Natas – På veg… til helvette

Semplicemente un esaltante e altamente soddisfacente disco di black metal tendente al melodico, con tante sfumature e una grande capacità di composizione ed esecuzione

Semplicemente un esaltante e altamente soddisfacente disco di black metal tendente al melodico, con tante sfumature e una grande capacità di composizione ed esecuzione.

In breve, potrebbe essere questo il sunto di questo disco, ovviamente come sempre ascoltate e fatevi un’idea vostra, ma questo lavoro è realmente eccellente. Provenienti dalla costa ovest della Norvegia, questi amanti della via scandinava al metallo nero sono attivi dal 2011 e questa è la loro prima uscita, ed è un gran bel debutto. Tutto è molto ben bilanciato, la produzione è ottimale e mette in risalto tutte le peculiarità salienti del gruppo. I Natas fanno un black metal in stile scandinavo, con una forte componente melodica, nel senso che senza perdere aggressività riescono a dare un maggior respiro alle loro canzoni. Il disco è un bel viaggio nelle oscurità e nelle tenebre, quelle che rifuggiamo ma nelle quali viviamo immersi senza rendercene conto. Il mondo attuale così come è non piace ai Natas, che con la loro musica provano a darci un input differente, facendosi ascoltare ed amare e producendo un black metal di alto livello. Una cosa molto importante in questo disco è la ricerca con esito positivo della melodia, ovvero la capacità di inserirla sempre ed in maniera molto azzeccata, dando un valore aggiunto alle tracce. Misantropia, Satana, black metal eccellente e il gelo che vi parte da dentro, e citando Stefano Cerati … il black metal sicuramente non è musica per tutti, così è sempre stato e così dovrebbe sempre essere.

Tracklist
1.På veg… til helvette
2.Til Helvete
3.Daudens Kall
4.Gods Wish
5.Stormkjempens Trone
6.Rest In Chaos
7.Cursed Spell Of Evil
8.Supreme Retaliation
9.For This I Be

Line-up
Helvett
Djafull
Jotun
Beleth
Atyr
Lotus

NATAS – Facebook

Preludio Ancestral – Oblivion

Oblivion merita senz’altro l’interesse degli amanti del metal sinfonico e power, frutto di una buona vena in fase di scrittura e dal valore aggiunto dei tanti ospiti sui quali i Preludio Ancestral hanno potuto contare.

Symphonic power metal dal Sud America e precisamente dall’ Argentina con il nuovo album dei Preludio Ancestral, terzetto guidato dal chitarrista e tastierista dalle chiare origini italiane, Leonardo Gatti.

Attiva dal 2005, la metal band sudamericana arriva quarto full length di una discografia che si compone di un buon numero di singoli ed un paio di ep, quindi una realtà solida del panorama metallico del suo paese e non solo.
Oltre a Leonardo Gatti, i Preludio Ancestral vedono all’opera Ari Katajamäki al basso e Diego Camaño alle pelli più un nutrito numero di ospiti che danno il loro contributo alla riuscita di Oblivion, lavoro che si fa sicuramente apprezzare, per intensità ed un’ottima tecnica al servizio di brani potenti, sinfonici e dall’immediata presa.
Al microfono si danno il cambio svariati vocalist, con un’ottima rappresentanza tricolore formata (oltre che dal tastierista Gabriel Crisafulli) da Enzo Donnarumma, Alessio Perardi e Raffaele Albanese che si danno il cambio tra le trame metalliche di quest’opera che non sfigura certo nel panorama classico internazionale, anche se i cliché del genere sono tutti ben in vista e l’album non brilla certo in originalità.
Ma sono dettagli, perché Oblivion segue le coordinate tracciate sulla mappa dell’heavy metal sinfonico dalle potenti ritmiche power, e la band non risparmia cascate di melodie per un risultato più che buono, brillando per un songwriting ispirato ed una facilità d’ascolto disarmante, grazie a brani diretti e figli di ispirazioni ed influenze che vanno dai primi Angra agli Avantasia, con Storm, la splendida title track e l’heavy metal classico della grintosa Dust World a presenziare sul podio e sottolineare la buona riuscita di questo lavoro.
Oblivion merita senz’altro l’interesse degli amanti del metal sinfonico e power, frutto di una buona vena in fase di scrittura e dal valore aggiunto dei tanti ospiti sui quali i Preludio Ancestral hanno potuto contare.

Tracklist
1.Presagio
2.King of silence
3.Storm
4.Fear of falling
5.Ready to rock
6.Oblivion
7.Universal love
8.Reflection in the wind
9.Dust world
10.Metal walls

Line-up
Leonardo Gatti – Guitars & Keyboards
Ari Katajamäki – Bass
Diego Camaño – Drums

Guest musicians:
Gabriel Crisafulli – Keyboards
Juan Pablo Kilberg – Guitar
José Paz – Keyboards
Alessio Perardi – Vocals
Fran Vázquez – Vocals
Daniel García – Vocals
Juan Pablo Kilberg – Vocals
Raffaele Raffo Albanese – Vocals
Kimmo Perämäki – Vocals
Enzo Donnarumma – Vocals

PRELUDIO ANCESTRAL – Facebook

Hypnotheticall – Synchreality

Melodia ed irruenza, tecnica ed emotività, si danno il cambio nella struttura dei brani, in un ibrido davvero riuscito ed a suo modo originale, con il gruppo che appaga in egual misura i fans della tecnica e quelli che in un disco cercano sempre e comunque delle canzoni.

Con il supporto della Revalve Records tornano sul mercato discografico i vicentini Hypnotheticall, ex Whispered Lies, band attiva dall’alba del nuovo millennio con il nuovo monicker e arrivata oggi al terzo lavoro sulla lunga distanza.

