Unmasked – Behind The Mask

Debutto all’insegna di un buon death metal melodico per i tedeschi Unmasked, ispirati dai Dark Tranquillity ma dalle trame progressive personali e ben strutturate.

Accompagnato da una splendida copertina che richiama il titolo (Behind The Mask), il debutto dei tedeschi Unmasked si colloca tra le più recenti uscite riguardanti il death metal melodico.

L’album, composto da cinque lunghe tracce, risulta vario e ben suonato, e le atmosfere cangianti lungo tutti i brani donano un’aura progressiva a un sound che rimane roccioso e a tratti marziale.
La parte melanconica del sound è fornita dai tasti d’avorio che ricamano melodie dark, mentre le potenti ritmiche fanno da tappeto ad un buon lavoro delle chitarre che offrono solos heavy di buona fattura.
Behind The Mask offre con la splendida Home, con le soluzioni death prog di Drenched In Blood e della conclusiva title track, buoni motivi l’ascolto di questo riuscito debutto firmato dal quintetto, che si ispira al sound dei Dark Tranquillity ma senza perdere una personalità che rimane comunque ben definita.

Tracklist
1.No Regrets
2.Home
3.Gaia
4.Drenched in Blood
5.Behind the Mask

Line-up
Basti – Drums
Malte Kühle – Guitars
Aileen – Keyboards
Karsten Fent – Bass
Chris – Vocals

UNMASKED – Facebook

Norse – Norse

Calma, distorsioni e melodie molto ben delineate, nella decadenza e nel destino immanente che ci aspetta i Norse sono la perfetta banda della nave che nemmeno affonda, ma vive perennemente sotto la minaccia di farlo.

Debutto per i Norse, giovane gruppo italiano formatosi da poco.

I Norse fondamentalmente fanno noise con forti influenze post metal e tanti altri post, hanno delle linee melodiche da paura e il loro suono è qualcosa che mancava alle nostre latitudini. Tante realtà alternative poi si rivelano solo un insieme di pose, preoccupate più della loro immagine che delle note, mentre qui al centro di tutto c’è la musica. L’aria è bassa e umida, e i Norse ci portano in giro attraverso una decostruzione costante e potente della realtà: la musica diventa un cuneo nel quale insinuarsi e andare a scoprire cose nuove, esplorando paesaggi disidratati e ancora più aderenti alla loro natura. Calma, distorsioni e melodie molto ben delineate, nella decadenza e nel destino immanente che ci aspetta i Norse sono la perfetta banda della nave che nemmeno affonda, ma vive perennemente sotto la minaccia di farlo. Tutto il disco è costruito molto bene, ci sono tracce con improvvise sfuriate che vengono da lontano, da quella tradizione hardcore italiana che ha saputo cambiare e diventare un seme che feconda molte cose diverse fra loro. La traccia finale Manca è un qualcosa che ti scava dentro, un Don Caballero molto più variopinto ed urgente. Nel disco omonimo del gruppo si può trovare anche molto emo declinato nella maniera giusta, perché l’emo in Italia è stato spesso sublimato, e anche qui ce n’è un esempio. Un disco moderno, intelligente e musicalmente molto emozionante, senza difetti e che vi regalerà molti ascolti. Se volete un clic ed un ascolto veloce questo disco non fa per voi, ma se invece avete voglia di un’immersione in qualcosa di ben fatto e di corrosivo, questo è il posto giusto (l’album è in download libero dal bandcamp dei Norse).

Tracklist
1.collezione
2.aral
3.baratto
4.debacle
5.manca

NORSE – Facebook

Luciano Onetti – Abrakadabra

Nuova colonna sonora del giovane regista e compositore argentino, e nuovo centro grazie a notevoli e inquietanti atmosfere da giallo italiano anni Settanta opportunamente rivisitato.

La sera di giovedì 21 febbraio 2019, presso il Cinema Cappuccini di Genova, è stato proiettato il nuovo film dei fratelli Luciano e Nicolas Onetti, dal titolo Abrakadabra: un thriller, che guarda alla tradizione italiana degli anni ’70, tanto dal punto di vista della regia, quanto da quello della colonna sonora, composta e suonata da Luciano Onetti e pubblicata in edizione speciale per l’occasione dalla Black Widow.

Il disco porta avanti quanto iniziato da Onetti con le sue due colonne sonore stampate in precedenza (sempre dall’etichetta ligure). Se però in Francesca e Sonno profondo l’ambientazione sonora era più ‘tedesca’ e gobliniana, elettronica e oscura, con un impatto comunque molto rock, che andava a colorare con tinte sature e cangianti il dark prog del regista e autore di Buenos Aires, con i brani di questo nuovo Abrakadabra – pur restando ferme molte caratteristiche stilistiche e timbriche (tutto resta splendidamente analogico e vintage, volutamente retrò) – il discorso va a spostarsi, assai marcatamente, sulla sapiente costruzione d’atmosfere elaborate e complesse, cupe e tenebrose. Tutto è molto più onirico ed astratto, destrutturato e sperimentale, pur non mancando certi piacevolissimi frangenti melodici. E’ come se, questa volta, Onetti avesse guardato maggiormente al Morricone più avanguardista, a certe cose di Bruno Nicolai, nonché a mai sopiti fantasmi di marca kraut, mettendo (ovviamente!) tanto di suo. Il disco è pertanto molto più cerebrale e concettuale, rispetto alla coppia rappresentata da Francesca e Sonno profondo, ma sempre di grande fascino, capace a più riprese di far correre autentici brividi lungo la schiena di chi ascolta. Ancora una volta promosso a pieni voti e da ascoltare con la dovuta attenzione. Perché la bellezza non è mai cosa facile.

Tracklist
– Prologo
– Abrakadabra
– Antonella / Danza araba / Magic Show
– Partita a poker
– La seduzione del male
– Fuga dal cimitero
– Gioco di prestigio
– Rituale
– Guanto bianco
– Ossessione omicida
– Sesso in motel
– L’illusionista
– La stanza vuota
– La clinica

Line up
Luciano Onetti – All Instruments

LUCIANO ONETTI – Facebook

Tyrants – Union

Union è un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del metal sinfonico di stampo black e che (non solo per l’utilizzo della lingua) ha molto della tradizione italica per la musica dalle tinte oscure.

