Ghost Rider – Rehearsal ’84

Le origini dei Necrodeath: un black contaminato con il thrash e le melodie del metal classico. Un demo da leggenda.

Prima di ridenominarsi Necrodeath e di scrivere pagine storiche del metal italiano, non solamente in ambito estremo, c’erano i Ghost Rider, attivi tra Rapallo e Recco.

Nel 1984 incisero un nastro, che è davvero riduttivo definire storico: quel demo tape è in assoluto la prima registrazione di black metal in Italia e fa veramente data nelle cronache dell’heavy, non soltanto nostrano. Il gruppo di Peso era agli inizi, ma le idee erano già molto chiare: attingere alla velocità oscura dei Venom, incarnando un black (soprattutto a livello lirico e iconografico) che flirtava con certe strutture del neonato thrash – la stessa cosa accadde tre anni dopo ai Mayhem di Deathcrush – e del metal più classico. Insomma, una cassetta per ogni adoratore di Bulldozer, Hellhammer, Bathory, primi Slayer e Samhain. Cinque canzoni in tutto, dark quanto basta per scolpire il nome dei Ghost Rider nell’empireo degli iniziatori e dei precursori. La FOAD di Genova, nel 2011, ha pubblicato una nuova versione su compact, del tutto risuonata, remixata e rimasterizzata per l’occasione, nonché (appositamente) reintitolata The Return of the Ghost.

Track list
– The Exorcist
– Curse of Valle Christi
– The Return of the Ghost
– Perkele666
– Victim of Necromancy
– Ride For Your Life
– Doomed to Serve the Devil
– Black Archangel
– Hell Is the Place
– Power From Hell (Onslaught cover)
– Deep in Blood

Line up
Zarathos – Guitars
Helvete – Bass / Vocals
Mark Peso – Drums

1984 – Autoprodotto

Augury – Illusive Golden Age

Un ritorno in grande stile per gli Augury, l’album potrebbe risultare una gradita sorpresa per gli amanti del metal estremo tecnico e progressivo, quindi il consiglio è di non perderlo per nessun motivo.

Il Canada a ben vedere è terra dove il metal ha sempre regalato importanti protagonisti in molti dei generi di cui si compone.

Non solo gruppi storici dunque (Rush, Annihilator, Exciter e Anvil, tanto per fare qualche nome), ma una folta schiera di gruppi che si muovono nell’underground: gli Augury fanno parte della scena estrema del Quebec da più di quindici anni, il loro death metal progressivo ha già donato in passato due full length, Concealed uscito nel 2004 e Fragmentary Evidence del 2009.
Sono passati nove lunghi anni prima che il quartetto si sia deciso a tornare sul mercato e tramite la The Artisan Era licenzia questo ottimo esempio di technical progressive death metal intitolato Illusive Golden Age.
Mixato e masterizzato da Chris Donaldson dei Cryptopsy, l’album è una tempesta di suoni estremi che si abbattono sull’ascoltatore, tecnicamente ineccepibili, ma tenuti tra i confini di una forma canzone che non viene mai meno.
La parte progressiva si scontra con quella estrema, che si avvicina pericolosamente al brutal con puntate nel black metal più feroce, in un turbinio creato da un ciclone musicale dall’impatto devastante.
Illusive Golden Age tiene incollati alle cuffie, concentrati nel seguire le evoluzioni musicali in brani spettacolari come la portentosa Mater Dolorosa, o la brutale Maritime, mentre le tracce più progressive risultano la title track e The Living Vault, doppietta che apre l’album all’insegna di un ottovolante progressivo di ottima fattura.
Un ritorno in grande stile per gli Augury, l’album potrebbe risultare una gradita sorpresa per gli amanti del metal estremo tecnico e progressivo, quindi il consiglio è di non perderlo per nessun motivo.

Tracklist
1. Illusive Golden Age
2. The Living Vault
3. Carrion Tide
4. Mater Dolorosa
5. Maritime
6. Message Sonore
7. Parallel Biospheres
8. Anchorite

Line-up
Patrick Loisel – Vocals, Guitars
Mathieu Marcotte – Guitars
Dominic “Forest” Lapointe – Bass
Antoine Baril – Drums

AUGURY – Facebook

GRAVESTONE

Il video di Proud To Be Dead, dall’ep omonimo (Sliptrick Records).

Il video di Proud To Be Dead, dall’ep omonimo (Sliptrick Records).

Gravestone – Proud To Be Dead [Official Video]
Taken from the EP: Proud To Be Dead | 2017

Italian Death Progressive Metalists Gravestone have released the first official video from their latest EP release Proud To Be Dead (2017 via Sliptrick Records). It’s the title track from the EP and the no-holds barred video features disturbing images inter-cut the new line-up taking center stage. Check it out below!

Gravestone – Proud To Be Dead (EP)
Proud To Be Dead is heavily influenced by each member with hints of horror and progressive brought to life by the use of keyboards and synths. On the EP, the band present 5 songs which includes a rearrangement of Corpse Embodiment from a previous album Symphony of Pain complete with text inspired by Lovecraft and Myths of Cthulhu. Read more about Proud To Be Dead …here

Proud To Be Dead | Released February 24th, 2017 on Sliptrick Records

Gravestone are:
Alessandro Iacobellis – Vocals | Marco Borrani – Guitar | Gabriele Maschietti – Guitar | David Folchitto – Drums | Massimiliano MaaX Salvatori – Bass | Fabrizio Di Carlantonio – Keyboards

Black Royal – Lightbringer

Non esiste un momento di pace o di luce, i Black Royal sono stati creati per far male, trattandosi di una creatura estrema che prende forza dagli Entombed e dai Black Sabbath e dopo averli accoppiati li tramuta in un mostruoso e pesantissimo esempio di death/sludge.