Il gruppo capitanato dal chitarrista Giuseppe Zaupa, fondatore ed unico membro originale rimasto in line up, suona metal progressivo, tecnicamente ineccepibile, moderno e roccioso, senza perdere di vista quei tratti melodici che ne fanno una proposta molto interessante per i molti palati abituati ai gustosi ricami che infarciscono la musica progressive.
Con due anime ben distinte amalgamate in un unico sound, Synchreality giunge ad una stretta di mano tra il metal prog di stampo classico e quello moderno: quindi, se da una parte troviamo il classico suono alla Dream Theater, e per rimanere in Italia, Eldritch, dall’altra certe scelte a livello ritmico portano ai Tesseract e alle band dei giorni nostri.
Melodia ed irruenza, tecnica ed emotività, si danno il cambio nella struttura dei brani, in un ibrido davvero riuscito ed a suo modo originale, con il gruppo che appaga in egual misura i fans della tecnica e quelli che in un disco cercano sempre e comunque delle canzoni, anche in un genere dalle trame intricate.
Dieri che gli Hypnotheticall ci riescono senza grossi sforzi, il sound scorre piacevolmente lasciando all’ascoltatore una manciata di brani intriganti come l’estrema Tribal Nebula, dalle accelerazioni thrash, la moderna Industrial Memories e la devastante Rumors, che torna a far male dopo le note lievi della ballad In Hatred.
Un ottimo lavoro questo Synchreality, che prende posto di diritto tra le numerose ed imperdibili uscite che il genere regala con costanza negli ultimi tempi, specialmente per quanto riguarda i gruppi battenti bandiera tricolore.

Tracklist
01. Synchronism To The Light
02. Where All The Trees Bend
03. Tribal Nebula
04. The Spell
05. Industrial Memories
06. Dreaming In Digital
07. Solstice Of Emotions
08. In Hatred
09. Rumors
10. AnalogDream Experience

Line-up
Davide Pellichero – Vocals
Giuseppe Zaupa – Lead &RhythmGuitar, Programming
Luca Capalbo – Bass
Giulio Cariolato – Drums

HYPNOTHETICALL – Facebook

BRAIN DISTILLERS CORPORATION

Il video ufficiale di “In The Land Of Colours”, secondo singolo estratto dal nuovo album “Medicine Show”.

Il video ufficiale di “In The Land Of Colours”, secondo singolo estratto dal nuovo album “Medicine Show”.

Esce il video ufficiale “In The Land Of Colours”, secondo singolo estratto dal nuovo album “Medicine Show” dei talentuosi BRAIN DISTILLERS CORPORATION: rabbioso e travolgente mix di rock, metal e grunge.

Traccia numero tre del nuovo lavoro che uscirà il prossimo 30 marzo per The Jack Music Records e che ci rimanda all’infanzia, alla “terra dei colori”, attraverso l’inconfondibile sound dei BRAIN DISTILLERS CORPORATION.

Le parole della band:
E’ proprio questa un’altra song che rappresenta, in maniera inequivocabile, i Brain Distillers Corporation. Le parole della canzone sono la descrizione del rapporto conflittuale con l’inesorabile scorrere del tempo. Racconta della gente, dei luoghi, dei profumi e dei colori, dei contrasti e delle contraddizioni legati ai ricordi dell’infanzia, che inevitabilmente si affievoliscono e lentamente spariscono dai nostri pensieri, lasciando posto alla malinconia, all’incertezza, ad una vita frenetica e caotica che ci priva quasi del tutto della spensieratezza, dell’ingenuità e della purezza che vivevamo da bambini.

Ricordiamo che il nuovo disco “Medicine Show” verrà presentato venerdì 6 aprile al Legend Club di Milano > https://goo.gl/iSnPRL

www.facebook.com/BrainDistillersCorporation
www.instagram.com/braindistillers

Mascharat – Mascharat

I milanesi Mascharat sono una black metal band piuttosto particolare, se non per il sound che è abbastanza aderente agli schemi compositivi classici, sicuramente per le tematiche affrontate.

Il monicker scelto, infatti, indica la via concettuale intrapresa dal gruppo, che affronta nel corso dell’album, non a caso autointitolato, il tema della maschera e in genere del travestimento quale allegoria, con riferimenti specifici al rito del carnevale veneziano, evento nel corso del quale, soprattutto nel remoto passato, la possibilità per ogni individuo di celare la propria identità portava per un breve periodo ad un livellamento sociale oltre a fornire un pretesto per dare sfogo a pulsioni represse consentite appunto dall’anonimato.
Venendo all’aspetto prettamente compositivo, siamo di fronte ad un black metal piuttosto tradizionale, anche se non troppo ruvido, cantato in italiano e bene eseguito e prodotto, all’interno del quale non si rinuncia comunque a momenti più riflessivi.
L’album parte con due brani che facevano parte del demo pubblicato nel 2014, tra le quali una traccia molto lunga come Médecin de peste, dal testo interamente in francese, e tutto sommato non si percepisce un grande scostamento rispetto ai brani di più recente composizione, se non una maggiore propensione all’interno di questi ultimi verso melodie inquiete e passaggi più ricercati (per esempio il finale madrigalesco di Mora che sfuma nello strumentale Vestibolo).
Mascharat è un lavoro nel quale la band lombarda dimostra una lodevole chiarezza d’intenti e una profondità espressiva che fornisce un tocco in più anche negli stessi momenti aderenti al black più tradizionale: i testi nella nostra lingua, declamati con uno screaming aspro ma comprensibile, non sono affatto banali e costituiscono più che in altri casi un elemento importante nell’economia dell’opera.
Complessivamente ci troviamo di fronte ad un album di valore, alla luce anche della sua perfettibilità, rinvenibile soprattutto nella tendenza a diluire eccessivamente i contenuti, in quanto nell’ambito di un black metal piuttosto ortodosso offrire brani superiori o vicini ai dieci minuti di durata è inusuale e anche un po’ rischioso, benché uno dei più lunghi, Iniziazione, con i suoi accenni doom nella parte centrale, si riveli alla fine uno degli episodi migliori del disco.
Con questo omonimo esordio su lunga distanza i Mascharat finalizzano un lavoro avviato agli inizi del decennio e, nel contempo, pongono solide le basi per il loro futuro percorso musicale.

Tracklist:
1. Intro
2. Bauta
3. Médecin de peste
4. Mora
5. Vestibolo
6. Simulacri
7. Iniziazione
8. Rito
9. Outro

MASCHARAT – Facebook

Hell’s Coronation – Unholy Blades of the Devil

Gli Hell’s Coronation offrono un black metal i cui tratti pesantemente doom ne accentua la morbosità e così, tra effetti vari, volti a creare un ambiente carico di tensione, il sound si snoda in maniera molto ortodossa ma scostandosi sufficientemente dalle soluzioni più comuni.

I polacchi Hell’s Coronation si propongono con questo loro secondo ep,  Unholy Blades of the Devil, che esce in formato cassetta per Godz ov War Productions.

