Veonity – Legend Of The Starborn

La durata di questo Legend Of The Starborn è di quelle proibitive, ma la fluidità del sound proposto dal quartetto di Vänersborg aiuta non poco l’ascolto, specialmente se siete fans di un genere che con i Veonity trova nuova linfa.

Per gli amanti dei suoni power classici il ritorno degli svedesi Veonity, tramite la sempre più presente sul mercato Sliptrick Records, è sicuramente un appuntamento da non perdere.

La band, infatti, dopo i primi due riusciti lavori (il debutto The Gladiator’s Tale, uscito nel 2015, seguito da Into The Void l’anno dopo) arriva al terzo ambizioso full length, un’opera mastodontica di quasi un’ora e mezza composta dal solito buon power metal di estrazione tedesco/scandinava.
I Veonity sono il classico gruppo da cui si sa benissimo cosa aspettarsi: tanto metallo classico, ritmiche power alternate a potenti crescendo, chorus epici e valanghe di melodie.
La durata di questo Legend Of The Starborn è di quelle proibitive, ma la fluidità del sound proposto dal quartetto di Vänersborg aiuta non poco l’ascolto, specialmente se siete fans di un genere che con i Veonity trova nuova linfa.
Legend of the Starborn segue a livello lirico il concept del precedente album, con il protagonista tornato sulla Terra dopo essere fuggito nello spazio ed aver incontrato i guerrieri del tempo, dai quali viene rimandato all’era dei vichinghi per aiutare gli ultimi sopravvissuti nell’impresa di salvare l’umanità da una razza aliena che l’ha schiavizzata.
Gamma Ray, Freedom Call, Nocturnal Rites, Hammerfall, Edguy sono i gruppi che più ispirano la band svedese, aiutata da ospiti importanti come Tommy Johansson (Sabaton, Reinxeed) e Patrik Selleby (Bloodbound, Shadowquest) in questo enorme sforzo compositivo che troverà sicuramente molti defenders pronti a sguainare gli spadoni e lucidare gli scudi al suono di questi quattordici inni al true power metal.
I momenti esaltanti non sono pochi, a partire da Guiding Light fino a Warrior Of The North, passando per Freedom Vikings e To The Gods, ma è tutta la tracklist che convince facendo di Legend Of The Starborn una delle opere più riuscite quest’anno nel genere.

Tracklist
1.Rise Again
2.Starborn
3.Guiding Light
4.Winds of Asgard
5.Outcasts of Eden
6.Sail Away
7.The Prophecy
8.Warrior of the North
9.Gates of Hell
10.Freedom Vikings
11.Lament
12.To the Gods
13.United We Stand
14.Beyond the Horizon

Line-up
Anders Sköld – Vocals/Guitar
Samuel Lundström – Guitar
Joel Kollberg – Drums
Kristoffer Lidre – Bass

VEONITY – Facebook

Lovebites – Clockwork Immortality

Il sound di Clockwork Immortality sorprenderà più di un amante del metal classico di scuola power europea: saggiamente la band ha assorbito tutto il meglio del genere, trovando la perfetta alchimia tra le sue varie anime.

Se pensate che le Lovebites siano solo l’ennesimo fenomeno da baraccone giunto dal sol levante vi dovrete ricredere, perché Clockwork Immortality è un lavoro molto interessante ed assolutamente metallico che coccia con l’immagine glamour delle cinque ragazze, ma che all’ascolto procura momenti di auto esaltazione heavy/power.

D’altronde la band ha lavorato in passato con Mikko Karmila e Mika Jussila (Children Of Bodom, Amorphis, Nightwish, tra gli altri) ed arriva con questo nuovo lavoro al secondo album su lunga distanza in una discografia che conta anche due ep licenziati in un paio d’anni.
Asami, Haruna, Midori, Miho e Miyako, oltre al loro fascino mettono in campo un heavy power metal che surclassa molti omaccioni tutti spade e scudi, vanno veloci come lampi nel cielo, abbondano di orchestrazioni ed arrangiamenti bombastici e scagliano frecce metalliche che si conficcano nel centro di un bersaglio commerciale altisonante.
Molto meno “truzzo” di quello esibito dalle Babymetal, il sound di Clockwork Immortality sorprenderà più di un amante del metal classico di scuola power europea: saggiamente la band ha assorbito tutto il meglio del genere, trovando la perfetta alchimia tra l’anima scandinava (Stratovarius), quella tedesca (Freedom Call) e quella mediterranea e sudamericana (Angra, Vision Divine).
L’album non ha un attimo di tregua, passando da vere bombe heavy/power a brani dal taglio più melodico ma dal grande appeal, formando una raccolta di potenziali hit tra le quali spiccano l’opener Addicted, la potentissima Mastermind 01, la veloce e thrashy M.D.O. e la spettacolare Final Collision.
Belle da vedere e brave da ascoltare, le Lovebites faranno innamorare più di un defender duro e puro, c’è da scommetterci.

Tracklist
01. Addicted
02. Pledge Of The Saviour
03. Rising
04. Empty Daydream
05. Mastermind 01
06. M.D.O
07. Journey To The Other Side
08. The Final Collision
09. We The United
10. Epilogue

Line-up
Asami – Vocals
Midori – Guitars
Miyako – Guitars, Keyboards
Miho – Bass
Haruna – Drums

LOVEBITES – Facebook

Autore
Alberto Centenari
Voto
8
Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Heavy/Power Metal 8

Raven – Screaming Murder Death From Above: Live In Aalborg

In forma e decisi a fare male, i Raven in questo Screaming Murder Death From Above: Live In Aalborg mettono una carica metallica da far impallidire molti musicisti metal odierni, grazie ad una tracklist che ovviamente risulta inattaccabile.

Tornano i fratelloni di Newcastle John e Mark Gallagher e la loro leggendaria creatura chiamata Raven, band che mosse i primi passi negli anni settanta, ma che ebbe il suo momento di gloria nei primi anni ottanta con l’esplosione delle New Wave Of British Heavy Metal.

