VIBORAS

Il video di “Where Were You”, primo estratto dal nuovo album “Eleven”.

Il video di “Where Were You”, primo estratto dal nuovo album “Eleven”.

Le parole della band sul nuovo video:
“Where Were You” è stato girato in un angolo di sala prove in cui il focus è volutamente la fisicità della band e ovviamente la canzone. Il brano in particolare chiede ad un immaginario interlocutore il perché della sua assenza proprio nel momento del bisogno.
E’ stato girato a settembre 2017 al 33Hz Studio di Trezzo (MI).
Regia e concept sono di Sal Rinella e Gio Poison.

www.facebook.com/viboras.rock
www.instagram.com/viboras_official

BIOGRAFIA
I Viboras nascono nel settembre 2003, pochi mesi dopo l’incontro-colpo di fulmine tra i componenti della band sul set del video dei Berenice Beach (già band di Sal e Beppe) “Jennifer”: Irene, all’epoca protagonista del video e Gio, il regista, trovano subito il feeling con il chitarrista Sal che propone di fondare un nuovo gruppo chiedendo a Beppe di unirsi al progetto.
Nell’arco di 4 mesi la band compone e registra un demo al Malibu di Milano, “We Bite”, e dopo una breve label search entra nel roster Ammonia Records, registrando l’album “Wrong” presso il celebre West Link Studio di Pisa allo scoccare dell’anno dalla formazione.
Da quel momento la band gira in Italia, Austria e Spagna unendosi a festival punk d’eccellenza come Eastpak Etnika Rock e alla prima edizione di Rock in Idro, condividendo palchi con nomi storici quali Toy Dolls, Darkest Hour, Punkreas, Derozer, Pornoriviste, Alberto Camerini.
Durante la composizione del secondo album Irene Viboras partecipa a brani di Thee STP, Punkreas e J-AX: quest’ultimo con 2,5 milioni di visualizzazioni del video “Tre Paperelle” e i successivi live sold out agli MTV TRL Awards e Live Club, aprono la band ad un ampio pubblico dai gusti musicali liberi da genere.
Nel 2010 i componenti decidono di mettere in standby la band per concentrarsi sui progetti artistici personali, ma l’assenza dell’entità “Viboras” si fa sentire da tutti. Dopo aver finalmente pubblicato “We Are With You Again” nel 2015 ripartono live e composizione e gli anni di pausa danno alla luce “Eleven”, terzo studio album registrato al 33Hz Studio di Frank Altare a Trezzo Sull’Adda (MI).
La band entra a far parte del roster di The Jack Music Agency ed è pronta per la release del nuovo album, il prossimo 23 febbraio.

Eternal Helcaraxe – In Times of Desperation

In Times of Times of Desperation è il classico lavoro che cresce con gli ascolti, consentendo di scoprire ogni volta qualche nuova interessante sfumatura, all’interno comunque di un sound robusto ma nel contempo mai eccessivamente spinto all’estremo.

Secondo full length per gli irlandesi Eternal Helcaraxe, band attiva da circa un decennio ma dall’attività piuttosto diradata, visto che il precedente Against All Odds risale appunto al 2012.

Poco male, se l’attesa produce un black metal così valido sotto tutti gli aspetti: In Times of Desperation è, infatti, un lavoro che unisce intensità e buon gusto melodico derogando un po’ dalle sfumature più atmosferiche del genere alle quali siamo abituati con le band che fanno parte del roster della Naturmacht.
L’album si rivela sufficientemente elaborato e vario, sempre dotato di una buona fruibilità che si esplica in un brano emblematico come la lunga Bannow, dove troviamo anche il gradevole contributo di una voce femminile, oltre che nelle trascinanti End Of All Things e From Seeds To Forest e nella più evocativa e conclusiva One Journey.
Come sempre le band irlandesi non si rivelano banali, qualsiasi possa essere il genere da loro prorosto: In Times of Times of Desperation è il classico lavoro che cresce con gli ascolti, consentendo di scoprire ogni volta qualche nuova interessante sfumatura, all’interno comunque di un sound robusto ma nel contempo mai eccessivamente spinto all’estremo.

Tracklist:
1. Our Time In The Sun
2. End Of All Things
3. Kneel Before None
4. The Healer And The Cross
5. Bannow
6. From Seeds To Forest
7. In Times Of Desperation
8. One Journey

Line-up:
Tyrith – Drums
Praetorian – Guitars, Keyboards, Vocals
Maulgrim – Guitars, Vocals (backing)

ETERNAL HELCARAXE – Facebook

Visigoth – Conqueror’s Oath

I barbari statunitensi si ripresentano dopo due anni da The Revenant King con un buon lavoro devoto ai canoni dell’epic true heavy metal,roccioso e fiero, ma inferiore allo splendido esordio.

Duri come l’acciaio, i barbari di Salt Lake City si ripresentano dopo l’ottimo debutto del 2015, The Revenant King, con un nuovo disco forgiato con il classico epic true heavy metal.