La storia dei Tyrants è iniziata nel 2001 e li ha visti stampare un paio di demo e il primo full length, uscito nel 2011 ed intitolato Ruchus.

La band in questi anni, oltre a qualche variazione in line up, ha reso la sua proposta molto più melodica rispetto al passato, ed il frutto di questa evoluzione è Union, ottimo lavoro di symphonic black metal dai suoni puliti, più di una sferzata heavy/thrash e solos perfettamente incastonati in un sound che convince a più riprese.
Il cantato in italiano non appare forzato come capita spesso, la coraggiosa scelta ripaga la band alzando un tasso di originalità che, a causa del genere suonato, non può essere il punto di forza del gruppo.
Union è un’opera estrema ben delineata, le caratteristiche principali sono quelle che hanno fatto innamorare del genere: cavalcate black/thrash, orchestrazioni che dettano atmosfere e fanno da tappeto alle scorribande metalliche dei protagonisti, attimi di intimistica tensione oscura che esplodono in una furia estrema tenuta sotto controllo dalla componente melodica, sempre ben presente nel sound di questa raccolta di brani. Diversi sono i picchi compositivi, come l’opener Eutanasia, la devastante Io Ti Maledico, Menzogne e la conclusiva Cordoglio, brano che raggiunge i venti minuti di durata, diviso in cinque capitoli che riassumono gli stati emozionali di chi subisce una perdita e risulta un suggestivo quanto perfetto sunto del credo musicale del gruppo nostrano.
Union è un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del metal sinfonico di stampo black e che (non solo per l’utilizzo della lingua) ha molto della tradizione italica per la musica dalle tinte oscure.

Tracklist
1.Eutanasia
2.The cry of sin
3.Io ti maledico
4.The keys of our chains
5.Menzogne
6.Cordoglio
I. Negazione
II. Rabbia
III. Contrattazione
IV. Depressione
V. Accettazione

Line-up
Marco Gulluni – Guitars/Orchestration/ Bass
Andrea Di Nino – Vocals
Diego Tasciotti – Drums
Giovanni Brandolini – Guitars

TYRANTS – Facebook


Descrizione Breve

Out Of Order – Facing the Ruin

Band tedesca esistente dal 1991, gli Out Of Order sono fautoridi un power thrash metal old style che mostra però riff stantii, parti vocali spesso confuse e poco centrate ed una grinta che non riesce ad uscire degnamente dai solchi di Facing the Ruin.

Grande rispetto per gli Out Of Order, cult band tedesca che arriva al terzo album ufficiale in ventotto anni di vita e di concerti macinati soprattutto nelle lande germaniche.

Sicuramente il personale tecnico sfoggiato per questa release è di grande lignaggio: le parti vocali sono state prodotte da Ralf Scheepers (Primal Fear), le chitarre da Markus Ullrich (Lanfear, Septagon) e il mixing finale è stato curato da Dirk Burke (Knorkator, Pyroclasm, Dritte Wahl) al Lakeside Studios a Berlino. Concludiamo con un breve contributo vocale di Liv Kristine (Theatre of Tragedy, Leaves’ Eyes) nella canzone On The Rise. Tutto questo per uno stile che si annuncia come una fusione del Thrash Metal della Bay Area degli anni ottanta con un innesto di melodia che dovrebbe rendere i pezzi più assimilabili.
Anche a costo di non voler essere spietati, quello che si ascolta in Facing The Ruin non corrisponde a questa descrizione; Watching You esordisce sorprendendo, con sound, stile e parti vocali prese in prestito dai Savatage, ma senza mordente e con una ricerca melodica inconcludente. Il resto del disco alterna senza continuità riff già sentiti a parti veloci che si assomigliano un po’ tutte, unite a soluzioni vocali che vorrebbero essere varie ma che risultano quasi sempre poco efficaci e male eseguite. Non c’è un solo ritornello che rimanga in mente, tra citazioni dei primi Metallica e vaghi rimandi allo stile vocale tanto caro ai Rammstein. Non c’è grinta nei solchi del disco, e non possiamo attribuire tutte le colpe ad una produzione fredda e spenta. La passione certamente porta avanti gli Out Of Order, ma senza una idea chiara musicale e qualche buona canzone, non potrà mai essere sufficiente per promuovere Facing The Ruin, che resta negli annali come uscita mediocre ed occasione sprecata.

Tracklist:
1. Watching You
2. Self Deception
3. What For
4. The Sniper
5. Guilty
6. Tears
7. God Is Angry
8. On The Rise
9. Blood Vengeance
10. Apocalypse

Line-up:
Thorsten Braun – vocals
Thomas Bauer – guitar
Sven Mittelstädt – guitar
Thomas Heinzmann – bass
Michael Kapelle – drums

OUT OF ORDER – Facebook

Protector – Summon The Hordes

I Protector tirano su, a forza di riff sparati a velocità proibitive e ritmiche da bombardamento, un muro metallico invalicabile risultando per il genere suonato una band su cui si può sicuramente contare.

Non cambia di una virgola il sound dei Protector, al settimo sigillo di una discografia infinita, tra demo, split, compilation ed appunto sette lavori sulla lunga distanza compreso questo inossidabile Summon The Hordes.

A tre anni di distanza dal precedente Cursed And Coronated, la band tedesco/svedese ci investe ancora una volta con il suo thrash metal di scuola teutonica, un carro armato metallico con le scritte Sodom-Kreator-Destruction in evidenza sulla bocca del cannone.
I Protector però non sono semplicemente dei cloni: la loro storia, partita a metà anni ottanta non lascia dubbi sulla loro attitudine old school, così come un impatto che non ha nulla da invidiare alla famosa triade del thrash metal europeo.
Un sound, quello dei Protector, rimasto fedele a sé stesso per oltre tre decenni, quindi se amavate la band prima di questo lavoro, sicuramente Summon The Hordes non vi deluderà.
Voce cartavetrata, ritmiche speed/thrash, cavalcate metalliche e accelerazioni devastanti persistono nel sound di queste dieci nuove bombe sonore, assolutamente ignoranti e senza compromessi così come il thrash metal di matrice old school vuole.
Difficile trovare un brano che più rappresenti il gruppo, i Protector tirano su, a forza di riff sparati a velocità proibitive e ritmiche da bombardamento, un muro metallico invalicabile risultando per il genere suonato una band su cui si può sicuramente contare.