Da molti considerata come band importante anche per lo sviluppo del thrash (è storia il tour del 1983 con Metallica e Anthrax) la band britannica, dopo più di quarant’anni sulla scena hard & heavy (benché costellati da lunghe pause e clamorosi ritorni), licenzia tramite la SPV/Steamhammer il terzo live album della sua lunga carriera, ad una vita o giù di lì di distanza da quel Live At The Inferno che nel 1985 la immortalava sul palco dopo l’uscita dei primi tre fondamentali full length.
I fratelli Gallagher, con il fido Mike Heller alla batteria, danno prova in questo Screaming Murder Death From Above: Live In Aalborg di avere ancora un bel po’ di cartucce da sparare, con undici brani tra cui troviamo quelli che ne hanno scritto la storia (All For One, Rock Until You Drop, Faster Than The Speed Of Light, Crash Bang Wallop tra gli altri) senza farsi mancare nulla per finire sui piatti e lettori di ogni metallaro che si rispetti, da chi negli anni ottanta era un brufoloso adolescente con la giacca di jeans e le toppe dei suoi gruppi preferiti in bella mostra, fino ai più giovani che vogliono farsi un tuffo nel leggendario sound nato tra i sobborghi delle grigie città del Regno Unito.
In forma e decisi a fare male, i Raven in questo Screaming Murder Death From Above: Live In Aalborg mettono una carica metallica da far impallidire molti musicisti metal odierni, grazie ad una tracklist che ovviamente risulta inattaccabile.

Tracklist
1. Destroy All Monsters
2. Hell Patrol
3. All For One
4. Hung Drawn and Quartered
5. Rock Until You Drop
6. A.A.N.S.M.M.G.N.
7. Tank Treads (the blood runs red)
8. Faster than the speed of light
9. On And On
10. Break The Chain
11. Crash Bang Wallop

Line-up
John Gallagher – Bass, Vocals
Mark Gallagher – Guitars
Mike Heller – Drums

RAVEN – Facebook

Turbo Vixen – Drive Into The Night

Drive Into The Night è composto da dieci brani sguaiati ed irresistibili, un adrenalinico pezzo di hard & heavy ottantiano che travolge come un’onda causata dal crollo di una diga a colpi di hard/rock ‘n’ roll metallico e senza freni.

Una bomba hard & heavy dalla miccia rock ‘n’ roll esploderà sulle vostre teste appena vi avvicinerete, magari per caso o curiosità, a Drive Into The Night, primo full length del duo canadese Turbo Vixen, composto dal batterista Aaron Bell e dal chitarrista J.J. Rowlands, a cui si aggiunge in veste di ospite al microfono Dan Cleary.

Dieci brani sguaiati ed irresistibili, un adrenalinico pezzo di hard & heavy ottantiano che travolge come un’onda causata dal crollo di una diga, a colpi di hard/rock ‘n’ roll metallico e senza freni.
Non c’è un attimo di tregua, il duo sale sul bolide e a tavoletta si allontana nella notte nel deserto, mentre accordi southern fanno da ricamo al mid tempo All My Love e si ripresentano nella conclusiva title track.
Il resto è un susseguirsi di esaltanti brani tra hard rock ed heavy metal, un mix perfetto di Van Halen, Motley Crue, Ratt e Twisted Sister alla maniera dei Turbo Vixen ovvero dinamitardo, esagerato e tremendamente coinvolgente.
Salite a bordo della vostra auto, accendete motori e lettore cd e sparatevi a velocità illegale nella notte in compagnia delle varie Thunder And Lightening, Cat House, Straight Out Of Hell e Drive Into The Night: vi prenderanno prima che faccia mattina, strapperanno la vostra patente, ma vi ritroverete a canticchiare dietro le sbarre i cori di questa decina di trascinanti brani.

Tracklist
01. Thunder and Lightning
02. No Mercy
03. Hard Love ‘n’ You
04. Cat House
05. Hit Back (Refuse to Lose)
06. All My Love
07. She’s Got the Touch
08. Straight out of Hell
09. Down the Hatch
10. Drive into the Night

Line-up
J.J Rowlands – Guitars
Aaron Bell – Drums

TURBO VIXEN – Facebook

Weight Of Emptiness – Anfractuous Moments for Redemption

Gli Weight Of Emptiness sapranno guidarvi nella loro musica schivando i pericoli del già sentito con una prova personale e che dà spazio ad una buona scrittura nella quale la tecnica viene utilizzata per valorizzare un lotto di brani oscuri e melodici, estremi e progressivi.

In ritardo di qualche mese sulla data di uscita vi presentiamo questa notevole realtà estrema proveniente dal Cile, gli Weight Of Emptiness.

Il quintetto proveniente da Santiago arriva al debutto sulla lunga distanza con Anfractuous Moments for Redemption, album composto da sette tracce più intro ed outro di melodic death metal tecnico e progressivo, con qualche rallentamento doom qua e là a rendere il tutto molto suggestivo, alternando così parti più orientate al death metal di stampo melodico ed europeo, nelle quali il gruppo mette in campo tutta le sue doti strumentali, ad altre invece in cui atmosfere oscure spostano gli equilibri verso un più emozionante doom/death.
Nel complesso Anfractuous Moments for Redemption funziona, i brani si mantengono tutti su una qualità abbastanza alta tanto da consigliare il lavoro agli amanti del death melodico e progressivo, elemento quest’ultimo che valorizza brani come Behind The Mask, The Silence e la lunga Inner Chaos, sunto di nove minuti di quello che avrete ascoltato sull’album, posto prima dell’outro.
Gli Weight Of Emptiness sapranno guidarvi nella loro musica schivando i pericoli del già sentito con una prova personale e che dà spazio ad una buona scrittura nella quale la tecnica viene utilizzata per valorizzare un lotto di brani oscuri e melodici, estremi e progressivi.