Le radici sono profondamente immerse nel suono epic americano dei bei tempi e i cinque musicisti ripercorrono con grinta, tenacia e discreta personalità questa strada, sguainando riff devoti e abbastanza memorabili, vocals e chorus rocciosi e carichi di pathos: il loro intento è sincero e convinto, non volendo modificare le regole del genere ma solo scrivere canzoni battagliere e indomite. Otto brani per quaranta minuti di musica dal forte impatto energetico: fin dall’opener Steel and Silver i canoni del genere vengono rispettati, con grandi chitarre che tagliano l’aria con riff e assoli fortemente epici ed il vocalist Jake Rogers che intona fieri inni accompagnato da chorus che esaltano l’atmosfera.Tutti i brani sono di buon livello, tranne forse Salt City, un po’ fuori fuoco e più “easy”, ma le vere punte del lavoro si trovano in Warrior Queen (bel titolo) compatta e decisa nel suo incedere, con un bel interplay di chitarra che ha sentori di NWOBHM e un’interpretazione molto sentita di Rogers. La melodia iniziale di Traitor’s Gate, accompagnata dalle accusatorie vocals, esplode in un tornado irrefrenabile scandito dal chorus vibrante e teso per una song che alza la temperatura della battaglia e sarà memorabile in sede live. La velocissima Blades in the Night continua a infiammare gli animi e non concede tregua attraversata da assoli perentori, mentre la title track è un mid-tempo quasi marziale dove sono ripercorsi con inalterata fierezza i canoni del genere e nel quale non mancano momenti esaltanti, con chitarre tonanti e chorus il cui motto è “sing through our souls like thunder and blood”. Una classica ma splendida cover completa un buon lavoro che a mio parere rimane però al disotto del disco d’esordio.

Tracklist
1. Steel and Silver
2. Warrior Queen
3. Outlive Them All
4. Hammerforged
5. Traitor’s Gate
6. Salt City
7. Blades in the Night
8. The Conqueror’s Oath

Line-up
Jamison Palmer Guitars
Leeland Campana Guitars
Matthew Brown Brotherton Bass
Mikey Treseder Drums
Jake Rogers Vocals

VISOGOTH – Facebook

Eye Of The Destroyer – Starved And Hanging

Quattro brani, quattro pallottole death/grind/hardcore sparate ad altezza d’uomo da questa macchina da guerra estrema per la quale la parola d’ordine è fare male, senza pietà.

E’ giunto anche per l’ep Starved and Hanging degli americani Eye Of The Destroyer il momento dell’uscita su supporto fisico in queste prime battute del nuovo anno.

Il gruppo proveniente dal New Jersey, nato nel 2013, ha un solo full length all’attivo (Methods Of Murder) ed un buon numero di ep di cui questo è l’ultimo arrivato: la band suona death metal, contaminato da furiose parti hardcore e grind, quindi una proposta musicale assolutamente estrema e senza compromessi.
Il mini cd in questione è composto da quattro tracce per soli dieci minuti di macello sonoro che si rifà alla scena d’oltreoceano, con echi di Dying Fetus e Cannibal Corpse che si ritrovano in un concept che unisce tradizione metal e frustate core per una pesantissima e quanto mai devastante proposta.
La durata del lavoro aiuta non poco l’ascolto, anche se la natura underground e violentissima del prodotto risulta materia solo per chi di questi suoni si nutre abitualmente.
Quattro brani, quattro pallottole death/grind/hardcore sparate ad altezza d’uomo da questa macchina da guerra estrema per la quale la parola d’ordine è fare male, senza pietà.

Tracklist
1.Obsessed with Death
2.Crushed Between Earth and Bone
3.Starved and Hanging
4.Mandatory Bludgeoning

Line-up
Joe Randazza – Drums
Chris Halpin – Guitars
Christopher Vlosky – Vocals
Dan Kaufman – Bass

EYE OF THE DESTROYER – Facebook

DISAFFECTED

Il video di “Glossolalia”, dall’album “The Trinity Threshold” (Chaosphere Recordings).

Il video di “Glossolalia”, dall’album “The Trinity Threshold” (Chaosphere Recordings).

Prog/Death metal band Disaffected release new video for “Glossolalia”. “Glossolalia” is taken from Disaffected’s third studio album “The Trinity Threshold”, which was released last November via Chaosphere Recordings.

The clip was filmed at Black Sheep Studios (Mem Martins, Portugal), and was directed and produced by Ivo Martins.

Order new album “The Trinity Threshold” – https://disaffectedmetal.bandcamp.com/

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Deathcult – Cult Of The Goat

Cult Of The Goat è senz’altro un album ricco di sostanza e in grado di soddisfare chi disconosce gran parte di quanto offerto in ambito black metal nel nuovo secolo, prediligendo l’impatto di sonorità a loro modo datate ma sempre in grado di fare molto male

I Deathcult sono una band norvegese dal curriculum di tutto rispetto in ambito black metal, visto che a far parte del trio troviamo musicisti che hanno collaborato con nomi quali Gorgoroth e Taake (di questi ultimi addirittura lo stesso Hoest, qui nel ruolo di bassista).

Neanche a dirlo, quello dei Deathcult è un black devoto alla tradizione del genere ma con qualche piacevole variazione sul tema, quindi resta all’insegna di un’interpretazione del genere diretta e senz’altro lineare ma senza che vengano disdegnati cambi di ritmo oppure passaggi relativamente più ricercati.
Un brano di apertura come Climax Of The Unclean basta ed avanza per farsi un’idea esaustiva del contenuto di un album come Cult Of The Goat, dal quale tutto bisogna attendersi fuorché  sperimentazioni o fascinazioni provenienti da altri filoni stilistici, anche se l’esperienza dei musicisti coinvolti fa sì che ogni traccia si riveli ricca di spunti e curata in ogni dettaglio, produzione inclusa.
Davvero notevole si rivela Man Versus Beast, travolgente nelle sue ritmiche incessanti, mentre The Oath sposta nel finale le sue coordinate verso un sapiente black’n’roll che anticipa una inquieta Devilgoat, nella quale va rimarcato il pregevole lavoro al sitar dell’ospite Gjermund Fredheim.
Da segnalare anche l’ospitata di Attila Csihar, magari non fondamentale  per il contributo fornito ma significativa di quanto questo gruppo di musicisti goda di una solida credibilità all’interno della scena.
In definitiva Cult Of The Goat è senz’altro un album ricco di sostanza e in grado di soddisfare chi disconosce gran parte di quanto offerto in ambito black metal nel nuovo secolo, prediligendo l’impatto di sonorità a loro modo datate ma sempre in grado di fare molto male.