Tracklist
1. Stillwell Avenue
2. Steel Caravan
3. Realm of Crime
4. The Celtic Hammer
5. Two Ton Behemoth
6. Summon the Hordes
7. Three Legions
8. Meaningless Eradication
9. Unity, Anthems and Pandemonium
10. Glove of Love

Line-up
Martin Missy – vocals
Michael Carlsson – guitar
Mathias Johansson – bass
Carl-Gustav Karlsson – drums

PROTECTOR – Facebook

Painqirad – Empires’ Sema’yi

Qui tutto ha il suo tempo, la crescita di melodie molto diverse da come le intendiamo è graduale e credibile, portando avanti l’essenziale concetto che ascoltare la musica di popoli diversi fa parte del processo di comprensione della loro cultura.

Nel sottobosco musicale ci sono spesso vere e proprie gemme da scoprire e da cullare, come questo lavoro del multistrumentista Damiano Notarpasquale sotto il nome Painqirad.

Damiano è uno studioso della musica in tutte le sue forme e si è sviluppata in maniera binaria: l’universo metal è sempre stata la sua passione, mente ha portato avanti studi classici musicali al conservatorio studiando inizialmente clarinetto e trombone, per poi avvicinarsi al jazz, al sassofono e alle musiche del mondo, in special maniera quella araba. Questo lavoro è infatti una bellissima dichiarazione d’amore in musica per il mondo e la sue diversità. Damiano si è innamorato della musica araba nel 2014 e la sua seconda tesi di conservatorio è un metodo per trombone per suonare musica araba e turca. Nasce da queste sonorità, unite ad una certa visione del metal, questo disco che è qualcosa di magnifico, un’eruzione musicale, un’unione di stili e di ritmi diversi che si incontrano nel deserto e proseguono ben oltre. Preponderante è la parte della musica araba, che possiede una metrica molto diversa dalla nostra, e che in questo caso viene supportata da intarsi metal molto adeguati. Il disco è stato registrato in soli dieci giorni, ma c’è un lavoro immenso dietro, con una produzione maestosa che ne rende al meglio le atmosfere. Empires Sema’Yj è un disco dall’immaginario potentissimo, trasporta in un futuro, o forse un passato in cui le dune incontravano il silicio, montagne di sabbia da attraversare senza posa, un miraggio nel caldo soffocante del deserto e tanto altro. Damiano riesce a rendere della atmosfere magiche ed uniche, unendo alla perfezione tutte le componenti e facendolo non in maniera fragorosa e caciarona nella quale ci si imbatte altrove in più di un qualche caso. Qui tutto ha il suo tempo, la crescita di melodie molto diverse da come le intendiamo è graduale e credibile, portando avanti l’essenziale concetto che ascoltare la musica di popoli diversi fa parte del processo di comprensione della loro cultura. E qui l’ascolto è ricchissimo, per un risultato unico nel suo genere.

Tracklist
1.Tahmila
2.Saz Temple
3.Nubah No. 10
4.Dunes
5.Allayl Nahawand
6.Taksim
7.Nawakht
8.Iron, Far Away

Line-up
Damiano Notarpasquale – soprano clarinet, G clarinet, alto sax, tenor sax, trombone, ney, zurna, bağlama, algerian mondol, mandolin, keyboards, guitars, bass, bendir, darbuka

PAINQIRAD – Facebook

Burial In The Woods – Church of Dagon

Burial In The Woods diviene, grazie a questo primo passo discografico, un altro dei nomi da tenere sotto stretta osservazione in ambito doom, stante l’incedere strisciante, disturbante ma al contempo ricco di oscuro fascino.

Burial In The Woods è il nome del nuovo progetto di Gerileme, musicista tedesco noto anche per la sua attività solista con l’altro monicker Asche der Welten.

Se in quel caso il genere proposto gravita in ambito black/ambient, con Church Of Dagon il nostro esplora le tematiche lovecratftiane con il genere d’elezione che il doom metal.
Questo lavoro presenta più di un motivo di interesse visti i diversi elementi che vanno alimentare la struttura di un sound che, volendo esemplificare al massimo, rappresenta una sorta di ideale punto di confluenza fra i Doomed del connazionale Pieere Laube, i Monolithe e tutte le altre band che, nel genere, utilizzano l’organo quale strumento portante, partendo dagli imprescindibili Skepticism, passando per i Profetus e sfiorando in più di un passaggio anche gli Abysmal Grief.
Forbidden Pages apre l’album in maniera arcigna, lasciando ad un lavoro chitarristico dai tratti vagamente orientaleggianti il compito di delineare un sound che si fa ben più avvolgente grazie al dominio dell’organo nella splendida e prevalentemente strumentale Ecclesia Dagoni.
Growing Shadows appare una sorta di sintesi tra i brani precedenti, con i due strumenti chiave che si alternano nel condurre un brano che, come gli altri possiede, una forte connotazione orrorifico/liturgica, in ossequio al titolo dell’album.
La conclusiva traccia, Gölgeler Alemi, dura da sola quanto le tre precedenti messe assieme, ovvero circa 25 minuti, e rappresenta la rielaborazione di un brano che lo stesso Gerileme pubblicò nel 2008 in occasione dell’unico album dei Negatum, Suizid – Der Gedanken Schattenspiele: si tratta di un’interminabile quanto notevole litania, con un breve testo in turco che si sposa alla perfezione con il resto del lavoro, a dimostrazione del buon talento compositivo che esibito nell’intera opera.
Burial In The Woods diviene,  così, grazie a questo primo passo discografico, un altro dei nomi da tenere sotto stretta osservazione in ambito doom, stante l’incedere strisciante, disturnìbante, ma al contempo ricco di oscuro fascino che dovrebbe attecchire agevolmente nei confronti degli appassionati che apprezzano le band citate nel orso dell’articolo.