Tracklist
1.Anfractuous (Intro)
2.Behind the Masks
3.Unbreakable
4.The Silence
5.Holy Death
6.Cancer
7.Weight of Emptiness
8.Inner Chaos
9.Redemption (Outro)

Line-up
Alejandro Ruiz – Vocals
Juan Acevedo – Guitar
Alejandro Bravo – Guitar
Manuel Villarroel – Bass
Mauricio Basso – Drums

Guest musicians:
Eduardo P. Ocampo – Synths on “Anfractuous” & “Redemption”
Jorge Pinochet – Additional Vocals on “The Silence”
Juan Daniel Barrera – Additional Vocals on “Weight Of Emptiness”

WEIGHT OF EMPTINESS – Facebook

Zayn – Evolution Made Us

Intimista, ma nello stesso tempo pervaso da un’urgenza di comunicare, Evolution Made Us lascia pochi riferimenti ai quali ci si possa aggrappare, con la musica che scorre tra atmosfere che passano dal metal progressivo moderno ad una sorta di rock alternativo.

Zayn in arabo significa bellezza interiore ed è il monicker di questo interessante progetto nato nel 2011 in Croazia, già protagonista di tre album tra il 2014 e l’anno successivo.

Dopo tre anni il quartetto si ripresenta nell’underground metal/rock con questo lavoro composto da cinque brani strumentali, dal sound alternativo e progressivo, fortemente compresso, dai molti cambi di tempo e a suo modo originale.
Intimista, ma nello stesso tempo pervaso da un’urgenza di comunicare, Evolution Made Us lascia pochi riferimenti ai quali ci si possa aggrappare: la musica scorre tra atmosfere che passano dal metal progressivo moderno ad una sorta di rock alternativo che rende brani quali l’opener Tall As Mountain o Metamorphos un incrocio di generi racchiusi nelle più generali etichette descritte.
Evolution Made Us è un lavoro di corta durata e quindi più facilmente assimilabile anche se il sound è tutto fuorché facilmente catalogabile: a tratti gli Zayn possono ricordare i Tool, ma il consiglio è di ascoltare questa raccolta di brani con la massima attenzione perché la band croata potrebbero rivelarsi per molti un gradita sorpresa.

Tracklist
1.Tall as Mountain
2.Barbarogenius
3.Homoerectus
4.Metamorphos
5.Old as Earth

Line-up
Marko Dragičević – guitar
Bojan Gatalica – guitar, synth
Miran Kapelac – bass, synth

ZAYN – Facebook

Zenit – Black Paper

Senza mai portare la mera tecnica a soffocare il songwriting, gli Zenit danno prova di una già buona maturità artistica in un genere troppe volte afflitto da un abuso della tecnica strumentale fine a sé stessa.

Time To Kill Records pubblica il nuovo album degli Zenit, band nostrana attiva dal 2013 che propone un buon metal estremo di matrice djent e progressive.

Black Paper è composto da otto brani registrati nella capitale ai Kick Recording Studio dal noto produttore Marco Mastrobuono, già al lavoro con Coffin Birth, Hour Of Penance e Fleshgod Apocalypse, per una mezz’ora circa di metal moderno e tecnicamente inattaccabile, dalle trame progressive che non risultano troppo intricate lasciando che ogni brano scorra fluido e potente.
L’uso della doppia voce non sempre convince nella parte pulita, e conseguentemente gli Zenit si fanno preferire nei tanti momenti più estremi delle varie tracce, dall’opener che prende il titolo dal nome del gruppo, passando per la successiva Wraith, la notevole Crow’s Perch e la title track.
Prodotto egregiamente, l’album vive sull’altalena tra le parti estreme ed atmosferiche e liquide sfumature in cui il rock e l’elettronica creano bolle di ossigeno musicale all’interno delle quali ripararsi dalle imminenti esplosioni estreme.
Senza mai portare la mera tecnica a soffocare il songwriting, gli Zenit danno prova di una già buona maturità artistica in un genere troppe volte afflitto da un abuso della tecnica strumentale fine a sé stessa.

Tracklist
01. Zenit
02. Wraith
03. Above and Below
04. Crow’s Perch
05. King Of Lies
06. The Prophecy
07. Black Paper
08. Nadir

Line-up
Federico Fracassi – Vocals
Andrea Pedruzzi – Bass & Growls
Simone Prudenzi – Guitars
Daniele Carlo – Drums

ZENIT – Facebook

Arwen – The Soul’s Sentence

The Soul’s Sentence è un album che si lascia ascoltare con piacere, scritto da una band in ottima forma e forte di un lotto di buoni brani: un ritorno più convincente non si poteva auspicare.

Potenza e melodia, power metal “mediterraneo” tra le trame di The Soul’s Sentence, terzo lavoro degli spagnoli Arwen.

Attiva dal 1996, ma con soli tre album all’attivo la band madrilena licenzia questo ottimo album quattordici anni dopo il precedente Illusions, un lasso di tempo che al giorno d’oggi non aiuta certo a rimanere nelle attenzioni dei fans.
Peccato, perché a sentire questa nuovissima raccolta di brani, gli Arwen sanno il fatto loro, presentandosi ancora una volta al cospetto degli amanti dei suoni power con un sound deciso, a tratti progressivo e appunto mediterraneo, in quanto vicino a realtà come Vison Divine e Labyrinth, fiori all’occhiello del metal italiano.
L’album parte deciso, la band graffia con eleganza amalgamando potenza, melodie a tratti neoclassiche e hard & heavy con sagacia, la voce del cantante Jose Garrido risulta interpretativa il giusto per donare un’anima ai vari brani che hanno in Torn From Home, When the World Doesn’t Matter e la raffinata semi ballad Crying Blood i migliori esempi del credo musicale del gruppo.
The Soul’s Sentence è un album che si lascia ascoltare con piacere, scritto da una band in ottima forma e forte di un lotto di buoni brani: un ritorno più convincente non si poteva auspicare.

Tracklist
1.Hollow Days
2.Torn from Home
3.Us or Them
4.The Void
5.When the World Doesn’t Matter
6.Endless Burden
7.Endless Burden
8.Beyond Pain
9.My Worst Self
10.Crying Blood
11.Our Chance

Line-up
José Garrido – Vocals (lead), Guitars
Nacho Arriaga – Drums, Percussion
Javier Díez – Keyboards, Piano
Daniel Melián – Bass, Vocals (backing)
Gonzalo Alfageme López – Guitars

ARWEN – Facebook

Blackberry Smoke – Find And Light

Find And Light è un album impedibile per gli amanti del southern rock, elettrico e graffiante come forse mai nella discografia del gruppo, intriso di sanguigno blues rock e composto da una serie di brani che ribadiscono la grandezza dei Blackberry Smoke.

