Beyond Deth – The Age Of Darkness

Il gruppo statunitense è perfettamente in grado di far convivere le varie anime che aleggiano all’interno di questa raccolta di brani dallo spirito oscuro e battagliero ma con un lato melodico ben definito.

The Age Of Darkness è il debutto su lunga distanza dei Beyond Deth, band proveniente da Chicago e attiva dal 2013.

Il genere proposto è un ottimo thrash metal dalle atmosfere oscure, ben strutturato e pregno di melodie heavy.
L’album è composto da nove brani più intro, si odono echi di power metal statunitense che affiorano tra le trame dark del lavoro, maligno quanto basta per piacere ad un raggio abbastanza ampio di ascoltatori.
Infatti, i brani alternano sfuriate black/thrash a cavalcate metal che ammiccano alla tradizione: esempio lampante Burn His Eyes, traccia che come un vento di burrasca sfoga la sua furia con ritmiche black, per poi sciorinare riff di scuola thrash ed heavy come una versione black degli Iced Earth di Burnt Offerings.
Bellissimi sono gli interventi acustici che, senza smorzare l’atmosfera infernale che aleggia sull’opera, donano momenti di ampio respiro, mentre è già ora di un furioso headbanging con la devastante title track.
Iced Earth ed Arch Enemy si contendono la paternità di Memories Of War, prima che un assolo di stampo death arrivi come un tornado e che Search The Stars, preceduta dagli arpeggi acustici di Instrumental, riassuma il sound e le tutte influenze che hanno ispirato The Age Of Darkness.
Il gruppo statunitense è perfettamente in grado di far convivere le varie anime che aleggiano all’interno di questa raccolta di brani dallo spirito oscuro e battagliero ma con un lato melodico ben definito.

Tracklist
1.Enter The End
2.The Cold
3.Age Of Darkness
4.Burn His Eyes
5.Beyond Deth
6.Rip Out Your Soul
7.Memories Of War
8.Goddess Isis
9.Instrumental
10.Search The Stars

Line-up
Jon Corston – Guitars, Vocals
Matt Baranski – Drums
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BEYOND DETH – Facebook

The Mild – Coffin Tree

Una scarica di adrenalina hardcore, resa ancora più estrema da un’anima grind, spogliata da inutili orpelli e rivestita di attitudine stoner per una jam assurda tra gli Entombed di Wolverine Blues e i Corrosion of Conformity del sottovalutato IX, il tutto proveniente da un’umida cantina veneta.

Quando si preme il tasto play si viene investiti da una scarica di adrenalina hardcore, resa ancora più estrema da un’anima grind, urgente e senza compromessi, spogliata da inutili orpelli e rivestita di attitudine stoner per una jam assurda tra gli Entombed di Wolverine Blues e i Corrosion of Conformity del sottovalutato IX, il tutto proveniente da un’umida cantina veneta.

Ovviamente i The Mild ci aggiungono un’attitudine underground ancora più accentuata, per mezzora di calci e pugni in pieno volto, rabbiosi e devastanti; la band carica il fucile di micidiali pallettoni che, fin dall’opener The Lord Has Fallen, provocano enormi crateri.
Il loro modo di esprimersi è volutamente scorretto, diretto e brutale, i riff di cui si compongono i brani sono torturati ed alternano il classico mood stoner, potente e rallentato da attimi di sludge/doom a ferali e veloci esempi di metal estremo tra hardcore e grind.
Il bello è che Coffin Tree, nel suo essere estremamente underground, si fa ascoltare che è un piacere, quindi non allarmatevi se il vostro ultimo dito rimasto ancora intatto premerà di nuovo quel maledetto tasto, perché la voglia di farsi male supera il dolore inferto dai colpi che, impietosi, si abbattono al suono di Forced Detention, Undeserving Entities e The Complaint Daily Press.
I The Mild picchiano come dei fabbri intenti a lavorare una lega indistruttibile di metal estremo: il fuoco arde ed il liquido incandescente provoca reazioni stoner/hardcore/grind metal potentissime e devastanti, e in più pare che dal vivo siano assolutamente letali …

Tracklist
1.The Lord Has Fallen
2.Slow Decay
3.Forced Detention
4.The Letter
5.Human Roots
6.Undeserving Entities
7.Against You
8.Endless Misunderstanding
9.Catharsis
10.The Complaint Daily Press

Line-up
Alessandro Cossu – Drums
Andrea Alfier – Bass Guitar
Vanny Piccoli – Guitar/Vocals

THE MILD – Facebook

Bodyfarm – Into Battle

E’ un oscuro macigno estremo quanto viene offerto da questi olandesi, il cui sound si sporca di sangue, risultando micidiale ed epico come la migliore tradizione insegna.

Nuovo ep per i Bodyfarm, dal 2009 in perenne guerra con il mondo attraverso un death metal old school potente e senza compromessi.

E’ un oscuro macigno estremo quanto viene offerto da questi olandesi, il cui sound si sporca di sangue, risultando micidiale ed epico come la migliore tradizione insegna.
Un primo ep omonimo e poi tre full length nel giro di quattro anni sono le mine anti uomo seppellite dal gruppo di Amersfoort, prima che l’arrivo di questo nuovo Into Battle tornasse a far lucidare i cannoni con Bolt Thrower scritto in rilievo sulla lunga bocca di fuoco.
Il mini album è composto da quattro brani (più intro) assolutamente old school, con il vocione di Thomas Wouters a dettare le condizioni della resa davanti all’esercito completamente distrutto dai colpi inferti dai Bodyfarm.
Non è certo una proposta originale questa, ma con un death metal dall’impatto potentissimo il gruppo olandese non lascia spazio a tentennamenti, si posiziona sulla trincea e spara cannonate ad altezza uomo spazzando via tutto con le note di Bodyfarm, della marziale Final Redemption, della veloce Heartraped e del macigno finale Slaves Of War.
Ep che potrebbe essere un succoso anticipo del full length che verrà, Into Battle rappresenta il grido disumano che invita alla battaglia.