Tracklist:

1. Forbidden Pages
2. Ecclesia Dagoni
3. Growing Shadows
4. Gölgeler Alemi

Line-up:
Gerileme

Enchantya – On Light And Wrath

Atmosfere gotiche, growl e female vocals come da copione, ricamano un sound coinvolgente, sempre animato da un’anima metallica valorizzata dalla buona tecnica dei musicisti coinvolti.

Gli Enchantya fanno parte della scena gothic metal portoghese dal 2004, anno di uscita del primo demo, e On Light And Wrath è il secondo lavoro su lunga distanza, dopo un’attesa di sette anni dal debutto Dark Rising.

Licenziato dalla Inverse Records, l’album risulta un buon esempio di gothic metal dalle sfumature sinfoniche e dalle ottime cavalcate heavy/prog, arma in più del combo proveniente da Lisbona.
Atmosfere gotiche, growl e female vocals come da copione, ricamano un sound coinvolgente, sempre animato da un’anima metallica valorizzata dalla buona tecnica dei musicisti coinvolti.
La provenienza dalla terra dei Moospell e sopratutto degli Heavenwood si fa sentire eccome e On Light And Wrath si nutre in parte di queste ispirazioni, insieme alla sempre presente influenza scandinava che non va a snaturare un approccio che rimane personale e convincente.
I musicisti, come già scritto, a livello strumentale ci sanno fare e le varie tracce risplendono di questa virtù, che il sestetto riversa su undici brani con una marcia in più, specialmente quando la musica è lasciata libera di percorrere sentieri metallici, rocciosi, ma nello stesso tempo raffinati ed ottimamente interpretati dalla singer Rute Fevereiro.
Last Moon Of March, Poet’s Tears, Downfall To Power e once Upon A Lie sono i brani migliori di un lavoro che segnaliamo agli amanti del metal gotico e sinfonico.

Tracklist
1.Turn Of The Wheel
2.Last Moon Of March
3.The Beginning
4.Poet’s Tears
5.Near Life Experience
6.Alma
7.Downfall To Power
8.Hide Me
9.Deception (Since You Lied)
10.Once Upon A Lie
11.From The Ashes

Line-up
Rute Fevereiro – Vocals
Bruno Santos – Guitars
Fernando Barroso – Bass
Fernando Campos – Guitars
Pedro Antunes – Piano, Keys, Orchestrations
Bruno Guilherme – Drums

ENCHANTYA – Facebook

Ranter’s Groove – Haiku

Forse ambient, forse field recording, decisamente Kaczynski Editions, musica che non può essere solo musica, fatta per spiazzare e per fermare il nostro sguardo schizofrenico su qualcosa di sensato.

Ritorna Ranter’s Groove, uno dei nomi di punta della squadra della toscana Kaczynski Editions, etichetta tra le più anticonformiste e fresche che abbiamo in Italia.

Come al solito per i loro lavori qui non ci sono confini, la musica è un elemento come un altro per raggiungere degli obiettivi, sono presenti anche rumori e vibrazioni che provengono sia dal mondo esteriore che da quello interiore. La cifra stilistica di questo lavoro è l’Haiku, una breve composizione poetica giapponese che risponde a determinati requisiti di metrica e che ha come scopo la brevità e la potenza delle immagini. E questi componimenti, o meglio registrazioni di alterazioni del silenzio, sono appunto haiku sonori, brevi appunti che colgono alla perfezione l’essenza di un attimo che è già passato e che non sarà mai più. Nei suoi lavori precedenti Ranter’s Groove ci aveva abituati alla pressoché totale assenza della forma canzone e qui si va ancora più a fondo in quella direzione, perfezionando la resa e soprattutto regolando ancora di più verso il magma interiore le sue antenne. In questo viaggio composto da tante piccole stazioni sentirete una voce narrante giapponese che parlerà di cose che abbiamo già visto, ma che non abbiamo capito. Il vero inconoscibile non è il cosmo o il senso della vita, cose che forse non esistono, ma è il quotidiano, quello stormo di emozioni e piccole cose che ci passano davanti e che cambiano radicalmente la nostra esistenza e che qui si palesano molto bene. Sia il caldo di un muro screpolato di campagna in una torrida estate, o una processione di organizzatissime formiche, Ranter’s Groove ci porta sempre al nocciolo del problema, sottoponendoci aspetti inediti di piccole e grandi cose. Forse ambient, forse field recording, decisamente Kaczynski Editions, musica che non può essere solo musica, fatta per spiazzare e per fermare il nostro sguardo schizofrenico su qualcosa di sensato.

Tracklist
1.行きあひし人
2.川渡りけり
3.うしろの
4.独り往き
5.日一日
6.藪の中
7.出水のあと
8.一つ落ちて
9.蟻の道
10.雲の峯硯
11.石垣崩す
12.人なし
13.釣鐘撞く
14.平家亡びし
15.血を印す
16.行燈消えて

Embrace of Disharmony – De Rervm Natvra

Questa nuova fatica firmata dal gruppo romano è un’opera difficilmente eguagliabile non solo all’interno dei confini nazionali, a dimostrazione del valore ormai altissimo della scena metallica tricolore

Sono passati cinque anni da Humananke, esordio su lunga distanza degli Embrace Of Disharmony, quintetto di progsters estremi provenienti dalla capitale, un lasso di tempo che porta a De Rervm Natvra, nuovo splendido lavoro che non solo conferma ma alza ulteriormente il livello già altissimo espresso in passato.