Una bomba sonora che esploderà sulle vostre teste, devastante e pesantissima, un masso che dal punto più alto del monte dove sono state scritte le tavole della legge del metal estremo rotolerà fino alle pianure, distrutte dal passaggio dell’enorme sasso che prende forza ad ogni metro.

Lightbringer è il debutto sulla lunga distanza dei finlandesi Black Royal, gruppo di Tampere in cui mi ero imbattuto in occasione dell’ uscita dell’ep The Summoning PT 2, seconda parte appunto di un concept iniziato nel 2015.
La Finlandia che non si legge sui giornali, quella votata alla violenza, al suicidio ed all’alcolismo, veniva raccontata dai Black Royal tramite un death/stoner metal al limite dello sludge e sconquassato da accelerazioni di stampo death che chiamare devastanti è un’eufemismo.
Anche sulla lunga distanza il combo finlandese non delude e ci investe con tutta la sua immane potenza e pesantezza, Cryo-Volcanic ci travolge con cascate laviche di death metal, rallentato, morboso e drogato di stoner/sludge, Salvation ci spinge verso l’abisso, mentre Pentagram Doctrine è una traccia malatissima e disturbante, così come la title track.
Non esiste un momento di pace o di luce, i Black Royal sono stati creati per far male, trattandosi di una creatura estrema che prende forza dagli Entombed e dai Black Sabbath e dopo averli accoppiati li tramuta in un mostruoso e pesantissimo esempio di death/sludge.
Ancora Dying Star e New World Order, che lascia ad un coro femminile pinkfloydiano il compito di avvicinarvi alla fine con lo strumentale Ou[t]roboros, sono le bombe sonore fatte esplodere da questi quattro pericolosissimi musicisti, prima che l’album si chiuda e la calma torni a regnare nel vostro mondo che non vi parra più così sicuro.
Lightbringer è un mostro, un disturbato e pericoloso esempio di metal estremo da consumare con la giusta cautela, gli effetti collaterali sono devastanti e non dite che non vi avevo avvertito.

Tracklist
1. Cryo-Volcanic
2. Self-Worship
3. Salvation
4. Denial
5. Pentagram Doctrine
6. Lightbringer
7. The Chosen
8. Dying Star
9. New World Order
10. Ou[t]roboros

Line-up
Jukka – Drums, percussion
Pete – Bass, backing vocals, acoustic guitar
Riku – vocals
Toni – Guitars, backing vocals

BLACK ROYAL – Facebook

Urze de Lume – As Árvores Estão Secas e Não Têm Folhas

L’intento degli Urze de Lume è quello di farci viaggiare a ritroso nel tempo, riportandoci almeno virtualmente a quella coesione inscindibile tra uomo e natura che oggi più che mai viene messa in discussione: As Árvores Estão Secas e Não Têm Folhas è la sintesi musicale di questa alleanza che ha retto per millenni prima di un inizio di sgretolamento che pare irreversibile.

Con il passare del tempo, sempre più la mente viene attraversata da squarci di consapevolezza che inducono a riflettere e a sospendere l’affannosa corsa quotidiana verso quel nulla che, per chiunque, diviene l’approdo finale.

L’opera dei portoghesi Urze de Lume rappresenta alla perfezione tale coacervo di sensazioni, con il vantaggio che questo dark folk malinconico e soffuso si rivela paradossalmente una panacea capace di lenire tutte le negatività accumulate in precedenza.
Questo ensemble di Lisbona, fondato da Ricardo Brito, arriva al terzo lavoro su lunga distanza con questo As Árvores Estão Secas e Não Têm Folhas, il cui titolo evoca chiaramente la stagione autunnale alla quale era stata dedicata la prima parte di questa dilogia iniziata con l’ep Vozes na Neblina, uscito lo scorso anno.
Il folk di matrice oscura, incentrato chiaramente su strumenti acustici ma arricchito anche da interventi di strumenti tradizionali, ad archi o a fiato, riesce a ritagliarsi un suo meritato spazio in virtù della sua limpidezza, e, personalmente, per impatto e coinvolgimento mi viene da accostarlo ai Wöljager di Marcel Dreckmann, a testimonianza del fatto che la buona musica dalle radici etniche riesce a raggiungere sempre il cuore degli ascoltatori, indipendentemente dalla latitudine da cui trae linfa.
L’intento degli Urze de Lume è chiaramente quello di farci viaggiare a ritroso nel tempo, riportandoci almeno virtualmente a quella coesione inscindibile tra uomo e natura che oggi più che mai viene messa in discussione: As Árvores Estão Secas e Não Têm Folhas è la sintesi musicale di questa alleanza che ha retto per millenni prima di un inizio di sgretolamento che pare irreversibile.
Brito e i suoi compagni d’avventura ci consentono l’accesso a questa bolla spazio temporale nella quale il sentimento predominante è la malinconia, insita in chi vive nel paese in cui il fado non è un semplice genere musicale bensì un qualcosa di insito nel dna della sua gente.
Non vale la pena di opporre resistenza alle carezze acustiche che gli Urze de Lume ci regalano sotto forma di brillanti gemme come la title track, Da Tua Ausência, Margens do Rio Outono o Longa a Noite: per le anime più sensibili, contemplare i colori e le sfumature dell’autunno è un nutrimento virtuale che può lenire il senso di vuoto che ognuno si porta appresso, inconsapevolmente o meno.