Tracklist
1.Into Battle
2.Bodyfarm
3.Final redemption
4.Heartraped
5.Slaves Of War

Line-up
Quint Meerbeek – Drums
Thomas Wouters – Guitars, Vocals
Alex Seegers – Bass
Bram Hilhorst – Guitars

BODYFARM – Facebook

Gabriels – Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers

Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tra i molti talenti della scena della scena metallica tricolore, il tastierista e compositore Gabriels è uno dei più attivi, dai Platens ai molti progetti a cui ha prestato il suo estro, fino alla sua ottima carriera solista che lo ha visto impegnato con il concept dal tragico tema riguardante i fatti dell’11 settembre 2001 (Prophecy) e in seguito l’inizio della saga Fist Of The Seven Stars, con il primo capitolo (Act 1, Fist Of Steel) uscito un paio d’anni fa, del quale questo nuovo lavoro è il seguito.

Tra le due opere il tastierista nostrano ha registrato Over the Olympus – Concerto for Synthesizer and Orchestra in D Minor Op. 1, uscito all’inizio dell’anno e riuscito esperimento nel suo coniugare la musica classica di un’orchestra con i suoni moderni del suo synth.
La firma con Rockshots Records porta dunque alla seconda opera che racconta il mondo del manga giapponese “Hokuto no Ken”, di Tetsuo Hara and Buronson, e le avventure di Kenshiro, uno dei personaggi più noti al grande pubblico.
Come ci ha piacevolmente abituati, Gabriels si contorna di ottimi musicisti e cantati della scena metal nazionale ed internazionale, un gruppo numeroso di ospiti che valorizza il sound creato per la storia che poggia, ovviamente sullo strumento principale suonato dal nostro, ma lascia comunque spazio ad ogni protagonista impegnato nel fare di Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers l’ennesima splendida opera.
Una decina di cantanti, con Wild Steel nei panni di Ken, una serie di ottimi chitarristi, ed una sezione ritmica che vede alternarsi cinque bassisti ed altrettanti batteristi (dei quali scoprirete i nomi in fondo alla recensione per non fare torto a nessuno, visto il livello assoluto di ciascuno) aiutano così Gabriels in questa nuova avventura dal sound rock/metal, melodico e progressivo, a tratti animato dal power, valorizzato da virtuosi interventi solistici del sempre ispiratissimo synth, ma senza mai perdere il filo del racconto in musica, piacevole da ascoltare e, a tratti, esaltato da una vena epica che glorifica bellissime melodie metal/prog.
Più di un’ora di esperienza uditiva tutta da vivere, mentre i personaggi della storia compaiono nella nostra mente al suono delle melodie metalliche incastonate tra lo spartito dell’opener The Search Of Water Bird, della bellissima prog/aor End Of Cobra, dell’epico incedere di Scream My Name e della monumentale Myth Of Cassandra.
Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tracklist
01.The search of water bird
02.Cobra clan
03.End of Cobra
04.I see again
05.Scream my name
06.Miracle land
07.I’m a genius
08.Looking for your brother
09.Myth of Cassandra
10.Reunion
11.Legend of fear
12.King of fist

Line-up
Wild Steel (Shadows of Steel) as Ken
Jo Lombardo (Metatrone, Ancestral) as Ray
Rachel “Iron Majesty” Lungs as Mamiya
Dario Grillo (Platens, Violet Sun) as Toky
Alfonso Giordano (Steel Raiser) as Wiggle
Iliour Griften (Beto Vazquez’ Infinity, Clairvoyant) as Amiba
Antonio Pecere (Crimson Dawn) as Raoul
Dave Dell’Orto (Drakkar, Verde Lauro) as Jagger
Beatrice Bini (Constraint, Vivaldi Metal Project) as Aylee
Matt Bernardi (Ruxt) as Cobra Boss

Guitars:
Antonello Giliberto
Francesco Ivan Sante dall’ò
Stefano Calvagno (Metatrone)
Antonio Pantano (Arcandia)
Tommy Vitaly
Frank Caruso (Arachnes)
Daria Domovik (Concordea)
Andrew Spane
Stefano Filoramo

Bass:
Dino Fiorenza (Metatrone)
Beto Vazquez (Beto Vazquez’s Infinity)
Adrian Hansen
Fabio Zunino
Arkadiusz E. Ruth (Path Finder)

Drums:
Mattia Stancioiu (ex-Vision Divine, ex- Labirynth)
Simone Alberti (Gabriels)
Giovanni Maucieri (Gabriels)
Michele Sanna (Coma)
Salvo Pennisi

GABRIELS – Facebook

Surgery – Absorbing Roots

Il genere offerto è death metal scandinavo, debitore delle storiche band che fecero fuoco e fiamme nei primi anni novanta, con un tocco melodico che per ispirazione non esce dai confini della penisola.

I deathsters slovacchi Surgery sono nati all’alba del nuovo millennio e ci hanno messo quasi dieci anni per licenziare il loro primo lavoro, l’ep Pulled by the Rope.

Dopo due anni, esattamente nel 2012 i cinque musicisti provenienti da Poprad debuttarono sulla lunga distanza con l’album Descent seguito sei anni dopo da questa fialetta di nitroglicerina old school chiamata Absorbing Roots.
Il genere offerto è death metal scandinavo, debitore delle storiche band che fecero fuoco e fiamme nei primi anni novanta, con un tocco melodico che per ispirazione non esce dai confini della penisola: Absorbing Roots è servito in tutta la sua carica estrema, esplosivo, a tratti un vero tornado di note da far battere il piedino a gente come Entombed ed At The Gates.
La title track mette subito in chiaro la natura assolutamente devota al genere dei Surgery, quindi niente di innovativo, ma perfettamente in grado di far rivivere l’impatto dei primi leggendari lavori usciti venticinque anni fa dalla scena svedese.
Il refrain lo si canta dopo il primo minuto, mentre Clinic Death, il riff melodico di Paradise su cui il gruppo costruisce un brano in stile Edge Of Sanity, Hands In Chains, potente e dal micidiale groove entombiano, valorizzano un lavoro sicuramente di nicchia ma da scoprire se siete amanti di queste sonorità.
Peccato per la copertina, brutta in verità, ma a noi interessa la musica, quindi Absorbing Roots è assolutamente promosso e consigliato.

