi quante marce in più hanno questi ragazzi: con band molto più famose il confronto diventa imbarazzante. Una bellissima scoperta.

TRACKLIST
1. Lady Flame
2. Zombie Lover
3. Perfect Plan
4. Smoke & Soot
5. The Story About Bird & Snake
6. Fairyland
7. The Last Meal of the King
8. Louise
9. Mr. Two-Face
10. Saints

LINE-UP
Przydep – Drums
Jendras – Guitars
Młody – Guitars
Trzeszcz – Vocals
Fabian – Bass

THERMIT – Facebook

Scarlet Anger – Freak Show

Freak Show è un album pregno di atmosfere dark, chiaramente sviluppate su un sound che è puro thrash metal.

Sono sincero, quando bussano all’uscio della mia casetta album del genere, il sottoscritto va in brodo di giuggiole; come non apprezzare un lavoro così ben fatto sotto tutti gli aspetti e dal sound altamente metallico, perfettamente inserito nel nuovo millennio, pur richiamando senza mezzi termini le proprie ispirazioni ed influenze.

Che Freak Show sia un lavoro su cui i lussembughesi Scarlet Anger abbiano puntato tanto si evince da una produzione perfetta, un booklet che accompagna il prodotto molto professionale e che richiama il mondo del fumetto fantasy/horror, ed un songwriting creato nello spazio di quattro anni dall’ultimo lavoro (Dark Reign, full length del 2012), un lasso di tempo medio lungo che ha dato modo al gruppo di curare il disco sotto ogni aspetto.
Prodotto ai Fascination Street Studios da Jens Bogren (Opeth, Kreator, Paradise Lost, Amon Amarth e molti altri) l’album risulta un buon esempio di thrash metal oscuro, che punta lo sguardo sulla scena statunitense della Freak Show è un album pregno di atmosfere dark, chiaramente sviluppate su un oscuro e puro thrash metal che punta lo sguardo sulla scena statunitense della Bay Area, senza tralasciare richiami al metal made in USA e all’heavy di ispirazione Iced Earth, maestri in questo tipo di sonorità e probabilmente la maggiore ispirazione del quintetto capitanato dal vocalist Joe Block.
Questo disco è un punto d’arrivo notevole per un gruppo che si muove nel circuito underground, con poche possibilità di andare oltre all’apprezzamento incondizionato degli appassionati, ma che con Freak Show dimostra tutta la sua bravura tecnica e compositiva.
L’ album è pregno di atmosfere dark, chiaramente sviluppate su un sound che è puro thrash metal, si respirano trame orrorifiche e melodie drammatiche, Block con la sua voce ruvida si impegna a dare al sound un tocco teatrale e tragico, cosa che avvicina la band, come detto, agli Iced Earth dell’era Barlow, mentre ritmiche e sfuriate metalliche sono classicamente Exodus/Testament di origine controllata.
Ottimo il lavoro ritmico ma, concedetemelo, l’arma in più, almeno su questo lavoro, sono le due sei corde (Jeff Buchette, Fred Molitor) a tratti davvero entusiasmanti nel grondare lacrime e sangue su un lotto di brani dove le nebbie notturne avvolgono lo spartito del gruppo lussemburghese.
Segnalarvi un brano piuttosto che un altro è superfluo, Freak Show bisogna spararselo in cuffia come se non ci fosse un domani, ma Attack Of The Insidious Invader, On The Road To Salvation e Deadly Red Riding Hood, valgono da sole il prezzo del biglietto, per lo spettacolo offerto dai Scarlet Anger.
Bellissimo album metal con gli attributi al posto giusto, ottime melodie e tanta voglia di far male, non perdetevi lo show, sarebbe un peccato.

TRACKLIST
1. Awakening Of The Elder God
2. Attack Of The Insidious Invader
3. The Haunted Place – House Of Lost Souls
4. Welcome To The Freak Show
5. The Abominable Master Gruesome
6. Through The Eyes Of The Sufferer
7. The Thing Without A Name
8. On The Road To Salvation
9. An Unbelievable Story Of A Stupid Boy
10. Deadly Red Riding Hood

LINE-UP
Vincent Niclou – Bass
Alain Flammang – Drums
Jeff Buchette – Guitars
Fred Molitor – Guitars
Joe Block – Vocals

SCARLET ANGER – Facebook

Nunslaughter / Gravewurm – Split Picture Disc 7″

Quattro pezzi per un ottimo split di vero metal, che meritava di non andare perso.

Split all’insegna del metal più violento e becero, quello che usci nel 2007 tra i Nunslaughter e i Gravewurm, provenienti entrambi dagli Stati Uniti.

Il background di questi due gruppi è formato da quella strana mistura di speed metal, hardcore ed in misura minore doom, sopratutto nella impostazione delle canzoni. Il tutto ci porta ad un metal molto vicino ai Venom, e a tutti quei gruppi sospesi nel limbo del death altro. Ognuna della due band ha caratteristiche proprie, ma il loro suono è molto simile, ed infatti ogni gruppo ha due pezzi nello split, e uno dei due è una cover di una traccia dell’altra band. La cosa funziona molto bene, dato che questo picture disc risulta molto piacevole, non velocissimo ma incisivo. I Gravewurm sono forse meno connotati tecnicamente rispetto ai Nunslaughter, facendo un death metal con chiari riferimenti ai Celtic Frost, con molti stacchi e con un’atmosfera di pesantezza.
Quattro pezzi per un ottimo split di vero metal, che meritava di non andare perso.