Mixato agli Outer Sound Studios di Giuseppe Orlando e masterizzato presso i Finnvox Studios da Mika Jussila, l’album è un’opera estrema progressiva di una bellezza che lascia senza fiato, con le tematiche ispirate al poema di Lucrezio “De Rervm Natvra” e alla sua teoria dell’universo, con un sound che non è più “solo” progressive death metal, ma si spinge verso territori teatrali ed orchestrazioni care ai maestri Arcturus.
De Rervm Natvra è composto di fatto da otto movimenti che formano un’opera musicale avanguardistica di notevole spessore: metal estremo di livello superiore, dunque, orchestrato a meraviglia, pregno di arrangiamenti classici, inserti elettronici, death e black metal che si uniscono e si avvolgono come un groviglio di serpenti in una tana.
L’uso della doppia voce, con l’inarrivabile interpretazione di Gloria Zanotti, supportata dal bravissimo Matteo Salvarezza, completa un album che arriva senza indugi alle soglie del capolavoro, intenso, imprevedibile, emozionante e superbo nel mantenere una tensione estrema altissima eppure assolutamente consigliato, per la quantità di musica di vario genere al suo interno, a chiunque ami il mondo delle sette note.
De Rervm Natvra non è solo un lavoro che segue le coordinate stilistiche dell’avanguardistico gruppo norvegese, perché al suo interno troviamo decine di dettagli che portano gli Embrace Of Disharmony verso uno dei punti più alti del metal estremo progressivo, in brani di una bellezza fuori categoria come De Primordiis Rervm o De Infinitate Orbivm (ma sarebbero da nominare tutti), tra pulsazioni orchestrali che ricordano i Therion, si avvalgono di parti progressive di matrice Opeth il tutto perfettamente incastonato in un sound forte di una personalità enorme.
Questa nuova fatica firmata dal gruppo romano è un’opera difficilmente eguagliabile non solo all’interno dei confini nazionali, a dimostrazione del valore ormai altissimo della scena metallica tricolore.

Tracklist
1. Prohoemivm / Lavdatio Epicvri
2. De Primordiis Rervm
3. De Motv Primordiorvm Rervm
4. De Infinitate Orbivm
5. De Mortalitate Animae
6. De Pavore Mortis
7. De Captionibvs Amoris
8. De Formatione Orbis

Line-up
Gloria Zanotti – Vocals
Leonardo Barcaroli – Bass
Matteo Salvarezza – Guitars, Vocals, Programming
Emiliano Cantiano – Drums

Spoken voice on songs 4 & 5 by Marco Migliorelli

EMBRACE OF DISHARMONY – Facebook

Barbarian – To No God Shall I Kneel

Ormai in sella ad un destriero infernale da una decina d’anni, la band toscana irrompe con il suo speed/heavy metal che a tratti sfora nel thrash di scuola tedesca, esaltante nelle tante cavalcate metalliche di cui è pregno To No God Shall I Kneel.

I Barbarian tornano con il loro quarto lavoro sulla lunga distanza che ne ribadisce l’assoluta devozione per i suoni old school.

Ormai in sella ad un destriero infernale da una decina d’anni, la band toscana irrompe con il suo speed/heavy metal che a tratti sfora nel thrash di scuola tedesca, esaltante nelle tante cavalcate metalliche di cui è pregno To No God Shall I Kneel, uno dei dischi migliori che mi sia capitato di ascoltare nel genere da diverso tempo.
La voce cartavetrata a ribadire lo spirito battagliero, la vocazione estrema del sound ed un buon uso delle melodie nei solos, fanno da cornice a veloci ripartenze speed/thrash e tellurici mid tempo metallici.
Nella sua mezzora abbondante l’album non ha un attimo di tregua nel suo totale impatto distruttivo, i brani si susseguono uno più efficace dell’altro, con attimi di puro e travolgente heavy metal old school che richiama un numero infinito di gruppi storici senza che si perda un’oncia di convincente personalità.
Dall’opener Obtuse Metal, passando per Birth And Death Of Rish’Ah, il crescendo maideniano di The Old Worship of Pain e la conclusiva title track, To No God Shall I Kneel è un esaltante tuffo nel metal guerriero e senza fronzoli che mise a ferro e fuoco gli anni ottanta, con lo speed/thrash e l’heavy metal che vengono uniti sotto il drappo insanguinato dei Barbarian.

Tracklist
1.Obtuse Metal
2.Birth and Death of Rish’Ah
3.Hope Annihilator
4.Sheep Shall Obey
5.The Beast Is Unleashed
6.The Old Worship of Pain
7.To No God Shall I Kneel

Line-up
Borys Crossburn – Guitars, Vocals
Blackstuff – Bass
Sledgehammer – Drums

BARBARIAN – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: AIRBORN

Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni domenica alle 21.30 su Witch Web Radio.
Questa volta è il turno degli Airborn.

MC Con noi Alessio Perardi voce e chitarra degli Airborn.
Le radici della band affondano già negli anni 90. Ci parli degli inizi degli Airborn e da dove avete tratto ispirazione per il nome della band?

La band è nata nel 1995 e l’ispirazione per il nome viene dal titolo di un brano di Mike Oldfield tratto dall’album Platinum. Il nucleo principale degli Airborn, composto da me, il bassista originale Alberto Leschi e il chitarrista Roberto Capucchio, è stato l’inizio di tutto. Dopodiché sono venuti i primi demo, la formazione completa col batterista Tony Serra e dopo qualche anno il debutto con l’album Against The World.

MC Nel 2009 la band rinasce con una nuova line up. Quali sono stati i cambiamenti più significativi rispetto la formazione precedente?

Dopo il nostro secondo album D-Generation la formazione ha subito l’unico cambiamento in quasi 25 anni, cosa abbastanza incredibile. Dall’album Legend Of Madog in avanti, entrano Domenico Buratti al basso e Roberto Gaia alla batteria. Una ventata di gioventù e una nuova sezione ritmica! Secondo me con questa formazione abbiamo trovato la combinazione perfetta sia a livello musicale che umano. Ormai da oltre 10 anni!

MC Lizard Secrets – Part One è l’ultimo album da voi pubblicato nel 2018. Il titolo lascia presagire che ci sarà un seguito. Quali sono le tematiche contenute in quest’album?

Come hai intuito ci saranno altri due capitoli di Lizard Secrets, infatti il progetto è pensato come una trilogia. Non si tratta di un vero e proprio concept, ma le canzoni hanno una filosofia di fondo simile e raccontano storie fantascientifiche o riflessioni sui problemi dell’umanità legati al futuro.

MC Qual è il vostro approccio compositivo? Come nasce un vostro brano?

I compositori principali siamo io e Roberto Capucchio, in media io scrivo 8-9 pezzi per album e lui 2 o 3. Solitamente da me arrivano i brani più melodici e da lui i momenti piú duri degli album. Ma non è una regola fissa che ci autoimponiamo, semplicemente sembra che le cose si sviluppino così in modo naturale. Gli arrangiamenti poi sono a cura di tutta la band e ognuno aggiunge un po’ del suo gusto e inventiva.

MC Mi parli dell’artwork della copertina? Chi l’ha realizzato e a cosa vi siete ispirati?