Il duo di Danzica offre un black metal i cui tratti pesantemente doom ne accentua la morbosità e così, tra effetti vari, volti a creare un ambiente carico di tensione, il sound si snoda in maniera molto ortodossa ma scostandosi sufficientemente dalle soluzioni più comuni grazie, appunto, alle sonorità rallentate e orientate a creare un impatto più orrorifico che non distruttivo.
In questa mezz’ora scarsa Zepar e Coffincrusher ci immergono nel loro immaginario oscuro attraverso un sound lineare ma molto efficace, nel quale ogni elemento è gestito al meglio fornendo quattro brani più intro assolutamente consigliato a chi apprezza il black doom, con menzione per un brano diretto come Satanic Scepter e per il suo contraltare, rappresentato dalla più elaborata e limacciosa Luciferian Wind Blows from the North.
Unholy Blades of the Devil si rivela così un album ideale per i molti che apprezzano parimenti le asperità ritmiche del black e il dolente incedere del doom metal.

Tracklist:
1. Empty Shells of the Sacrament
2. Temple of Wickedness
3. Descent into the Depths of Unspeakable Evil
4. Satanic Scepter
5. Luciferian Wind Blows from the North

Line-up:
Coffincrusher – Bass, Drums, Vocals (backing)
Zepar – Guitars, Vocals

HELL’S CORONATION – Facebook

INSOMNIUM + TRIBULATION – 4 aprile Legend Club, Milano

Reduci da due date di successo a Bari e Bologna il 27 e 28 marzo, la melodic death metal band INSOMNIUM, una delle più importanti realtà del genere, è pronta per suonare a Milano al Legend Club il prossimo mercoledì 4 aprile.

La band è ripartita da metà marzo con la seconda parte del Winter’s Gate European Tour 2018 e sta percorrendo l’intera Europa, portando dal vivo la musica dell’ultimo epico concept album “Winter’s Gate” insieme ai migliori brani del repertorio Insomnium.
Il disco è una lunga suite di 40 minuti che esplora musicalmente una short story scritta dal cantante e bassista della band Niilo Sevanen.

Ma non è finita qui: per tutte le date italiane troviamo come special guest i TRIBULATION. La band svedese è tra le nuove proposte metal più acclamate, in uscita con il nuovo album “Down Below”. In grado di unire black metal, rock seventies, death metal e tanto altro in un melting pot unico.

Uno show da non perdere!

Questi i dettagli:
MERCOLEDI’ 4 APRILE
c/o LEGEND CLUB, viale Enrico Fermi 98, MILANO
Evento FB -> http://bit.ly/2z7cKO3

Biglietto:
In prevendita: 20 € + d.p. -> http://www.mailticket.it/evento/12271
In cassa la sera del concerto -> 23 €

Apertura porte: ore 21.00
Inizio concerti: ore 21.30

www.insomnium.net
www.facebook.com/insomniumofficial

SOUTH OF NO NORTH

Il lyric video di’Klatuu Barada Nikto’, dall’ EP di debutto ‘Stubborn’.

Il lyric video di’Klatuu Barada Nikto’, dall’ EP di debutto ‘Stubborn’.

I Groove Metallers SOUTH OF NO NORTH rivelano il lyric video ufficiale del brano ‘Klatuu Barada Nikto’, dal loro EP di debutto ‘Stubborn’.
Il loro sound è una miscela di groove metal vecchia scuola e influenze sperimentali più moderne, mentre la vena ironica e provocatoria dei loro testi, esprime una dissacrante visione della nostra società.

L’EP ‘Stubborn’ e’ stato pubblicato nel Novembre del 2017 mentre il lyric video di ‘Klatuu Barada Nikto’ è stato prodotto dai South Of No North e da Bob Manetta.

Iscriviti al canale youtube ufficiale dei SOUTH OF NO NORTH qui : http://goo.gl/skQAY4

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BANDCAMP : http://sonnband.bandcamp.com
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Cult Of Parthenope Promotion

Email : promotion@cultofparthenope.com
Website : www.cultofparthenope.com

Will’O’Wisp – Mot

Se qualcuno necessitasse di un’opera da esibire quale esempio di death metal “progressivo ” nell’accezione più autentica del termine, Mot ne sarebbe l’ideale e più fedele istantanea.

I liguri Will’O’Wisp sono una tra le molte band la cui attività è iniziata nel secolo scorso e che, dopo una lunga interruzione, ha ritrovato impulso in questo decennio segnalandosi di nuovo all’attenzione delle frange di ascoltatori più attenti alle forme di metal estremo ed obliquo.

La ripartenza, avvenuta nel 2012, ha visto il fondatore Paolo Puppo radunare attorno a sé musicisti di comprovato spessore, a partire da Jacopo Rossi (Nerve, Antropofagus ed attuale spalla compositiva di Mike nei Dark Lunacy) al basso, Oinos (ex-Sadist e Node) alla batteria e alle tastiere, ed Emanuele “Deimos” Biggi (Mortuary Drape) alla voce.
Mot è quindi il terzo full length (dopo Kosmo ed Inusto) pubblicato da questa nuova incarnazione dei Will’o’Wisp, ed il quinto se consideriamo i primi due risalenti rispettivamente al 1997 (Enchiridion) e al 2001 (Unseen): a giudicare dal contenuto del lavoro si può tranquillamente affermare che oggi la band è una delle migliori espressioni in circolazione del death metal dalle sembianze technical/progressive, soprattutto perché l’abilità strumentale dei singoli viene messa al servizio di un songwriting pirotecnico, ma sempre focalizzato sull’imprescindibile forma canzone, unico antidoto al tecnicismo fine a sé stesso.
Gli undici brani contenuti nell’album sono sferzate brevi, violente ed imprevedibili, con l’apporto di “armi” non convenzionali come archi, fiati, percussioni e voci liriche offerte da una lunga serie di ospiti provenienti dalla scena genovese, incluso il più illustre di tutti,Tommy Talamanca, che ha offerto da par suo alcuni pregevoli passaggi di chitarra solista, oltre ad essersi occupato della produzione di Mot presso i suoi Nadir Studios.
E’ proprio grazie a tutto questo che ogni singola traccia possiede una vita propria e risulta funzionale alla riuscita di un album che non conosce punti deboli, regalando una serie di episodi micidiali come Throne of Mekal, Rephaim, Descending to Sheol e Rain of Fire, nei quali la base estrema viene messa costantemente in discussione dalle incursioni degli elementi sopracitati, con l’effetto di rendere il tutto irresistibile anziché frammentario, come si poteva paventare.
Un merito questo, da attribuirsi in toto a questo gruppo di musicisti capace di lasciare il segno con un lavoro snello per durata, ma sferzante e tagliente per effetto: se qualcuno necessitasse di un’opera da esibire quale esempio di death metal “progressivo ” nell’accezione più autentica del termine, Mot ne sarebbe l’ideale e più fedele istantanea.