TRACKLIST
01. The Red Ram
02. On The Icy Plains I Die
03. Cult Of Th Dying God
04. Killed By The Cross

HELLSHEADBANGERS RECORDS – Facebook

Sarcófago – Rotting Reissue

Se hanno un senso le ristampe per album di gruppi sconosciuti ai più, figuriamoci quelle di lavori estremamente importanti come la discografia di questa storica band brasiliana.

L’importanza dei deathsters brasiliani Sarcofago nello sviluppo della musica estrema di stampo death/tharsh è inequivocabile: nato nel 1985 per volere Wagner ”Antichrist” Lamounier, cantante dei primissimi Sepultura, il gruppo di Belo Horizonte è citato tra le influenze di molte band che poi fecero sfracelli negli anni novanta.

Idolatrati e rispettati da tutti, i Sarcofago furono uno dei primi gruppi ad usare in maniera continua e devastante i blast beat, in un delirio di violenza death/thrash e tematiche sataniste e anticristiane che fanno del gruppo uno dei primi esempi del sound devoto al maligno per eccellenza, il famigerato black metal.
La Greyhaze Records pubblica la riedizione dell’ep Rotting, licenziato dalla band nel lontano 1989 via Cogumelo Records su vinile, con l’aggiunta di un bonus dvd ed un nuovo artwork.
Il dvd è senz’altro la parte più interessante perché immortala il gruppo sul palco nel 1991 di supporto ai Morbid Angel, in tour per supportare quel capolavoro estremo dal titolo Altar Of Madness.
Cinque brani più intro, Rotting fece parte di una discografia colma di perle estreme, e ci scaraventa al tempo in cui la band era una dei gruppi più estremi in circolazione: il loro sound equivale ad un’apocalisse di death/thrash sulla scia dei Venom, un sound che da lì a poco troverà lustro e nuova vita nelle lande innevate della Scandinavia e del famigerato unholy black metal della scena norvegese, che all’epoca muoveva i primi passi in quello che, in seguito, diventerà un movimento importantissimo per le vicende musicali (ed extra musicali) del metal estremo.
Rotting confermava la vena distruttrice del trio già sulla bocca di tutti per una manciata di demo, ma soprattutto per il primo devastante lavoro I.N.R.I, uscito due anni prima.
Wagner Antichrist, Gerald Incubus e M. Joker vomitavano tutto l’odio contro la religione e la chiesa in particolare su di un sound primordiale, estremo in tutte le sue componenti, arrivando a toccare vette di violenza ancora oggi irraggiungibili per molti dei gruppi odierni; il loro furore si scagliava contro i cristiani in maniera inequivocabile, con testi blasfemi e un sound che era pura e violentissima guerra in musica.
Scream/growl cattivissimo, riff assassini e furiose accelerazioni ritmiche facevano di Alcoholic Coma, Tracy e la title track (su tutte) un’apoteosi di violenza, distruzione e luciferine urla inneggianti la totale distruzione del sistema religioso e la glorificazione del regno di Satana.
Precursori nell’amalgamare death/thrash e black metal in un unico massacro sonoro, i Sarcofago sono la classica band che ogni amante del metal estremo deve sfoggiare nella propria discografia; se hanno un senso le ristampe per album di gruppi sconosciuti ai più, figuriamoci quelle di lavori estremamente importanti come la discografia di questa storica band brasiliana.

TRACKLIST
01. The Lust
02. Alcoholic Coma
03. Tracy
04. Rotting
05. Sex, Drinks & Metal
06. Nightmare

LINE-UP
Wagner Antichrist – Vocals, guitars
Gerald Incubus – Bass, voclas, guitars
M. Joker – Drums, vocals

Violent Revolution – State of Unrest

L’urlo di protesta che parte con l’opener Resist e prosegue con la titletrack richiama la vecchia scuola americana

Capitanati dall’ex Agent Steel George Robb irrompono sul mercato, tramite Iron Shield, i thrashers statunitensi Violent Revolution.

Il gruppo proveniente dall’Arizona, attivo da appena due anni, solca le strade falciate dalla protesta politico sociale, gli scontri sono inevitabili nel grigiore del fumo provocato dai lacrimogeni e dalle bombe carta, il sangue che sgorga dalle teste spaccate dai manganelli sporca le vie e non serve vivere negli States per vedere scene di guerriglia urbana comuni in ogni parte del mondo, specialmente di questi tempi dove l’ingiustizia dilaga e salgono i moti di ribellione.
La colonna sonora per descrivere questo allucinante quadro non può che essere un violentissimo e velocissimo thrash metal, fortemente influenzato dal punk, old school nell’approccio, diretto ed assolutamente in your face.
L’urlo di protesta, che parte con l’opener Resist e prosegue con la titletrack, richiama la vecchia scuola americana, con ritmiche velocissime, una voce che grida disagio e lancinanti solos metallici che rincorrono l’urgenza ritmica dei brani.
Siamo a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo, dove i gruppi metal della scena ambivano ad un crossover tra la forza metallica del thrash e l’irruenza sociale che il punk si portava dietro dagli ultimi sgoccioli del periodo settantiano: è forte, infatti, il richiamo hardcore nei brani dei Violent Revolution (il nome della band è una chiara dichiarazione d’intenti), ed in poco più di mezzora State Of Unrest spara le proprie cartucce, veloci, infallibili e senza compromessi.
Il gruppo è formato da musicisti di provata esperienza e sotto l’aspetto tecnico nulla da dire, anche se le sonorità lasciano un leggero senso di stantio.
Poco male, il genere è questo, prendere o lasciare, e State Of Unrest non mancherà di far proseliti tra gli amanti del crossover thrash/punk di fine anni ottanta, dunque se siete orientati verso sonorità più moderne probabilmente non fa per voi.

