Madhouse – Madhouse Hotel

I Mahouse mostrano una convincente attitudine e hard rock, rock’n’roll e melodie accattivanti si alternano creando un sound dall’ottimo appeal, sicuramente in grado di essere apprezzato da una vasta gamma di ascoltatori.

Chi aveva avuto modo di ascoltare You Want More, ep di quattro brani uscito ormai quattro anni fa, aspettava con curiosità il debutto su lunga distanza dei MadHouse, rock band lombarda capitanata dalla vocalist Federica Tringali.

C’è voluta un po’ di pazienza ma ne è valsa la pena e finalmente Madhouse Hotel viene pubblicato in questa primavera 2019, che vede i Madhouse consegnarci le chiavi che apriranno le dieci stanze, tante quante le tracce che fanno parte del la track list di questo ottimo album.
La band conferma le buone sensazioni lasciate dal precedente lavoro, tornando a fare rock come meglio sa, con la Tringali che, più che in passato, si affaccia sulla scena underground come una pantera, selvaggia e graffiante, ma anche elegante e sinuosa.
Il gruppo asseconda la cantante con convincente attitudine e hard rock, rock’n’roll e melodie accattivanti si alternano creando un sound dall’ottimo appeal, sicuramente in grado di essere apprezzato da una vasta gamma di ascoltatori.
Si è detto dei brani che equivalgono a ipotetiche chiavi utili ad aprire le stanze idi questo hotel immaginario in cui si suona la ottima musica, magari provando a trovare una nostra dimensione tra brani ruvidi, graffianti, ma sempre con in primo piano melodie accattivanti e refrain che si fissano in testa come l’opener Ghosts, la successiva Butterfly e un po’ tutte le altre tracce di questo gran bel lavoro.
Nessuna ballad, solo canzoni grintose e melodiche, tra punk, hard e quel pizzico di sound moderno ed alternativo che porta i Madhouse ed il loro sound in un nuovo millennio in cui brucia ancora alta la fiamma del rock.

Tracklist
1.Ghosts
2.Butterfly
3.A New Spring
4.King Without A Crown
5.Walk This Road
6.Do You Believe
7.Got A Big day Tomorrow
8.Headshot
9.You’Re A Fake
10.Ready To Fight

Line-up
Federica Tringali – Lead Vocals
Filippo Anfossi – Guitar
Daniele Maggi – Lead Guitar
Michele Canevari – Bass
Ares Cabrini – Drums

MADHOUSE – Facebook

Sadism – Ethereal Dead Cult

Attitudine spropositata, impatto debordante ed una atmosfera umida e polverosa come i cunicoli di oscure catacombe fanno di questo ritorno firmato Sadism un lavoro dedicato agli amanti del death metal old school.

I Sadism sono un’istituzione nel loro paese, il Cile.

La band sudamericana torna con l’ottavo album della sua trentennale carriera, che l’ha vista attraversare decenni di metal estremo con l’orgoglio di essere una delle più famose e longeve band di metal estremo del proprio continente.
Ethereal Dead Cult risulta una mazzata di death metal old school (o classico, fate voi) impressionante, con un sound che affonda le sue radici a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, quando i primi lavori di Morbid Angel e compagnia mettevano a ferro e fuoco l’underground estremo mondiale.
Light Embrace e No Opposites danno il via alla macabra danza, il growl del singer Ricardo Roberts accompagna un sound grezzo, dalle scorie thrash di stampo slayerano che animano questi dieci tributi al genere, senza soluzione di continuità.
Il massacro ritmico su cui è strutturata Hypnotic Conjuring, la devastante The Spectral Veils valorizzano un lavoro decisamente diretto e senza fronzoli.
Attitudine spropositata, impatto debordante ed una atmosfera umida e polverosa come i cunicoli di oscure catacombe fanno di questo ritorno firmato Sadism un lavoro dedicato agli amanti del death metal old school.

Tracklist
01.Light Embrace
02.No Opposites
03.Agonize
04.Black Halo Solaris
05.Hypnotic Conjuring
06.This Burial Is Ours
07.The Spectral Veils
08.The Blanderer
09.Ethereal Dead Cult
10.Full Of Parasites

Line-up
Ricardo Roberts – Vocals
Gabriel Hidalgo – Guitars
Juán Eduardo Moore – Bass Guitar
Juán Pablo Donoso – Drums
Rodrigo Alpe – Session & Live Guitars

SADISM – Facebook

A Violet Pine – Again

Again è un album minimale, a suo modo diretto e pervaso da lunghe jam strumentali tramite le quali la mente viaggia tra l’umidità della notte e l’impatto del sole sulla sabbia del deserto: un esperienza uditiva consigliata agli amanti dei suoni post rock e stoner.

Post grunge, rock, leggere distorsioni che si fanno spazio tra suoni desertici ed oscure palpitazioni notturne, sono le caratteristiche principali dei brani che compongono Again, terzo album dei rockers pugliesi A Violet Pine.

Sono passati quattro anni dal precedente lavoro e la band, ora composta da Giuseppe Procida (voce e chitarra), Francesco Yacopo Bizzoca (basso) e Paolo Ormas (batteria e tastiere) torna con un lavoro notturno, strumentale, sempre impossessato da quel demone stoner-gaze che ha sempre contraddistinto la musica del gruppo.
Un album che si inoltra senza paura nel rock dell’ultimo decennio del secolo scorso, immagazzinando influenze ed ispirazioni che vanno oltre i soliti nomi (tanto si ascolta dei seminali The God Machine del capolavoro Scenes From The Second Storey), pur tenendo ben presente nello spartito attimi di rock bagnato dalla pioggia di Seattle.
Un album notturno si diceva, atmosfere plumbee, umide anche se in lontananza il vento del deserto arriva a riscaldare brani come Run Dog Run! o la parte finale di Where Boys Steal Candles.
Again è un album minimale, a suo modo diretto e pervaso da lunghe jam strumentali tramite le quali la mente viaggia tra l’umidità della notte e l’impatto del sole sulla sabbia del deserto: un esperienza uditiva consigliata agli amanti dei suoni post rock e stoner.