La copertina è stata disegnata dall’artista britannico Trevor Storey. Lui è specializzato in queste atmosfere cyberpunk ed è proprio quello che volevamo per l’album, anzi per gli album, visto che il misterioso uomo lucertola tornerà anche nelle prossime puntate.
Siamo molto contenti della collaborazione con Trevor, è un grande artista e dona un gran valore aggiunto alla trilogia, sia con le copertine che con le illustrazioni all’interno del libretto.

MC In uno spettacolo dal vivo quanto l’illuminotecnica del palco e i vari effetti influenzano lo show?

Questa è una domanda interessante! Secondo me, molta. Il problema è che nel nostro genere, in cui si suona in piccoli locali o in festival, cioè con cambiamenti di attrezzature e situazioni tecniche notevolissimi, diventa difficile poter studiare uno spettacolo costante di luci per tutti gli spettacoli. Dal lato positivo, devo dire che la qualità degli impianti luce della maggior parte dei locali dove abbiamo suonato è quasi sempre molto valida.

MC Sono previsti dei live in Italia in questo periodo?

In estate ci chiuderemo in studio per finire le registrazioni di Lizard Secrets – Part Two, ma a settembre ripartiremo subito col nostro festival Born To Fly a Torino, con ottime band italiane e straniere e in seguito avremo qualche show con i nostri vecchi amici Iron Savior fra Italia e Germania. Notizie piú dettagliate arriveranno in seguito. Se passate dai nostri concerti, non fatevi problemi e venite a salutarci! C’è sempre tempo per una birra e due chiacchiere!

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?

Ti elenco un po’ di link sui social:
http://www.facebook.com/airbornband
http://www.youtube.com/airbornband
http://www.twitter.com/airbornmetal
http://www.instagram.com/airbornband

…e il nostro shop online:
http://airborn.bigcartel.com

Grazie mille per questa chiacchierata e per l’occasione di parlare della nostra band!

Baroness – Gold And Grey

Diciassette pezzi di grande carisma e di ottima musica, con granate musicali che esplodono spargendosi in ogni dove. Inoltre è un disco che permette molteplici ascolti, possedendo una ricchezza musicale loto vasta.

I Baroness da anni sono un nome molto importante nel giro del rock alternativo statunitense e non solo, in particolare per la loro personale fusione fra il rock e la musica pesante.

Con questo Gold And Grey il gruppo americano trova la sublimazione alchemica di questo processo fin dal titolo, e propone un disco eccellente. Che i Baroness siano sempre stati un gruppo fuori dal comune lo si era compreso fin dai loro inizi, ma andando avanti la cosa è progredita a tal punto che sono arrivati a questo disco mostrano una maturità ed una profondità davvero uniche. I Baroness sono un gruppo speciale, hanno una poetica musicale che nessuno possiede, ogni loro album è particolare, ma questo ha un passo in più, anche perché è deputato a chiudere un’epoca, nel senso che sarà l’ultimo disco che tratterà il tema cromatico, già dalla copertina realizzata come sempre dal chitarrista John Baizley, un dipinto bellissimo che rappresenta il viaggio che ha compiuto fino a qui il gruppo. Gold And Grey sviluppa temi fino ad ora quasi inediti nel suono del gruppo, salutando l’ingresso nel gruppo della chitarrista Gina Gleason, e arrivando a proporre una quasi perfetta sintesi fra pop e rock pesante. Innestandosi nel solco degli ultimi Mastodon, sotto le sapienti mani del produttore Dave Fridmann già con Mogwai e The Flaming Lips, i Baroness propongono un lavoro musicale assai esaustivo, melodico e musicalmente molto profondo, con dei momenti di assoluta commozione come in I’d Do Anything, una canzone quasi impensabile per i Baroness qualche tempo fa, resa possibile da una sensibilità musicale fuori dal comune, e anche dettata dal coraggio, nel senso che escono dalla loro zona di comfort per andare in territori pressoché inesplorati da loro. Gold And Grey è un disco radiofonico, orecchiabile nel senso più nobile del termine, non è uno scadimento commerciale, ma un’ulteriore maturazione di un gruppo che va sempre avanti, guardandosi indietro quel poco che basta per prendere la spinta per lanciarsi oltre il nuovo ostacolo.
Diciassette pezzi di grande carisma e di ottima musica, con granate musicali che esplodono spargendosi in ogni dove. Inoltre è un disco che permette molteplici ascolti, possedendo una ricchezza musicale loto vasta.

Tracklist
01. Front Toward Enemy
02. I’m Already Gone
03. Seasons
04. Sevens
05. Tourniquet
06. Anchor’s Lament
07. Throw Me An Anchor
08. I’d Do Anything
09. Blankets of Ash
10. Emmett-Radiating Light
11. Cold Blooded Angels
12. Crooked Mile
13. Broken Halo
14. Can Oscura
15. Borderlines
16. Assault on East Falls
17. Pale Sun

Line-up
Sebastian Thomson – Drums
Gina Gleason – Guitar, Back Vocals
Nick Jost – Bass, Keyboard
John Baizley – Vocals, Guitar

BARONESS – Facebook

Denial Of God – The Shapeless Mass

Un buon ritorno per un ottimo gruppo di black metal senza fronzoli.

Torna uno dei gruppi black metal fra i più longevi ed influenti in circolazione, i Denial Of God, attivi fin dal 1991.