TRACKLIST
1. Resist
2. Violent Revolution
3. Damaged
4. State of Unrest
5. Final Vow
6. Wake Up
7. All Hail
8. Code of Conduct
9. Sudden Death
10. Trainwreck

LINE-UP
George Robb – Bass, Vocals (backing)
John Gilleland – Drums
Nate Garduno – Guitars
Don Funk – Guitars, Vocals (lead)

VIOLENT REVOLUTION – facebook

Vicious Rumors – Concussion Protocol

Non mancano brani che ricordano il passato glorioso del gruppo statunitense ed il songwriting si attesta su di una media medio alta per tutto lo scorrere del lavoro.

Geoff Thorpe non molla la presa e, a distanza di tre anni da Electric Punishment, torna con un nuovo album (il dodicesimo) dei suoi Vicious Rumors, heavy power metal band made in U.S.A., amata da chiunque si professi un amante dei suoni metallici fin dall’anno di grazia 1988, da quando cioè uscì il loro capolavoro Digital Dictators.

Una carriera quella del gruppo californiano tra alti e bassi, con un periodo che li vide affrontare suoni dal mood più moderno e cool, una sfilza di vocalist che si sono avvicendati dietro al microfono ed il ritorno alle sonorità heavy power con le ultimissime uscite.
Concussion Protocol, prodotto dal chitarrista e Juan Urteaga ai Trident Studio, famosi per aver già ospitato artisti come Testament, Heathen, Machine Head ed Exodus, e con la partecipazione di due ospiti d’eccezione come Brad Gillis (Night Ranger) e Steve Smyth (Nevermore, Testament, Forbidden), vede due nuovi entrati nella line up del gruppo rispetto al suo predecessore: l’ottimo singer Nick Holleman vero animale metallico, ed il bassista Tilen Hudrap.
Valorizzato come sempre dal sontuoso lavoro di Thorpe alla sei corde e aiutato dall’ascia di Thaen Rasmussen, l’album si sviluppa su un concept catastrofico riguardante la caduta di un asteroide sulla terra ed il conseguente armageddon a cui va incontro il genere umano; il gruppo viaggia a mille all’ora tra power metal e ritmiche thrash risultando devastante e melodico, ruggente e molto heavy.
L’heavy metal classico ha appunto un ruolo fondamentale in questo lavoro, la voce di Holleman spazza via ogni tentazione moderna regalandoci una prova da singer di razza, nato e cresciuto nella più pura tradizione metallica e le songs ci guadagnano in impatto ed appeal melodico.
Non mancano brani che ricordano il passato glorioso del gruppo statunitense (Digital Dictators, Vicious Rumors e Welcome to the Ball, album fondamentali per il movimento metallico d’oltroceano) ed il songwriting si attesta su di una media medio alta per tutto lo scorrere del lavoro.
I cinque californiani picchiano che è un piacere, le chitarre fumano sotto le dita degli axeman e le ritmiche sono tempeste sulla costa, le ottime Chemical Slaves, Victims of a Digital World, dal mood hard rock, ed il massacro sonoro ad opera di 1000 Years sono solluchero per i padiglioni auricolari metallizati dal sound old school che il gruppo, almeno questa volta, riesce ad imprimere in questa raccolta di canzoni che non mancherà di soddisfare gli amanti della musica di Thorpe.
Un buon ritorno, il tempo è passato troppo in fretta ma la voglia di suonare metallo è tornata quella di una volta.

TRACKLIST
1. Concussion Protocol
2. Chemical Slaves
3. Victims Of A Digital World
4. Chasing The Priest
5. Last Of Our Kind
6. 1000 Years
7. Circle Of Secrets
8. Take It Or Leave It
9. Bastards
10.Every Blessing Is A Curse
11. Life For A Life

LINE-UP
Nick Holleman – vocals
Geoff Thorpe – guitars
Thaen Rasmussen – guitars
Tilen Hudrap – bass
Larry Howe – drums

VICIOUS RUMOURS – Facebook

Sodom – Decision Day

Decision Day non diventerà un classico, i bei tempi sono passati ormai, ma sicuramente non farà rimpiangere più di tanto i vecchi lavori del gruppo tedesco

Ne hanno fatte di battaglie i Sodom dai primi anni della decade ottantiana, anni che per i true metallers rimangono quelli d’oro per antonomasia del metal considerato classico (o per alcuni old school), dove le prime avvisaglie estremiste cominciavano a contaminare l’heavy metal, per trasformarsi in orde barbariche death e thrash.