Tracklist
01. Interstellar Love
02. Run Dog, Run!
03. Again
04. When Boys Steal Candles
05. Black Lips
06. Monster
07. Z00

Line-up
Giuseppe Procida – vocal, guitar
Francesco Yacopo Bizzoca – bass guitar
Paolo Ormas – drums, synth

A VIOLET PINE – Facebook

Inferi – The End of an Era | Rebirth

Death melodico scandinavo e technical death metal si fondono nelle trame veloci ed intricate degli Inferi, che hanno confezionato un’opera estrema molto interessante.

Tornano sul mercato i deathsters statunitensi Inferi, al sesto full length della loro carriera, iniziata una dozzina d’anni fa con il debutto Divinity in War.

La band, proveniente dalla patria del country (Nashville, Tennessee), ci propone da anni il suo melodic death metal tecnicissimo, tempestoso e alimentato da una furia travolgente.
The End of an Era | Rebirth è composto da una decina di esplosioni sonore dove la parola d’ordine è velocità supersonica, una estremizzazione del sound dei Children Of Bodom, band più vicina agli Inferi di quanto si possa pensare.
Death melodico scandinavo e technical death metal si fondono nelle trame veloci ed intricate degli Inferi, che hanno confezionato un’opera estrema molto interessante.
Un sound che non lascia tregua, e da Gatherings in the Chamber of Madness si viene travolti da una tempesta di note che incollano l’ascoltatore alla poltrona colpendolo con micidiali frustate melodic death suonate a mille all’ora.
Il bello è che il gruppo non perde mai la bussola e l’ascolto se ne giova, tra solos sempre più veloci in cui non mancano melodie di matrice scandinava e le ritmiche dettano l’andatura inumana di tracce violentissime come A New Breed Of Savior, The Warrior’s Infinite Opus e Cursed Unholy.
Quasi un’ora di funambolismi, scale, salite e discese a velocità proibitive e ritmiche forsennate, il tutto pervaso da un talento melodico sorprendente.

Tracklist
1.The Ruin of Mankind
2.Gatherings in the Chamber of Madness
3.The Endless Siege
4.A New Breed of Savior
5.Sentenced to Eternal Life
6.The War Machine Embodiment
7.The Warrior’s Infinite Opus
8.Quest for the Trinity
9.Forged in the Phlegethon
10.Cursed Unholy

Line-up
Malcolm Pugh – Guitars
Mike Low – Guitars
Spencer Moore – Drums
Andrew Kim – Bass
Stevie Boiser – Vocals

INFERI – Facebook

Eveline’s Dust – K.

Il ritorno sul mercato degli Eveline’s Dust dopo tre anni si intitola K, ed è un concept album, come da tradizione nelle discografie dei gruppi progressive, incentrato su un argomento sicuramente importante e delicato da trattare come la malattia.

Periodo di ottime uscite per quanto riguarda la musica progressiva suggellate da questo splendido lavoro, il terzo per la band toscana degli Eveline’s Dust, quartetto molto apprezzato dagli amanti del progressive rock e dagli addetti ai lavori per i suoi due album precedenti, il debutto Time Changes, uscito nel 2013, e The Painkeeper, ultima opera targata 2016.

Il ritorno sul mercato dopo tre anni si intitola K., un concept album come da tradizione nelle discografie dei gruppi progressive, incentrato su un argomento sicuramente importante e delicato da trattare come la malattia.
La band tramite la sua musica ed i racconti dei protagonisti (gli Eveline’s Dust si sono rivolti alla Lega Italiana Fibrosi Cistica ONLUS, trovando molti membri disposti a condividere le proprie esperienze) ha dato vita ad un album davvero emozionante, raccontato dai protagonisti, che vivono in maniera diretta o indiretta la malattia.
K. è di fatto la protagonista di solo due brani, il resto fa parte di quanto raccolto dalle varie esperienze arrivate al gruppo che sagacemente ha creato una colonna sonora da cui emergono, comunque, consapevolezza e speranza, lotta e voglia di vivere, accantonando invece le troppo facili e scontate sensazioni di pietà e commiserazione, lasciando alla musica il compito di fedele compagna per chi non smette di sognare e lottare.
Il sound che il gruppo toscano ha creato per questo importante e difficile album si nutre di elementi progressivi tradizionali come è nel DNA del gruppo. prog rock di alto livello, che si aggira tra meandri jazzistici e a tratti metallici, mai troppo forzati, sempre cercando nelle emozioni le note giuste per sorprende chi ascolta.
Federico Avella al sax e flauto e Lorenza Catricalà alla voce sono gli ospiti che valorizzano questo splendido lavoro che per una quarantina di minuti ci accompagna tra lo spartito creato dagli Eveline’s Dust, ricco di ispirazioni ai grandi della musica progressiva passata e presente, ma con una classe ed una personalità encomiabili.
A New Beginning è l’opener che ci fa accomodare prima che l’album entri nel vivo, con prog song del calibro di Hope, Lost In A Lullaby e la conclusiva Rain Over Gentle Travellers, dove King Crimson, Yes, Genesis e Porcupine Tree forniscono alla band l’ispirazione per raccontare tramite sonorità emozionanti e testi che squarciano cuori, la storia di K., della sua famiglia e delle tante persone che vivono la drammatica esperienza di questa malattia.