Tracklist:
1. I Am Pestilence
2. Throne of Mekal
3. The Seven
4. Rephaim
5. Hall of Dead Kings
6. Banquet of Eternity
7. Descending to Sheol
8. Those of the Annihilation
9. Kavod
10. Rain of Fire
11. MLKM

Line-up:
Paolo Puppo – Guitar
Jacopo Rossi – Bass
Oinos – Drums, Keyboards
Deimos – Vocals

Guests:
Elisabetta Boschi – Flute
Micol Picchioni – Harp
Gabriele Boschi – Violin
Tommaso Sansonetti – Timpani
Gigi Magnozzi – Viola
Lorenzo Bergamino – Marimba
Benedetta Torre – Vocals (soprano)
Daniele Barbarossa – Vocals (additional)
Tommy Talamanca – Guitar
Andy Marchini – Bass

WILL’O’WISP – Facebook

Onirism – Falling Moon

Falling Moon è senza dubbio un buon album, nel corso del quale la materia viene trattata in maniera ottimale, ma non raggiunge le auspicate vette di assoluta eccellenza.

Ritroviamo la one man band francese Onirism, alle prese con il suo black metal atmosferico, con un primo full length dopo l’ep Sun, trattato su queste pagine l’anno scorso.

Rispetto a quell’uscita, che aveva convinto solo in parte, si denota indubbiamente quel progresso auspicato per quanto riguarda i suoni di tastiera, mentre il resto appare sempre di buon livello senza raggiungere però particolari picchi.
Falling Moon è senza dubbio un buon album, nel corso del quale la materia viene trattata in maniera ottimale, ma non raggiunge vette di assoluta eccellenza a mio avviso per alcuni motivi : intanto si manifesta una convivenza un po’ forzata tra un’anima atmosferica ed un altra più spiccatamente sinfonica, con la prima senz’altro più efficace ma con la seconda che, più o meno a metà della tracklist la scalza, lasciando del tutto il proscenio ad un tastierismo piuttosto insistente a discapito di quello  misurato e prossimo al significato del monicker mostrato in precedenza; inoltre, tutto ciò finisce per offrire una sensazione di diffusa leggerezza, o comunque di poca profondità che diviene palpabile man mano che l’album si dipana nella sua ora abbondante di durata.
In sintesi, ritengo che un brano come la title track sia sufficientemente esemplificativo di quello che mi sarebbe piaciuto ascoltare con maggiore continuità dal bravo Vrath in questa occasione ma, visto che Falling Moon è un’opera che lascia aperte diverse soluzioni stilistiche, non è detto che ciò debba necessariamente accadere in futuro.
L’album resta comunque un ascolto pregevole soprattutto per chi apprezza il symphonic black.

Tracklist:
1. Night Sky Above the Desert (intro)
2. See the End of the Worlds
3. Falling Moon
4. Under the Stars
5. I’m Dying Again
6. The Endless Ride of Heavens
7. Summoned by the Astral Side (Interlude)
8. When Titans Awake
9. The Cosmic Whale
10. Meteor Shower (Interlude)
11. The Celestial Calling

Line-up:
Vrath – Everything

ONIRISM – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: THE CRYSTAL FLOWERS

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Oggi è il momento dei The Crystal Flowers, ottima band formata da esperti rockers romani.

MC Benvenuto a Overthewall! Ti chiedo immediatamente la genesi della band: come si formano i Crystal Flowers e quali sono le vostre precedenti esperienze musicali?

The Crystal Flowers è fondamentalmente un progetto esistenziale, risultato dei percorsi individuali di quattro “vecchi ragazzi” che, tuttavia, avevano in comune una inquietudine e insoddisfazione per quello che la proposta musicale contemporanea esprimeva in termini di conformismo musicale e commerciale, per certi versi anche nelle “nuove” tendenze. E’ stato quindi naturale convergere in una dimensione intima, privata… direi clandestina, per ricominciare partendo dal desiderio di ciascuno di scongiurare la “deriva professionale” e ritrovare essenzialità e autenticità delle origini. Tra le quattro mura di un seminterrato, come una società segreta…

MC Il vostro album di debutto è un ritorno alle radici del rock degli anni 60/ 70. Ci parli di questo lavoro?

Ritrovare le radici significa ritrovare, e senza compromessi tecnologici, quell’energia, ispirazione e suono definite dal perimetro chitarre basso batteria voce. Non come codice manieristico, ma come via espressiva fatta di analogico e acustico, di valvole e feedback, aliena a qualsiasi forma di contaminazione iperdigitalizzata. Crystallized suona come un vecchio vinile e parla con un sound e una energia che vengono da lontano. Utilizza un linguaggio evocativo (ma non rievocativo) senza tempo e comprensibile a chiunque. Anche i testi voglio raccontare tematiche riconoscibili e identificative, quali il disagio di un sentimento-prigione, la solitudine nell’epoca dei social, la vita come metafora del viaggio, la rabbia dei sopravvissuti nell’epoca dell’omologazione… Ecco, Crystallized è proprio questo: una chiamata a raccolta, un richiamo primordiale ai sopravvissuti…

MC Come mai “ritorno alle origini”? Secondo voi c’è qualcosa che può ancora insegnarci il movimento ribelle e rivoluzionario di quegli anni?