Tom Angelripper, insieme a Mille Petrozza dei Kreator e Schmier dei Destruction, si possono considerare come il padre, il figlio e spirito santo della cosiddetta sacra triade di questo mostro chiamato thrash metal e che in terra tedesca trovò i suoi migliori interpreti, almeno per quanto riguarda la vecchia Europa.
Siamo nel 2016, sono passati quasi quarant’anni, eppure in pochi mesi ritroviamo più in forma che mai le due anime più legate al thrash tout court della triade, appunto Destruction (freschi di stampa con l’ultimo e bellissimo Under Attack) ed ora Sodom, con questo ritorno che a conti fatti risulta un ottimo lavoro.
Il quindicesimo album dell’infinita discografia del terzetto di Gelsenkirchen, che vede (oltre al buon Tom come sempre alle prese con basso e voce) anche Bernemann alla sei corde e Markus “Makka” Freiwald alle pelli, continua la tradizione guerresca del gruppo: oggi la band ci porta nel Giugno del 1944 e ai fatti che spinsero gli alleati a sbarcare, non senza dolorose e numerosissime perdite sulle coste della Normandia con la missione di liberare l’Europa dall’oppressione nazista.
Decision Day, titolo molto “americano” è stato prodotto da Cornelius ´Corny` Rambadt, batterista e tecnico del suono del progetto solista di Angelripper, ed illustrato da Joe Petagno, storico artista e grafico al lavoro con icone del metal e del rock come Led Zeppelin, Pink Floyd e Motorhead.
Il gruppo, messe in campo le sue armi migliori, parte alla conquista delle scogliere a nord della Francia con il suo sound spaccaossa, un bombardamento thrash metal che non lascia scampo già dall’opener In Retribution, sei minuti abbondanti di ritmiche infernali, scream al limite del black e solos terremotanti.
Il mood del disco si rifà in toto al primo brano e continua imperterrito la sua avanzata nel cuore del territorio europeo a suon di cannonate, intervallate da attimi di metallo classico ed oscuro, tragicamente melodico ma inesorabilmente potente.
Si respira tra i solchi delle varie Decision Day, Who is God?, il mid tempo estremo di Strange Lost World, il massacro sonoro Sacred Warpath, una fievole speranza di luce, una convinzione che, dall’abominevole sterminio ci sarà una rinascita, ancora una volta una chance data all’uomo che continua a non imparare dai propri errori ma che come un’araba fenice, quando tutto sembra perduto, rinasce per provare a costruire un mondo diverso.
Il trio trasforma queste sensazioni in musica perennemente in bilico tra il thrash metal più oltranzista e quello classico, il che aiuta non poco l’atmosfera oscura di Decision Day.
Batteria e basso liberi di far danni sono una macchina di morte metallica sopra le righe, la sei corde riempe di riff e ritmiche molte volte il limite del marziale il sound, mentre Angelripper conquista cuori metallici dal’alto del suo ruvido e malvagio tono vocale.
Una bellezza Refused To Die, cavalcata che ricorda una marcia delle truppe verso la morte, ora scalfita da venti metallici che da nord soffiano imperterriti sulle coste imbrattate dal sangue dei soldati caduti sotto i colpi dei nemici in un deliro brutale e senza freni.
Decision Day non diventerà un classico, i bei tempi sono passati ormai, ma sicuramente non farà rimpiangere più di tanto i vecchi lavori del gruppo tedesco; per i fans un gran bel regalo da parte di chi la storia del genere l’ha scritta sul serio.

TRACKLIST
1.In Retribution
2.Rolling Thunder
3.Decision Day
4.Caligula
5.Who Is God?
6.Strange Lost World
7.Vaginal Born Evil
8.Belligerence
9.Blood Lions
10.Sacred Warpath
11.Refused To Die
12.Predatory Instinct

LINE-UP
Tom Angelripper – Bass, Vocals
Bernemann – Guitars
Makka – Drums

SODOM – Facebook

Necrodeath / Cadaveria – Mondoscuro

Cosa può scaturire dall’unione di due realtà storiche del metal italiano come i Necrodeath e la strega Cadaveria se non grande musica estrema?

Cosa può scaturire dall’unione di due realtà storiche del metal italiano come i Necrodeath e la strega Cadaveria se non grande musica estrema?

Finalmente Mondoscuro, atteso lavoro dove le due band si sono ritrovate ad interagire in sala d’incisione, vede la luce in questa ultima parte d’estate 2016, creando un album atipico, che farà molto parlare di sé, sperando che non rimanga un caso unico come fu nel 1989 Mondocane, progetto che vedeva l’unione delle forze espresse da Necrodeath e Schizo e a cui il titolo fa chiaramente richiamo, oltre ai documentari degli anni ’60 diventati famosi per le loro scene cruente e chiamati Mondo Movie.
Dimenticatevi il classico split, Mondoscuro vede le anime dei due gruppi amoreggiare come serpenti infernali, lascivi e mortali per creare metal orrorifico, macabro e brutale, o rivedere a modo loro classici presi dalle loro discografie per arrivare a brani che vanno dalla gotica Christian Woman dei Type O Negative alla clamorosa versione di Helter Skelter di beatlesiana memoria.
Si parte alla grande con Cadaveria che dà nuovo lustro a Mater Tenebrarum, brano tratto da Into The Macabre, album che è diventato un classico della discografia dei Necrodeath. Il gruppo mantiene la struttura death/thrash della song, fornendole però quell’elemento dark gotico tipico del proprio sound e al minuto 4.46 spettacolarizza il tutto con l’organo di Ignis Forasdomine che riprende il tema dalla colonna sonora di Inferno, creata dal compianto Keith Emerson, ed i cori operistici con in testa la soprano Lindsay Schoolcraft dei Cradle Of Filth, aiutata da Tiziana Ravetti e dal tenore Cristiano Caldera, per un risultato entusiasmante.
Spell, da The Shadows Madame, opera nera creata da Cadaveria nel 2002 e lasciata in mano ai Necrodeath risulta una traccia che alterna atmosfere horror, con Flegias mai così teatrale, a sfuriate thrash addomesticate dai solos ultra melodici del mostruoso Pier Gonella e dal lavoro ritmico del buon Peso aiutato da GL.
Il cuore dell’album è lasciato ai due pezzi inediti: Dominion Of Pain, un brano scritto da Cadaveria e che vede la partecipazione di Flegias e di Gonellaesaltato da una prestazione sugli scudi della singer e valorizzato da chorus evocativi e dallo spiccato flavour gotico,  con una bellissima seconda parte dalle ritmiche quasi doom ed un solo che trancia l’atmosfera dark/gotica del brano; Rise Above, in mano ai death/thrashers liguri, è aperta da un recitato in lingua madre di Cadaveria che introduce una cavalcata metallica dove Gonella emoziona con la sua sei corde in un delirio metallico thrash/gothic.
Il vampiro newyorkese che tormentò le notti di dolci donzelle dagli inizi degli anni novanta ai primi anni del nuovo millennio, è omaggiato dai Cadaveria con la cover di Christian Woman, dal capolavoro gotico Bloody Kisses, resa molto simile all’originale non fosse per un’interpretazione sentita della singer nostrana, che usa tutti i toni della sua voce per rendere il più possibile teatrale e vario il brano cardine della discografia della band di Peter Steele.
Mondoscuro si conclude con la geniale cover di Helter Skelter dei fab four, probabilmente il primo brano heavy metal della storia, pescato dal White Album, aperto da un giro di basso ripreso da Come Together, altro masterpiece dei Beatles, reso devastante dalla furia estrema del combo ligure e con una genialata di Gonella che, a metà brano, riprende l’arpeggio di Ticket To Ride, terzo omaggio alla coppia Lennon/Mccartney.
In conclusione, Mondoscuro è un progetto assolutamente riuscito e, se avrà un futuro, magari con un album di inediti, potrebbe regalare grosse soddisfazioni ai protagonisti e grande musica estrema agli amanti del genere, non perdetevelo.