Tracklist
1. A New Beginning
2. Fierce Fear Family
3. Hope
4. K.
5. Lost In A Lullaby
6. Faintly Falling
7. Rain Over Gentle Travellers

Line-up
Lorenzo Gherarducci – Guitars
Nicola Pedreschi – Keyboards, Vocals
Marco Carloni – Bass
Angelo Carmignani – Drums

EVELINE’S DUST – Facebook

Signs Of Human Race – Inner Struggle Of Self-Acceptance

E’ un sound intimista e nervoso quello che la band ha creato per dar vita ai cinque lunghi brani che compongono la tracklist di Struggle Of Self-Acceptance, che alterna, com’è da tradizione del genere, parti metalliche ed estreme a più pacati momenti di post rock dalle atmosfere che non permettono di scendere al di sotto di un grado di tensione elevato.

Le vie del progressive moderno portano su strade ormai battute ma pur sempre affascinanti, come dimostra il debutto dei Signs Of Human Race, quintetto bresciano che in questa primavera 2019 debutta con Inner Struggle Of Self-Acceptance, opera progressivamente metallica, alternativa ed avanguardistica.

Licenziato dalla Sliptrick Records, label acchiappatutto nel panorama underground europeo, l’album del gruppo lombardo non mancherà di soddisfare gli amanti dei suoni progressivi dal taglio moderno, sempre in bilico tra impatto estremo, sound drammatico, nervoso e dark, ed un’attitudine alternativa che risulta un mix perfettamente bilanciato tra metal estremo di matrice death (Opeth), prog rock alternativo (Tool) ed ispirazioni tradizionali che rimandano al prog psichedelico dei Pink Floyd.
Non male per un debutto, anche perché i Signs Of Human Race si dimostrano band capace di far dimenticare all’ascoltatore di essere al cospetto di una giovane band al debutto, con una serie di brani maturi, personali e perfetti nel saper miscelare le varie influenze che ispirano i cinque musicisti.
E’ un sound intimista e nervoso quello che la band ha creato per dar vita ai cinque lunghi brani che compongono la tracklist di Inner Struggle Of Self-Acceptance, che alterna, com’è da tradizione del genere, parti metalliche ed estreme a più pacati momenti di post rock dalle atmosfere che non permettono di scendere al di sotto di un grado di tensione elevato, mentre la musica (e qui sta il bello) scorre fluida grazie ad un songwriting ispirato.
Diventa difficile scegliere un brano in particolare, ma direi che i dodici minuti conclusivi della bellissima Choking In Hopeless Agony possono tramutarsi facilmente nel sunto compositivo del questo ottimo lavoro, consigliato senza remore agli amanti del genere.

Tracklist
1. Dreaming Reality
2. Above The Languages Of Life
3. Journey Into Self-Reflection
4. Of Love And Misgiving
5. Choking In Hopeless Agony

Line-up
Remek James Robertson – Vocals/Keyboards
Diego Lorenzi – Guitars
Alessandro Ducroz – Guitars
Davide Brighenti – Bass
Samuele Leonard Sereno – Drums

SIGNS OF HUMAN RACE – Facebook

Evangelist – Deus Vult

Album consigliato agli amanti del doom classico, Deus Vult porta avanti la tradizione dei maestri svedesi e chiudendo gli occhi vi sarà chiara la sensazione di essere al cospetto del saio di Messiah Marcolin.

Il cavaliere crociato in ginocchio su un tappeto di resti umani, stanco per le decine di battaglie rende grazia al signore, ancora vivo e pronto per portare la sua parola in terre ostili.

La colonna sonora che rende viva questa immagine non può che essere un potente ed epico esempio di doom metal classico e declamatorio, notevole nelle parti in cui la chitarra si erge a protagonista di solos ispirati, mattatrice di questo ultimo lavoro della misteriosa band chiamata Evangelist.
Poche informazioni provengono dal gruppo polacco, arrivato con Deus Vult al terzo full length in dieci anni di attività, un album classico ed estremamente evocativo in cui non mancano gemme doom di elevato spessore come Memento Homo Mori, Prophecy e la conclusiva Eremitus (Keeper Of The Grail).
Siamo nel doom metal ispirato da Candlemass e Atlantean Codex, potente e ben strutturato dal duo di Cracovia che rimane nell’ombra lasciando alla musica il compito di catturare i fans del genere.
Come accennato il ruolo della chitarra solista è preponderante nell’economia dei brani, ispirata ed emozionale quanto basta perché si possa credere che sanguini come la punta della spada conficcata nel cuore degli infedeli.
Album consigliato agli amanti del doom classico, Deus Vult porta avanti la tradizione dei maestri svedesi e chiudendo gli occhi vi sarà chiara la sensazione di essere al cospetto del saio di Messiah Marcolin.

Tracklist
1.God Wills It!
2.Memento Homo Mori
3.Heavenwards
4.Prophecy
5.The Passing
6.The Leper King
7.Eremitus (Keeper of the Grail)

EVANGELIST – Facebook

Bleeding Utopia – Where the Light Comes to Die

Un album consigliato senza remore agli amanti del death metal scandinavo che troveranno più di uno spunto proveniente dagli anni d’oro del genere.

Una tempesta di suoni estremi di matrice Swedish death si abbatterà su di voi dopo aver premuto il tasto play del vostro lettore, una forza della natura, implacabile nel suo sfogo senza soluzione di continuità, ma in grado di regalare spunti melodici vincenti e perfettamente incastonati in un sound formato da tuoni e fulmini old school.

Loro sono i Bleeding Utopia da Västerås (Svezia) e Where the Light Comes to Die è il loro terzo album in uscita per Black Lion Records, suonano Swedish Death di matrice old school, melodico quel tanto che basta per valorizzare un approccio assolutamente devastante.
I riff sono comandamenti scritti nelle tavole della legge del genere, solos di ispirazione classica ma con un passo indietro rispetto ad un impatto da death metal band classicamente scandinava.
Il quintetto si può certo definire come una via di mezzo tra Dismember, At The Gates e Primi Edge Of Sanity, con un insana e folle corsa verso lidi slayerani che ne accentuano la vena estrema di brani distruttivi, melodici e debordanti che da Ascendants Of Hate, traccia che da via al bombardamento sonoro, in poi non trova ostacoli.
Where the Light Comes to Die è  senza remore agli amanti del death metal scandinavo che troveranno più di uno spunto in arrivo dagli anni d’oro del genere.