In ritardo di qualche mese sull’uscita del nuovo Find And Light tornano sulle pagine di Metaleyes i Blackberry Smoke, probabilmente la band southern più famosa tra le nuove leve del rock americano per antonomasia.

Charlie Starr continua ad essere il pilota di questa perfetta macchina southern rock, arrivata ormai al sesto album in studio da quando, all’alba del nuovo millennio partì da Atlanta per conquistare i cuori dei rocker a stelle e strisce prima e poi di quelli sparsi per il mondo.
Il successo arrivato ultimamente ma consolidato con almeno due capolavori come Little Piece of Dixie (2009) e The Whippoorwill (2012) ha portato la band in giro per il mondo con live sempre più seguiti dai fans ed immortalato a suo tempo nel bellissimo Leave a Scar, Live: North Carolina, licenziato ormai quattro anni fa, ma che esprimeva tutta la poetica carica southern rock dei Blackberry Smoke.
Find And Light è dunque un album impedibile per gli amanti del southern rock, elettrico e graffiante come forse mai nella discografia del gruppo, intriso di sanguigno blues rock e composto da una serie di brani che ribadiscono la grandezza di questa band.
I Blackberry Smoke targati 2018 sono tutti nel rock dell’opener Flesh And Bone o in quello sporcato di blues di The Crooked Kind, nella poesia country della strepitosa ballad I’ve Got This Song, in Let Me Down Easy con la singer Amanda Shires al microfono e nel capolavoro I’ll Keep Ramblin’, un rock’n’roll d’altri tempi con tanto di coro gospel e chitarre che sanguinano blues; un gruppo strepitoso che continua a scrivere la storia del Southern rock, con il solo Cody Cannon ed i suoi Whiskey Myers a contendergli lo scettro di sovrani del genere.

Tracklist
1.Flesh And Bone
2.Run Away From It All
3.The Crooked Kind
4) Medicate My Mind
5.I’ve Got This Song
6.Best Seat In The House
7.I’ll Keep Ramblin’
8.Seems So Far
9.Lord Strike Me Dead
10.Let Me Down Easy
11.Nobody Gives A Damn
12.Till The Wheels Fall Off
13.Mother Mountain

Line-up
Charlie Starr – Vocals,Guitars
Paul Jackson – Guitars, Vocals
Richard Turner – Bass
Brit Turner – Drums
Brandon Still – Keyboards

BLACKBERRY SMOKE – Facebook

Idle Hands – Don’t Waste Your Time

Tutto sommato una buona partenza per la band di Portland, con un album consigliato alle anime oscure amanti tanto del dark rock dei Sisters Of Mercy che del metal classico di scuola statunitense alla Metal Church.

Gli Idle Hands sono una metal band proveniente da Portland formata da ex membri degli Spellcaster, band della scena metallica dell’Oregon con tre full length all’attivo prima dello scioglimento avvenuto lo scorso anno.

Gabriel Franco (voce e chitarra), Sebastian Silva (chitarra) e Colin Vranizan (batteria), raggiunti da David Kimbro (basso), tornano dopo pochi mesi con l’ep di debutto per questa nuova realtà.
Gli Idle Hands suonano un metal dalle tinte gotiche, che alterna alle atmosfere dark un sound che prende ispirazione dal metal tradizionale di scuola statunitense.
Ne escono cinque brani racchiusi in questo ep intitolato Don’t Waste Your Time, che si apre con l’arpeggio melodico di Blade And The Will, seguita da By Way Of Kingdom e l’ottima Can You Hear The Rain, il brano sicuramente più riuscito nonchè orientato verso il dark rock ottantiano.
Ed infatti il meglio gli Idle Hands lo tirano fuori quando la musica lascia territori marcatamente metal per un rock robusto, ma figlio del dark/gothic classico, come appunto avviene in Can You Hear  The Rain e nella conclusiva I Feel Nothing.
Tutto sommato una buona partenza per la band di Portland, con un album consigliato alle anime oscure amanti tanto del dark rock dei Sisters Of Mercy che del metal classico di scuola statunitense alla Metal Church.

Tracklist
1. Blade And The Will
2. By Way Of Kingdom
3. Can You Hear The Rain
4. Time Crushes All
5. I Feel Nothing

Line-up
Gabriel Franco – Vocals/Guitar
Sebastian Silva – Guitar
David Kimbro – Bass
Colin Vranizan – Drums

IDLE HANDS – Facebook

Tourniquet – Gazing At Medusa

Un suono drammatico ed ispirato, dalle trame progressive ma dall’impatto estremamente potente, rende questo ultimo lavoro dei Tourniquet un enorme pezzo di granitico metallo, supportato dal potenziale dei musicisti coinvolti.

Quando si parla di metal cristiano non ci si può certo dimenticare dei Tourniquet, il gruppo che vede i due capitani Ted Kirkpatrick e Aaron Guerra. oggi affiancati da Chris Poland (Megadeth) e Tip “Ripper” Owens alle prese con un metal progressivo e vario, ma tipicamente statunitense.

Progetto iniziato nel lontano 1990, i Tourniquet vanno in doppia cifra riguardo ai full length con Gazing At Medusa, album composto da nove brani molto vari, una raccolta di molte delle sfumature che riguardano il metal classico, dal thrash, al doom (bellissima Memento Mori), passando per l’hard & heavy, il tutto condito da una vena progressiva che nobilita il sound.
Ospite importante di questo lavoro è Deen Castronovo (Steve Vai, Journey), voce sulla conclusiva title track di un lavoro imperdibile per gli amanti del metal statunitense.
Un suono drammatico ed ispirato, dalle trame progressive ma dall’impatto estremamente potente, rende questo ultimo lavoro dei Tourniquet un enorme pezzo di granitico metallo, supportato dal potenziale dei musicisti coinvolti.
All Good Things Died Here, il crescendo progressivo di The Peaceful Beauty of Brutal Justice e la title track non deluderanno gli amanti dell’U.S. metal, qui portato alla massima potenza tra bordate di metallo classico e scudisciate thrash.
I Tourniquet, fino ad oggi band di culto del panorama metallico, potrebbero trovare una grossa spinta da questo nuovo album, imperdibile per gli amanti del metal classico a stelle e strisce grazie soprattutto alla vena dei musicisti coinvolti.