Tracklist:
1. Climax Of The Unclean
2. Bloodstained Ritual
3. Ascension Rite
4. Man Versus Beast
5. The Oath
6. Devilgoat
7. Laudate Hircum

Line-up:
Skagg – Vocals, Guitar
Hoest – Bass
Thurzur – Drums

Guests:
Dirge Rep: Lyrics
Attila Csihar: Vocals
Lava: Guitar
Gjermund Fredheim: Guitar/Sitar/Baroque Guitar and Bow
Carmen Boveda: Cello
Gøril Skeie Sunde: Cello

DEATHCULT – Facebook

CORROSIVE

Il video di “Taste The Pain”, dall’album “Lucifer Gave The Faith”.

Il video di “Taste The Pain”, dall’album “Lucifer Gave The Faith”.

The Marburg based death metallers Corrosive have released a video for the track “Taste The Pain”, taken from their latest album “Lucifer Gave The Faith”, which is available since December 8th. In the opening credits of the video, which contains controversial scenes, the band publishes the following statement: “This video is not intended to incite people to harass others sexuality, nor do we glorify any kind of violence and abuse. The song is written through the eyes of an agressor. It is intended to raise awareness of the problem of molestation.”

Corrosive @ Facebook: https://www.facebook.com/corrosiveband/
Order @ MDD Shop: https://goo.gl/p6sTxj

Xenosis – Devour and Birth

Devour And Birth è un album molto interessante, progressivo e piacevole nell’ascolto anche per chi non stravede per la tecnica fine a se stessa e questo a mio parere è il complimento più bello che si possa fare alla band.

Band dall’alto tasso tecnico, ma che mantiene al suo interno un buon bilanciamento tra l’anima progressiva e quella più tradizionalmente death metal: tornano gli statunitensi Xenosis, gruppo che, in regime di autoproduzione dà vita al terzo lavoro sulla lunga distanza, questo riuscito esempio di technical death metal album dal titolo Devour And Birth.

L’opera si presenta in tutta la sua estrema natura e ricamata da sfumature e digressioni progressive di ottima fattura, mantenendo una buona forma canzone che permette all’ascoltatore di seguire le evoluzioni strumentali senza perdere il filo di un discorso musicale lungi dall’essere noioso o troppo cervellotico.
L’opener Night Hag ci presenta un gruppo perfettamente in grado di viaggiare a ritmi considerevoli nel variegato e pericoloso mondo del death metal ultra tecnico, anche per merito di una sagacia nella scrittura che lascia spazio a parti melodiche o più dirette, mentre le mere sezioni dedicate alla tecnica sono dosate e sistemate al posto giusto nel momento giusto.
Un growl brutale accentua la vena estrema e mette in risalto la parte old school del sound dei nostri che, con audaci e devastanti brani come Concave, Ominous Opus e la title track, convincono anche l’ascoltatore più intransigente ed amante di nomi altisonanti del metal estremo come Death, Atheist e Obituary.
Devour And Birth è un album molto interessante, progressivo e piacevole nell’ascolto anche per chi non stravede per la tecnica fine a se stessa e questo a mio parere è il complimento più bello che si possa fare alla band.

Tracklist
1. Night Hag
2. Army of Darkness
3. Delirium (Death of a God)
4. Concave
5. Oxidation
6. Ominous Opus
7. Devour and Birth
8. The Projector

Line-up
Sal Bova – Vocals
Kenny Bullard – Guitar
Mark Lyon – Guitar
Dave Legenhausen – Bass
Gary Marotta – Drums

XENOSIS – Facebook

Jarun – Sporysz

Sporysz è un album che cresce con gli ascolti e che conduce alla lenta ma essenziale scoperta di una band dotata anche di grandi capacità esecutive, fondamentali nell’economia di un lavoro che dai cambi di tempo ed atmosfera trae buona parte della propria ragion d’essere.

I polacchi Jarun arrivano al lor terzo full length con Sporysz, cantato in lingua madre come i precedenti Wziemiozstąpienie e Pod niebem utkanym z popiołu.

Per quanto mi concerne, questo è il primo incontro con il gruppo nato come progetto solista del chitarrista Zagros, e le referenze parlano di un progressive black dalle forti venture folk che in effetti si rivengono in quest’occasione, ma in maniera non cosi accentuata.
Non è detto che ciò sia un male, visto che proprio tali sfumature mantengono le sonorità su un piano carico di maggiore tensione, ed anche quando la chitarra acustica pare prendere campo, ciò avviene sempre all’insegna di partiture denotate da una grande oscurità (per esempio all’inizio di Wichry).
Indubbiamente, invece, l’appellativo progressive calza a pennello al sound degli Jarun , visto che il loro black metal è cangiante ma, nel contempo, rifugge ogni tentazione cervellotica; infatti va dato loro merito di mantenere sempre sotto stretto controllo le varie pulsioni creative incanalando il tutto in uno stile che a tratti può ricordare quello dei Negura Bunget nelle parti meno orientate al folk.
Sporysz è un album che cresce con gli ascolti e che conduce alla lenta ma essenziale scoperta di una band dotata anche di grandi capacità esecutive, fondamentali nell’economia di un lavoro che dai cambi di tempo ed atmosfera trae buona parte della propria ragion d’essere.
Se sono magnifiche la title track e la già citata Wichry, non è da meno il resto della tracklist, frutto di un lavoro di composizione di primissimo ordine, invero sorprendente sotto certi punti di vista: per gli Jarun potrebbe essere arrivato il momento di abbattere la barriera che ancora li divide dal novero delle band più importanti, sperando solo che l’uso della lingua polacca non finisca per costituire a suo modo un limite.