Tracklist
1.Ascendants of Hate
2.Seek Solace in Throes
3.Enhance My Wrath
4.Already Dead
5.Welcome to My Pantheon
6.Crown of Horns
7.Ruthless Torment
8.III and Daunting Perversions
9.Heralds of Hate and Defiance

Line-up
David Ahlen – Bass, Vocals
Andreas Moren – Guitars
Adam Björk – Drums
Kristian Järvenpää – Guitars
Iiro “Ipe” Jarva – Bass

BLEEDING UTOPIA – Facebook

Lyfordeath – Nullius In Verba

Oscuro, pesante, dai ritmi serrati e dal grande impatto, il sound della band portoghese reclama un posto nelle novità più convincenti del panorama estremo del loro paese e non solo, l’album è un esempio dell’alta qualità dei gruppi lusitani, sempre un passo avanti quando si tratta di metal estremo dalle atmosfere più cupe.

A confermare l’ottima salute della scena estrema portoghese irrompono sul mercato i Lyfordeath, trash/death metal band fuori con il primo lavoro su lunga distanza intitolato Nullius in Verba.

Oscuro, pesante, dai ritmi serrati e dal grande impatto, il sound della band portoghese reclama un posto nelle novità più convincenti del panorama estremo del loro paese e non solo, l’album è un esempio dell’alta qualità dei gruppi lusitani, sempre un passo avanti quando si tratta di metal estremo dalle atmosfere più cupe.
Un’anima progressiva vive tra i solchi di Nullius In Verba, così come le tante sfumature nero/gotiche che portano ai re del metal estremo portoghese, i Moonspell.
Ma attenzione, di black metal nell’album non esiste traccia, fin dall’opener Tenebrae è un oscuro thrash metal potenziato di mid tempo death che detta le regole, avvolto da un drappo nero di ispirazione dark/gothic che invece esalta l’atmosfera di brani davvero pesanti come Mortal, nove minuti in cui litanie doom/dark vengono soppiantate da sfuriate thrash metal per una delle tracce più interessanti dell’album.
Il canto, che raggiunge toni profondi nelle parti più pulite, si avvicina non poco a quello più famoso del sacerdote dei Moonspell, Fernando Ribeiro, mentre l’opera si conclude con le due parti della title track, sunto del credo musicale della band, tra death, thrash, atmosfere dark e poetici passaggi recitati.
Nullius In Verba è un album consigliato agli amanti delle sonorità descritte, una delle tante sorprese che ci riserva l’underground estremo.

Tracklist
1.Prophetia
2.Tenebrae
3.Lumine
4.Dawn of Souls
5.Mortal
6.Carved in the Bones
7.Ignio
8.The Day the Hell Froze
9.Deus Ex Machina
10.Nullius in Verba – Act. 1
11.Nullius in Verba – Act. 2

Line-up
Gil Dias – Vocals
Emanuel Ribeiro – Bass, Back Vocals
João Almeida – Guitar
Carlos Moreira – Guitar
Luís Moreira – Drums

LYFORDEATH – Facebook

Artemisia – Anime Inquiete

Per chi non conoscesse ancora questa splendida realtà tricolore il consiglio è di non perdersi questo live dalla resa sonora che esalta la prestazione della band e la qualità dei brani: un salto a ritroso nella discografia passata sarà il passo successivo.

Arriva per gli Artemisia il momento di suggellare una carriera che li ha visti protagonisti di quattro lavori sulla lunga distanza, con la prima testimonianza in sede live, racchiusa in questo ottimo documento sonoro dal titolo Anime Inquiete.

Praticamente un best of questo live, registrato durante il tour in supporto all’ultimo bellissimo lavoro (Rito Apotropaico) ma che copre tutte le opere fin qui licenziate dal gruppo capitanato dalla cantante Anna Ballarin e dal chitarrista Vito Flebus.
Con Ivano Bello al basso e Gabriele “Gus” Gustin alla batteria, gli Artemisia non perdono un’oncia dell’atmosfera rituale che ha valorizzato sempre di più la loro musica, anche dal vivo dove ovviamente i suoni sono più diretti e metallici.
Ne esce un live da vivere come sotto ad un palco in una delle tante date che la band ha sostenuto dopo l’uscita dell’ultimo lavoro e che ci avvolge in un’atmosfera antica in cui testi mai banali accompagnano il metal/rock della band che si nutre di rock alternativo, come di doom/stoner e di dark rock della tradizione tricolore.
Il gruppo sciorina una prestazione convincente, alternando brani nuovi ad altri presi dagli album precedenti tra cui brillano Corpi Di Pietra e La Strega di Port’Alba, dal precedente album Stati Alterati Di Coscienza o L’Aliante, opener del debutto omonimo targato 2008.
La parte del leone la fanno i brani più recenti, dalla resa perfetta anche dal vivo, grazie alla prestazione super della vocalist e l’impatto metal che la prestazione dal vivo dei musicisti valorizza, permettendo ad Anime Inquiete di risultare un ottimo sunto della musica espressa dagli Artemisia in questi anni.
Per chi non conoscesse ancora questa splendida realtà tricolore il consiglio è di non perdersi questo live dalla resa sonora che esalta la prestazione della band e la qualità dei brani: un salto a ritroso nella discografia passata sarà il passo successivo.