Tracklist:
1. Sobre Folhas de Carvalho
2. Come Árvores Estão Secas e Não Têm Folhas
3. Prenúncio de Gelo
4. Da Tua Ausência
5. Solidão
6. Fantasmi di Horas Mortas
7. Encruzilhadas
8. Sombras no Vento
9. Margens do Rio Outono
10. Entardece em Mim
11. Longa a Noite
12. Alvorada de Destroços

Line-up:
Ricardo Brito
Tiago Matos
Hugo Araújo
Gonçalo do Carmo

URZE DE LUME – Facebook

Stormwolf – Howling Wrath

L’album è consigliato agli amanti dei suoni tradizionali che, in Howling Wrath, troveranno di che godere tra atmosfere fantasy, un numero infinito di duelli tra le chitarre, la prova maiuscola di una cantante dai toni magici e ritmiche che passano con disinvoltura da sfuriate power a cavalcate su tempi medi.

Leggi tutto “Stormwolf – Howling Wrath”

Green Druid – Ashen Blood

Doom nella sua forma più tradizionale ma il tutto è intriso di stoner, di aromi acido lisergici, di ipnotismo, di momenti inquieti e parti più introspettive; il quadro definitivo lascia storditi, desiderosi di assaggiare sempre più queste note per assaporare meglio ogni momento.

Eccellente debutto di questo quartetto statunitense di Denver, attivo dal 2015, con un demo autoprodotto riproposto in toto in questa opera prima.

Lode alla Earache che ha messo sotto contratto questi musicisti alla loro prima esperienza con i Green Druid: otto brani intensi, lunghi, alcuni lunghissimi fino a diciotto minuti, dove le idee non mancano, le atmosfere sono cangianti, vibranti con la loro alternanza di chiaroscuri e saliscendi emozionali.
La base è doom nella sua forma più tradizionale ma il tutto è intriso di stoner, di aromi acido lisergici, di ipnotismo, di momenti inquieti e parti più introspettive; il quadro definitivo lascia storditi, desiderosi di assaggiare sempre più queste note per assaporare meglio ogni momento.
Vengono in mente gli Sleep per la loro capacità di mantenere alta la tensione durante le interminabili jam soffocate da un sole incandescente come in Cursed Blood, la più lunga del lotto, dove un riff reiterato pone le basi per le divagazioni sia solistiche sia di atmosfera e qui l’interplay tra le due chitarre rivaleggia con le clean vocals filtrate e salmodianti, a creare immagini di una carovana in lento movimento verso acidi abissi: un brano notevolissimo da sentire assolutamente. In Agoraphobia, altri quattordici minuti, le trame acido lisergiche prendono il sopravvento fino dall’inizio e l’atmosfera, apparentemente più distesa, alternando momenti psichedelici e doom si carica lentamente di tensione con basso e chitarre a condurre la danza verso orizzonti completamente stonati.
Ogni brano ha caratteristiche proprie mantenendo inalterati gli ingredienti di base, Dead Tree sforna un riff da far tremare le montagne, Rebirth ricorda i momenti soffocanti degli ultimi Electric Wizard, stritolando le viscere e Ritual Sacrifice è sinistra e carica di suspence, mantenendo le promesse del titolo.
Per essere un’opera prima le sensazioni sono eccellenti, i musicisti hanno idee e una buona personalità, i brani sono fluidi, convinti e convincenti, attraggono e lasciano ottime vibrazioni: dal vivo potrebbero essere una assoluta rivelazione.

Tracklist
1. Pale Blood Sky
2. Agoraphobia
3. Dead Tree
4. Cursed Blood
5. Rebirth
6. Ritual Sacrifice
7. Nightfall

Line-up
Ryan Skates – Bass
Ryan Sims – Drums
Graham Zander – Guitars
Chris McLaughlin – Vocals, Guitars

GREEN DRUID – Facebook

MADHOUSE

Il lyric video di “Change”, ultimo estratto dall’EP di esordio “You Want More” (ICM/Believe).

Il lyric video di “Change”, ultimo estratto dall’EP di esordio “You Want More” (ICM/Believe).

I MadHouse, rock band di Milano, sono orgogliosi di annunciare il nuovo lyric video di “Change”, ultimo estratto dall’EP di esordio “You Want More” (ICM/Believe), succulento antipasto in attesa della pubblicazione del primo full length, attualmente in fase di lavorazione da parte dei MadHouse e di dysFunction Productions. Un brano dalle sonorità travolgenti e calde come solo il rock dalle venature blues può essere: la solida base sonora creata dagli strumenti viene completata ed arricchita dalla fantastica voce femminile che riesce a rendere il tutto una miscela esplosiva in grado di monopolizzare i padiglioni auricolari di chi la ascolta.

Dautha – Brethren of the Black Soil

I Dautha danno alle stampe un esordio su lunga distanza magnifico, capace di unire l’incedere dolente ed il cupo incombere di un fato ineluttabile, proprio del funeral, con la struttura heavy delle radici doom, andando a creare un ibrido di qualità inestimabile.

I Dautha sono una band svedese che, dopo l’assaggio offerto con il demo Den förste del 2016, scende nell’agone del doom classico con un album destinato per il suo valore a porre sotto una luce ben più vivida questi ottimi musicisti scandinavi.