Tracklist:
1. Sporysz
2. Powidoki
3. Jesien Wiecznosci
4. Wichry
5. Sny jak ziemia, sny jak rzeka
6. Malowany ogien

Line-up:
Mateusz Kujawa – vocals
Marcin “Pazuzu” Pazera – drums
Dawid Wierzbicki – bass
Krzysztof “Gambit” Stanisz – guitars
Jakub “Zagreus” Olchawa – guitars

JARUN – Facebook

Aeonian Sorrow – Into The Eternity A Moment We Are

Gli Aeonian Sorrow si rivelano il veicolo ideale per portare definitivamente alla luce il dirompente potenziale di un’artista a 360 gradi come Gogo Melone.

Uno dei rischi che si corrono nell’approcciarsi superficialmente ad un’opera di questo tipo è quello di derubricarla ad un normale album di gothic death doom con voce femminile, sulla falsariga di Draconian e band similari.

Commettere un errore del genere significherebbe non solo non rendere giustizia ad un disco meraviglioso come Into The Eternity A Moment We Are ma anche privarsi, per pigrizia o ignavia, di uno dei rari esempi di arte musicale in grado di toccare le giuste corde emozionali lungo l’intero scorrere dei brani.
Gli Aeonian Sorrow sono la creatura musicale di Gogo Melone, musicista greca che gli ascoltatori più addentro al genere avranno già avuto modo di conoscere in virtù della sua partecipazione a Destin, l’ultimo ep dei Clouds di Daniel Neagoe, offrendo nello specifico il suo magnifico contributo vocale nel brano In This Empty Room.
Gogo si è occupata in prima persona sia dell’aspetto compositivo, sia di quello lirico ed infine anche dell’aspetto grafico, essendo anche in quest’ultimo campo una delle più rinomate esponenti in circolazione: insomma, qui parliamo di un’artista a 360 gradi il cui talento viene finalmente svelato in tutto il suo dirompente potenziale grazie a Into The Eternity A Moment We Are.
Contribuiscono in maniera fondamentale alla riuscita del lavoro, accompagnando la musicista ellenica e collaborando fattivamente anche nell’arrangiamento dei brani, alcuni esponenti di comprovata esperienza della scena, partendo dal vocalist colombiano Alejandro Lotero (negli Exgenesis di Jari Lindholm) per arrivare al trio finnico composto da Saku Moilanen (batteria, Red Moon Architect), Taneli Jämsä (chitarre, Ghost Voyage) e Pyry Hanski (basso, ex Before The Dawn e live con Red Moon Architect): in particolare Lotero, con il suo profondo growl è l’ideale contraltare delle evoluzioni della cantante che, attenzione, non è la classica sirena dalla bella voce che parte con una tonalità e con quella finisce; Gogo Melone è “semplicemente” una vocalist formidabile, in grado di passare da timbriche cristalline e suadenti a lampi che riportano inevitabilmente a due giganti legati alla sua stessa terra come Diamanda Galas, naturale riferimento in quanto voce femminile, ed il mai abbastanza rimpianto Demetrio Stratos, che ben conosciamo per aver sviluppato la propria carriera in Italia, prima con i seminali Area e poi come vero e proprio sperimentatore e studioso dell’uso della voce umana.
Chi pensa che certi paragoni possano essere eccessivi deve solo ascoltare l’opener Forever Misery, finora l’unico brano reperibile in rete, che già di per sé sarebbe una canzone stupenda ma che, nella sua seconda metà, viene letteralmente segnata dai vocalizzi di Gogo poggiati su un tappeto sonoro drammatico; come prova del nove poi, chi verrà in possesso dell’intero album (che uscirà ad aprile), potrà pure passare alla conclusiva Ave End, uno dei pezzi più belli che abbia mai avuto la fortuna di ascoltare, con Alejandro a dominare la prima parte prima di lasciare spazio al canto drammatico e trasfigurato della vocalist, destinato infine a ricongiungersi al growl per un risultato d’assieme che conduce inevitabilmente alle lacrime.
Tutto ciò a livello esemplificativo, perché ovviamente resta tutto da godersi un corpo centrale dell’album che non è affatto da meno, oscillando da atmosfere più aspre (Thanatos Kyrie) ad altre più intimiste (Memory Of Love) per finire con tracce strutturate in maniera più canonica (Shadows Mourn, Under The Light, Insendia) ma dotate sempre di un’intensità superiore alla media grazie ad una scrittura di rara sensibilità.
E’ un delicato interludio pianistico (The Wind Of Silence) a condurre al capolavoro assoluto Ave End, che chiude l’album portando il coinvolgimento emotivo ad un livello tale da lasciare un tangibile senso di vuoto quando la musica cessa, invero in maniera quasi repentina: si tratta di pochi secondi, sufficienti però a realizzare che sì, la vita è un attimo rispetto all’eternità, come suggerisce il titolo del disco, ma spetta a noi darle un senso sviluppando al massimo un potenziale empatico che ci consenta di immedesimarci nella gioia e nel dolore altrui, marcando in maniera netta ed inequivocabile la differenza tra una minoranza fatta di persone senzienti e tutte le altre.
Dovendo per forza di cose fornire un riferimento musicale a chi legge, appare evidente, come già detto in fase introduttiva, che i Draconian dei primi album costituiscono un termine di paragone piuttosto attendibile, anche se gli Aoenian Sorrow possiedono un approccio più funereo, atmosferico e con una minore predominanza della chitarra, specialmente in veste solista, ma a fare la differenza con gran parte delle uscite del genere negli ultimi anni è una capacità innata di raggiungere il climax dei brani partendo sovente da passaggi più pacati ed intimisti.
Con un’opera di tale spessore gli Aoenian Sorrow vanno a collocarsi sullo stesso piano delle band citate nel corso dell’articolo, il che significa il raggiungimento dell’eccellenza assoluta, ottenuta anche e soprattutto tramite l’epifania di un talento artistico prezioso come quello di Gogo Melone.