Tracklist
1.Apotropaico
2.Corpi Di Pietra
3.Nel Dipinto (Artemisia Gentileschi)
4.Umana Forma
5.Il Giardino Violato
6.La Preda
7.L’aliante
8.La Sterga Di Port’Alba
9.Una Maschera Rosa
10.Tavola Antica
11.Artemisia

Line-up
Anna Ballarin – Voce
Vito Flebus – Chitarra
Ivano Bello – Basso
Gabriele “Gus” Gustin – Batteria
Elettra Medessi – Cori

ARTEMISIA – Facebook

Destroyers Of All – The Vile Manifesto

Un album consigliato a tutti gli amanti del thrash metal di scuola americana che non disdegnano estremismi ed atmosfere progressive.

The Vile Manifesto è il terzo lavoro dei thrashers portoghesi Destroyers Of All dopo un primo ep licenziato nel 2013 (Into The Fire) ed un secondo lavoro uscito un paio d’anni fa (Bleak Fragments).

Il quintetto di Coimbra se ne esce con un album convincente sotto tutti gli aspetti: il suo death/thrash richiama le sonorità di matrice americana, indurendone l’impatto e mettendo in risalto la propria bravura tecnica con ricami progressivi.
The Vile Manifesto è un gran bel lavoro e il songwriting all’altezza della situazione valorizza questi quaranta minuti di metal effervescente, duro come l’acciaio ma nel quale non mancano sorprese compositive come lo stacco di matrice samba nel bel mezzo del massacro di Destination Unknown.
Non perde colpi questo album, in tutto il suo svolgimento la tensione rimane altissima così come la qualità dei brani che si mantiene su un livello medio alto, regalando bordate death/thrash di grande spessore come l’opener Tohu Wa-Bohu, The Elephant’s Foot e la iper tecnica Sheol.
Un album consigliato a tutti gli amanti del thrash metal di scuola americana che non disdegnano estremismi ed atmosfere progressive.

Tracklist
1.Tohu Wa-Bohu
2.False Idols
3.Destination: Unknown
4.Break the Chains
5.The Elephant’s Foot
6.The Dead Valley
7.Sheol
8.Ashmedai
9.HellFall
10.Kill the Preacher

Line-up
João Mateus – Vocals
Alexandre Correia – Guitar
Guilherme Busato – Guitar
Bruno da Silva – Bass
Filipe Gomes – Drums

DESTROYERS OF ALL – Facebook

Iced Earth – Enter The Realm EP

La Century Media ristampa Enter The Realm, il primo demo degli Iced Earth, inizio di una delle carriere più longeve ed importanti del metal classico americano.

Tutto iniziò da qui: la storia di una delle metal band americane più amate dagli estimatori dei suoni classici partì esattamente trent’anni fa da questi cinque brani più intro che formavano un demo intitolato Enter The Realm.

La carriera degli Iced Earth di Jon Schaffer ebbe il suo apice nella seconda metà degli anni novanta, tra Burnt Offerings licenziato nel 1995, The Dark Saga e Something Wicked This Way Comes, usciti rispettivamente nel 1996 e nel 1998, senza ombra di dubbio i tre album capolavoro del gruppo di Tampa.
Una discografia che non è mai scesa sotto un buon livello qualitativo, anche se i problemi per il chitarrista ritmico più sottovalutato della storia del metal classico a stelle e strisce, ma lodato per il suo enorme talento come songwriter e della sua creatura, non sono certo mancati.
Prima del successo, con il passaggio dietro al microfono di Matthew Barlow e poi del chiacchierato Ripper Owens e infine del bravissimo Stu Block, c’erano cinque musicisti con la passione per la new wave of british heavy metal, il thrash della Bay Area e l’U.S. power metal.
Nel 1989 il chitarrista ritmico Jon Schaffer, insieme a Greg Seymour (batteria), Gene Adam (voce), Dave Abell (basso) e Randy Shawver (chitarra solista) diede alle stampe questo demo, appunto l’inizio di quella che diventerà una delle più longeve ed importanti realtà uscite dalla scena classica statunitense.
E’ anche per merito di Colors, dell’oscura Nightmare o della superba Iced Earth se la band divenne un punto di riferimento ed ispirazione per molti gruppi metal negli anni a venire, probabilmente la band statunitense più influente sulle nuove generazioni insieme ai Nevermore di Warrel Dane, parlando di metal di scuola classicamente americana.
Enter The Realm verrà ristampato dalla Century Media in formato CD, digitale e per la prima volta anche in vinile, per gli amanti del gruppo un acquisto obbligato.

Tracklist
1.Enter the Realm
2.Colors
3.Nightmares
4.To Curse the Sky
5.Solitude
6.Iced Earth

Line-up
ICED EARTH Line-Up 1989
Jon Schaffer – rhythm guitar, backing vocals
Greg Seymour – drums
Gene Adam – vocals
Dave Abell – bass guitar
Randy Shawver – lead guitar

ICED EARTH – Facebook

Svanzica – Red Reflection

Nel suo insieme Red Reflection si può senz’altro definire un album riuscito, le idee ci sono e diversi brani lasciano intravedere potenzialità ancora parzialmente inespresse dagli Svanzica.

Gli Svanzica sono un quartetto proveniente dalla provincia di Verona la cui storia musicale è iniziata nell’ormai lontano 2005 da un’idea della coppia di musicisti formata da Marco De Bianchi e Luca Modenese (rispettivamente chitarra e voce).

Passata da una serie di cambi in formazione, un demo, ed il primo full length intitolato Eos (2009), la band veneta si assesta con la formazione attuale che vede i due membri fondatori raggiunti da Alessandro Merlin alla batteria e Alessandro Pettene al basso.
Il sound si ispira ad un melodic death metal progressivo che vede tra le maggiori influenze la melanconica attitudine dei nostrani Novembre, qualche spunto estremo di matrice melodica scandinava e cenni al rock alternativo.
La doppia voce trova sicuramente i meritati apprezzamenti nei vocalizzi estremi, mentre la clean dal taglio alternative non incide, così come la produzione che non valorizza il pur buon lavoro offerto a livello strumentale dal gruppo.
Nel suo insieme Red Reflection si può senz’altro definire un album riuscito, le idee ci sono e brani come l’opener Through Oceans of Quiet, Spirit Of The Valley e Whisper Of Light, lasciano intravedere potenzialità ancora parzialmente inespresse dagli Svanzica.
Limando qualche difetto come l’uso delle clean e la produzione, il prossimo passo potrebbe regalare ancor più soddisfazioni al gruppo veronese.