Brethren of the Black Soil regala quasi un’ora di doom al quale non manca nulla, infatti, per consentire ai Dautha di essere accostati ai connazionali Candlemass senza rischiare d’essere denunciati per lesa maestà
Il gruppo di Norrköping è composto da elementi di comprovata esperienza, anche in ambito doom, tra i quali il più noto è forse Lars Palmqvist, clean vocalist degli Scar Symmetry, e questo consente ai nostri di dare alle stampe un album ambizioso in quanto persegue obiettivi musicali e lirici tutt’altro che banali: se musicalmente parte da una base che prende le mosse dai semi piantati nella metà degli anni ’80 da Leif Edling e poi germogliati nei decenni successivi facendo maturare i suoi luttuosi frutti, anche a livello concettuale il lavoro si distingue per la ricerca di tematiche che affrontano le radici in avvenimenti storici del remoto passato, pur non rinunciando a mettere in primo piano le tematiche inerenti la morte (appunto dautha, in svedese antico) e tutto ciò che ne consegue.
Nel parlare di Brethren of the Black Soil non si può non partire però dalla title track, che non è solo la traccia più lunga dell’album con il suo quarto d’ora di durata, ma è una vera e propria gemma intrisa di epico lirismo come non capitava di ascoltare da tempo in quest’ambito; oltre al riferimento già citato con gli illustri connazionali, in questo caso i Dautha ci riportano anche ai Procession più ispirati, per un fatturato complessivo dal raro carico evocativo.
Se questo brano è il picco più alto dell’album, ci sono altri quaranta minuti abbondanti con i quali i Dautha regalano doom metal al suo massimo livello, con The Children’s Crusade e Bogbodies, dai tratti più funerei e vistosamente rallentati ed emotivamente impattanti, e Hodie Mihi, Cras Tibi, Maximinus Thrax e In Between Two Floods (valorizzata da un chorus splendido) maggiormente movimentate, rapportando sempre l’aggettivo al genere suonato.
I Dautha danno alle stampe un esordio su lunga distanza magnifico, capace di unire l’incedere dolente ed il cupo incombere di un fato ineluttabile, proprio del funeral, con la struttura heavy delle radici doom, andando a creare un ibrido di qualità inestimabile.

Tracklist:
1. Hodie Mihi, Cras Tibi
2. Brethren of the Black Soil
3. Maximinus Thrax
4. The Children’s Crusade
5. In Between Two Floods
6. Bogbodies

Line-up:
Ola Blomkvist – guitar/lyrics
Erik Öquist – guitar
Lars Palmqvist – vocals
Emil Åström – bass
Micael Zetterberg – drums

DAUTHA – Facebook

Volition – Visions of the Onslaught

Visions Of The Onslaught è un lavoro rivolto agli amanti del genere, i quali sono invitati ad un ascolto che potrebbe trasformarsi in una piacevole e devastante sorpresa.

Metal estremo dai rimandi old school, velenoso e crudele quel tanto che basta per passare con disinvoltura dal thrash metal al death/black.

Loro sono i Volition band statunitense proveniente da Tulsa (Oklahoma) e Visions of the Onslaught è il loro debutto sulla lunga distanza, successore di un ep licenziato un paio di anni fa.
Un thrash contaminato dal mood estremo e devastante dei generi sopracitati crea un’atmosfera di belligeranza e di massacro sonoro vecchia scuola: i Volition risultano il classico gruppo dal sound che si riassume nel detto palla lunga e pedalare con un metal che, ingranata la quinta, mantiene veloce l’andatura per tutta la durata non risparmiando qualche mid tempo incastrato nella furia iconoclasta di brani come l’opener Annihilation, la mastodontica Crypts Of Flesh e la veemente Theories Of Punishment.
Le influenze sono tutte riscontrabili nei pionieri del metal estremo degli anni ottanta tra il thrash e le prime avvisaglie death/black, quindi riconducibili ai soliti Venom, Slayer, Sodom e Kreator.
Visions Of The Onslaught è un lavoro rivolto agli amanti del genere, i quali sono invitati ad un ascolto che potrebbe trasformarsi in una piacevole e devastante sorpresa.

Tracklist
1.Morbid Devastation
2.Theories of Punishment
3.Enforce with Violence
4.Injection Vendetta
5.Annihilation
6.Vengeful Satisfaction
7.Justified Mortality
8.Crypts of Flesh
9.Volition

Line-up
Cody Creitz – Drums
Christian Potter – Guitars, Vocals
Gabe Henry – Guitars
Treston Lamb – Bass

VOLITION – Facebook

Confine – Incertezza Continua

In apparenza i Confine sembrano disimpegnati, la verità è che si divertono e fanno le cose “estremamente” per bene, senza prendersi troppo sul serio e facendoci passare un gran bel quarto d’ora.

Da casa al lavoro, da lavoro al supermercato, dal supermercato (o bar) a casa e così via. Testa china e pedalare, attento a non fare danni o a non farti male.

Anche se dentro hai il fuoco che arde, la voglia di spaccare tutto, perché tu non ci credi in Dio, nel benessere materiale, nella giustizia o nella patria. Allora devi ascoltare i Confine, non saranno la tua zona di conforto, ma sarà un disco che ti farà ribollire le vene, perché questo è ciò che deve fare. Hc punk non velocissimo, ma inesorabile e corrosivo, con un suono d–beat, il cantato in italiano e tanta, tanta sostanza. Nati nel 2013 a Cavarzere, in provincia di Venezia, i Confine sono il risultato dell’amore verso un hardcore punk molto bastardo, con inserti grind e pennellate thrash. Il disco dura un quarto d’ora, è davvero potente e diretto, con testi che parlano di vita e di odio, di rabbia verso la religione ma anche verso noi stessi che non riusciamo ad uscire dalle nostre gabbie. Il suono come detto è corrosivo ma non velocissimo, e l’impasto voce e musica lo rende additivo, ascolti il disco in loop continuo, perché c’è qualcosa di finemente diabolico. Canzoni come Franco sono la perfetta descrizione di cosa siamo, e sono anche una botte di hardcore a trecentosessanta gradi. In apparenza i Confine sembrano disimpegnati, la verità è che si divertono e fanno le cose “estremamente” per bene, senza prendersi troppo sul serio e facendoci passare un gran bel quarto d’ora. Dopo il già ottimo C.I.O.D.E. i Confine si confermano come uno dei migliori gruppi hc italiani.