Tracklist
1.Absorbing Roots
2.Clinic Death
3.Image in the Mirror
4.Paradise
5.River in Silence
6.Hands in Chains
7.Mental Demise
8.Grime
9.Depressive Reality

Line-up
Rastislav Šelleng – Vocals
Rado Body – Guitars
Miroslav Tatranský – Guitars
Peter Mikolaj- Drums
Robo “Hrdza” Hanečák – Bass

SURGERY – Facebook

None Dare Call It Conspiracy – Pawns And Kings

Groove, growl, clean vocals, accenni thrash e core, in un contesto di moderno metallo dal buon appeal, sono gli ingredienti con cui la band si presenta in modo convincente ai fans del genere.

Tramite Wormholedeath i finlandesi None Dare Call It Conspiracy danno un seguito al loro debut album uscito nel 2013 (Tales Of The Lost).

Il gruppo nativo di Helsinki ha dovuto vedersela con un continuo rimescolamento nella formazione che, in questo momento, risulta di sei elementi pronti a conquistare il proprio posto nella scena estrema metallica moderna.
Groove, growl, clean vocals, accenni thrash e core, in un contesto di moderno metallo dal buon appeal, sono gli ingredienti con cui la band si presenta in modo convincente ai fans del genere.
Pawns And Kings è composto da undici brani sparati con la potenza di un cannone ma estremamente melodici: il lavoro delle chitarre è chiaramente ispirato al melodic death metal scandinavo, mentre sono le ritmiche che, tra groove, parti cadenzate e accelerazioni, imprimono al sound sterzate stilistiche senza perdere il filo di un discorso moderno e catchy.
Vanno via che è un piacere brani come Kingmaker, Dust e Nevermore, tripletta che fulmina l’ascoltatore, sorpreso da tanta veemenza melodica; a tratti Pawns And Kings riesce a prenderci per il collo e stringere, prima che uno stacco melodico o un verso in clean ci riporti a quelle melodie che sono il pane del sound proposto dalla band finlandese.
Un album consigliato agli amanti del metal moderno ma che sa regalare ottimi spunti anche ai fans del melodic death, approfittatene.

Tracklist
1.Kingmaker
2.Dust
3.Nevermore
4.Mirrors
5.Sheep Counting
6.Rise
7.The Shaming
8.Pawns and Kings
9.Sightlines
10.Pain
11.Sacrifice

Line-up
William Torrey – Vocals
Jani Elokoski – Guitar
Johannes Oravainen – Guitar
Jere Laitinen – Guitar, backing vocals
Toni Toikkanen – Bass, backing vocals
Ville Holmström – Drums

NONE DARE CALL IT CONSPIRACY – Facebook

Bastian – Grimorio

Album da non perdere assolutamente, come del resto tutte le opere di questo nostro talento nostrano, Grimorio prende in parte le distanze dai precedenti lavori per una più accentuata vena doom, con il groove a prendere il sopravvento sul sound, ma risultando ugualmente un album di classico hard & heavy firmato Bastian.

Il chitarrista siciliano Sebastiano Conti torna con il quarto album della sua creatura, Bastian, da una manciata d’anni una delle migliori espressioni dell’hard & heavy classico, prima con l’esordio Among My Giants uscito autoprodotto nel 2014 e poi ristampato l’anno seguente dalla Underground Symphony, ed in seguito con Rock Of Daedalus e Back To The Roots, licenziato lo scorso anno.

Contornato nei vari album da una bella fetta di icone del genere come Michael Vescera, Mark Boals, Vinnie Appice, John Macaluso e Apollo Papathanasio, il chitarrista nostrano si affida questa volta a nuovi musicisti come James Lomenzo al basso (Ozzy Osbourne, Megadeth, Black Label Society), Federico Paulovich (Destrage) alla batteria e al cantante danese Nicklas Sonne (Defecto, Theory), formando un quartetto compatto e più vicino al concetto di vera e propria band.
Grimorio porta con sé una sterzata stilistica importante, con il gruppo che ci sbatte sul muso dieci pezzi di granito hard rock dalle chiare influenze sabbathiane, non dimenticando che siamo nel 2018 e che il groove è diventato l’arma letale per sfondare con forza bruta i cuori dei rockers odierni.
Black Sabbath da una parte e Black Label Society dall’altra, un mix letale di hard groove rock che non dimentica la lezione di chi fino ad ora era stato ispirazione importantissima per la musica dei Bastian, ovvero i Led Zeppelin ed il loro hard blues.
Si parte da qui per un altro ottimo lavoro, tutto cuore, passione, sudore e talento, con la chitarra di Conti che segue le coordinate tracciate da quel mostro di Zakk Wylde, nel genere il miglior chitarrista vivente, per un lotto di brani in cui regna sua maestà il riff.
Le prestazioni singole sono eccezionali: James Lomenzo e Federico Paulovich formano una sezione ritmica tellurica, Nicklas Sonne si dimostra cantante di razza e Conti, senza strafare, conferma la sua bravura alla sei corde, uscendo ancora una volta vincitore con mazzate inferte senza pietà come l’opener Pale Figure che dà il via alle danze con la sua maestosa ed oscura atmosfera doom.
Ancora il blues acido di The Trip, l’hard & heavy sabbathiano era Dio di Southern Tradition, lo splendido hard rock di The Time Has Come, la danza psichedelica Epiphany’s Voodoo e la conclusiva Fallen Gods contribuiscono a fare di Grimorio un mastodontico pezzo di meteorite in caduta libera sul pianeta Terra.
Album da non perdere assolutamente, come del resto tutte le opere di questo nostro talento nostrano, Grimorio prende in parte le distanze dai precedenti lavori per una più accentuata vena doom, con il groove a prendere il sopravvento sul sound, ma risultando ugualmente un album di classico hard & heavy firmato Bastian.