TRACKLIST
1. Cadaveria – Mater Tenebrarum (Necrodeath cover)
2. Necrodeath – Spell (Cadaveria cover)
3. Cadaveria – Dominion of Pain (feat. Flegias)
4. Necrodeath – Rise Above (feat. Cadaveria)
5. Cadaveria – Christian Woman (Type O Negative cover)
6. Necrodeath – Helter Skelter (The Beatles cover)

LINE-UP
Necrodeath:
Peso – Drums
Flegias – Vocals
Pier Gonella – Guitars
GL – Bass

Cadaveria:
Marçelo Santos – Drums
Cadaveria – Vocals
Dick Laurent – Guitars
Peter Dayton – Bass

NECRODEATH – Facebook

CADAVERIA – Facebook

Assailant / Ubiquitous Realities – Bringers of Delusion

Uno dei migliori split album usciti negli ultimi tempi in campo estremo

Symbol of Domination Prod. ci presenta, con questo split album, due gruppi provenienti dal Costarica, lembo di terra che divide il continente americano e che si affaccia sul mercato metallico con sempre più convinzione.

La prima band in questione sono i prog/thrashers Assailant, quartetto che arriva con Bringers Of Delusion alla seconda uscita sul mercato, che segue di ben quattro anni il primo demo, licenziato nel 2012.
Tanto tempo è passato, un peccato perché il gruppo merita oltremodo con il suo thrash metal ultra tecnico e progressivo che non lascia sicuramente indifferente chi ha modo di ascoltarne la proposta.
Amalgamando la vecchia scuola nata nella Bay Area con quella europea dai rimandi progressivi, i quattro musicisti centro americani stupiscono per l’alta qualità tecnica ed un’arguzia compositiva sopra le righe, lasciando un’ottima impressione e molta aspettativa (almeno nel sottoscritto).
I quattro brani presentati oltre ad esssre suonati molto bene, fanno rizzare le orecchie ai fans del thrash più evoluto, presentandosi come una perfetta amalgama tra Voivod, Death Angel ed i tedeschi Mekong Delta, peccando solo per una produzione che, con maggiore cura, avrebbe ancor più valorizzato le traccie proposte.
Una band da seguire, così come gli Ubiquitous Realities, duo che fa del technical death metal dai rimandi brutal il suo credo e che con lo split in questione da il via alla sua carriera nel mondo del metal estremo.
Prodotte meglio rispetto ai brani dei loro connazionali, le quattro canzoni presentate convincono presentandoci una band pronta per un eventuale full lenght, specialmente se manterrà le caratteristiche qui riscontrate: buona tecnica, ed un talento per miscelare a dovere metal estremo e sfumature progressive con maturità e freschezza compositiva.
Bringers Of Delusion risulta uno dei migliori split usciti negli ultimi tempi in campo estremo, poiché dà spazio a due realtà che, pur provenendo da un paese fuori dai circuiti abituali, hanno le carte in regola per crearsi il proprio spazio nel vasto mondo del metal underground.

TRACKLIST
1. Assailant – The Leading Spectre
2. Assailant – Hands of the Saints
3. Assailant – Suspension of Disbelief
4. Assailant – Delusions
5. Ubiquitous Realities – Bringers of Malevolence
6. Ubiquitous Realities – Biological Demise
7. Ubiquitous Realities – Alterated Perception I
8. Ubiquitous Realities – Alterated Perception II

LINE-UP
Assailant:
Daniel Murillo – Bass, Vocals (backing)
José Del Valle – Guitars, Vocals
Ricardo Arce – Guitars, Vocals (backing)
Andrés Guillén – Drums

Ubiquitous Realities :
Sebastian Sanchez – Drums
Hamid Rojas – Guitars, Vocals

 

UBIQUITOUS REALITIES – Facebook

Hellbringer – Awakened from the Abyss

Questo album è il classico esempio di metal old school, ben suonato e prodotto in maniera efficace

Dalla terra dei canguri arrivano questi tre cavalieri armati di chitarra, basso e batteria a difendere l’onore del thrash metal, ovviamente old school e di chiara impronta centroeuropea.