Tracklist
1. Sinister Scherzo
2. Longing for Gondwanaland
3. Memento Mori
4. All Good Things Died Here
5. The Crushing Weight of Eternity
6. The Peaceful Beauty of Brutal Justice
7. Can’t Make Me Hate You
8. One Foot in Forever
9. Gazing at Medusa

Line-up
Ted Kirkpatrick – Drums, Bass
Aaron Guerra – Guitars, Vocals
Tim “Ripper” Owens – Vocals (guest musician)
Chris Poland – Guitars (guest musician)
Deen Castronovo – Vocals on “Gazing at Medusa” (guest musician)

TOURNIQUET – Facebook

Forlorn Seas – Exodus

Exodus è un buon inizio per i Forlorn Seas, con sette tracce ispirate che troveranno sicuramente il supporto degli amanti del metal moderno di matrice progressiva.

L’underground rock/metal riesce sempre a regalare ottime sorprese, magari in un momento di stanca come il periodo di fine anno quando di solito si tirano le somme dei dodici mesi trascorsi e si perde l’attenzione necessaria per assaporare nuove proposte.

I padovani Forlorn Seas sono una di queste, alla caccia di estimatori tra gli ascoltatori del metal progressivo di stampo moderno, un genere in cui il baratro della tecnica fine a sé stessa a danno di un sound più emotivo e fruibile diventa sempre più profondo; la giovane band se ne esce con questo lavoro maturo e passionale, nel quale la tecnica è al servizio di un metal dalle tinte dark e atmosferiche senza perdere quel tanto di carica estrema che basta per allontanare ogni dubbio sulla loro forza espressiva, bravi come si dimostrano nell’alternare metal estremo e post rock mantenendo la giusta tensione.
Non perdono il filo del discorso i musicisti veneti, rimanendo dentro i confini di un genere che trova nuova energia in brani come Lost Oracles, la seguente Oniricon o la più melodica Children Of Aton.
L’alternanza tra potenza elettrica ed armonie acustiche è quasi perfetta e permette all’ascoltatore di godere della musica del gruppo senza perdere la giusta attenzione, anche grazie al minutaggio non troppo elevato dei sette brani in programma.
Exodus è un buon inizio per i Forlorn Seas, con sette tracce ispirate che troveranno sicuramente il supporto degli amanti del metal moderno di matrice progressiva.

Tracklist
1.Lost Oracles
2.Oniricon
3.Children Of Atom
4.Crestfallen
5.Thirst
6.The Kingdom Below
7.Blossom

Line-up
Alberto Rondin – Vocals
Giovanni Lazzari – Guitar / Back vocals
Alessandro Casagrande – Guitar
Marco Michelotti – Drums
Nicola Guarino – Bass, Back vocals

FORLORN SEAS – Facebook

Barbarossastraße – Waiting In The Wings

Waiting In The Wings è un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Sembra facile suonare hard & heavy nel nuovo millennio quando, per quanto riguarda il rock, si è già detto tutto o quasi e le nuove tendenze portano ad una spettacolarizzazione della musica a discapito di impatto, attitudine e molte volte talento.

Nel genere in cui si muovono questi quattro rockers senesi, al secolo Barbarossastraße, l’impressione è quella di un ritorno prepotente allo spirito che regnava negli anni ottanta, specialmente nell’underground nel quale si muovono realtà che devono vedersela con i problemi di tutti i giorni, muovendosi forti di una passione mai doma tra serate in piccoli locali di provincia, un lavoro che reclama una sveglia che suona senza pietà all’alba e tanti sacrifici.
Waitings In The Wings è il loro secondo lavoro, licenziato dalla Volcano Records, un ottimo esempio di quello che è stata per una manciata d’anni la massima espressione del life style rock’n’roll e che vedeva come ombelico del mondo Los Angeles ed il suo Sunset Boulevard.
La copertina che ricorda non poco quella di Theatre Of Pain dei Motley Crue ci mette subito in guardia su quello che ascolteremo sul nuovo lavoro targato Barbarossastraße, ed infatti il sound ricorda nei brani più tirati lo storico gruppo statunitense che con gli Skid Row rappresenta la fonte d’ispirazione primaria per questi dieci brani.
La band si fa preferire quando preme sull’acceleratore dello sleazy metal e se ne esce con piccoli ma letali candelotti di dinamite come Backdraft, Nowhere Train, la trascinante ed irriverente On The Loose e I’ll Do It Again, ma è palese che tutto Waiting In The Wings funziona, tra veloci trame rock ‘n’ roll, mid tempo dal piglio heavy e ballad che placano l’elettricità sprigionata nell’aria dai Barbarossastraße.
Un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Tracklist
1.Here to Stay
2.Backdraft
3.Waiting in the Wings
4.Nowhere Train
5.Hereafter
6.On the Loose
7.Praise the Storm
8.Mexican Standoff
9.I’ll Do It Again
10.It Will Take Some Time

Line-up
Dario “TanzarHell” Tanzarella – Vocals
Riccardo “Richie” Ciabatti – Guitars
Alessandro “Pozze” Pozzebon – Bass
Marco “Lookdown” Guardabasso – Drums

BARBAROSSASTRASSE . Facebook

Slot – 15 (The Best Of)

Una buona raccolta per conoscere una realtà importante del metal/rock russo, una scena ancora parzialmente da scoprire e ricca di band e musicisti di grande valore.

Gli Slot sono una delle band russe più famose, essendo attivi dal 2002 e con sette full length pubblicati, oltre alla partecipazione a festival importanti dividendo il palco con le icone occidentali a cui la loro musica si ispira come Korn, Limp Bizkit e Guano Apes.