Tornano con un mini album di quattro pezzi, due inediti e due cover, una dei Bathory e l’altra degli Exuma. Il loro stile non è cambiato nel corso degli anni, e si può tranquillamente definire come black metal classico, l’anello di congiunzione fra la prima e la seconda ondata di gruppi scandinavi e non. I due pezzi inediti li mostrano in grande forma, riprendendosi ciò che è loro, mostrando anche a band ben più recenti che il black metal è una faccenda che sembra semplice ma non lo è affatto. Fa molto piacere ascoltare il suono rassicurante di questo gruppo, ti si apre una zona di comfort infernale alla quale è davvero difficile resistere. Il primo pezzo inedito The Shapeless Mass, che è anche il titolo del disco, è il pezzo più veloce e violento fin dai suoi primordi e spazza via tutto ciò che incontra con il consueto stile del duo danese, e porta via anche i dubbi sulla sua efficacia. Il secondo pezzo comincia più cadenzato per poi esplodere, e non può essere altrimenti quando si pensa a che massa informe sia la nostra, sia individualmente che collettivamente. Si prosegue poi con una gran bella cover dei Bathory, dal capolavoro del 1987 Under The Sign Of The Black Mark, un disco da riascoltare: i Denial Of God con questa cover, leggermente più veloce dell’originale, sottolineano l’estrema importanza che i Bathory hanno avuto e sempre avranno per il black metal e per la musica estrema in generale. Quorthon e soci hanno lasciato un’eredità musicale che si sente in tantissime cose odierne, un nero percorso da iniziati. Bella e tribale anche l’altra cover degli Exuma, che sono una one man band degli anni settanta ad opera di Macfarlane Gregory Anthony Macke, un uomo ed un musicista interessantissimo, molto versato nelle opere e nella sapienza occulta.
Un buon ritorno per un ottimo gruppo di black metal senza fronzoli.

Tracklist
1.The Shapeless Mass
2.The Statues Are Watching
3.Call From The Grave
4.Mama Loi, Papa Loi

Line-up
Ustumallagam – vocals
Azter – guitar
Galheim – drums

DENIAL OF GOD – Facebook

Blaze Out – Instinct

Composto da una decina di potenti e metalliche canzoni, Instinct è un buon lavoro, grintoso e tellurico, lascia che la forza bruta prevalga su tutto e per le potenzialità del gruppo catalano ci sembra la scelta giusta.

I Blaze Out son un quartetto proveniente da Barcellona, suonano un heavy/thrash metal moderno e pregno di groove e con questo nuovo Instinct giungono al terzo lavoro sulla lunga distanza.

Composto da una decina di potenti e metalliche canzoni, Instinct è un buon lavoro, grintoso e tellurico, lascia che la forza bruta prevalga su tutto e per le potenzialità del gruppo catalano ci sembra la scelta giusta.
La voce pulita, incalzata da chorus di stampo hardcore/thrash, scream e rabbiosi interventi in growl, rende vario l’ascolto, mentre la musica non si schioda dall’heavy/thrash moderno che respira a pieni polmoni il vento che dagli States ha portato in Europa il nu metal di seconda generazione, chiamato appunto modern metal.
Buone le melodie che si fanno spazio tra il muro metallico costruito dal gruppo, mentre le ritmiche suggeriscono forza e rabbia tra le trame delle varie Attack On Titan, The Raise, la devastante Evil Dead e Face Your Scars.
Instinct è un album che cresce con gli ascolti, e il fatto che i Blaze Out cerchino di usare tutte le armi possibili fa sì che non perda di interesse lungo la sua durata: consigliato quindi ai fans del metal moderno di matrice statunitense, ma che potrebbe risultare gradito pure a chi ha gusti più classici, grazie alle sue ispirazioni che variano dal thrash metal, all’heavy metal, dall’hardcore al nu metal

Tracklist
1.Toxic AF
2.Attack on Titan
3.Savage Blue
4.The Raise
5.Drunk Empire
6.Evil Dead
7.Deadfall
8.No More Fear
9.Face Your Scars
10.The Goliath’s Fall

Line-up
Gerard Rigau – Lead vocals and guitar
Carles Comas – Bass and backing vocals
David Lleonart – Lead guitar and backing vocals
Sergi Rigau – Drums

BLAZE OUT – Facebook

Sepolcro – Amorphous Mass

In Amorphous Mass si rinviene fondamentalmente un armageddon di labirintici suoni estremi, a formare un vortice di musica a tratti anche solenne, ma per lo più dal putrido e malvagio incedere.

Attivi dal 2011 i Sepolcro danno alle stampe l’ep Amorphous Mass, ennesimo lavoro di una discografia che finora si è dipanata con opere concentrate in pochi ed intensi minuti.

Scelta che si apprezza anche per la proposta assolutamente estrema del gruppo con base a Verona, trattandosi di un death metal old school oscuro e catacombale con produzione che segue in tutto e per tutto il clima soffocante dei cinque brani prodotti.
Ispirato al Necronomicon lovecratftiano, il sound dei Sepolcro è quanto di più underground si possa trovare oggi nel genere: i suoni ovattati creano atmosfere abissali di puro terrore, un metal estremo che affonda le sue radici nella melma infernale prodotta a suo tempo da Incantation e Demigod, resa ancora più oscura e malevola in tempi in cui anche nel genere si cerca più la perfezione che l’attitudine e l’impatto.
Certo è che a un brano come Sulphurous Eruption From The Depths, dall’approccio assolutamente fuori da ogni pretesa commerciale, l’atmosfera di soffocante terrore non manca di certo: in Amorphous Mass si troverà fondamentalmente un armageddon di labirintici suoni estremi, a formare un vortice di musica a tratti anche solenne, ma per lo più dal putrido e malvagio incedere.

Tracklist
1.The Malevolent Mist
2.Sulphurous Eruption from the Depths
3.Unnamed Dimension
4.An Ancient Summoning
5.Amorphous Mass

Line-up
Hannes – Drums, Vocals
Nor – Bass
Simone – Guitars, Vocals

SEPOLCRO – Facebook

Burning Rain – Face The Music

I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.

Dough Aldrich è probabilmente uno tra i tre chitarristi hard rock più importanti ed influenti oggi in attività.