Loro sono gli Hellbringer, australiani di Canberra e sono attivi dal 2007 con il monicker Forgery, poi sostituito dall’attuale tre anni dopo, e la loro discografia si completa con un ep ed il primo full length, il devastante Dominion of Darkness, licenziato nel 2012.
Tornano tramite High Roller Records con questo ottimo esempio di thrash vecchia scuola dal titolo Awakened from the Abyss, trascinante quel tanto che basta per arrivare in fondo e premere nuovamente il tasto play.
Veniamo infatti travolti dalla carica guerresca del combo, tra velocità ritmica e solos che scaricano una valanga di riff metallici; non ci si muove dal classico metal estremo di Sodom e Destruction, sconfinando a tratti nel sound slayerano, ma gli Hellbringer il loro mestere lo sanno fare e le varie Coven of Darkness, Iron Gates e Dark Overseer non deludono, specialmente se siete amanti di queste sonorità.
Il massacro che i servitori di Lucifero hanno in serbo per le povere anime dannate, come ben raffigurato dalla copertina, continua tra ritmiche in your face e solos ficcanti, la voce cartavetrata ed in puro thrash style, accompagna e descrive gli eventi con la giusta dose di cattiveria ed il tutto funziona più che bene.
Questo album è il classico esempio di metal old school, ben suonato e prodotto in maniera efficace, il che aumenta l’appeal di Awakened from the Abyss, che non lascia il tempo di respirare nella sua mezz’ora (perfetta per il genere) di durata.
Un armageddon sonoro si abbatterà su di voi, dichiaratamente ed orgogliosamente old school, così da rinverdire i fasti del genere del periodo ottantiano, buon ascolto.

TRACKLIST
1. Fall Of The Cross
2. Coven Of Darkness
3. Realm Of The Heretic
4. Iron Gates
5. Spectre Of Rebirth
6. Awakened From The Abyss
7. Dark Overseer

LINE-UP
Luke Bennett – Bass/Lead Vocals
James Lewis – Guitar/Backing Vocals
Josh Bennett – Drums

http://www.facebook.com/Hellbringeraus

Whipstriker – Seven Inches Of Hell

Poca classe , tanta attitudine ed impatto sconquassante, voce sguaiata e solos veloci come il lampo, al limite del più famigerato speed anni ottanta.

La Folter Records stampa, rigorosamente in vinile, la compilation Seven Inches Of Hell degli Whipstriker, gruppo brasiliano attivo dal 2008 ma con una discografia che abbonda di split ed ep e si completa con un tris di full length che vanno dall’esordio Crude Rock ‘n’ Roll del 2010, passa dal secondo Troopers of Mayhem uscito nel 2013 fino ad arrivare all’ultimo Only Filth Will Prevail licenziato quest’anno.

La raccolta di ben ventisei brani pesca da una serie di ep e split usciti tra il 2010 ed il 2014, un lasso temporale che ha visto il gruppo di Rio de Janeiro in piena overdose di uscite discografiche.
Il sound del gruppo è più di quanto old school potete immaginare, ma anche molto vario, si passa infatti dal rock’n’roll in pieno stile motorheadiano ad accenni thrash/speed tra Venom, Hellhammer e primissimi Slayer.
Palla lunga e pedalare, si direbbe nel gergo calcistico tanto caro al popolo carioca, poca classe, tanta attitudine ed impatto sconquassante, one two three e via di ritmiche thrash & roll, voce sguaiata e solos veloci come il lampo, al limite del più famigerato speed anni ottanta.
Qualche brano raggiunge i quattro minuti, per il resto ci si destreggia tra canzoni sparate e dirette, così come nella tradizione del genere, mitragliate di dirty rock’n’roll o thrash’n’ roll come più vi piace chiamarlo.
Resta il fatto che questa raccolta ci presenta una band in tutto e per tutto votata all’old school, sia nella musica prodotta, con una manciata di brani in grado di farvi saltare come grilli (Cops Victim, Sweet Torment, Viver e Morrer no Subterraneo e Worshippers Of Death), sia nella produzione.
E qui sta il difetto della compilation: ora, non me ne vogliano i puristi, ma una riedizione che mantiene un suono obsoleto, anche se per volere del gruppo, lascia con un pizzico di amaro in bocca; infatti, molti dei brani proposti, con una ripulita in consolle avrebbero mantenuto la promessa di un’esplosività che rimane solo a livello di inenti.
Gli amanti dell’old school a tutti i costi lo apprezzeranno, ma Seven Inches Of Hell con queste premesse rimane appunto un lavoro rivolto solo ai fans più incalliti.

TRACKLIST
Side A
1. Her Fire of Hell
2. Cruel Savage
3. Black Rose
4. Viver e Morrer no Subterraneo
5. Queen Of The Iron Whip
Side B
6. Denied Messiah
7. Seeds of Torment
8. Born Spread The Mayhemic Loudness
9. Start The Warcollapse
10. Stand Up And Be Counted
Side C
11. Burned Alive
12. Worshippers Of Death
13. Bombstorm
14. Outlaw Rules
15. The Excess
16. Loudman
17. Dead On Arriva
Side D
18. Cop´s Victim
19. No Surrender, No Surrender
20. Dead Future
21. Fast Rape Before The War
22. Skill To Destroy
23. Never leave This War
24. Ripping Corpses In The Way
25. Sweet Torment
26. Anguish Of War

LINE-UP
Whipstriker – Bass, Vocals
Skullkrusher – Drums
Witchcaptor – Guitar
Rodrigo Giolito – Guitars

WHIPSTRIKER – Facebook

Spit The Blood – Spit The Blood

La band crea un muro di thrash rabbioso e annichilente, ma se la velocità e l’attitudine vecchia scuola fanno la differenza, la parte moderna non riesce a convincere del tutto.