Tracklist:
1.Forever Misery
2.Shadows Mourn
3.Under The Light
4.Memory Of Love
5.Thanatos Kyrie
6.Insendia
7.The Wind Of Silence
8.Ave End

Line-up:
Gogo Melone – Vocals, Keyboards, Songwriting, Lyrics
Saku Moilanen – Drums
Alejandro Lotero – Vocals
Taneli Jämsä – Guitars
Pyry Hanski – Bass

AEONIAN SORROW – Facebook

AAVV – Marc Bolan, David Bowie: a tribute to the madmen

Il giusto e splendido tributo a due grandi immortali della musica novecentesca, senza se e senza ma, omaggiati da una pletora di artisti di spessore.

Nel 1977, appena trentenne, moriva in un incidente d’auto Marc Bolan. Nell’inverno del 2016, quasi 40 anni dopo, se n’è andato David Bowie.

Ai due immensi artisti (nel senso vero della parola), che nel 1971 – con Electric Warrior il primo, con Hunky Dory il secondo – inventarono il glam rock, oggi rende omaggio la Black Widow di Genova. E lo fa con un cofanetto tributo davvero entusiasmante: tre CD, un poster, un magnifico libretto illustrativo in formato 45 giri ed una spilla. Ad omaggiare Bolan e Bowie, la label ligure ha chiamato gruppi e solisti (non solo della propria scuderia) di area prog, hard rock, folk, doom e dark. E’ davvero straordinario ascoltare, alle prese con Bolan e Bowie, Paul Roland, Bari Watts, Adrian Shaw, i Danse Society, i Kingdom Come di Victor Peraino, Franck Carducci, i Death SS, i Presence e La Fabbrica dell’Assoluto (nel primo cd), Joe Hasselvander (ex di Pentagram e Raven), i Blooding Mask, il Segno del Comando, gli Aradia di Sophya Baccini, Silvia Cesana e la sua band, gli Oak, i Witchwood e gli Elohim (nel secondo cd), i Northwinds, i General Stratocuster & the Marshals, Freddy Delirio, i Mugshots, gli Electric Swan, Rama Amoeba, i Blue Dawn e i Landskap (nel terzo ed ultimo cd). In tutto sono 59 canzoni: ogni classico di Bowie e dei T. Rex è presente e non mancano inoltre le sorprese. Commentare ogni singolo rifacimento è certo impresa impossibile e non intendo rovinare il piacere all’ascoltatore. Una cosa, però, va detta: ogni artista o band rispetta fedelmente l’originale, rileggendolo comunque in chiave personale e creativa, senza snaturarlo e portando, semmai, il bagaglio musicale del proprio stile o genere d’appartenenza: scusate se è poco! Un’opera magna e doverosa, che tributa il genio e il suo ruolo nella storia.

Tracklist
CD 1
1. PAUL ROLAND Meadows Of The Sea
2. PAUL ROLAND The Prettiest Star
3. BARI WATTS By the light of a magical moon
4. BARI WATTS Lady Stardust
5. ADRIAN SHAW Jeepster
6. ADRIAN SHAW It’s ain’t easy
7. THE DANSE SOCIETY Ride A White Swan
8. THE DANSE SOCIETY Scary Monster
9. V. PERAINO KINGDOM COME Monolith
10. V. PERAINO KINGDOM COME Panic In Detroit
11. La FABBRICA DELL’ASSOLUTO Metropolis
12. La FABBRICA DELL’ASSOLUTO Big Brother
13. DEATH SS 20th Century Boy
14. DEATH SS Cat People (Cutting Out Fire)
15. PRESENCE Children Of The Revolution
16. PRESENCE We are the dead
17. FRANCK CARDUCCI The Slider
18. FRANCK CARDUCCI Life On Mars

CD 2
19. THE HOUNDS OF HASSELVANDER Chariot Choogle
20. THE HOUNDS OF HASSELVANDER Cracked Actor
21. BLOODING MASK Beltane Walk
22. BLOODING MASK The Hear’st Filthy Lesson
23. IL SEGNO DEL COMANDO Mambo Sun
24. IL SEGNO DEL COMANDO Ashes To Ashes
25. SOPHYA BACCINI’S ARADIA Cosmic Dancer
26. SOPHYA BACCINI’S ARADIA Velvet Goldmine
27. SILVIA CESANA Girl
28. SILVIA CESANA Heroes
29. O.A.K. Cat Black
30. O.A.K. The man who sold the world
31. WITCHWOOD Child Star
32. WITCHWOOD Rock’n’roll Suicide
33. ELOHIM Ride A White Swan
34. ELOHIM Let’s dance

CD 3
35. NORTHWINDS Childe
36. NORTHWINDS Space Oddity
37. FREDDY DELIRIO Buick Mackane
38. FREDDY DELIRIO Rebel Rebel
39. GENERAL STRATOCUSTER & The MARSHALS Metal Guru
40. GENERAL STRATOCUSTER & The MARSHALS Moonage Daydream
41. THE MUGSHOTS Pain And Love
42. THE MUGSHOTS China Girl
43. ELECTRIC SWAN Midnight
44. RAMA AMOEBA Telegram Sam
45. RAMA AMOEBA Dandy in the Underworld
46. LANDSKAP Ballroom Of Mars
47. LANDSKAP Look Back In Anger
48. BLUE DAWN Rip Off
49. BLUE DAWN Warszawa

BLACK WIDOW – Facebook

ATHLANTIS

Il lyric video di “Nightmare” (feat Trevor), dall’album “Metalmorphosis” (Diamonds Prod).