E’ ormai patrimonio comune la certezza che quel laboratorio trasversale (storico, sociale, culturale, artistico, ecc.) che sono stati gli anni tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70, sia stato anche un big bang di ispirazione delle mille vie intraprese dal rock, nelle sue diverse declinazioni e direzioni. Allora, se di eredità universale dobbiamo parlare, riconosciamo davvero anche quella ingenua ma potente voglia di intraprendere, di sperimentare, di superamento dei limiti e delle convenzioni precostituite. Diventa perfino una necessità, quasi un obbligo, recuperare questa spinta originaria senza la contaminazione del “troppo già detto” della nostra epoca… quella illuminazione, quella visione che solo l’idea originale può generarti. E se perfino uno come Prince, raro esempio di trasversalità musicale, ha alla fine riconosciuto: “la musica deve tornare indietro”, allora forse la direzione dei The Crystal Flowers è quella giusta. Almeno per noi.

MC Qual è l’elemento ideale per la band? Preferite esibirvi dal vivo o vi sentite più a vostro agio in studio di registrazione?

Sicuramente il live è la nostra dimensione: perché il rock è comunicazione “in diretta”, è energia e empatia, è un circuito emozionale che molto ha a che fare con l’amore/odio e tutto ciò che di positivo e vitale passa tra questi due estremi nell’interazione tra persone. Voglio dire, la fase intimistica di clandestinità serve a strutturare il nucleo delle idee, ma le idee vanno poi raccontate, anzi… rappresentate e urlate. Se sono autentiche, allora il circuito nel live si attiva e tutto prende vita.

MC Cosa è previsto nel futuro della band? Puoi darci qualche anticipazione per i nostri ascoltatori?

Nonostante un mercato non esattamente orientato alle nuove proposte e agli inediti, abbiamo vari progetti diversificati che partiranno dalla primavera, e che invitiamo tutti a seguire sulla nostra pagina FB. Ci siamo inoltre ricavati la fama di “incursori e disturbatori” anche in contesti apparentemente innaturali per il rock ma di grande effetto comunicativo, quale ad esempio la nostra presenza come “guest star” alle finali del Cantagiro 2016, la madre storica di tutti gli eventi pop italiani, con considerevole eco e risalto sulla stampa di settore. Sicuramente proseguiremo anche in questa direzione, nella tradizione di ogni spirito ribelle…

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?

facebook: https://www.facebook.com/thecrystalflowersband/
web: www.thecrystalflowers.com
@ : info@thecrystalflowers.com

Morbosidad – Corona De Epidemia

Brani brevissimi e sparati in faccia ai benpensanti con una forza estrema convincente, ma a tratti forzata, e la totale mancanza di una minima apertura melodica fanno di questo lavoro un discreto spaccato di metal estremo dedicato al maligno.

La versione in vinile limitata di questo inno a Satana ed alle sue nefandezze portava una copertina diversa da quella che troverete in bella mostra sul cd contenente il quinto full length di questa realtà death/black metal proveniente dal più marcio sottobosco estremo statunitense.

Corona de Epidemia è un violento attacco satanico, un belligerante inno all’oscuro signore, alla guerra e alla morte suonato dai Morbosidad, quartetto estremo nato nel lontano 1993 in California ed in seguito stabilitosi in Texas: una produzione che tanto sa di vecchia scuola black metal, impatto da tregenda e blasfemie a go go dentro a brani brevissimi e sparati in faccia ai benpensanti con una forza estrema convincente, ma a tratti forzata, e la totale mancanza di una minima apertura melodica, fanno di questo lavoro uno spaccato di metal estremo satanico dedicato al maligno ed in grado di soddisfare la sete di violenza dei suoi servitori.
Mezz’ora basta ed avanza al gruppo statunitense per far inghiottire chiodi arrugginiti sporchi del sangue di Cristo in un delirio death/black metal non molto distante dal genere suonato nell’Europa dell’est.
L’ospite Sodomatic Slaughter dei Beherit, nella traccia di chiusura, è la chicca di Corona De Epidemia, abominevole ed oscuro lavoro che non può non attrarre i fans del metal estremo.

Tracklist
1.Muerte Suicidio
2.Corona de Epidemia
3.Cordero de Cristo
4.Cristo en Desgracia
5.Transtorno Mental
6.Condena y Castigo
7.Difunto
8.Maldición
9.Sepulcro de Cristo
10.Crudeza
11.D.E.P.

Line-up
Tomas Stench – Vocals
Matt Mayhem – Drums
Joe Necro – Guitars, Bass
Ded Ted – Bass

MORBOSIDAD – Facebook

Usurpress – Interregnum

Gli Usurpress usano tutte le armi a loro disposizione per cercare di non essere banali, pur riproponendo una formula già scritta in passato a cui aggiungono, appunto, ispirazioni progressive, oscure melodie doom e qualche accenno al melodic death metal.

Difficile non catalogare come progressive metal il sound di questo bellissimo album, quarto full length degli Usurpress, gruppo svedese attivo dal 2010 ma con una ricca discografia alle spalle.

Difficile, perché ad un primo ascolto l’anima estrema della band di Uppsala esce prepotentemente dai binari progressivi su cui viaggiano le sette tracce che completano Interregnum, mentre soffermandosi un poco si scoprono ispirazioni usate dai musicisti svedesi addirittura riconducibili agli anni settanta.
Registrato e mixato ai Dugout Productions della città finnica, uno studio che ha visto passare band del calibro di In Flames, Soilwork, Behemoth e Dark Funeral, l’album non inventa assolutamente niente, ma si muove nel territorio delle emozioni con la disinvoltura di chi sa come intrattenere gli amanti del progressive metal dal piglio estremo.
E gli Usurpress usano tutte le armi a loro disposizione per cercare di non essere banali, pur riproponendo una formula già scritta in passato a cui aggiungono, appunto, ispirazioni progressive, oscure melodie doom e qualche accenno al melodic death metal.
A Place In The Pantheon è l’inizio che non ti aspetti, con una progressive song quasi interamente strumentale e voci appena sussurrate che accompagnano chi ascolta verso il cuore dell’album, prima con il crescendo oscuro di In Books Without Pages, poi con le due nere perle che valorizzano tutta l’opera: Late in the 11th Hour e Ships of Black Glass (I: Shards, II: Black Echo) , in tutto diciassette minuti di death metal vario, tra forza estrema e melodie metal/rock che non lasciano sicuramente indifferenti.
Il trio (Stefan Pettersson al microfono, Påhl Sundström alla chitarra e Daniel Ekeroth al basso) viene aiutato in quest’opera dai bravissimi Stefan Hildman (batteria) e da Erik Sundström (tastiere), tutti musicisti dall’ottima tecnica e dal background che sconfina nel jazz e nella fusion, per una formazione di tutto rispetto.
Un altro ottimo lavoro progressivo, orientato verso il doom/death metal old school (Paradise Lost e Mobid Angel) e il progressive rock (Camel, King Crimson), quindi lontano dai deliri post che vanno tanto di moda oggi.