Tracklist
01.Pale Figure
02.Sly Ghost
03.The Trip
04.Infinite Love
05.It’s Just A Lie
06.Southern Tradition
07.The Time Has Come
08.Epiphany’s Voodoo
09.Black Wood
10.Fallen Gods

Line-up
Sebastiano Conti – Guitar
Nicklas Sonne – Vocals
James Lomenzo – Bass
Federico Paulovich – Drums

BASTIAN – Facebook

Pentarium – Zwischenwelt

I Pentarium licenziano un lavoro convincente, ispirato dalla scena scandinava e pregno di atmosfere ombrose, che nei brani cantati in tedesco accentuano la vena gotica e marziale di cui si ammantano le varie tracce.

Con i Pentarium siamo al cospetto di un melodic death metal scandinavo ma in arrivo dalla Germania, cantato sia in lingua madre che nel classico idioma inglese: un concentrato di metal estremo nel quale melodie oscure, cavalcate selvagge e più moderni synth costituiscono la struttura portante del sound di Zwischenwelt, secondo album della band in uscita per Boersma Records.

Il gruppo licenzia così un lavoro convincente, ispirato come scritto dalla scena scandinava e pregno di atmosfere ombrose, che nei brani cantati in tedesco accentuano la vena gotica e marziale di cui si ammantano le varie tracce.
Buono l’uso della doppia voce, con un growl profondo a giocare con lo scream, mentre si viaggia ad andatura sostenuta con synth e tastiere che fanno da tappeto alle scorribande death metal del sestetto.
Dark Tranquillity e Scar Symmetry sono le band che più si avvicinano al combo tedesco, sia come impatto che nell’uso delle atmosfere che non lasciano trapelare un raggio di luce dall’oscurità che avvolge l’album.
Tra i brani spiccano l’opener 13, Abschied, le melodie tragiche di Wo Worte Wersagen, con i tasti d’avorio a ricamare armonie melanconiche, mentre in Dämon il synth porta con sé un’anima black, prima che il refrain torni sui binari del death melodico.
Vor Dem Sturm, cantata in tedesco e con la voce pulita, è la degna chiusura dark rock di questo gioiellino oscuro che consigliamo a tutti gli amanti del metal estremo, melodico e dalle tinte dark/gothic, bellissimo nei momenti in cui l’anima melodrammatica insita nella tradizione germanica prenda il sopravvento sulla parte più ispirata al melodic death metal.

Tracklist
1.13
2.Nekropolis
3.Flames
4.Rise of the Outer Gods
5.Abschied
6.Stare into Darkness
7.Wo worte versagen
8.Memoria
9.Dämon
10.Beyond
11.Nordlicht
12.Vor dem Sturm

Line-up
Carsten Linhs – Vocals
Hendrik Voss – Guitars
Florian Jahn – Guitars
Fabian Laurentzsch – Bass
Philip Burkhard – Keyboards/Synths
Max Peev – Drums

PENTARIUM – Facebook

This Void Inside – My Second Birth/My Only Death

Se siete amanti del gothic metal come dal più tradizionale dark rock, My Second Birth/My Only Death risulta un album molto suggestivo, in grado di mantenere un’alta qualità per tutta la sua durata e conseguentemente l’attenzione di chi ascolta.

Il dark rock ha sempre mantenuto un orgoglioso distacco dalle sonorità e dall’approccio metal almeno per tutti gli anni ottanta, più vicino per molti aspetti alla new wave.

Poi con l’arrivo dell’ultimo decennio del vecchio millennio, il successo del gothic metal ed i riferimenti alle band storiche del genere (i più gettonati sono Depeche Mode e Sisters Of Mercy) da parte di molte band metal, ha portato ad una più stretta vicinanza tra le sonorità notturne che vanno per la maggiore come dark, gothic e symphonic metal.
I romani This Void Inside fanno parte di quelle band che hanno sviluppato il proprio suono rimanendo legati ad un approccio più classico al genere, anche se non possono certo essere considerati un gruppo vintage così come neppure prettamente metal.
Gothic dark rock, quindi, dall’alto appeal e dalle ottime melodie, messe in risalto dalla sempre presente componente elettronica che rende il sound assolutamente perfetto per i club mitteleuropei, e di conseguenza dal respiro internazionale.
La band nasce nel 2003 come one man band dell’ex frontman dei My Sixth Shadow, Dave Shadow, in seguito trasformatasi in un gruppo a tutti gli effetti: My Second Birth/My Only Death è il secondo lavoro in uscita per Agoge Records, successore del debutto intitolato Dust uscito ormai dieci anni fa.
I This Void Inside sono fprmati da appunto Dave Shadow (voce, synth e programming), Saji Connor (basso), Frank Marrelli e Alberto Sempreboni (chitarre) e Simone “Some” Gerbasi (batteria), all’album hanno contribuito in veste di ospiti su di un brano, Max Aguzzi (Dragonhammer) e Diego Reali (ex DGM, Hevidence), mentre la produzione è stata affidata al boss della label Gianmarco Bellumori.
L’album è un ottimo esempio di gothic dark rock, tra tradizione e moderni spunti avvicinabili al metal, specialmente nei suoni delle chitarre a tratti granitici, mentre le splendide linee vocali, i cori e i refrain dall’appeal considerevole aiutano il fluido scorrere delle note romantico/notturne create dal gruppo; i brani sono caratterizzati da atmosfere che si insinuano nella testa, fluide ed eleganti, tra parti sintetiche e altre più rock creando la giusta alternanza tra le sfumature principali che animano il sound di brani come Relegate My Past, Trapped in a Daze, Losing My Angel e la teatrale The Artist and the Muse (dove compare un recitato in lingua madre).
Se siete amanti del gothic metal come dal più tradizionale dark rock, My Second Birth/My Only Death risulta un album molto suggestivo, in grado di mantenere un’alta qualità per tutta la sua durata e conseguentemente l’attenzione di chi ascolta: le band di riferimento che escono allo scoperto tra le trame del disco dipendono molto dal background di ognuno di voi, non resta che scoprirle senza indugi.