Il lyric video di “Nightmare” (feat Trevor), dall’album “Metalmorphosis” (Diamonds Prod).

Nuovo singolo per gli ATHLANTIS, band capitanata da Steve Vawamas al basso (Mastercastle, Ruxt, Odyssea…), Tommy Talamanca alle chitarre e tastiere (Sadist), Alessio Calandriello alla voce (La Coscienza di Zeno, Lucid Dream), e Alessandro Bissa alla batteria (A Perfect Day, ex-Labyrinth, ex-Vision Divine). Il brano, tratto dall’ultimo “Metalmorphosis” uscito per Diamonds Prod, si intitola “Nightmare” e vede Trevor, voce dei Sadist in qualità di special guest.

Killcode – The Answer

Nu metal, hard rock e southern metal formano una miscela esplosiva chiamata The Answer che i Killcode ci fanno esplodere nelle orecchie in questi primi mesi del nuovo anno.

Tornano con un nuovo album dopo quasi sei anni dal precedente i Killcode, band proveniente dalla scena hard rock della grande mela.

La band ha iniziato a farsi sentire ormai dieci anni fa e ora è pronta, con l’aiuto di Roy Z (Life Of Agony) alla produzione, a travolgere gli amanti dell’hard rock moderno con The Answer, nuovo e potentissimo album velato da sfumature southern metal e ritmiche che rimandano al nu metal di fine secolo scorso, con un’attitudine rock’n’roll che deflagra come un candelotto di nitroglicerina trattato con poca cura.
The Answer è un album vario, valorizzato da un lotto di brani che risultano potenziali hit e che soprattutto non mancano di piacevoli e ruffiane melodie, moderno ma ancora legato alla tradizione che esce prepotentemente nella super ballad Own It Now, con Chris Wyse (Ace Frehley band, OWL, The Cult) al basso in veste di ospite.
L’album parte forte con la title track, brano che alterna atmosfere stoppate classiche del nu metal con Tom Morrissey che accenna un rappato nel chorus, mentre Shoe Me risulta una classica hard rock song, Shot un irresistibile pezzo di granito metallico moderno e Bleed un rock’n’roll solcato da un’anima dalle sfumature che ricordano l’esordio omonimo dei Beautiful Creatures.
The Answer scorre via alternando i suoi input o inglobandoli in crescendo potenti e melodici come la rocciosa Slave, mentre una nostalgica armonica intona melodie sudiste nella conclusiva Put It Off.
Nu metal, hard rock e southern metal formano una miscela esplosiva chiamata The Answer che i Killcode ci fanno esplodere nelle orecchie in questi primi mesi del nuovo anno.

Tracklist
01. The Answer
03. Shot
02. Show Me
04. Bleed
05. Own It Now
06. Kickin’ Screamin’
07. Pick Your Side
08. The Haunting
09. Slave
10. Put It Off

Line-up
Tom Morrissey – Vocals
Chas – Guitar, Vocals
D.C. Gonzales – Guitars
Erric Bonesmith – Bass, Vocals
Rob Noxious – Drums

KILLCODE – Facebook

Strike Avenue – Human Golgotha

Human Golgotha torna a far parlare in modo estremamente positivo del death metal moderno, oltretutto per merito di una band italiana.

Dimenticatevi le solite nenie metalcore in voga negli ultimi anni e concentratevi, invece, sulla forza bruta che il death metal moderno riesce a sprigionare quando è suonato come se non ci fosse un domani.

Oltre che un domani gli Strike Avenue hanno pure un passato, con il 2018 che porta gli anni di attività della band in doppia cifra ed un quarto album che letteralmente deflagra dalle vostre casse in un mastodontico e disumano urlo estremo.
Che il gruppo avesse dalla sua l’esperienza per non fallire era sicuramente dimostrato dalla discografia di cui può vantarsi, con tre album alle spalle e diversi ep e singoli, non poco di questi tempi se non si è assolutamente sul pezzo.
La collina più famosa in ambito religioso è ben in mostra sulla copertina di questo Human Golgotha, album autoprodotto che tratta delle umane sofferenze attraverso un sound oscuro, estremo e pesantissimo.
La band calabrese è una forza della natura, il suo death metal moderno è un mostro che fagocita death metal classico e deathcore e lo espelle trasformato in un devastante ibrido color porpora.
Le ferite del Cristo sanguinano, il mondo intorno si colora di rosso e l’intro In Nomine Patris ha già lasciato posto alla rabbia che si trasforma in scudisciate di metal estremo violentissimo nella title track.
Il growl è un urlo animalesco con cui Phil racconta di un’ umanità in coma irreversibile, disfatta da sofferenze e malvagità, le ritmiche passano con disinvoltura dai classici tempi del core ad accelerazioni improvvise e devastanti (The Despised Lion); le melodie non mancano, e all’ombra di questa catastrofe sonora si fanno spazio, prima timide, poi presenti tra le trame di Dark Genesis e Cranium.
Brani al limite del brutal, feroci e coinvolgenti, lasciano spazio a riff intriganti e melodici aprendo una breccia nei cuori di chi ama il melodic death (Devourer Of Worlds), per poi tornare ad bombardamento senza soluzione di continuità,  punto di forza di un lavoro che rimane assolutamente estremo e brutale per tutta la sua durata.
Human Golgotha torna a far parlare in modo estremamente positivo del death metal moderno, oltretutto per merito di una band italiana.