Nookie ne è la cantante, famosa in patria per aver partecipato con successo alla versione russa di The Voice, nonché leader della band che porta il suo nome e qui impegnata al microfono accanto all’alter ego maschile Cache.
Il sound si ispira all’alternative/nu metal statunitense, tra parti rap, scream, doppia voce e raffiche metalliche colme di groove che si alternano a campionamenti e spunti elettronici.
15 (The Best Of) celebra appunto i quindici anni del quintetto con una compilation dei brani più famosi, un inedito e quattro versioni alternative.
Rispetto ai Nookie, gli Slot sono più crossover, perché il metal qui è manipolato ad uso e consumo dell’anima rap, con i duetti tra i due cantanti che sono fondamentali per la riuscita di brani che, per il fan della scena statunitense di inizio secolo, potrebbero risultare abbastanza scontati.
E’ Nookie a fare la differenza, trattandosi di un’interprete che, nonostante la sua piccola stazza, esprime una forza ed una grinta da leonessa nel corso di diciannove brani dal buon appeal interpretati in maniera ispirata e convincente in ogni passaggio; grazie a lei la band non sfigura affatto al confronto con i colleghi a stelle e strisce, anche in virtù di brani che se non brillano per originalità originalità non mancano in impatto e attitudine crossover.
Una buona raccolta per conoscere una realtà importante del metal/rock russo, una scena ancora parzialmente da scoprire e ricca di band e musicisti di grande valore.

Tracklist
01.Khaos (Demo 2002)
02.Odni
03.2 voyny
04.7 zvonkov
05.Myortvye zvyozdy
06.Oni ubili Kenni
07.Sloy pepla
08.Doska (Live 2008)
09.Kukla Vudu
10.Alfa Romeo Beta Dzhulyetta
11.Zerkala (Live 2011)
12.Sumerki
13.Odinokie lyudi
14.Esli | 15. Prostochelovek
16.Boy! (Remaster 2015)
17.Mochit, kak hochet!
18.Strakh i agressiya
19. Krugi na vode (Radio Version)

Line-up
Nookie – Female Vocal
Cache – Male Vocals, Programming
ID – Guitar
Vasiliy GHOST Gorshkov – Drums
Nikita Muravyov – Bass

SLOT – Facebook

Kadavar – Live In Copenhaghen

La band dal vivo risulta una macchina da guerra hard rock e la track list, che pesca principalmente dall’ultimo album per poi fungere di fatto da best of dei lavori precedenti, è un susseguirsi di brani che uniscono influenze scomode come Black Sabbath e Led Zeppelin e il più moderno stoner rock, rilasciando essenze di rock blues condito da un’atmosfera di evocativo e drogato trasporto.

Nel viaggio a ritroso verso il mondo del rock di matrice settantiana, i tedeschi Kadavar sono una delle band che più hanno mostrato personalità e talento nel proporre sonorità che rispecchiano il sound di band che hanno fatto la storia e con le quali le nuove leve si devono obbligatoriamente confrontare.

Il trio nato a Berlino nel 2010, senza grossi clamori ha dato alle stampe quattro full length (di cui l’ultimo, Rough Time, uscito lo scorso anno) e oggi con il sempre fondamentale aiuto della Nuclear Blast, licenzia questo Live In Copenhagen, registrato lo scorso anno al Pumpehuset nella capitale danese durante il tour di supporto all’ultimo lavoro.
La band dal vivo risulta una macchina da guerra hard rock e la track list, che pesca principalmente dall’ultimo album per poi fungere di fatto da best of dei lavori precedenti, è un susseguirsi di brani che uniscono influenze scomode come Black Sabbath e Led Zeppelin e il più moderno stoner rock, rilasciando essenze di rock blues condito da un’atmosfera di evocativo e drogato trasporto, ma rimanendo legato a canzoni semplici e lineari, grintose nelle versioni live e dal facile ascolto.
I Kadavar sono la classica band che, senza strafare, suona del buon rock, convincendo all’istante anche se ci si ritrova al suo cospetto per la prima volta.
Ottima partenza con Skeleton Blues e poi via per gli arcobaleni vintage ricamati dal trio tedesco, in alcuni casi esaltati da scorribande hard rock come Pale Blue Eyes o Die Baby Die.
Con i Kadavar non esistono momenti di pausa, il rock duro, stonato e vintage della band continua a martellare gli astanti con riff sabbathiani che si intrecciano come serpenti nascosti all’ombra di rocce nel deserto, con il sole che schiaccia e le membra che diventano pesanti al suono della potente e monolitica Forgotten Past, uno dei brani più stonati di tutto il repertorio del gruppo.
La psichedelica Purple Sage conclude il concerto in un delirio retro rock e i Kadavar si congedano dai fans con il brano che più di altri si rivela la classica jam psych/hard/rock e si confermano una live band di alto livello: un live da non perdere se siete amanti di questo tipo di sonorità.

Tracklist
1. Skeleton Blues
2. Doomsday Machine
3. Pale Blue Eyes
4. Into The Wormhole
5. The Old Man
6. Die Baby Die
7. Black Sun
8. Living In Your Head
9. Into The Night
10. Forgotten Past
11. Tribulation Nation
12. Purple Sage

Line-up
Lupus Lindemann – Vocals, Guitars
Simon “Dragon” Bouteloup – Bass
Tiger – Drums

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Heir Apparent – The View from Below

Uno dei ritorni più riusciti degli ultimi anni con una band che, dopo tre decenni, regala un album magnifico.

Diciamolo francamente: le tante reunion, o ritorni più o meno importanti delle vecchie glorie del metal classico, molte volte lasciano l’amaro in bocca, essendo frutto di poca convinzione o di un’esaurita vena creativa che attanaglia i protagonisti, da anni fuori dalla scena e tornati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