Tracklist
1. A Place in the Pantheon
2. Interregnum
3. In Books Without Pages
4. Late in the 11:th Hour
5. Ships of Black Glass (I: Shards, II: Black Echo)
6. The Iron Gates Are Melting
7. The Vagrant Harlot

Line-up
Daniel Ekeroth – Bass
Påhl Sundström – Guitars
Stefan Pettersson – Vocals

USURPRESS – Facebook

Adam and the Ants – Dirk Wears White Sox

Prima di svoltare verso un pop rock ballabile e più commerciale, Adam Ant e il suo gruppo furono tra i protagonisti della nascente new wave inglese, con un bellissimo e interessante esordio tra punk, dark e sperimentazione.

Nel 1976, il giovanissimo punk londinese Stuart Leslie Goddard assiste al primo concerto dei Sex Pistols, quella sera spalla dei suoi Bazooka Joe, restando grandemente impressionato e dalla musica e dall’immagine provocatoria della creatura di Malcolm MacLaren.

Il ragazzo si ribattezza pertanto Adam Ant e fonda il suo gruppo punk, i B-Sides, che tra il 1977 ed il 1978 diventano Adam and the Ants. Il regista Derek Jarman li riprende, per il suo film Jubilée (per la colonna sonora del quale la band incide, appositamente, due pezzi, prima di registrare due sessions live alla BBC, e di effettuare la prima tournée in Europa). Finalmente, nel 1979, preceduto dal 45 giri Young Parisians, e da altri provini radiofonici, per John Peel, esce, in autunno, il debutto del gruppo sulla lunga distanza. Dirk Wears White Sox vede la luce per la Do It, sussidiaria punk della Decca: undici brani che abbinano alla proverbiale ruvidezza del primo punk britannico strutture già più elaborate (la copertina è bella e molto concettuale, da art rock) che preludono alla migliore new wave. Di fatto, il disco è tra quelli che contribuiscono a definire e codificare il post-punk inglese, screziato di suggestioni gothic-dark e sperimentali, asciutto ed elegante insieme. Colpisce nel segno, in particolare, un tribalismo (ben due sono le batterie) che anticipa di poco i Killing Joke e che riesce incredibilmente a andare a braccetto con un gusto piuttosto raffinato. Questa seconda componente della musica, in vero alquanto creativa e originale per quegli anni, proposta non senza personalità da Adam and the Ants, avrà di lì a breve il sopravvento nei successivi Kings of the Wild Frontier (1980) e Prince Charming (1981), che volano rispettivamente al primo e al secondo posto delle charts nazionali. A quel punto Goddard si decide a proseguire da solo, con il solo e fedelissimo Marco Pirroni alla chitarra quale ospite fisso: Friend or Foe (1982), Strip (1983), Vive lo Rock (1985) e Manners and Physiques (1990) completano, ma con esiti commerciali decrescenti, la parabola dell’artista, che si dà anche – senza troppo successo, pure in questo caso – al cinema. L’autentico verbo di Adam and the Ants è quindi racchiuso in questo LP, seminale e rappresentativo d’una esaltante scena/stagione, ristampato ancora di recente.

Tracklist
– Cartrouble I / II
– Digital Tenderness
– Nine Plan Failed
– Day I Met God
– Tabletalk
– Cleopatra
– Catholic Day
– Never Trust a Man
– Animals and Men
– Family of Noise
– The Idea

Line up
Adam Ant – Vocals / Guitars / Piano
Dave Barbarossa – Drums
Jon Moss – Drums
Andrew Warren – Bass
Matthew Ashman – Guitars / Piano
Marco Pirroni – Guitars / Bass

ADAM ANT – Facebook
Link Youtube

1979 – Do It (ristampa Columbia)

Gianluca Magri – Reborn

Un buon inizio per il chitarrista bellunese, che ci fa testimoni della sua bravura in un contesto armonioso e mai fine a sé stesso.

Debutto solista per il chitarrista bellunese Gianluca Magri, con un passato nella metal band Phaith, con la quale ha inciso un album nel 2011 (Redrumorder).

In questa nuova avventura discografica, intitolata Reborn, il musicista nostrano affida il basso alle mani di Diego Maioni, la batteria a Raffaele Fiori ed i tasti d’avorio a Lorenzo Mazzucco per dar vita alla sua idea di rock strumentale, assolutamente fuori dai binari ipertecnici dei guitar heroes, ed orientati come spesso accade tra le nuove leve verso una forma canzone che ne facilita la fruibilità.
Anche se in poco più di una ventina di minuti, ma sicuramente di buon livello, Reborn ci presenta un musicista preparato ed assolutamente in grado di ben figurare nel vasto mondo del rock/metal strumentale, con cinque brani che passano in rassegna le varie ispirazioni che hanno portato Magri ad imbracciare una sei corde, dai Led Zeppelin, a Gary Moore e Satriani, con un occhio agli anni settanta quanto al metal del decennio successivo.
Bellissime e varie, a mio parere, sono Snowballed e A.D.R., cuore di questo gioiellino strumentale iniziato con la title track (brano alla Satriani) e Cloudbreaker, poi concluso con le armonie acustiche e zeppeliniane della sognante Atlas Bound che prova a far rivivere la magia di Bron-Y-Aur, dal mastodontico Physical Graffiti.
Un buon inizio per il chitarrista bellunese, che ci fa testimoni della sua bravura in un contesto armonioso e mai fine a sé stesso.

Tracklist
1.Reborn
2.Cloudbreaker
3.Snowballed
4.A.D.R.
5.Atlas Bound

Line-up
Gianluca Magri – Guitars
Diego Maioni – Bass
Raffaele Fiori – Drums
Lorenzo Mazzucco – Hammond, Synth

GIANLUCA MAGRI – Facebook

Don Broco – Technology

Definiti da molti tra i massimi esponenti del rock alternativo contemporaneo, i Don Broco rilasciano il disco perfetto per i tempi in cui viviamo: una serie di brani lucidati e impacchettati con estrema cura per piacere alla generazione dei talent show, ma che alla fine non lasciano niente, se non un gusto amarognolo di fregatura.