Tracklist
1.Through Oceans of Quiet
2.First Step
3.Lunar Verbs
4.Spirit of the Valley
5.Brotherhood
6.Graffiti
7.Whisper of Light
8.Distortion
9.Eternal Noontrip
10.Jupiter

Line-up
Luca “Mayo” Modenese – Vocals
Marco “Debo” De Bianchi – Guitars
Alessandro “Merlo” Merlin – Drums
Alessandro “Ketchup” Pettene – Bass

SVANZICA – Facebook

Imprecation – Damnatio Ad Bestias

Un death metal oscuro e abissale, un pozzo senza fondo dove anime dannate in caduta libera trovano il loro tragico destino, mentre riff macabri si alternano a più veloci sfuriate estreme in un clima catacombale.

I texani Imprecation sono un gruppo storico della scena death metal statunitense, essendo stati fondati nel 1991 dal batterista Ruben Elizondo e dal chitarrista Phil Westmoreland.

I primi anni novanta videro la band licenziare un paio di demo ed un ep per poi fermarsi per quasi dieci anni e tornare con uno split album nel 2003.
Sette anni dopo, Sigil Of Lucifer segnò l’ennesimo ritorno, un ep di rodaggio prima della pubblicazione dell’esordio sulla lunga distanza e l’approdo ad un minimo di costanza che portarono il gruppo di Huston a pubblicare l’anno dopo un secondo split album e a distanza di cinque anni Damnatio Ad Bestias, nuovo album ed ennesimo esempio di death metal old school viscido ed imputridito dal lungo giacere in una bara brulicante di vermi e serpi velenosissime.
Il sound poggia le basi nel metal estremo dei primissimi anni novanta, valorizzato a tratti da melodie chitarristiche che affrontano il muro sono di scuola Morbid Angel/Macabre degli Imprecation: un death metal oscuro e abissale, un pozzo senza fondo dove anime dannate in caduta libera trovano il loro tragico destino, mentre riff macabri si alternano a più veloci sfuriate estreme in un clima che tradisce l’origine della band texana.
L’opener Temple Of The Foul Spirit, la notevole Beasts Of Infernal Void e la title track i brani migliori di un lavoro tradizionale e quindi ad uso e consumo degli amanti del death metal old school più catacombale.

Tracklist
1. Temple of the Foul Spirit
2. Morbid Crucifixion
3. Baptized in Satan’s Blood
4. Beasts of the Infernal Void
5. Damnatio Ad Bestias
6. Dagger, Thurible, Altar of Death
7. The Shepherd and the Flock
8. Ageless Ones of None

Line-up
Ruben Elizondo – Drums
Dave Herrera – Vocals
Milton Luna – Bass, Guitars
Jeff Tandy – bass
Dustin James – Guitars
Earl Long – Guitars

IMPREVATION – Facebook

Uncledog – Passion Obsession

Gli Uncledog ripartono per un excursus musicale sul rock alternativo che ha caratterizzato gli ultimi venticinque anni di musica, tramite dieci brani, assolutamente perfetti, convincenti, zeppi di melodie e urla elettriche che tornano a far parlare di grunge rock, senza per forza trasformarsi in copie sbiadite di più famose e riconoscibili canzoni provenienti dall’altra parte dell’oceano.

Tornano i grunge rockers padovani Uncledog con il secondo lavoro sulla lunga distanza, successore di Russian Roulette licenziato nel 2014.

Prodotto da Pietro Foresti e sul mercato sempre tramite la Vrec, Passion Obsession è un concept sulle passioni, come ben evidenziato dal cuore in copertina, strapazzato da chi appunto vive di emozioni in una vita sempre più piatta e materiale.
Da qui il gruppo riparte per un excursus musicale sul rock alternativo che ha caratterizzato gli ultimi venticinque anni di musica, tramite dieci brani, assolutamente perfetti, convincenti, zeppi di melodie e urla elettriche che tornano a far parlare di grunge rock, senza per forza trasformarsi in copie sbiadite di più famose e riconoscibili canzoni provenienti dall’altra parte dell’oceano.
Gli Uncledog invero le loro personali influenze le manipolano facendo proprie quelle caratteristiche che permettono a Passion Obsession di tenerci ben salde le cuffie alle orecchie, componendo una tracklist che non trova ostacoli, per cui sembra proprio che il cuore in copertina cominci a battere sotto i nostri occhi, mentre O.E.K.E., i ritmi di matrice Funky/reggae del singolo Four Leaf Clover, Wow (brano bellissimo, ed apice del disco) e il crescendo di tensione che si respira in Anything Else ci accompagnano in questo sunto sul rock alternativo firmato dal gruppo padovano.

Tracklist
1.O.E.K.E.
2.Let Me Dive
3.Four Leaf Clover
4.First Time
5.Wow
6.Take a Look
7.Anything Else
8.Blush
9.Thoughtful
10.Her

Line-up
Nico – Lead and Backing Vocals, Guitar
Karma – Lead Guitar, Backing Vocals
Fiore – Keyboards, Backing Vocals
Lele – Bass, Backing Vocals
Silvio – Drums & Percussions

UNCLEDOG – Facebook

Final Coil – The World We Left Behind For Others

Tool, Leprous e Pink Floyd, in salsa alternative, questo è The World We Left Behind For Others, circa sessanta minuti di emozioni che si tingono di atmosfere introspettive come nella migliore tradizione del rock nato a Seattle, che la band inglese fa sua nelle note di questa notevole raccolta di brani.