Tracklist
1.La Favola Di Dio
2.Pargolo
3.Franco
4.Infamia
5.Maurizio IV
6.Pozzo Strada
7.Magone
8.La Mia Recita
9.La Tesi
10.Incertezza Continua

Line-up
Maximilian Goldberg – Voce
Andrea Bottin – Chitarra/Cori
Marco Tumiatti – Basso/Voce
Alessandro De Zanche – Batte

CONFINE – Facebook

Apocryphal – When There Is No Light

When There Is No Light è un album vivamente consigliato a chi predilige un black metal dai tratti aderenti alla tradizione ma nel contempo curato a livello di sonorità e credibile dal punto di vista lirico e concettuale.

L’esordio su lunga distanza dei veronesi Apocryphal ci riporta ad un black metal essenziale e sostanzialmente privo di sbocchi melodici of atmosferici.

La band veneta, che ha mosso i suoi primi posso con il demo titolo nel 2015, tiene fede al proprio monicker incentrando il lavoro sugli scritti cosiddetti apocrifi, ovvero quelle parti di nuovo e vecchio testamento che non trovano posto nelle versioni divulgate dalla Chiesa cattolica in quanto ufficialmente non attendibili ma, sostanzialmente, poiché riportano molti dei fatti che ci sono stati tramandati da un punto di vista diverso e soprattutto capaci di mettere in dubbio certe verità acquisite.
Se ne deduce che When There Is No Light possiede un carico fortemente antireligioso, e lo strumento utilizzato per veicolare ciò che la storia ha relegato ai margini è il ricorso al genere estremo misantropico e blasfemo per eccellenza.
Come detto il black metal degli Apocryphal  è diretto e volto a giungere all’obiettivo senza troppi fronzoli né giri di parole,: linearità però non è automaticamente sinonimo di semplicità e così il quartetto veneto mette in scena una dimostrazione magari priva di particolari picchi ma di grande compattezza in ogni sua parte; spicca su tutti gli altri un brano come Under the Black Flag of Babilonia, bella cavalcata dai ritmi intensi ma non esasperati e che beneficia anche di un efficace intro basato su sonorità etniche di matrice orientale.
When There Is No Light è un album vivamente consigliato a chi predilige un black metal dai tratti aderenti alla tradizione ma nel contempo curato a livello di sonorità e credibile dal punto di vista lirico e concettuale.

Tracklist:
1. The Call of War
2. Evoching Satan
3. Offer to Stars
4. Violence of Unique God
5. Under the Black Flag of Babilonia
6. Midnight Sky
7. Original Glory
8. Last Pagan Night

Line-up:
Matteo Baroni Bass
Diego Gini Drums
Fabio Poltronieri Guitars
Gianmarco Bassi Vocals

Siksided – Leave No Stone Unturned

Leave No Stone Unturned vive di grunge nevrotico e di prog metal e ne esce una raccolta di brani che alterna rabbiose atmosfere metalliche a tracce e sfumature rock oriented, sempre legate da un buon lavoro ritmico e chitarristico.

Torniamo a parlarvi di musica rock ispirata agli anni novanta, decennio importantissimo per lo sviluppo del metal/rock, da quello più estremo fino alle contaminazioni crossover generate aldilà dell’Atlantico e che fecero coppia con l’esplosione dei suoni hard rock, dal grunge all’ alternative.

Il secondo decennio del nuovo millennio si può certo considerare come la maturazione del frutto nato dall’albero piantato trent’anni fa da quei gruppi che, in un batter d’occhio, si ritrovarono sulle copertina delle riviste specializzate e con i propri in video in rotazione su MTV.
In Italia non mancano certo ottime realtà che si affacciano sul mercato underground ispirate dai grandi nomi del genere, una scena (se si può parlare di scena riguardo al metal/rock nel nostro paese) che regala proposte di valore come i Siksided, freschi di debutto sulla lunga distanza con Leave No Stone Unturned, traguardo raggiunto dopo quasi otto anni dalla nascita del gruppo con base a Trieste.
Dopo vari cambi di formazione ed un demo di cinque brani licenziato quattro anni fa, la band ci regala un’opera che dell’alternative metal attinge la forza, dal grunge l’irruente intimismo e dal progressive moderno quella nobiltà compositiva e cerebrale che avvicina il sound alle opere di Tool ed A Perfect Circle.
In effetti, come scritto nelle note di accompagnamento dell’album, Leave No Stone Unturned vive di grunge nevrotico e di prog metal e ne esce una raccolta di brani che alterna rabbiose atmosfere metalliche a tracce e sfumature rock oriented, sempre legate da un buon lavoro ritmico e chitarristico.
Disposable Livings, Charon, Batlant Quiet, Desert e la conclusiva pinkfloydiana Defaced sono i brani più esaustivi per chi vuol conoscere il gruppo nostrano, ma tutto l’album funziona così da meritarsi una promozione a pieni voti.

Tracklist
1.Disposable livings
2.Leaf
3.Fragments
4.Meant to be
5.Charon
6.New savior
7.Blatant quiet
8.Desert
9.Defaced

Line-up
Delano – Guitar
Paolo – Drums
Jeff – Guitar
Wolly – Bass
Xander – Voice

SIKSIDED – Facebook

Cryptopsy – Ungentle Exumation

La mitica cassetta che ha contribuito a fondare, nei primi anni Novanta, la scena canuck del techno-deathcore, da allora una seminale fonte di ispirazione per molti epigoni.

I canadesi Cryptopsy – da Montreal, Québec – sono oggi giustamente celebri tra gli addetti ai lavori ma sulle loro origini ci si sofferma sempre poco.