Tracklist
1. In Nomine Patris
2. Human Golgotha
3. The Despised Lion
4. The Gates Of Hell
5. Dark Genesis
6. Cranium
7. Devourer Of Worlds
8. Sublimating The Black Mountain
9. Adamantius
10. Quietem

Line-up
Phil – Vocals
John Hunter – Guitars
Beengo – Guitars
Grim – Drums

STRIKE AVENUE – Facebook

LIV SIN

Il video di The Fall, dall’album Foll Me (Despotz Records).

Il video di The Fall, dall’album Foll Me (Despotz Records).

L’affascinante ex cantante dei Sister Sin LIV “SIN” JAGRELL pubblica oggi il nuovo video tratto dal suo debutto solista “Follow Me”, dato alle stampe da Despotz Records ad aprile 2017.

“Per il video della canzone ‘The Fall’ abbiamo voluto catturare l’energia dei nostri concerti. È uno dei brani più veloci e aggressivi quindi rappresenta band la band dal vivo”, spiega la frontgirl.

Il video è stato registrato a Stoccolma e al festival Skogsröjet a Rejmyre, Svezia, la scorsa estate.

“I LIV SIN sono una band heavy metal e desideriamo che i nostri show riflettano ciò, così come fa la nostra musica. È un’esperienza intensa con headbanging, pugni alzati al cielo e testi cantati a squarciagola. Speriamo che il video di ‘The Fall’ vi dia un assaggio di ciò che vi aspetta ad un concerto dei LIV SIN”, conclude Liv.

Il disco è stato prodotto dal bassista di U.D.O. Fitty Wienhold e da Stefan Kaufmann (ex ACCEPT, U.D.O.).

“Follow Me” contiene anche una cover del classico dei FIGHT “Immortal Sin”, presente sul debutto del 1993 della band di Rob Halford, “War Of Words”. Nella versione di Liv troviamo, in qualità di ospite, il frontman dei THE 69 EYES’ Jyrki 69.

In tredici anni di carriera i SISTER SIN hanno venduto migliaia di album e suonato in tutto il mondo con band come SLAYER e KING DIAMOND nel Rockstar Energy Drink Mayhem Festival, e hanno partecipato al tour di Revolver magazine “Hottest Chicks In Metal”. I SISTER SIN si sono guadagnati una solida fan base grazie al loro hard rock aggressivo ma al tempo stesso melodico. Quando i SISTER SIN si sono sciolti alla fine del 2015, Liv sapeva di avere ancora molto da dare ai suoi fan. La sua nuova musica mette in luce quanto Liv sappia essere potente, sexy e carica d’attitudine.

http://liv-sin.com
https://www.facebook.com/livsinmusic

False Witness – False Witness

Un ottimo gruppo canadese, ignoto ai più, rimasto sempre ingiustamente ai margini e precocemente scioltosi nell’indifferenza generale, responsabile di un heavy-speed metal per veri defenders, sulla scia dei connazionali Exciter ed Anvil.

Originari di North Delta, nella Columbia britannica, i False Witness si formarono nel 1989 e, dopo sette anni di inutili tentativi, gettarono la spugna.

Il gruppo canadese ebbe infatti la grande sfortuna di costituirsi solo alla fine di quello che è stato il decennio aureo del metal mondiale, per vivere la sua difficile esistenza negli anni infelici segnati dalle mode alternative. Il primo ed unico demo tape del quartetto nordamericano apparve, omonimo, nel 1990: un favoloso concentrato di speed metal e di heavy classico, assolutamente figlio degli anni Ottanta in termini di composizioni e di suono, non senza reminiscenze prog (di marca inglese) e, soprattutto, US power (in particolare i grandi e storici Exxplorer). La cassetta del 1990, registrata sul finire dell’anno prima, comprendeva soltanto quattro pezzi (Laughing to the Skies, Confessions, Wall of Shame e la stupenda ed epica Crestfallen King); nel 2008 la piccola ma volitiva Arkeyn Steel Records ha ristampato il nastro, su CD, in mille copie, aggiungendo anche tre brani, incisi a Vancouver nel novembre 1989, ed altrettante tracce da provini risalenti al periodo compreso tra il 1993 e il 1995, rendendo quindi ancora più succulento il piatto e intitolando la compilation Crestfallen King. E’ l’occasione per rifarsi, sia pure a distanza di tempo, per rendere il giusto onore ai False Witness. Magnifica, dark e suggestiva, tra l’altro la grafica del cd.

Track list
1.Laughing to the Skies
2.Confessions
3.Wall of Shame
4.Crestfallen King

Line up
Michael Rieger – Vocals
George Mahee – Guitars
Scott Aquino – Drums
Rob Bretty – Bass

1990 – Autoproduzione

Troll – Troll

Troll è un debutto di assoluta bellezza, che unisce il miglior prog degli anni settanta con la magia del rock e con un pizzico di metal, vivendo di soluzioni sonore molto belle e durature, le cui trame si espandono nelle nostre menti.

Incredibile debutto per questo gruppo di Portland, Oregon, capace di coniugare in maniera meravigliosa il prog con un rock metal molto anni settanta, riuscendo a riportare l’ascoltatore ai fasti del genere.