Che i britannici Final Coil avessero dimostrato di possedere delle potenzialità ancora inespresse era scontato dopo l’ascolto del precedente e primo lavoro sulla lunga distanza intitolato Persistence of Memory, ma forse non avremmo mai pensato di ritrovarci con un album di tale portata già da questa successiva opera, licenziata sempre da Wormholedeath ed intitolata The World We Left Behind For Others.

Quello che di fatto è rimasto un trio con Phil Stiles alla voce e chitarra, Richard Awdry alla chitarra solista e Jola Stiles al basso, ci consegna un monumentale lavoro che si nutre come il precedente di progressive e di rock alternativo, post rock e metal, amplificando la parte emozionale in maniera esponenziale.
Quello che al primo impatto poteva sembrare l’ennesima band ispirata dai Tool è riuscita ad andare oltre, guardandosi in giro ed accodandosi al filone progressivo di matrice Leprous che con le suddette influenze aprono una via progressiva personale ed assolutamente vincente.
Anche in The World We Left Behind For Others si vive di atmosfere crepuscolari come nel precedente lavoro, ma se Persistence of Memory mostrava qualche dettaglio da limare all’interni di un debutto comunque ottimo, il nuovo album regala attimi di musica rock da manuale, almeno nel campo del post rock progressivo, personalizzato e valorizzato da un non comune talento nel saper manipolare materia ed influenze.
Tool, Leprous e Pink Floyd, in salsa alternative, questo è The World We Left Behind For Others, circa sessanta minuti di emozioni che si tingono di atmosfere introspettive come nella migliore tradizione del rock nato a Seattle, che la band inglese fa sua nelle note di questa notevole raccolta di brani che ha nella conclusiva title track il suo apice.
Album di un’altra categoria, The World We Left Behind For Others risulta un’altra scommessa vinta dai Final Coil e dalla Wormholedeath.

Tracklist
1. Ash’s
2.The Last Battle
3 .Scattered Dust
4.Take Me For A Walk
5.Empty Handed
6.Keeping Going
7.Convicted Of The Right
8.Ashes
9.One More Drink…
10…And I’ll Leave
11.One More Trip
12.The World We Left Behind For Others

Line-up
Phil Stiles – Lead Vocals / Rhythm Guitars
Richard Awdry – Lead Guitars / Backing Vocals
Jola Stiles – Bass / Design

FINAL COIL – Facebook

Twelve Back Stones – Becoming

Un ottimo lavoro questo Becoming, duro e melodico, graffiante ed accattivante, a tratti sognante, ma sempre con quell’attitudine on the road che è l’anima di questo immortale genere.

E’ primavera, il momento per alzare la saracinesca del vostro garage, togliere il telo impolverato dal bolide a quattro o due ruote, trattenere il respiro, girare la chiave e stare ad ascoltare il motore che si risveglia dal letargo mentre le prime note di Liar fanno già da colonna sonora a questo inevitabile rito che consumate da anni.

Becoming, secondo full length dei rockers nostrani Twelve, ora Twelve Back Stones vi accompagnerà in quei momenti in cui, lasciato tutto alle spalle, ci si dedica a sé stessi, attimi che durano giornate lungo strade impolverate, mentre On The Road entra di prepotenza in voi, ruvida, graffiante dal refrain irresistibile in puro rock’n’roll style anni ottanta.
Il successore di Lost In Paradise, uscito nel 2015, torna dunque a far parlare del gruppo di Pesaro, che ha cambiato nome ma non attitudine regalando un altro ottimo lavoro incentrato su quel sound che, nel decennio d’oro, con queste sonorità fece la storia del rock.
Capitanati dal singer e compositore Giacomo Magi (Jack Stone), la band continua il suo viaggio nel rock duro, classico ed irresistibile per chi ha amato la scena statunitense di qualche decennio fa, anche se il quintetto non risulta affatto nostalgico, con ispirazioni che attraversano gli anni fino ad entrare nel nuovo millennio, rendendo la musica dei Twelve Back Stones assolutamente attuale.
Non un revival su quanto fosse bella la scena anni ottanta come spesso accade, ma una raccolta di brani hard rock dal buon appeal sia per il fan con qualche anno in più all’anagrafe che per il giovane che, se nel garage non ha l’Harley, chiude gli occhi e dà gas allo scooter, al ritmo delle varie On The Road, Drive Crazy, Take Me Higher e Wild Sun.
Un ottimo lavoro questo Becoming, duro e melodico, graffiante ed accattivante, a tratti sognante, ma sempre con quell’attitudine on the road che è l’anima di questo immortale genere.

Tracklist
1.Liar
2.Black Rose
3.On The Road
4.Whiskey And Flower
5.Drive Crazy
6.Stars
7.Take Me Higher
8.Mother
9.Wild Sun
10.Anytime

Line-up
Giacomo Magi “Jack Stone” – Vocals
Matteo Giommi“Matt” – Guitar
Michele Greganti “Greg” – Guitar & Backing Vocals
Fabrizio Raffaeli “Fabri” – Bass Guitar & Backing Vocals
Fabrizio Ricci “Rixx” – Drums

TWELVE BACK STONES – Facebook

Corroded – Bitter

Un lavoro ben strutturato, pensato per demolire difese nei prossimi live, dalle melodie che si appiccicano addosso e dalla potenza di uno schiacciasassi.

Quinto album, secondo per la Despotz Records, per i rockers svedesi Corroded, quartetto che negli ultimi anni ha avuto modo di mettersi in mostra sui palchi dei maggiori festival tenutisi in patria.