Amalgamare il sound tradizionale con il groove sembra diventata un’abitudine per le nuove leve del thrash metal che si affacciano sul mercato underground metallico.

Un sound che diventa un pugno nello stomaco veloce e potentissimo, mazzate metalliche che alternano la furia del thrash alla marzialità del groove metal, davvero impressionate l’impatto che ne scaturisce quando le due anime si uniscono per sparare bordate di musica devastante.
Non tutte però ci riescono perfettamente così che nei lavori creati è forte la differenza tra le canzoni di chiara ispirazione tradizionale e quelle più moderne.
E quello che succede per esempio in questo debutto omonimo degli Spit The Blood, gruppo proveniente da Atene, un terzetto di thrashers dal sound potentissimo, assolutamente devastante, ma che riesce ad essere incisivo solo nei brani in cui le sonorità old school prendono il sopravvento sulle monolitiche ritmiche colme di groove.
Spit The Blood così funziona a metà, la band crea un muro di thrash rabbioso e annichilente, ma se la velocità e l’attitudine vecchia scuola fanno la differenza, la parte moderna non riesce a convincere del tutto.
Sono fatti per suonare musica veloce i tre musicisti greci, la sezione ritmica quando parte sgommando è da infarto e la chitarra spara riff cattivi e taglienti, ed infatti brani come Mindless, Society e la title track funzionano benissimo, pregne di quel thrash metal vecchia scuola dai rimandi Bay Area style.
Funzionano meno le tracce in cui il gruppo rallenta e la velocità si tramuta in potenza cadenzata, perfetta per i gusti dei fans odierni ma poco incisiva tra le mani del trio.
Spit The Blood nella sua interezza è un disco sufficientemente adatto per spaccare teste in furiosi headbanging in sede live, e se siete fans accaniti del genere dategli un ascolto, altrimenti passate oltre.

TRACKLIST
1. Escape
2. Reason to Kill
3. Mindless
4. Society
5. Track 5
6. The Face
7. Degradation
8. Spit the Blood
9. Predators

LINE-UP
Spyros – Bass
John – Drums
Nick – Guitars, Vocals

SIT THE BLOOD – Facebook

Shatter Messiah – Orphans of Chaos

Drammatico, potente, tragicamente metallico, oscuro, furioso ed a tratti elegante nella sua continua ricerca della melodia vincente, Orphans Of Chaos non cade dal gradino dell’eccellenza per tutta la sua lunga durata

La label greca Sleaszy Rider, in evidenza nel mondo del metal underground di questi ultimi anni con l’uscita di lavori che pescano da svariati generi che compongono l’immenso mosaico che risulta la nostra musica preferita, questa volta centra il colpo grosso e licenzia questo ottimo lavoro, il quarto del super gruppo Shatter Messiah.

La band, in attività da una dozzina d’anni, schiera tra le sue fila una manciata di musicisti che hanno militato in gruppi fondamentali per lo sviluppo del genere, autori di capolavori epocali come Annihilator (Robert Falzano), Nevermore (Curran Murphy), Monstrosity, Death e Vital Remains (Kelly Conlon).
Batteria, chitarra e basso, formazione praticamente fatta, ma al gruppo si aggiungono gli altrettanto importanti Pat Gibson alla sei corde e quell’animale metallico di Michael Duncan dietro al microfono, una iena che valorizza tutto il lavoro strumentale dei suoi colleghi con una prova mostruosa.
Quarto album dunque, quarto pezzo di indistruttibile acciaio metallico, arrivato a metà dell’anno in corso dopo aver dato alle stampe il primo vagito dieci anni fa (Never to Play the Servant) per poi proseguire nella creazione di un devastante power/thrash con God Burns Like Flesh (2007) e Hail the New Cross, uscito tre anni fa.
Orphans Of Chaos riprende a triturare padiglioni auricolari dove l’ultimo lavoro si era interrotto, il sound del gruppo che si rifà, senza copiarlo pedissequamente, a quello dei Nevermore e dei gruppi che al thrash metal aggiungono dose letali di power metal statunitense e sfumature progressive, risulta una mazzata tecnicamente ineccepibile, curatissima nella produzione e dal songwriting straordinario.
Inutile girarci intorno, stiamo parlando di un gruppo composto da musicisti che sono top players del proprio strumento, con esperienze di alto livello alle spalle e la cosa esce allo scoperto in ogni passaggio, su ogni nota esplosa dalle casse del vostro impianto messo a dura prova dalla potenza sprigionata dal combo americano.
Ritmiche che alternano groove, accelerazioni e cambi di ritmo vorticosi, chitarre che squarciano il cielo con solos folgoranti, cambi di atmosfera che rimanendo nei canoni oscuri dell’U.S. Metal si impregnano di umori progressivi e vocalizzi che passano da grintosi toni thrash ad aperture melodiche e teatrali tra Warrel Dane e Russell Allen.
Drammatico, potente, tragicamente metallico, oscuro, furioso ed a tratti elegante nella sua continua ricerca della melodia vincente, Orphans Of Chaos non cade dal gradino dell’eccellenza per tutta la sua lunga durata, regalando un prezioso diamante nero ai fans del genere.
In uscita nelle versioni cd, lp e digipack, troviamo come bonus track l’ep Full Moon Blood, altre tre mazzate thrash metal di dimensioni apocalittiche, motivo in più se non bastasse per farlo vostro e goderne in questi caldi giorni estivi.