Tutto questo disco è magia, dalla prima all’ultima nota, sembra un viaggio in compagnia di Gandalf, senza le asprezze che dovettero subire i suoi amici, ma solo la dolcezza di vedere altri mondi. Il giovane gruppo americano ha pubblicato un demo nel 2015, per poi pubblicare poco dopo questo album omonimo, e le vendite andarono molto bene tanto da catturare l’attenzione della Shadow Kingdom Records che ha redatto questa ristampa in cassetta e cd e che, poi, pubblicherà il loro disco nuovo nel corso del 2018. Troll è un debutto di assoluta bellezza, che unisce il miglior prog degli anni settanta con la magia del rock e con un pizzico di metal, vivendo di soluzioni sonore molto belle e durature, le cui trame si espandono nelle nostre menti. Questo disco è uno di quei poco frequenti episodi che fanno ancora credere alla magia assoluta della musica, alla sua capacità catartica e taumaturgica. Ci si immerge in un suono caldo ed analogico che avvolge e fa stare bene, portando in luoghi lontani, in mondi che non possiamo vedere, vinti dal nostro materialismo sia spirituale che musicale. Da tempo non capitava di sentire un disco che colpisse così in profondità e con precisione sia cuore che cervello, trascinando tutto su un altro piano. Come esordio è incredibile e fa anche venire l’acquolina in bocca per il prossimo disco. Troll è un disco fantastico, un’epifania che arriva quando meno te l’aspetti, che fa star bene e che conduce in luoghi remoti dove tutto è possibile.

Tracklist
1.The Summoning / Troll
2.The Witch
3.An Eternal Haunting
4.Infinite Death
5.Savage Thunder

SHADOW KINGDOM – Facebook

Blight – The Teachings + Death Reborn

Il black metal nell’interpretazione dei Blight è aspro, asciutto, dai ritmi ben scanditi con qualche venatura trash ed un’aura oscura che aleggia in maniera piuttosto insistente sul tutto.

The Teachings + Death Reborn è una compilation, uscita originariamente in cassetta nel 2016 a cura dell Heathen Tribes e riproposta in formato cd dalla alla fine dello scorso anno, che riassume gli ultimi due ep dei Blight, band canadese dedita ad una pregevole forma di black metal.

Il gruppo di Montreal si cimenta con il genere ormai da una decina d’anni e, a quanto sembra, il traguardo del primo full length sembra essere prossimo: questo riassunto dell ultime puntate è quindi un utile strumento per fare la conoscenza con le sonorità offerte dal quartetto Québécois.
Il black metal nell’interpretazione dei Blight è aspro, asciutto, dai ritmi ben scanditi con qualche venatura trash ed un’aura oscura che aleggia in maniera piuttosto insistentemente sul tutto (non a caso il vocalist G. McCaughry è il fondatore della casa editrice Anathema Publishing Ltd, specializzata in occultismo ed esoterismo); indubbiamente i tre anni di distanza tra le cinque tracce più recenti provenienti The Teachings e le due che componevano Death Reborn si sentono non poco: la title track e Gnostic Dirge (non poco intrigante però la sua rallentata parte centrale) appaiono sostanzialmente più dirette ed arcigne e con una produzione a tratti un po’ arruffata, mentre le tracce che vanno da For the Pact to be Writ a VoidLight appaiono meglio focalizzate, con il picco rinvenibile proprio in quest’ultimo brano, le cui ritmiche più ragionate contribuiscono a creare un’atmosfera cupa e soffocante, del tutto in linea con i dettami scandinavi ma, nonostante la relativa originalità, di livello oggettivamente molto buono.
Vedremo se i Blight saranno in grado, alla prima prova su lunga distanza, non solo di replicare ma anche di introdurre qualche elemento peculiare in più capace di porli all’attenzione di un’audience distolta da una gamma di scelte mai così ampia.

Tracklist:
Side A
1. For the Pact to be Writ
2. Sovereign [Suffering] Gestalt
3. Cernuous
4. Magna Arcana
Side B
5. VoidLight
6. Death Reborn
7. Gnostic Dirge

Line-up:
Cedric Deschamps – Bass
Robin Lapalme – Drums
Pascal Pelletier – Guitars
G. McCaughry – Vocals

BLIGHT – Facebook

Shambles – Primitive Death Trance

Primitive Death Trance è un nuovo esempio della proposta malsana e senza compromessi dei thailandesi Shambles.

Nel 2016 ci eravamo uniti al corteo funebre che tra le strade thailandesi lasciava un putrido odore di marcio e di morte.

Il suono, che accompagnava il lento incedere verso l’abisso dominato da oscuri demoni torturatori, proveniva dal primo full length degli Shambles (Realm of Darkness Shrine), storici deathsters attivi addirittura dal 1998, anche se con una pausa temporale di dieci anni tra il 2003 ed il 2014.
Il gruppo torna a distanza di un anno con questo nuovo ep, Primitive Death Trance, venticinque minuti di death/doom/grind che equivale ad una morte lenta e dolorosissima, una decomposizione del corpo che lascia l’anima in balia delle maligne forze del male.
Gli Shambles non spostano di una virgola l’atmosfera creata con l’album precedente e, come se questo Primitive Death Trance fosse una sua appendice, continuano a marciare inesorabili verso la perdizione con quattro marcissimi brani nei quali l’odore acre e putrido cancella ogni velleità di bene, lasciando a poche ma intense accelerazioni dalle sfumature grind/death il compito di lavare con i fluidi corporali l’altare eretto per il maligno.
La lenta cattiveria di Daemon, l’atmosfera oscura che varia ritmo della massiccia Dismal Pantheons, il caos infernale di Illusion Of The Void ed il tragico finale della title track, pregna tra le sue note di spunti psichedelici, fanno di Primitive Death Trance un altro esempio di quanto malsana e senza compromessi risulti la proposta di questi cinque demoni thailandesi.

Tracklist
1.Daemon
2.Dismal Pantheons
3.Illusion of the Void
4.Primitive Death Trance

Line-up
Chainarong Meeprasert – Bass, Vocals
Thinnarat Poungmanee – Drums
Issara Panyang – Guitars
Thotsaphon Ayusuk – Guitars
Kairudin – Bass

SHAMBLES – Facebook