I rockers d’annata aspettano così queste operazioni con la speranza di un ritorno ai vecchi fasti che puntualmente delude, a meno che non si abbia a che fare con gli Heir Apparent ed il loro nuovo lavoro, The View from Below.
La band di Seattle si ripresenta con un nuovo album dopo ventinove anni, essendo nata nella prima metà degli anni ottanta e resasi protagonista della scena metal progressiva con due capolavori come Graceful Inheritance, debutto sulla lunga distanza uscito nel 1986, e One Small Voice, licenziato dal gruppo nel 1989 un attimo prima che Seattle diventasse famosa per la scena grunge.
Quasi trent’anni quindi, prima di tornare a parlare del gruppo di Terry Gorle e di una sua nuova opera, licenziata dalla No Remorse Records, che risulta la classica eccezione che conferma la regola vista l’altissima qualità di queste otto nuove composizioni di alta classe.
Partendo da due dei gruppi protagonisti per decenni della scena heavy metal progressiva statunitense, come i Queensryche ed i Fates Warning, ci si inoltra verso un viaggio nel metal progressivo di alta scuola, prodotto benissimo, zeppo di raffinate melodie e composto appunto da otto perle che offrono il meglio del metal classico e melodico d’oltreoceano.
Con The View from Below vi scorderete di essere al cospetto di una band datata, lasciandovi trasportare dalle sinuose note progressive che fin dall’opener man In The Sky vi rapiranno, presi per mano dal nuovo cantante Will Shaw, protagonista assoluto di questo lavoro al pari con un songwriting che ha nelle trame epico/progressive di The Road To Palestine il suo punto più alto.
Non sono da meno gli altri brani, tra i quali ricordo la splendida Synthetic Lies, la potente Savior e il mid tempo progressivo dal titolo Insomnia, che conclude uno dei ritorni più riusciti degli ultimi anni con una band che, dopo tre decenni regala un album magnifico, e chiedere di più è impossibile.

Tracklist
1. Man in the Sky
2. The Door
3. Here We Aren’t
4. Synthetic Lies
5. Savior
6. Further and Farther
7. The Road to Palestine
8. Insomnia

Line-up
Will Shaw – Vocals
Terry Gorle – Guitar
Derek Peace – Bass
Ray Schwartz – Drums
Op Sakiya – Keyboards

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Vulcain – Vinyle

Vinyle è composto da undici brani che formano una valanga di note rock ‘n’ roll, con il piedino che batte il tempo e la voglia di essere davanti ad un palco in qualche locale della Parigi rock, a farsi travolgere dall’indomito sound di questi tre rockers d’annata, commoventi nel portare avanti lo spirito del rock dopo così tanti anni.

Sono passati cinque anni dall’ultimo lavoro e i Motorhead francesi, come da sempre sono soprannominati, tornano con questo esplosivo nuovo album intitolato Vinyle.

I Vulcain sono una delle band più longeve e famose della scena hard rock transalpina, dal 1981 capitanati dai fratelli Puzio (Vincent al basso e Daniel alla chitarra e voce), con Marc Varez fido batterista dal 1985.
Più di trent’anni a suonare hard rock, ipervitaminizzato da dosi massicce di rock ‘n’ roll di scuola Motorhead, per una band che del genere ha sposato sound ed attitudine, anche se non possiamo parlare di band clone del gruppo del compianto Lemmy, ma di un gruppo con una ben marcata personalità.
Nove full length, compilation, singoli e live vanno a formare una discografia numericamente importante, rendendo i Vulcain un’ottima alternativa ai soliti nomi, benché siano poco conosciuti fuori dai confini nazionali anche per la scelta di cantare in lingua madre, in grado di regalare ai fans del rock duro un altro ottimo lavoro che spazia tra l’impatto motorheadiano e una forte dose di melodie ispirate al classic rock.
Vinyle è composto da undici brani che formano una valanga di note rock ‘n’ roll, con il piedino che batte il tempo e la voglia di essere davanti ad un palco in qualche locale della Parigi rock, a farsi travolgere dall’indomito sound di questi tre rockers d’annata, commoventi nel portare avanti lo spirito del rock dopo così tanti anni.
Il trio alterna così brani fortemente ispirati da Lemmy e soci ad altri più melodici e classici, lasciando fuori dal sound l’anima punk della storica band inglese per un approccio più melodico, come nelle irresistibili Hèros, Blackline Music (dai richiami agli Ac/Dc), Dans Les Livres e Borderline.
Un album consigliato ovviamente ai fans del genere e ai fans dei Vulcain i quali non verranno sicuramente delusi da questa nuova uscita.

Tracklist
1. Vinyle
2. Héros
3. Backline Music
4. L’Arnaque
5. Darling
6. Décibels
7. Dans les Livres
8. L’Oseille
9. Borderline
10. Contrôle
11. Motör

Line-up
Daniel Puzio – Guitar, vocals
Vincent Puzio – Bass, backing vocals
Marc Varez – Drums, backing vocals

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Hammerfall – Legacy Of Kings – 20 Year Anniversary Edition

Esaltante, melodico, spettacolare nelle ritmiche che sanno di heavy metal, ma che, con la forza del power, sbaragliano la concorrenza, Legacy Of Kings è un album magnifico, ovvero il metal nella sua espressione più semplice, diretta, epica e dall’appeal irresistibile.

Il tempo vola e, ultimamente, a scandire gli anni che passano ci pensa la Nuclear Blast, almeno per chi di metal vive da un po’, con le sue preziose ristampe e versioni deluxe per festeggiare anniversari di uscite importanti.

Tocca agli ormai storici Hammerfall ed al loro secondo splendido lavoro, Legacy Of Kings, ritornare in bella mostra nelle vetrine dei negozi specializzati, con questa nuova versione che celebra il ventesimo anno dall’uscita.
Era il 1998 e la band svedese capitanata dal vocalist Joacim Cans e dal chitarrista Oscar Dronjak doveva confermare la qualità espressa nel clamoroso Glory To The Brave, debutto con il botto e prima battaglia per il guerriero Hammerfall.
Legacy Of Kings forma, con il primo lavoro, una coppia stratosferica unita dalla stessa forza, potenza e melodia che contraddistinguerà il sound del gruppo anche se, a mio avviso, non più a questi livelli.
Ho sempre paragonato i primi due album degli Hammerfall alla stregua dei primi due Iron Maiden, tanto per ribadire il grande impatto con il quale il gruppo si affacciò sulla scena metal classica in anni in cui il nord Europa si riprendeva il trono del genere.
Esaltante, melodico, spettacolare nelle ritmiche che sanno di heavy metal, ma che, con la forza del power, sbaragliano la concorrenza, Legacy Of Kings è un album magnifico, ovvero il metal nella sua espressione più semplice, diretta, epica e dall’appeal irresistibile.
Non ci eravamo sbagliati vent’anni fa e il fatto che oggi siamo qui a parlare degli Hammerfall e di Legacy Of Kings lo dimostra, quindi per i collezionisti e per le nuove leve non rimane che consigliare questa ristampa sotto forma di due cd e di un dvd che comprendono la versione rimasterizzata dell’album, varie versioni demo e live …Let The Hammerfall!