Tracklist
01. My Second Birth / My Only Death (Intro)
02. Betrayer MMXVIII
03. Relegate My Past
04. Memories’ Dust
05. Trapped In A Daze
06. Here I Am
07. Another Fucking Love Song
08. Losing My Angel
09. Meteora
10. Ocean Of Tears
11. All I Want Is U
12. Break Those Chains
13. The Artist And The Muse (Bonus Track)
14. Downtrodden (Bonus Track)

Line-up
Dave Shadow – Vocals,synths & programming
Saji Connor – Bass and backing vocals
Frank Marrelli – Lead guitars
Alberto Sempreboni – Rhythm guitars
Simone “Some” Gerbasi – Drums

THIS VOID INSIDE – Facebook

ShakesnaKe – Dynamite

Dynamite è composto da quattro brani diretti e senza fronzoli, quattro scariche adrenaliniche che accomunano per ispirazione varie icone del genere: di Motley Crue agli Skid Row, dai Twisted Sister ai Kiss, per un sentito e riuscito tributo ad uno dei periodi più splendenti per la nostra musica preferita.

L’hard rock stradaiolo proveniente dal Sunset Boulevard in quel di Los Angels tra i colori accesi degli spandex di metà anni ottanta, continua ad ispirare le nuove generazioni in un continuo party, relegato ormai all’underground ma in grado di smuovere montagne a colpi di adrenalinico rock’n’roll.

La Volcano Records, giovane label con un occhio di riguardo per le sonorità hard rock, licenzia Dynamite, nuovo esplosivo ep dei milanesi ShakesnakE, quintetto lombardo capitanati dal chitarrista e fondatore Roxy Snake.
Attivo dal 2013 e con qualche cambio nella line up da archiviare, il gruppo si presenta con un bagaglio di esperienza da cover band dei nomi classici dell’hard/street rock ottantiano e da qui prende spunto per creare il proprio sound.
Dynamite è composto da quattro brani diretti e senza fronzoli, quattro scariche di elettricità che accomunano per ispirazione varie icone del genere: dai Motley Crue agli Skid Row, dai Twisted Sister ai Kiss, per un sentito e riuscito tributo ad uno dei periodi più splendenti per la nostra musica preferita.
Si preme play e I Still Carry On vi catapulta direttamente sulle strade luccicanti davanti ad uno dei tanti locali che resero la città degli angeli la mecca per i rockers dai capelli cotonati; Same Old Shit conferma le prime impressioni destate dall’opener: gli ShakesnakE si presentano come belve affamate, azzannano e strappano carni con riff scolpiti sui muri del Whiskey a Go Go, attitudine e passione che esce prepotentemente da ogni nota di Lady Dynamite e dalla conclusiva Like A Loaded Gun.
Un cantante dotato di un timbro metal (Riky”basto” Snake) imprime una grinta heavy da non sottovalutare e, come il titolo promette, il lavoro risulta una piccola bomba pronta ad esplodere.
In attesa di sviluppi discografici sulla lunga distanza, Dynamite si può certamente considerare un biglietto da visita di tutto rispetto per gli ShakesnakE.

Tracklist
1. I Still Carry On
2. Same Old Shit
3. Lady Dynamite
4. Like A Loaded Gun

Line-up
Roxy Snake- rythm guitar and backing vocals
Riky”basto” Snake-vocals
Red Snake-lead guitar
Lixxy Snake- bass
J.J. “bala”Snake-Drums

SHAKESNAKE – Facebook

ISA – Chimera

Un lavoro che affiora come una piacevole sorpresa dall’underground estremo e che merita di non essere ignorato.

Nell’ultimo anno le uscite estreme di stampo progressivo ed ultra tecnico non mi avevano impressionato un gran che.

A parte i lavori sempre più importanti della frangia progressiva del metal estremo scandinavo, come Barren Earth o Leprous, o quelle che hanno investito il mercato di sublime qualità e provenienti dalla lontana India (Demonic Resurrection e Fragarak), le tante opere che sono arrivate in redazione per quanto riguarda il genere hanno lasciato l’amaro in bocca per un songwriting soffocato dalla ossessiva ricerca del funambolico tecnicismo fine a se stesso.
Questa one man band statunitense chiamata ISA, realtà progressiva appannaggio del polistrumentista e compositore Dan Curhan, invece, riesce nel non facile intento di regalare agli amanti del metal estremo progressivo un’opera che torna a dare importanza alla forma canzone, in un’emozionante saliscendi di note estreme, jazz e deliberatamente psichedeliche.
Nove movimenti più intro ed outro, nove brani costruiti su stratificazioni musicali che vedono il death metal come base solida su cui lavorare, tra sperimentazioni e psychedelic rock d’avanguardia, un sodalizio riuscito tra metal estremo e un unione di stili che si può sicuramente chiamare rock, ma che trova nell’anima sperimentale dei Cynic la sua naturale ispirazione.
Si sale sull’ottovolante ISA per non fermarsi più, almeno per una quarantina di minuti, tra tecnica sopraffina ma elegante, sfuriate ritmiche ed atmosfere che alleggeriscono la pressione, ma non la tensione come se si aspettasse che qualcosa accada, da un momento all’altro (Freedom).
Splendidi i ricami progressivi sulla notevole Heathens e spettacolari le corse sullo spartito della feroce Evil, un paio di brani che risultano il perfetto sunto di quello che ha composto Dan Curhan.
Un lavoro che affiora come una piacevole sorpresa dall’underground estremo e che merita di non essere ignorato.