TRACKLIST
1. Fixx For Demise
2. Shallow
3. Slave
4. Forget Forgiveness
5. Nothing Friend
6. The Mad Man Lies
7. Doom
8. Disruption
9. Thoughtless Timeless
10. Cold And Alone
11. Free
FULL BLOOD MOON:
12. Full Blood Moon
13. Dead Eye Liar
14. Disallussion Of My Misery

LINE-UP
Michael Duncan – vocals
Curran Murphy – guitars
Kelly Conlon – bass
Pat Gibson – guitars
Robert Falzano – drums

SHATTER MESSIAH – Facebook

Carnage Inc – Fury Incarnate

Fury Incarnate è un ottimo compromesso tra il thrash metal old school ed il sound più modernista e marziale delle nuove generazioni.

Thrash metal senza compromessi ci propongono gli indiani Carnage Inc, giovane band di Mumbai che va ad infoltire la scena estrema sempre più pressante sul mercato europeo grazie alla Trascending Obscurity, label che negli ultimi anni ha avuto il merito di portare a conoscenza degli appassionati molte delle realtà presenti in quel lontano e per noi ancora misterioso paese.

Il debutto del gruppo si riassume in questi cinque brani che vanno a comporre Fury Incarnate, ep dall’alto tasso adrenalinico e buon esempio di thrash metal tra tradizione e soluzioni moderne.
Un pugno nello stomaco ben calibrato ed orchestrato con ottima padronanza di mezzi dal quartetto, un’alternanza di atmosfere che riprendono in toto il genere suonato nella storica Bay Area e lo imbastardiscono, a tratti con ritmiche colme di groove ed un approccio moderno che lascia aperte al gruppo più soluzioni nel prossimo futuro.
Storceranno il naso i puristi ma per suonare thrash metal la tecnica è più importante di quello che si possa pensare, ed il gruppo indiano non difetta certo in qualità, sia nella sezione ritmica che nel lavoro delle due asce che non risparmiano solos taglienti e riff veloci e nelle parti moderne massicci e saturi il giusto.
Ne escono cinque brani carichi a palla, due davvero ben fatti (il singolo Defiled e Day Of Delirium), la prima chiaramente ispirata agli eroi del thrash americano, la seconda strutturata su di un riff orientaleggiante e da rallentamenti atmosferici di drammatica tensione.
Fury Incarnate è un ottimo compromesso tra il thrash metal old school (primi Metallica, Anthrax) ed il sound più modernista e marziale delle nuove generazioni (Lamb Of God, Shadows Fall), perciò in grado di accontentare più palati abituati a succulenti piatti metallici. Consigliato.

TRACKLIST
1.Dawn
2.Defiled
3.Fury Incarnate
4.Day Of Delirium
5.Ungod

LINE-UP
Varun Panchal – Rhythm Guitar/Vocals
Navin Mudaliyar – Lead Guitar
Jason Dias – Bass/Backing vocals
Moinuddin Farooqui – Drums

CARNAGE INC. – Facebook

J.T.Ripper – Depraved Echoes and Terrifying Horrors

Depraved Echoes and Terrifying Horrors si può certamente considerare un esordio positivo, appetibile in particolare per i fans più accaniti dello speed/thrash vecchia scuola.

Nell’underground metallico è forte una tendenza old school che negli ultimi anni si è amplificata in tutti i generi e prevalentemente in quelli estremi.

Death metal, thrash e raw black metal vivono grazie a questo sottobosco musicale, ancora ancorato alle sonorità storiche, molte volte con buoni risultate, altre sinceramente un po meno.
I tedeschi J.T. Ripper si piazzano esattamente nel mezzo con questo primo lavoro sulla lunga distanza, composto da nove brani di speed/thrash metal old school arricchiti da un’attitudine evil di chiara matrice black.
Ne esce Deapraved Echoes and Terrifying Horrors, lavoro che che si colloca tra Slayer, Venom e la sacra triade tedesca Sodom/Kreator/Destruction, influenze nobili per il trio di Chemnitz, anche se la strada da percorrere per raggiungere le loro ispirazioni è ancora molto lunga.
L’album si guadagna la piena sufficienza e qualcosa di più per l’alto impatto e l’attitudine, ma perde qualcosa in songwriting e produzione; il primo leggermente monocorde, la seconda molto old school, forse troppo.
Poco più di mezz’ora a mille allora, un forte sentore di putrida blasfemia ma anche di già sentito, portano il trio di thrashers composto da S (basso e voce), D (chitarra) e C (battteria), nei meandri infernali creati dai gruppi che misero a ferro e fuoco il decennio ottantiano, la passione nel riportare tali sonorità è commovente ed il gruppo ce la mette tutta per risultare più aggressivi possibile, ed in effetti ci riesce alla grande, specialmente nei brani più elaborati come Darkest Minds e la punkizzata Repulse Desire.
Se siete amanti di tutto quello che è vintage nel metal estremo, Depraved Echoes and Terrifying Horrors si può certamente considerare un esordio positivo, appetibile in particolare per i fans più accaniti dello speed/thrash vecchia scuola.

TRACKLIST
1. Black Death
2. Seven Comandments
3. Human Coffin
4. Darkest Minds
5. Bloody Salvation
6. Route 666
7. Fallout (Over France)
8. Repulsive Desire
9. Buried Alive

LINE-UP
Chris – Drums
Daniel – Guitars
Steffen – Vocals, Bass

J.T.RIPPER – Facebook