Il suo curriculum, che conta band straordinarie come Dio e Whitesnake e altre che gli appassionati ricorderanno per una manciata di album bellissimi (Revolution Saints su tutte), si è ulteriormente impreziosito dopo gli album con quella macchina da guerra hard rock che risponde al nome di The Dead Daisies.
Ora il chitarrista statunitense, a riposo con i Daisies, torna a far parlare di sé con i Burning Rain, band arrivata al quarto album e che non produceva più musica dal 2013, anno di uscita dell’ultimo Epic Obsession.
Affiancato dal carismatico cantante Keith St. John, un altro personaggio che di rock duro ne sa tanto (Kingdom Come, ex-Montrose) e dalla sezione ritmica composta dal bassista Brad Lang (Y&T) e il batterista Blas Elias (Slaughter), Aldrich impartisce un’altra lezione di hard rock con una raccolta di brani fiammeggiante, una tempesta di sonorità classiche di livello assoluto che confermano l’ottimo momento di forma del genere.
Face The Music incolla letteralmente alla poltrona, sempre che si riesca a stare seduti quando il riff di Revolution apre le danze, seguito da una Lorelei che unisce The Dead Daisies e Whitesnake in un’unica terremotante hard rock song.
Ketih St. John è un Coverdale in overdose da anfetamina, un animale che fa il bello e cattivo tempo su un sound robusto e graffiante, dal grande appeal in brani trascinanti come Midnight Train, la title track e Beautiful Road, autentiche gemme di questo lavoro.
Ma c’è ancora da godere tra le trame hard blues di Hit And Run e Since I’m Loving You, traccia in cui il singer gioca a fare il Plant d’annata.
I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.

Tracklist
1. Revolution
2. Lorelei
3. Nasty Hustle
4. Midnight Train
5. Shelter
6. Face The Music
7. Beautiful Road
8. Hit And Run
9. If It’s Love
10. Hideaway
11. Since I’m Loving You

Line-up
Doug Aldrich – Guitars
Keith St. John – Vocals
Brad Lang – Bass
Blas Elias – Drums

BURNING RAIN – Facebook

Firespawn – Abominate

Abominate arriva a segnare questo inizio d’estate del 2019, a conferma delle indubbie capacità del gruppo e della ritrovata salute del death metal classico di matrice scandinava.

Quello che poteva passare per uno dei tanti super gruppi da uno o due lavori lanciati come missili nel mondo metallico, per poi sparire nell’oblio delle tante collaborazioni dei suoi protagonisti, torna con un altro macigno sonoro, un monumentale album di death metal scandinavo intitolato Abominate.

I Firespawn arrivano al traguardo del terzo album, dopo il debutto del 2015 intitolato Shadow Realms ed il bellissimo The Reprobate, licenziato un paio di anni fa, ed entrato di prepotenza tra le migliori releases in campo death di quell’anno.
Ora il mitico growl di LG Petrov (Entombed) accompagnato da Alex Impaler al basso (Necrophobic e con i Naglfar in sede live), Victor Brandt alla chitarra (Entombed A.D.) a far coppia con Fredrik Folkare (Unleashed, Necrophobic) e Matte Modin alla batteria (Raised Fist, ex-Dark Funeral, ex-Defleshed) si staglia su altri undici possenti brani che formano questo monumento al death metal scandinavo.
Una bomba Abominate, un’esplosiva e terremotante eruzione vulcanica che forma colate di lava distruttiva, una tempesta di cenere, maremoti e tsunami, un’apocalisse estrema che non trova soluzione di continuità.
Petrov continua dopo anni a incidere con il suo inconfondibile latrato disumano al servizio dell’ennesima raccolta di brani di altra categoria, assecondato da un gruppo di musicisti che mettono la firma su una track list che non conosce pause.
Abominate per chi conosce il genere non è una sorpresa, questo è bene chiarirlo, perché i Firespawn portano avanti un modo di fare musica estrema radicato nella storia del genere e il loro tellurico sound è erede di quei gruppi che hanno fatto scuola, storia e leggenda, a cominciare ovviamente dagli Entombed di Left Hand Path e Clandestine.
The Gallows End apre le ostilità e veniamo quindi travolti dal furore del quintetto svedese, tra accelerazioni, rallentamenti, ritmiche telluriche, solos ricchi di melodie che sanguinano sotto le corde tirate allo spasimo dai due chitarristi, con la title track, The Great One, The Hunter e The Undertakers non lasciano scampo.
Abominate arriva a segnare questo inizio d’estate del 2019, a conferma delle indubbie capacità del gruppo e della ritrovata salute del death metal classico di matrice scandinava.

Tracklist
01.The Gallows End
02.Death And Damnation
03.Abominate
04.Heathen Blood
05.The Great One
06.Cold Void
07.The Hunter
08.Godlessness
09.Blind Kingdom
10.The Undertaker
11.Black Wings Of The Apokalypse

Line-up
LG Petrov – Vocals
A.Impaler – Bass
Victor Brandt – Guitar
Fredrik Folkare – Guitar
Matte Modin – Drums

FIRESPAWN – Facebook

Heavy Feather – Débris & Rubble

Gli Heavy Feather centrano il bersaglio con questo debutto in arrivo da una terra che si sta sempre più imponendo come fucina di gruppi importantissimi per il ritorno in auge di queste storiche sonorità.

Più che ai Led Zeppelin, (influenza primaria di molte delle nuove leve dell’hard rock vintage), con gli svedesi Heavy Feather ci si avvicna alla musica del Free e dei Bad Company, gruppi che hanno avuto come comune denominatore il vocalist Paul Rodgers.

Ma non solo, un’attitudine southern ispirata dai Lynyrd Skynyrd fa di questo ottimo Débris & Rubble le un interessantissimo lavoro per tutti gli amanti del rock settantiano venato di southern ed atmosfere roots.
La prestazione al microfono della brava singer Lisa Lystam alza ancora più in alto il gradimento per un album che regala emozioni mai sopite, provenienti dalla stagione più importante nella lunga storia del rock.
Una raccolta di brani davvero molto belli, aperti dalla forte e potente title track, ma che non cede nel suo prosieguo, alternando quadri rupestri, accenni neanche troppo velati al blues rock (Bad Company) ed atmosfere scaldate dal sole di un’America sudista raccontata brani come Tell Me Your Tale o Hey There Mama.
Gli Heavy Feather centrano il bersaglio con questo debutto in arrivo da una terra che si sta sempre più imponendo come fucina di gruppi importantissimi per il ritorno in auge di queste storiche sonorità.

Tracklist
1. Débris & Rubble
2. Where Did We Go
3. Waited All My Life
4. Dreams
5. Higher
6. Tell Me Your Tale
7. Long Ride
8. I Spend My Money Wrong
9. Hey There Mama
10. Please Don’t Leave
11. Whispering Things

Line-up
Lisa Lystam – Vocals
Matte Gustavsson – Guitars
Morgan Korsmoe – Bass
Ola Göransson – Drums

HEAVY FEATHER – Facebook