Tracklist
1.[dusk]
2.STAGE I – Descent
3.STAGE II – Fear
4.STAGE III – Heathens
5.STAGE IV – Evil
6.STAGE V – Reflection
7.STAGE VI – Lust
8.STAGE VII – Freedom
9.STAGE VIII – Ocean
10.STAGE IX – Recursion
11.[dawn]

Line-up
Dan Curhan – Everything

ISA – Facebook

Welcome Coffee – The Mirror Show

Bravi ed originali, gli Welcome Coffee danno vita ad un sound intrigante ed assolutamente fuori dai soliti cliché: la curiosità per una nuova prova sulla lunga distanza è davvero tanta.

Dietro il monicker Welcome Coffee troviamo cinque musicisti attivi nella scena alternativa di Trieste: la loro storia è fatta di un precedente ep (Box #2) uscito nel 2013, un primo full length (Uneven) licenziato nel 2015, uno scioglimento avvenuto dopo l’uscita dell’album ed un ritorno nel 2016.

The Mirror Show è il nuovo ep di cinque brani inediti con cui la band torna sul mercato cercando di rivedere i propri ed i nostri confini in materia musicale.
Un rock che si nutre di elettronica e rock alternativo, per poi evolversi in qualcosa di più progressivo e scivolare piano verso il rock made in Italy, se poi in tutto questo aggiungete una marea di piccoli ma importantissimi dettagli, allora il sound del gruppo diventa davvero originale, magari ostico se gli ascolti abituali sono appunto confinati ad un solo genere.
Stefano Ferrara al basso, Andrea Parlante alle tastiere, Davide Angiolini batteria, Andrea “Armando” Scarcia al microfono e Bill Lee Curtis alla chitarra, non si lasciano intimidire da barriere e catene: la musica viaggia libera tra funky, metal lampi di musica elettronica dura come l’acciaio forgiato dai Nine Inch Nails, per divertirsi con l’alternative rock dei Primus o dei geniali Faith No More e poi, come d’incanto, prendere una chitarra acustica, l’armonica e lasciare che la bellissima Come Potevo ci ricordi che anche il rock italiano degli anni novanta ha regalato grande musica (Timoria).
Se vi sembra che il sound racchiuso in questo lavoro metta troppa carne al fuoco, niente di più sbagliato, tutto funziona a meraviglia e la band ne esce vincitrice.
Bravi ed originali, gli Welcome Coffee danno vita ad un sound intrigante ed assolutamente fuori dai soliti cliché: la curiosità per una nuova prova sulla lunga distanza è davvero tanta.

Tracklist
Stefano Ferrara – Bass guitar
Andrea Parlante – Keyboards
Davide Angiolini – Drums
Andrea Scarcia – Vocals
Bill Lee Curtis – Guitars

Line-up
1.The Mirror Show
2.Doppelgänger
3.Come Potevo
4.116
5.Notte Araba

WELCOME COFFEE – Facebook

1968 – Ballads Of The Godless

Un album bellissimo, un trip claustrofobico ed ipnotico che si prende la scena di questa prima metà dell’anno per quanto riguarda le sonorità stoner.

Negli assolati meandri desertici dello stoner rock nascono e crescono realtà psichedeliche e vintage di grande spessore, molte volte nascoste nell’ombra dell’underground mondiale, ma pronte ad accendere la miccia che farà esplodere sonorità estremamente coinvolgenti come quello dei 1968, band proveniente dal Regno Unito, e del loro primo album sulla lunga distanza, Ballads Of The Godless.

La band, nata nel 2013, aveva legato il suo credo musicale a due ep, usciti tra il 2016 e il 2017 (1968 EP e Fortuna Havana) e ora, tramite la HeviSike Records, ci consegna questo macigno stoner psichedelico che, in quaranta minuti, ci porta nel deserto della Sky Valley anni prima del successo di Kyuss e compagnia, quindi negli anni settanta.
Ed infatti il sound del gruppo viaggia stordito da una serie di brani pesantissimi, pregni di danze rituali in nome di un hard rock dal retrogusto settantiano, psichedelico come quello suonato sul finire degli anni sessanta (da qui si può certo ricavare la scelta del monicker), strafatto di hard blues e psych rock.
Il quartetto di rockers britannici ci investe con tutta la sua potenza espressiva, il doom cerca di uscire alla luce, presente ma soffocato dalla presenza dell’hard rock e delle influenze che dagli anni settanta, arrivano sulla soglia dell’ultimo decennio del secolo scorso, tra Led Zeppelin e QOTSA, Black Sabbath e Sleep, in un vortice di rock dall’alto contenuto tossico e stordente.
Evocativo il canto, potentissima la base ritmica, drogati i riff di chitarra che compongono fumose canzoni come Devilswine, Temple Of The Acidwolf e Chemtrail Blues, sorta di No Quarter di zeppeliniana memoria suonata a cinquanta gradi in mezzo al deserto, e seguita dal superbo ed ipnotico blues di McQueen.
Un album bellissimo, un trip claustrofobico ed ipnotico che si prende la scena di questa prima metà dell’anno per quanto riguarda le sonorità stoner.

Tracklist
1.Devilswine
2.Screaming Sun
3.Temple of the Acidwolf
4.S.J.D.
5.Chemtrail Blues
6.McQueen
7.The Hunted
8.Mother of God

Line-up
Jimi Ray – Vocals
Sam Orr – Guitar
Tom Richards – Bass Guitar
Dan Amati – Drums

1968 – Facebook

Black Space Riders – Amoretum Vol.2

Nel suo complesso, anche questa seconda parte si porta a casa un giudizio positivo: anche se di difficile assimilazione il sound prodotto dai Black Space Riders troverà estimatori tra i fruitori del rock vintage.