Il gruppo nacque nel 1988 e solo un lustro più tardi incise il demo tape Ungentle Exumation. Quel nastro fondò a conti fatti la scuola del death metal nel Canada francese: un techno-death brutale e orrorifico, opportunamente sporcato di hardcore (anzi: il death-core venne in pratica creato da loro, prima di diventare una moda). I brani del nastro sono una vera e propria manna, per tutti coloro che amano Suffocation, Origin, Malignancy ed i connazionali Gorguts, nonché le sfuriate grind di Cephalic Carnage e Dying Fetus e le progressioni iper-tecniche degli spagnoli Wormed. Detto altrimenti, in Ungentle Exumation troviamo una fusione incredibile e davvero pionieristica di brutal death e inflessioni prog mutuate dai Pestilence di Spheres (da poco e finalmente ristampati, insieme a tutto il catalogo degli olandesi). Postilla conclusiva per completisti: la violenza ossimorica e futuristico-ancestrale dei Cryptopsy riecheggia oggi anche nei mai troppo lodati Rage Nucléaire: due eccezionali dischi di black-war, che attinge anche a Marduk, 1349, Dark Funeral, Anaal Nathrakh e Immortal, con appunto Lord Worm dei Cryptopsy tra i ranghi. La stirpe continua.

Track list
1. Gravaged
2. Abigor
3. Back to the Worms
4. Mutant Christ

Line up
Lord Worm – Vocals
Flo Mounier – Drums
Kevin Weagle – Bass
Dave Galea – Guitars
Steve Thibault – Guitars

1993 – Autoprodotto

Killibrium – Purge

Il sound dei Killibrium è un mastodontico pezzo di cemento staccatosi da un grattacielo in pieno centro all’ora di punta: i danni sono inevitabili, così come le vittime tra chi non è abituato a tanta potenza e pesantezza.

Neanche il tempo di sistemare le valigie che si torna a volare virtualmente verso l’India, precisamente a Mumbai, dove ci aspettano i deathsters Killibrium, nuovissima band all’esordi con questo devastante ep intitolato Purge.

Il quartetto asiatico conferma quanto di buono ci sia nella scena estrema di quel paese, con sei brani nei quali il death metal old school incontra il brutal e lo invita ad una strage promettendo fuoco e fiamme, tecniche e ritmiche, dal groove micidiale.
Il sound dei nostri è un mastodontico pezzo di cemento staccatosi da un grattacielo in pieno centro all’ora di punta: i danni sono inevitabili, così come le vittime tra chi non è abituato a tanta potenza e pesantezza.
L’opener Forewarned ci presenta un gruppo capace di mantenere un impatto tellurico, pur abbondando di parti ultratecniche: i quattro musicisti innalzano un altare di abissale musica estrema onorando le band storiche del genere, dai Cannibal Corpse ai Suffocation, in un delirio di cambi di tempo, ripartenze che hanno la potenza e la furia di un’onda sprigionata dalla forza di uno tsunami.
Mental Illusion è una tempesta di note che si abbatte sull’ascoltatore, il growl di Nitin Rajan è pregno di una personalità che si evince dall’uso deciso ed espressivo, gli strumenti sono armi letali tra le mani di Mihir Bhende alla batteria, Keshav Kumar alla chitarra e Suvajit Chakraborty al basso e tutto funziona alla perfezione, anche se il poco tempo a disposizione del gruppo ci porta ad aspettare sviluppi futuri prima di dare un giudizio definitivo.
Rimane da sottolineare il grande impatto, e l’uso delle ritmiche che strizza l’occhiolino alla scena odierna.

Tracklist
1. Forewarned Is Forearmed
2. Denominator
3. Mental Illusions
4. Vigilante
5. Purge
6. Last Man Standing

Line-up
Keshav Kumar – Guitars
Mihir Bhende – Drums
Suvajit Chakraborty – Bass
Nitin Rajan – Vocals

KILLIBRIUM – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: SEPTEM

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Questa volta è il turno dei Septem, band spezzina messasi in luce negli anni scorsi.

MC Su Overthewall una straordinaria band di La Spezia, i Septem! Diamo il Benvenuto a Daniele Armanini voce e leader della band! Ciao Daniele!

Ciao Mirella e grazie per lo spazio che mi concedi.

MC Partiamo dalle origini. Come si forma la band?

I Septem si formano a La Spezia nel 2003 e sin da subito l’intenzione dei membri originari era quella di dare vita ad un gruppo che proponesse musica propria ed originale.
Dopo inevitabili e numerosi cambi di line- up nel 2008, col mio ingresso e quello di Enrico Montaperto (chitarra) la band si stabilizza ed inizia un lungo periodo di prove, produzione di brani ed attività live che porteranno ad amalgamare e affiatare tutti i componenti, nonché a fare grande esperienza che servirà di li a poco per la produzione discografica della band.
Nel 2011, infatti i Septem danno alla luce il primo demo registrato ai Nadir Studios di Genova e sempre sotto la sapiente guida di Tommy Talamanca (chitarrista dei Sadist), la band darà alla luce il primo album omonimo nel 2013 e il nuovo Living Storm nel 2016 sempre per Nadir Music.

MC Il vostro sound è un heavy metal che mescola melodie e suoni potenti, quali band sono state per voi fondamentali per creare la vostra musica?

Siamo cinque ragazzi con differenti gusti musicali ed influenze.
Il nosto background comprende davvero di tutto, dalle grandi classiche band (Iron Maiden, Metallica, Deep Purple, Queen, Black Sabbath, Led Zeppelin) a gruppi moderni (Lamb of God, Killswitch Engage ed altri), ma pure ascolti che esulano dal contesto rock/metal, come Lucio Battisti per esempio e molte altre influenze musicali.
Tutto questo si riverbera nella nostra musica trasformato però dalla nostra forte personalità.
I Septem sono solo i Septem.