Vi presentiamo l’ album perfetto per fare una caterva di sterline con il minimo sforzo: pop travestito da rock alternativo, una serie di trovate elettroniche da far impazzire i ragazzini nelle balere di mezza Europa e il gioco è fatto.

Quattro affascinanti ragazzotti inglesi, irriverenti il giusto per far innamorare stormi di ragazzine sono autori di tre album che di rock hanno davvero poco, al massimo qualche chitarra sparata qua e là che fa tanto post industrial/alternative rock, con vocine reduci dall’esame di terza media ed una base elettronica su cui sono strutturate queste quattordici canzoni.
Loro sono i Don Broco da Bedford e Technology è il loro terzo disco licenziato dalla Sharptone Records, dopo una serie infinita di singoli e mini cd.
Definiti da molti tra i massimi esponenti del rock alternativo contemporaneo, i Don Broco rilasciano il disco perfetto per i tempi in cui viviamo: una serie di brani lucidati e impacchettati con estrema cura per piacere alla generazione dei talent show, ma che alla fine non lasciano niente, se non un gusto amarognolo di fregatura.
Technology è perfetto per portare la band il più in alto possibile, tra suoni bombastici, esplosioni elettroniche e camei di chitarre finte metal, una voce che a tratti si avvicina alla musica dance anni ottanta, tanto che sembra clonata, e ritmi che definire ballabili è un eufemismo.
Non c’è grinta, rabbia, non esiste un suono che non esca plastificato, mentre siamo già al nono brano e di quello che abbiamo ascoltato non rimane impresso che una spiacevole sensazione di posticcio.
Una musica senz’anima è quella che troviamo in questo lavoro, rock o meno che sia, una serie di brani usa e getta che tra un  anno non ricorderà più nessuno, soffocati dalla prossima new sensation che non mancherà di prendere il posto dei Don Broco sui poster appesi nelle camere dei fans.
Ascoltando questo lavoro mi è venuta voglia di sentire rock alternativo dai pesanti influssi elettronici, tipo Swamp Terrorists e Young Gods: forse è meglio …

Tracklist
1. Technology
2. Stay Ignorant
3. T Shirt Song
4. Come Out To LA
5. Pretty
6. The Blues
7. Tightrope
8. Everybody
9. Greatness
10. Porkies
11. Got To Be You
12. Good Listener
13. ¥
14. Something To Drink

Line-up
Rob Damiani – Vocals
Matt Donnelly – Drums/Vocals
Simon Delaney – Guitars
Tom Doyle – Bass

DON BROCO – Facebook

NEREIS

Il video di ‘Breaking Bad’, dall’album Turning Point in uscita a giugno (Eclipse Records).

Il video di ‘Breaking Bad’, dall’album Turning Point in uscita a giugno (Eclipse Records).

NEREIS will release their upcoming full-length album entitled Turning Point on June 8, 2018 via Eclipse Records. The album features twelve hard-rocking songs that take the listener on an all-out aural adventure, ranging from blistering alternative metal, to mellow power-rock – and everything in between. The album was produced by Mauro Andreolli at das Ende der Dinge, and the album art was designed by Dani Hofer of Archetype Design. See below for the full track listing…

The band have also revealed the first music video from the album, for the song ‘Breaking Bad’. The video was directed by Maurizio Del Piccolo, and shot at Black and White Studio & Cross Studio in Milan, Italy. Watch it right now at this location.

“Breaking Bad is about someone who has been oppressed for a very long time” says lead singer Andrea Barchiesi. “at some point, this person finally gathers his last strength and unleashes a fiery redemption upon her adversaries. For the video, we translated this into a post-apocalyptic scenario in which the masked woman is kept prisoner and used as a source of electrical power, a kind of human battery. In the end, she manages to break free and hunt down her oppressors”.

Pre-order the full album on CD, iTunes, Amazon, or Google Play, and stream the singles via Spotify, Apple Music, Deezer, and more at http://eclp.se/rtrnn

For more information on Nereis, please visit them on Facebook, Twitter, or Eclipse Records.

‘Turning Point’ track listing
1. Unity
2. Ready for War
3. Breaking Bad
4. Overdrive
5. Two Wolves
6. Now
7. One Time Only
8. The Wave
9. What is Wrong and What is Right
10. Induced Extinction
11. Born to Fly
12. We Stand as One

Nereis Discography
From the Ashes (EP) – 2014
Burnin’ Game (demo) – 2012

Nereis Lineup
Andrea Barchiesi (lead vocals), Mattia Pessina (guitar), Samuel Fabrello (guitar), Gianluca Nadalini (bass), Davide Odorizzi (drums)

Media Assets (all okay to post/embed online):
YouTube (‘Breaking Bad’ video) – https://www.youtube.com/watch?v=d_N37CgIftE
Spotify (‘Breaking Bad’ single) – https://spoti.fi/2pziSJ9
Cover art ‘Turning Point’ – https://www.eclipserecords.com/wp-content/uploads/Turning-Point-Nereis-cover-art-1600.jpg
Band photo (Credit: Silvia Benatti) – https://www.eclipserecords.com/wp-content/uploads/Nereis-band-photo-01-201802-1600-photo-Silvia-Benatti.jpg
News source – https://www.eclipserecords.com/news/nereis-album-turning-point-video-breaking-bad/

Earthless – Black Heaven

Lo stoner rock degli Earthless è sempre stato molto piacevole, ma qui tocca forse le vette più alte della loro lunga carriera, perché c’è qualità, passione, potenza e veemenza in questo stoner rock molto fisico, dove si continua la tradizione della psichedelia pesante americana, con lunghe jam potenti e lisergiche che portano lontano.

Quarto disco per i californiani Earthless, in giro dall’ormai lontano 2001. La maggiore novità è data dal fatto che a differenza degli altri dischi questo ha la maggior parte delle canzoni cantate dal chitarrista Isaiah Mitchell, che ha un voce molto adatta al genere.