Come avevano promesso, i rockers tedeschi Black Space Riders tornano, a distanza di pochi mesi dal primo capitolo, con Amoretum Vol.2.

Si continua a parlare di amore, oscurità e luce in un mastodontico lavoro di settanta minuti che è un viaggio nell’hard rock vintage, o se preferite nella New Wave of Heavy Psychedelic Spacerock, come la band definisce il proprio suono.
L’album è perfettamente in linea con il primo capitolo, con tutti i pregi e i difetti riscontrati qualche mese fa, quindi nulla cambia da Amoretum Vol.1, continuando la tradizione del gruppo (giunto al sesto album) nell’unire hard rock, space e psych rock e post punk.
Unendo i due album si parla di più di due ore di musica, un’opera monumentale che risulta a tratti prolissa e con soluzioni ripetute all’infinito, un difetto non marginale se consideriamo la natura rock’n’roll del sound creato dai Black Space Riders.
Come nel primo album, anche questa seconda parte vive così di alti e bassi con brani che si animano di un’urgenza punk rock come Assimilating Love, e altri nei quali le influenze tornano a far parlare di Pink Floyd e del David Bowie versione starman (Take Me To The Stars).
Comunque ricca di melodia, l’opera offre sicuramente una panoramica esaustiva sulle ispirazioni e sul credo musicale della band tedesca, assolutamente coraggiosa nel proporre un album di questa lunghezza in un genere e in anni nei quali il tempo per assimilare musica è ridotto all’osso dall’urgenza di un mercato schizofrenico.
Nel suo complesso, anche questa seconda parte si porta a casa un giudizio positivo: anche se di difficile assimilazione il sound prodotto dai Black Space Riders troverà estimatori tra i fruitori del rock vintage.

Tracklist
Chapter Three:
1. Before my eyes
2. LoveLoveLoveLoveLoveLoveLoveLove Love (Break the pattern of fear)
3. Walls away
4. Slaínte (Salud, dinero, amor)
5. Assimilating love

Chapter Four:
1. In our garden
2. Leaves of life (Falling down)
3. Body move

Chapter Five:
1. Take me to the stars
2. Ch Ch Ch Ch pt. I (The ugly corruptor)
3. Ch Ch Ch Ch pt. II (Living in my dream)

Chapter Six:
1. Chain reaction
2. No way
3. The wait is never over

Line-up
JE – lead vocals, guitars, keys, electronics
SEB – lead vocals, keys, percussion, electronics
C.RIP – drums, percussion, digeridoo
SLI – guitars
MEI – bass guitar

BLACK SPACE RIDERS – Facebook

Nightraid – Indians

I Nightraid non inventano nulla, ma prendono gli strumenti, accendono gli amplificatori e suonano del buonissimo hard rock con attitudine e passione, serve altro?

Sono passati quattro anni da quando vi avevamo parlato, in occasione dell’uscita del primo demo omonimo di quattro brani, dei rockers umbri Nightraid, tornati a risplendere con questo debutto sulla lunga distanza intitolato Indians.

Al timone troviamo sempre Andrea Cocciglio, cantante di razza con un passato death, ma assolutamente a suo agio alle prese con l’hard & heavy del gruppo che attinge a piene mani dalla tradizione nazionale (Pino Scotto, Strana Officina).
Nove brani cantati in italiano, nove adrenaliniche tracce dove l’hard rock trova la sua casa, quaranta minuti di musica dall’attitudine live, perfetta per palchi montati davanti a rockers motorizzati e della vecchia guardia, guerrieri indomiti che seguono la strada tracciata dai Nightraid.
Cocciglio asseconda la sua naturale somiglianza vocale con il grande Pino Scotto senza scimmiottarlo ma, con molti meno anni ed eccessi nell’ugola, affronta con grinta brani dall’ottimo impatto come l’opener Stand By, Bombe A Gaza e la super ballata Indians, dal blues che scorre tra le corde delle chitarre come sangue nella prateria.
Nightraid è l’inno del gruppo, mentre quale giusto tributo arriva la cover di uno dei brani più belli di Pino Scotto, la drammatica, intensa e tragica Dio Del Blues, con il rock’n’roll di Misteri e la dirompente Zasko a concludere in modo esplosivo questo ottimo lavoro.
I Nightraid non inventano nulla, ma prendono gli strumenti, accendono gli amplificatori e suonano del buonissimo hard rock con attitudine e passione, serve altro?

Tracklist
01.Stand By
02.Sinergie
03.Bombe a Gaza
04.Indians
05.Nightraid
06.Overcast
07.Dio del Blues (cover)
08.Misteri
09.Zasko

Line-up
Andrea Cocciglio – vocals
Andrea Assogna – guitars
Alessandro Assogna – guitars
Leonardo Paluzzi – bass
Andrea “Uora” Frabotta – drums

NIGHTRAID – Facebook

Gates Of Doom – Forvm Ivlii

Un ep di tre brani incentrato sulla storia del Friuli in epoca romana, raccontata tramite un metal estremo epico e melodico, senza rinunciare a sfumature atmosferiche che vanno dal folk all’acustico per poi travolgerci con furiose impennate death/black.

Epic melodic death metal molto suggestivo quello dei nostrani Gates Of Doom, quintetto ispirato dalla scena svedese, in particolare dagli Amon Amarth, anche se il gruppo friulano scaglia frecce dalle piume di diversi colori, rendendo il sound piacevolmente vario e personale il giusto per distinguersi dagli storici esponenti nord europei.