MC Qual’è il metodo che seguite per la stesura dei pezzi? Chi si occupa di scrivere i testi e chi la melodia?

E’ un gioco di squadra.
Tutti e cinque partecipiamo alla stesura dei brani ed ognuno può portare idee valide che tutti sviluppano insieme e portano a compimento per ricercare la migliore forma possibile e la più grande qualità artistica di ogni singola canzone.

MC Living Storm è il vostro ultimo lavoro discografico targato 2016. Ci parli di quest’album?

Living Storm è un album di cui andiamo orgogliosi, così come lo eravamo di Septem.
In questo album siamo migliorati sotto ogni punto di vista e abbiamo dato alla luce un lavoro che ci soddisfa in pieno.
Potente, veloce, aggressivo, ma anche melodico e coinvolgente come piace a noi.
Ci sono tutti gli ingredienti musicali che volevamo regalare alla gente per divertirsi e godere di buona musica.
Living Storm inoltre è nato in maniera molto veloce e spontanea e senza studiarlo a tavolino ha assunto anche un filo conduttore (non un vero concept) che è quello del viaggio, che può essere inteso come fisico ma anche e soprattutto spirituale e mentale.
Siamo entusiasti del risultato ottenuto.

MC La vostra attività live vi ha portato a calcare palchi sia in Italia che all’estero. Mi dici quali differenze avete riscontrato? Dove vi siete sentiti veramente a vostro agio?

Devo dire che siamo sempre stati molto fortunati nelle nostre uscite live, parlando di audience, perché abbiamo sempre trovato grande calore ed entusiasmo nei nostri confronti, anche grazie alla nostra attitudine in sede live, devo ammettere.
Ricordo bei concerti un pò in tutta Italia e una grandissima accoglienza a Tirana e Londra.
I Septem si sentono sempre a proprio agio sul palco e amano incontrare e stare insieme a fans ed amici ogni volta che c’è la possibilità.
Vogliamo regalare divertimento ed energia a chi ci segue e amiamo ricevere il coinvolgimento e l’entusiasmo del nostro pubblico in modo da creare un circolo virtuoso che possa appagare tutti.

MC Quali sono le difficoltà maggiori che incontra una band che produce musica originale?

Le difficoltà sono tante e non starò qui ad elencarle perchè chi fa musica (o semplicemente la segue) sa benissimo di cosa parlo.
Noi siamo una band che si autogestisce in tutto e per tutto. Facciamo enormi sacrifici a tutti i livelli, anche personali, per andare avanti.
Non abbiamo mai scelto “scorciatoie facili” di vario tipo o mai abbiamo chiesto aiuti economici ad altri.
Ci siamo sempre rimboccati le maniche e conquistato con le unghie e con i denti ogni spazio possibile per divulgare la nostra musica.
Siamo i Septem, abbiamo le palle fumanti e ci mettiamo tutte le nostre forze ed impegno per andare avanti.
Chi verrà ai nostri live potrà rendersene conto

MC Ci sono novità nel futuro della band?

Abbiamo in cantiere nuove idee e nuovi embrioni di canzoni, stiamo anche lavorando per avere nuove date.
Ci stiamo dando da fare come sempre.

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi sul web? 

Ovviamente su Fb, Youtube, Spotify, ITunes, attraverso la nostra pagina e il nostro canale di cui vi lascio anche i vari links:

Video:
https://www.youtube.com/watch?v=DAVF0aukpqs
https://www.youtube.com/watch?v=tKacyQTtHXg

Youtube Official:
https://www.youtube.com/channel/UChkISqjdeaT5t8vwYfT-nJw

FB:
https://www.facebook.com/SEPTEMheavymetal/

Spotyfy:
https://open.spotify.com/album/0WqthYvvrYUpHcV4kCC1mR

Ma come sempre vi invito a seguirci dal vivo, perché è li che vedrete il meglio.

MC Grazie di essere stato su Overthewall! A te l’ultima parola!

Grazie a tutta la redazione del supporto e dello spazio concessomi.
Un saluto a tutti in nostri fans, amici e coloro che nel tempo ci hanno supportato e aiutato ad andare avanti; voi sapete chi siete.
Torno ad invitare tutti ad ascoltare il nostro Living Storm (e anche il primo album), comprare i nostri album e venire ai nostri concerti. Ciao a tutti.
Be good, drink beer, fuck and Rock’n’Roll

Divine Realm – Nordcity

Nordcity può essere certamente considerato come un buon antipasto in attesa del prossimo full length: la musica dei Divine Realm insegue le vette in cui la tecnica strumentale gioca un ruolo importante sulla valutazione, lasciando un passo indietro la parte emozionale, a mio avviso anima e sangue di un’opera musicale.

Metal progressivo e strumentale quello proposto dai Divine Realm, quartetto canadese che licenzia il suo nuovo lavoro autoprodotto dal titolo Nordcity.

La band esordì nel 2013 con l’ep Mor[T]ality , seguito da un paio di full length, Abyssal Light e Tectum Argenti, rispettivamente del 2014 e del 2016, tornando sul mercato con questa ventina di minuti nel quale il talento tecnico fa bella mostra di sé, valorizzando questo piccolo assaggio delle potenzialità del gruppo, per chi ancora non lo conoscesse.
Non manca qualche difettuccio, è bene sottolinearlo, a tratti la band si specchia nel tecnicismo per perdere leggermente in fluidità, ma sono dettagli di un sound che pesca dai maestri del prog (Dream Theater) quanto dai lavori strumentali dei vari guitar heroes.
Nordcity può essere certamente considerato come un buon antipasto in attesa del prossimo full length: la musica dei Divine Realm insegue le vette in cui la tecnica strumentale gioca un ruolo importante sulla valutazione, lasciando un passo indietro la parte emozionale, a mio avviso anima e sangue di un’opera musicale.
Autumn e Revival sono i momenti migliori dell’album, consigliato agli amanti dello shred e del metallo progressivo.