E’ un hard rock moderno, diviso da un esile confine dal modern metal tanto caro in terra statunitense, ciò che compone il sound di questo nuovo lavoro basato su un impatto che come scritto si fa molto più metallico, con chorus di buona presa e solos melodici.
Ma Bitter è stato creato con l’intenzione di non fare prigionieri e sinceramente ci riesce anche bene, con quelle ritmiche che in alcuni casi strizzano l’occhio al metal core, ma pur sempre inserite in un contesto che si potrebbe definire alternative metal.
In questo vario e neanche troppo originale alternarsi di sfumature, la band ne esce con una raccolta di brani potenti, melodici ed in alcuni casi ruffiani il giusto (Burn), che faranno scorrere il sangue alla velocità della luce,
Black è una semi ballad che stempera la tensione, forse troppo, ma si torna a sbattere la capoccia con le ottime Testament e Scream, prima che Destruction con quel suo alternare melodia e potenza si riveli il brano top di Bitter.
Un lavoro ben strutturato, pensato per demolire difese nei prossimi live, dalle melodie che si appiccicano addosso e dalla potenza di uno schiacciasassi.

Tracklist
01.Bitter – INTRO
02.Breathing
03.Cross
04.Burn
05.Black
06.Testament
07.Scream
08.Cyanide
09.Destruction
10.Time
11.Drown
12.War

Line-up
Jens Westin – Vocals, Guitar
Tomas Andersson – Guitar,Backing vocals
Bjarne Elvsgård – Bass
Per Soläng – Drums

CORRODED – Facebook

The Alligator Wine – The Flying Carousel

Un esperimento in parte riuscito ma che va rivalutato ovviamente su un minutaggio più probante.

Sono tre i brani con in quali i The Alligator Wine provano a convincerci che la loro proposta, oltre ad essere originale, è anche valida.

Le tre canzoni dai tratti rock/pop vintage sono suonati con tastiere, batteria, amenità elettroniche e senza uso di basso e soprattutto chitarra, una scelta coraggiosa considerando che il genere viene riprodotto senza due strumenti primari.
La Century Media ci ha creduto e li ha messi sotto contratto, loro non hanno tradito le attese e regalano brani davvero interessanti, dove gli strumenti elettronici creano atmosfere dal taglio pop, per poi virare su di un rock a metà strada tra la tradizione settantiana e quella del decennio successivo, anche se a mio avviso il meglio è tutto racchiuso nella conclusiva Reptile, episodio psichedelico che prende le distanza dalle facili melodie da balera rock delle prime due tracce (la title track e Dream Eyed Little Girl) per sette minuti tra la liquida follia compositiva dei più psichedelici The Doors ed il freddo ed alternativo sound elettronico degli svizzeri The Young Gods.
Un esperimento in parte riuscito ma che va rivalutato ovviamente su un minutaggio più probante.

Tracklist
01. The Flying Carousel
02. Dream Eyed Little Girl
03. Reptile

Line-up
Thomas Teufel – Drums, Vocals & Percussion
Rob Vitacca – Vocals, Organ & Synthesizer

THE ALLIGATOR WINE – Facebook

Eris Pluvia – Tales From Another Time

Un album delicato, a tratti introspettivo, ma in grado di tenere alta l’attenzione di chi ascolta con soluzioni improvvise, cambi di umore e colori che sono la carta vincente di questi sei nuovi brani creati dagli Eris Pluvia.

Tornano con un nuovo lavoro i genovesi Eris Pluvia, band da considerarsi storica nel panorama del rock progressivo nazionale.

Rings of Earthly Light, album licenziato nel lontano 1991, è considerato un passo fondamentale nel ritorno in auge del genere, in anni in cui l’interesse degli ascoltatori era spostato verso differenti sonorità, ma per trovarne il successore, complice anche la prematura scomparsa del tastierista Paolo Raciti, si sono dovuti attendere quasi vent’anni (Third Eye Light, 2010), mentre del più recente Different Earths, uscito nel 2016, ne avevamo già parlato sulle pagine di Metaleyes.
Questa volta non abbiamo dovuto aspettare troppo tempo per un nuovo album targato Eris Pluvia e Tales From Another Time torna a far parlare del gruppo ligure e del suo progressive rock di gran classe.
Un’ora di musica divisa in sei capitoli, un album che si presenta come le classiche opere degli anni settanta, eppure tra le trame della musiva di Tales From Another Time ci si perde tra tradizione e soluzioni moderne, un mix di musica progressiva classica, new prog inglese ed ispirazioni che riflettono la voglia del gruppo di sperimentare nuove soluzioni, più vicine a quanto si ascolta in questi primi anni del nuovo millennio.
Ne esce un sunto elegante e raffinato di quello che in gran parte abbiamo ascoltato in tanti anni di progressive rock, con la band che non ha paura di sperimentare rimanendo legata alle sue influenze primarie, dai Pink Floyd a Genesis e Camel fino ai Porcupine Tree.
Bellissime le tre suite, La Chanson de Jeanne, The Call of Cthulhu e la conclusiva The Hum, ma è comunque tutto Tales From Another Time che funziona al meglio, regalando all’ascoltatore momenti di rock progressivo di qualità.
Un album delicato, a tratti introspettivo, ma in grado di tenere alta l’attenzione di chi ascolta con soluzioni improvvise, cambi di umore e colori che sono la carta vincente di questi sei nuovi brani creati dagli Eris Pluvia.

Tracklist
1. When Love Dies
2. Lost in the Sands of Time
3. La Chanson de Jeanne (Pt’s 1-3)
4. The Call of Cthulhu (Pt’s 1-3)
5. Last Train to Atlanta
6. The Hum (Pt’s 1-5)

Line-up
Alessandro Cavatorti – guitars & words
Marco Forella – bass, piano, programming keyboards & drums
Roberto Minniti – vocals
Roberta Pitas – flute

Ludovica Strizoli – vocals

ERIS PLUVIA – Facebook