La cosa è nata spontanea all’interno del gruppo, un cambiamento naturale che non va a snaturare nulla, anzi. Rimangono sempre le cavalcate di psichedelia pesante che hanno sempre contraddistinto la band. Un’altra novità, anche se minore rispetto alla prima, è che il gruppo ha un tiro maggiormente rock rispetto al passato, facendo emergere le sue radici profonde. Gli Earthless devono moltissimo ai Cream, e hanno sempre affermato che senza di loro non ci sarebbe stato nulla. Ascoltando Black Heaven si capisce molto bene questa loro affermazione. La band americana ci mette molto del suo e produce un disco davvero molto godibile e forte, potente e composto di lunghe canzoni che sono jam infuocate sotto il sole della California. Con il trasferimento di Isaiah Mitchell da San Diego, base del gruppo, al nord della California, il gruppo è passato dal vedersi e provare spesso al diradare le occasioni di fare musica insieme. Ciò non ha tolto nulla, anzi ha agito come un rasoio di Occam, andando a perfezionare ulteriormente taluni passaggi. Lo stoner rock degli Earthless è sempre stato molto piacevole, ma qui tocca forse le vette più alte della loro lunga carriera, perché c’è qualità, passione, potenza e veemenza in questo stoner rock molto fisico, dove si continua la tradizione della psichedelia pesante americana, con lunghe jam potenti e lisergiche che portano lontano. Un gran bel disco da una band che si migliora costantemente e che intrattiene molto bene l’ascoltatore.

Tracklist
1. Gifted by the Wind
2. End to End
3. Electric Flame
4. Volt Rush
5. Black Heaven
6. Sudden End

Line-up
Mario Rubalcaba
Isaiah Mitchell
Mike Eginton

EARTHLESS – Facebook

Elixir of Distress – Kontynent

Un lavoro di spaventosa intensità, con una tensione che non scema in alcun frangente, scandita da uno screaming tutto sommato intelligibile e da un tessuto melodico e atmosferico che resta spesso sullo sfondo, trovando talvolta eccellenti sbocchi sotto forma di assoli chitarristici.

Dalla sempre vivace e mai banale scena polacca arriva il primo passo discografico degli Elixir of Distress, band della quale si sa poco o nulla se non che Kontynent è frutto di una lunga gestazione provocata da diversi avvicendamenti in una line-up che, proprio per questo suo essere in costante divenire, verrà resa nota solo in occasione del prossimo lavoro.

Intanto godiamoci senza troppe remore questo brillante esordio, basato su un black metal che mantiene costantemente un’aura drammatica che ben si confa con il tema trattato a livello lirico, concernente i famigerati campi di detenzione siberiani, nei quali migliaia di polacchi furono peraltro condotti e costretti a lavorare in condizioni disumane (in tal senso la copertina, per quanto minimale, mette i brividi e non solo per il freddo evocato dal paesaggio nevoso).
Gli Elixir of Distress offrono un’interpretazione del genere che prende il meglio dalle diverse scuole, anche se si percepisce una certa preponderanza di quella tedesca (Lunar Aurora in primis, e l’utilizzo di un monicker che ne richiama uno dei molti capolavori, Elixir Of Sorrow, qualcosa vorrà ben dire) con l’inserimento di certe dissonanze del black più obliquo di matrice francese.
Il frutto è un lavoro di spaventosa intensità, con una tensione che non scema in alcun frangente, scandita da uno screaming tutto sommato intelligibile, anche se ovviamente le liriche in polacco restano appannaggio degli ascoltatori di madre lingua, e da un tessuto melodico e atmosferico che resta spesso sullo sfondo, trovando talvolta eccellenti sbocchi sotto forma di assoli chitarristici.
I cinque brani si attestano su una durata media attorno ai dieci minuti e sono tutti, nessuno escluso, esempi di black metal glaciale, arcigno e allo stesso tempo coinvolgente: autentica pietra miliare dell’album è a mio avviso Katorga, traccia nella quale aleggia una disperazione tangibile espressa da un incedere furioso, che racchiude una sottile quanto evocativa linea melodica; lo schema è abbastanza simile, anche per qualità esibita,  nel resto della tracklist, con qualche parentesi acustica volta a spezzare il mood tragico, andando a comporre il quadro di un disco splendido e che, a mio avviso, è finora una delle più belle sorprese di questo 2018.
Resta solo la curiosità di capire chi ci sia dietro il monicker Elixir of Distress, anche se l’esito di Kontynent depone a favore di musicisti di grande spessore e profondi conoscitori della materia.

Tracklist:
1. Kontynent
2. Kołyma
3. Katorga
4. Workuta
5. Magadan

Affasia – Adrift In Remorse

Adrift In Remorse è una pietanza che scotta nelle mani dell’ascoltatore. Va domata e compresa, ma una volta fatto questo si può felicemente non tornare più indietro.

Se questo è l’inizio, possiamo metterci comodi e gioire. Adrift In Remorse è il primo album in studio della band statunitense Affasia: cinque ragazzi che hanno dato vita a questo progetto nel 2012 e che finalmente passano dalle parole ai fatti e ci mostrano cosa sono capaci di fare.

Per quanto le etichette possano essere in molti casi restrittive in campo musicale, come in questo caso, lo stile degli Affasia è molto vicino al melodic death metal, e lo dimostrano con ogni pezzo di questo primo album. Il numero dei brani è molto ridotto, infatti sono solo quattro, ma questa scelta verrà sicuramente apprezzata dai più procedendo con l’ascolto, visti gli alti livelli raggiunti dalla band in termine di qualità musicale, versatilità e bravura dei musicisti, e ultimo ma non meno importante, la varietà del suono in ogni parte del disco. Si direbbe che è stato sfatato il precetto “melius abundare quam deficere”.
La band americana irrompe nella scena metal creando atmosfere talvolta struggenti, talvolta fatate. Il tutto sempre e comunque nel segno del doom senza sconti, anzi. La strada intrapresa dagli Affasia nasce probabilmente da una passione per band come i Paradise Lost o, ancor più precisamente, My Dying Bride. La differenza è che gli Affasia stanno nel mezzo e contemporaneamente al di fuori di questi due approcci.
È un progetto musicale da scoprire dando grande merito a tutti i componenti della band, tra i quali, è bene ricordarlo, figura anche Tony Petrocelly, batterista anche degli ottimi Construct Of Lethe.

Tracklist
1. Another Host
2. Dissolute
3. Brittle Sentiment
4. As You Never Were

Line-up
Adam Coffman – Keyboards
Jason Jennings – Guitars
Nick Lucente – Bass
Noah Cabitto – Vocals
Tony Petrocelly – Drums

AFFASIA – Facebook