Tracklist
1. As the Crow Flies
2. Autumn
3. Whitewater
4. Revival
5. Hanging Valleys

Line-up
Leo Diensthuber – Lead/Rhythm Guitars
Marc Roy – Lead/Rhythm Guitars
Tyler Brayton – Bass Guitar
Josh Ingram – Drums

DIVINEREALM – Facebook

Astrolabio – I paralumi della ragione

La dimostrazione che il vero prog può esistere ancora, anche e soprattutto nel nostro paese, dove la tradizione al riguardo di certo non manca.

Veronesi, gli Astrolabio esistono dal 2009 (sono sorti dalle ceneri degli Elettrosmog, autori nel 2007 del buonissimo Omologando).

Il quartetto propone un validissimo rock progressivo italiano, cantato quindi in lingua madre (e non a caso questo I paralumi della ragione esce per la Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa, che tanto ha scritto e ha fatto per il rock tricolore di qualità, specialmente underground). L’orientamento della band scaligera è da subito molto analogico e settantiano, caldo e valvolare. Liricamente, si va da squarci più intimi a testi più impegnati, anche qui in linea, del resto, con i nostri anni ’70. La libertà espressiva si candida, in questi solchi, ad essere la vera e propria cifra stilistica del gruppo veneto, che rifugge dai vincoli legati al genere e spazia non poco, anche a livello strumentale, oltre che di songwriting. Poca elettronica comunque, e moltissimo rock classico, scritto e arrangiato appunto in chiave prog. Tra Osanna e Locanda delle Fate (e gli Astrolabio hanno suonato dal vivo, fra l’altro, con entrambi): questi gli orizzonti del lavoro, che senz’altro incontrerà i favori di quanti giustamente amano queste sempreverdi ed eterne sonorità, belle e senza tempo. Un invito, quasi, a meditare, sull’oggi e sullo ieri. Rock e poesia in nome del prog, detto altrimenti. Un esperimento davvero riuscito.

Tracklist
1- Dormiveglia 1
2- Nuovo Evo
3- Una Cosa
4- Pubblico Impiego
5- Arte(Fatto)
6- Otto Oche Ottuse
7- La Casa di Davide
8- Sui Muri
9- Dormiveglia 2

Line-up
Michele Antonelli – Guitars / Vocals / Flute
Alessandro Pontone – Drums
Paolo Iemmi – Bass / Vocals
Massimo Babbi – Keyboads

https://it-it.facebook.com/AstrolabioRDI/

King Goat – Debt Of Aeons

I King Goat fanno musica portandoci molto lontano, e questa loro seconda prova è consigliabile ascoltarla con le cuffie, di modo che si possa gustare in maniera totale questo doom altro, che è sentimento più che un genere.

Pochi gruppi hanno la capacità di fare musica pesante e al contempo così melodica e fluida come i King Goat, da Brighton, Isole Britanniche.

Il loro secondo disco Debt Of Aeons è un esempio molto deciso e forte di come si possa fare musica partendo dal doom metal più classico, in stile Candlemass, per arrivare a parti addirittura più progressive con aperture molto ariose e potenti. I King Goat sono un gruppo assolutamente unico in quanto a peculiarità, in un genere che è sempre stato suonato ed ascoltato da veri adepti. Il gruppo inglese riesce sempre a trovare la giusta soluzione sonora, favorendo la melodia in ogni suo aspetto, da quello musicale a quello fisico, nel senso che la loro musica interagisce con le nostre cellule, facendole muovere. Il punto di partenza di tutto è il doom classico, che in Inghilterra trova un substrato molto fertile, sia nelle tradizioni popolari che nel gusto gotico, e anche nella tradizione musicale. Il doom qui si sublima e diventa molte cose, e come in un processo alchemico cangia forma molte volte, muta per trasformare la propria essenza e diventare un significato differente. Il filo conduttore del disco, che si può anche ritrovare nella splendida copertina di Travis Smith già autore di copertine degli Opeth, Katatonia e Iced Earth fra gli altri, è il pessimismo cosmico, insito sia nella natura umana che nell’osservazione di questo veloce declino che stiamo vivendo. Non rimarrà molto delle nostre vite e delle nostre sicurezze, dato che ci crediamo la civiltà superiore ma siamo solo una pessima parentesi di una storia fortunatamente più grande di noi. La grande musica dei King Goat è qui per ricordarcelo, e non si limita a questo dandoci un affresco molto preciso di eoni che ci hanno preceduto e di quelli che seguiranno a noi. Nei momenti più atmosferici del disco possiamo ascoltare il battito dello spazio, di ciò in cui siamo immersi, ma che nella nostra protervia giudichiamo inutile. I King Goat fanno musica portandoci molto lontano, e questa loro seconda prova è consigliabile ascoltarla con le cuffie, di modo che si possa gustare in maniera totale questo doom altro, che è sentimento più che un genere. Oltre ad una grande capacità compositiva i King Goat hanno il pregio di avere una visione poetica davvero diversa ed importante, che impatta nella loro musica che è già una cosa inedita e molto piacevole. Una seconda prova ancora meglio della precedente, che entra di diritto nel meglio della scuola inglese di musica pesante degli ultimi anni.

Tracklist
1.Rapture
2. Eremite’s Rest
3. Debt Of Aeons
4. Psychasthenia
5. Doldrum Sentinels
6. –
7. On Dusty Avenues

Line-up
Vocals: Trim
Lead Guitar: Petros
Rhythm Guitar: Joe
Bass: Reza
Drums: Jon

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