Tracklist
1. Heeding The Call
2. Legacy Of Kings
3. Let The Hammer Fall
4. Dreamland
5. Remember Yesterday
6. At The End Of The Rainbow
7. Back To Back
8. Stronger Than All
9. Warriors Of Faith
10. The Fallen One
11. Eternal Dark
12. I Want Out
13. Man On The Silver Mountain
14. Legacy Of Kings (Live Medley 2018)
15. Heeding The Call (live)
16. Let The Hammer Fall (Live 2017)
17. Legacy Of Kings (live)
18. At The End Of The Rainbow (live)
19. Stronger Than All (live)
20. Heeding The Call (demo)
21. Let The Hammer Fall (demo)
22. Warriors Of Faith (demo)
23. Back To Back (demo)
24. At The End Of The Rainbow (demo)
25. Dreamland (demo)

Line-up
Patrik Räfling – Drums
Joacim Cans – Vocals
Oscar Dronjak – Guitars, Vocals (backing)
Stefan Elmgren – Guitars
Magnus Rosén – Bass

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Ancient Bards – Origine – The Black Crystal Sword Saga Part 2

Il sound di questo nuova opera targata Ancient Bards è eccellente come ci hanno abituato questi guerrieri nostrani delle sette note, tra esplosioni di metal dal piglio cinematografico, cavalcate heavy power, sublimi canti e growl possenti in uno spettacolo di fuochi d’artificio metallico.

Il 2019 non poteva iniziare meglio, almeno per quanto riguarda il symphonic power metal, ed il merito di questa sfavillante partenza è degli Ancient Bards, probabilmente la migliore band nel genere battente bandiera tricolore ed una delle più convincenti in senso assoluto.

Siamo solo al quarto album ma non è un’eresia parlare del gruppo romagnolo come la punta di diamante di un stile musicale che nel nostro paese ha avuto grandi band ed artisti di spessore.
Sara Squadrani e soci hanno fatto passare cinque anni per dare un successore al bellissimo A New Dawn Ending e, grazie ad una campagna di crowdfunding, il nuovo lavoro, che prosegue nel concept iniziato nel 2010, vine licenziato tramite la Limb Music.
Origine – The Black Crystal Sword Saga Part 2, che presenta il nuovo membro ufficiale, il chitarrista Simone Bertozzi, è composto da dieci brani per quasi un’ora in un mondo magico persi tra le note che formano spettacolari scenari epic fantasy.
Il sound di questo nuova opera targata Ancient Bards è eccellente come ci hanno abituato questi guerrieri nostrani delle sette note, tra esplosioni di metal dal piglio cinematografico, cavalcate heavy power, sublimi canti e growl possenti in uno spettacolo di fuochi d’artificio metallico.
Il singolo Impious Dystophia, le meraviglie sinfoniche di Fantasy’s Wings, le fughe epico orchestrali di Titanism, la potenza sinfonica della seriosa ed oscura Hollow e la splendida chiusura con la suite The Great Divide, quattordici minuti di Ancient Bards al massimo del loro splendore, sono alcuni dei validi motivi per non perdere questo ennesimo bellissimo lavoro.

Tracklist
01. Origine
02. Impious Dystopia
03. Fantasy’s Wings
04. Aureum Legacy
05. Light
06. Oscurità
07. Titanism
08. The Hollow
09. Home Of The Rejects
10. The Great Divide Part 1 – Farewell Father Part 2 – Teardrop Part 3 – Il Grande E Forte Impero
11. Eredità Aurea (CD only Bonus Track)

Line-up
Daniele Mazza – keyboards & orchestrations
Claudio Pietronik – guitars
Sara Squadrani – vocals
Federico Gatti – drums
Martino Garattoni – bass
Simone Bertozzi – guitars & growls

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Heidra – The Blackening Tide

Gli Heidra non si limitano alla spettacolarizzazione del genere ma offrono una cinquantina di minuti di metal che, alle non poche ispirazioni classiche, aggiunge tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere, tra puntate estreme e splendide melodie che evocano guerrieri e dei, altopiani innevati e gelidi venti.

Ottimo lavoro questo The Blackening Tide, secondo capitolo dal taglio viking power metal dei danesi Heidra, che già avevano ben figurato con l’esordio Awaiting Dawn ma che superano le aspettative con questa raccolta di brani pregni di melodie epico guerresche, atmosfere viking ed irruenza power metal.

Al growl, sempre presente nelle parti più cattive del sound, si affianca una voce pulita evocativa e dalle sfumature epiche che, sommata alle caratteristiche principali del sound, completa una proposta assolutamente convincente.
La band danese accontenta e soddisfa gli amanti di questo tipo di sonorità con una serie di tracce molto suggestive e varie, alternando sfuriate power, mid tempo epici e guerreschi e quel tocco folk di matrice scandinava che non dispiace mai.
Gli Heidra non si limitano alla spettacolarizzazione del genere ma offrono una cinquantina di minuti di metal che, alle non poche ispirazioni classiche, aggiunge tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere, tra puntate estreme e splendide melodie che evocano guerrieri e dei, altopiani innevati e gelidi venti, che da nord portano influenze melodic death nei momenti più estremi.
The Blackening Tide è un album che si ascolta tutto d’un fiato, uno splendido esempio di metal nordico nobile, glorioso, epico ed avvincente, mai al sotto una qualità che rimane ottima in tutti i brani presenti, trovando in The Price Is Blood, A Crown Of Five Fingers e la title track i propri picchi.

Tracklist
1.Dawn
2.The Price in Blood
3.Rain of Embers
4.Lady of the Shade
5.A Crown of Five Fingers
6.The Blackening Tide
7.Corrupted Shores
8.Hell’s Depths

Line-up
Martin W. Jensen – Guitars (lead), Vocals
Morten Bryld – Vocals
Carlos G.R. – Guitars
Dennis Stockmarr – Drums
James Atkin – Bass

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