Nata nel 2012 per volere del chitarrista Manuel Scapinello e del batterista Davide Zago, la band ha subito negli anni molti cambi di line up dando vita al primo ep omonimo nel 2015e tornando, quindi, dopo tre anni con Forvm Ivlii, ep di tre brani incentrato sulla storia della nascita del Friuli in epoca romana, raccontata tramite un metal estremo epico e melodico, senza rinunciare a sfumature atmosferiche che vanno dal folk all’acustico per poi travolgerci con furiose impennate death/black degne di una tempesta di neve sulle Alpi Carniche.
Una ventina di minuti registrati, mixati e prodotti da Davide Zago, un assalto sonoro che ha nelle melodie sempre presenti l’arma in più dei Gates Of Doom, notevoli quando le due chitarre affilano le lame e affondano il colpo con cavalcate epiche che ricordano ovviamente gli Amon Amarth; perfetto l’uso della voce , con il growl e lo scream a penetrare gli scudi nemici e parti recitate ed evocative a rendere l’atmosfera ancora più epica e solenne.
Così si sviluppano i tre brani presenti, tutti molto ben strutturati e di notevole impatto: ora manca solo per la band di tuffarsi nella mischia e per poi alzare sulla cime delle montagne il primo album su lunga distanza, un passaggio naturale per entrare di prepotenza nella scena estrema nostrana per la porta principale.

Tracklist
1. Forvm Ivlii
2. Under the grey Mountains
3. Limes

Line-up
Stefano Declich – Vocals
Manuel Scapinello – Guitar
Samuele Nonino – Guitar
Vittorio Serra – Bass
Giulia Zuliani – Drums

GATES OF DOOM – Facebook

Necroexophilia – Intergalactic Armageddon

Intergalactic Armageddon è un album ad uso e consumo dei fans più estremisti, un macigno violento che tra veloci scorrerie ritmiche, cadenzate e malate cavalcate brutal, lascia qualcosa per quanto riguarda la produzione e in una formula ripetuta all’infinito.

L’invasione aliena di cui i Necroexophilia si fanno portavoce non è senza dubbio pacifica: le creature venute dallo spazio profondo hanno conquistato il pianeta e schiavizzato gli esseri umani, annientati da tanta violenza e crudeltà.

Il duo proveniente dagli States racconta le atrocità riservate agli uomini da parte degli alieni, una carneficina raccontata al suono brutale di un slamming death metal senza compromessi, dove il growl è un abominio vocale proveniente da un abisso in chissà quale sperduto pianeta.
Secondo full length, dunque, per questo duo formato da Tommy Rouse al microfono e Justin McNeil che si divide tra batteria e chitarra, attivo da quattro anni e con il debutto (Frantic Visions Of A Xenogod) licenziato nel 2014, anno di inizio dell’invasione aliena.
Brutal death metal e grind si fondono per portare dolore e morte tra un’umanità ormai allo stremo, i rumori gutturali che accompagnano la musica estrema del combo vomitano blasfemie e crudeli racconti di sofferenza, dall’intro Multiverse Demolishment, passando per le nove tracce che compongono Intergalactic Armageddon: un album ad uso e consumo dei fans più estremisti, un macigno violento che tra veloci scorrerie ritmiche, cadenzate e malate cavalcate brutal, lascia qualcosa per quanto riguarda la produzione e in una formula ripetuta all’infinito.
Vero che il genere è questo, ma il duo appare leggermente statico nel seguire le alterne atmosfere con l’album che fatica a decollare, risultando sufficiente solo per i gusti di qualche fan del brutal death.

Tracklist
1.Multiverse Demolishment
2.Amongst The Cosmic Carnage
3.Intergalactic Armageddon
4.Imploding Sphere Of Mass Deformation
5.Hyperspace Homicide
6.Interstellar Universal Overpopulation
7.Abysmal Empyreal Upheaval
8.Ebullism Asphyxiation
9.Erupting Seas Of Noxius Plasma
10.Quantum Catastrophe

Line-up
Tommy Rouse – Vocals
Justin McNeil – Drums, Guitars

NECROEXOPHILIA – Facebook

Osada Vida – Variomatic

Variomatic è un lavoro che vuol essere raffinato e a tratti ci riesce, ma risulta discontinuo nel tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore.

Le strade del rock progressivo questa volta ci portano verso est e precisamente in Polonia, dove gli Osada Vida, una delle band di genere più popolari da quelle parti, licenziano il loro settimo full length intitolato Variomatic.

Il gruppo dà quindi un seguito al precedente Particles, uscito tre anni fa, senza cambiare nulla della solita formula che li vede approcciarsi ad un progressive rock tra tradizione settantiana ed ispirazioni in linea con i nuovi protagonisti odierni del genere.
Variomatic risulta quindi un quadro musicale vario, nutrito da molti dei colori del rock progressivo e lontano da quelle soluzioni heavy ormai di prassi nel genere.
Tastiere presenti in abbondanza, ritmiche che non alzano mai il tono soft e chitarre che a tratti si sfogano in solos raffinati, smarriscono parzialmente il loro impatto quando la voce, troppo monocorde, prende il sopravvento ed appiattisce l’atmosfera di brani tecnicamente suonati discretamente ma che non trovano mai la chiave emozionale giusta.
Di fatto, Variomatic è un lavoro che vuol essere raffinato e a tratti ci riesce, ma risulta discontinuo nel tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore alle prese con brani come l’opener Missing o l’ottima Catastrophic, dalle reminiscenze progressive di estrazione britannica, episodi che consentono di elevare il valore dell’album fino alla sufficienza.
Yes, Steve Wilson e il new prog inglese sono sicuramente i paragoni più calzanti con il sound di Variomatic, un album che difficilmente uscirà dai confini del genere e quindi dai gusti degli amanti del progressive rock.

Tracklist
1.Missing
2.Eager
3.Fire Up
4.The Line
5.The Crossing
6.Melt
7.Catastrophic
8.In Circles
9.Good Night Return
10.Nocturnal

Line-up
Łukasz Lisiak – bass
Janek Mitoraj – guitars
Rafał “r6” Paluszek – keys
Marek Romanowski – drums

OSADA VIDA – Facebook

Pànico Al Miedo – Formador

Il gruppo suona molto bene, le canzoni però faticano a decollare soffrendo di una leggera prolissità che porta a quasi un’ora di metal cristallino e potente, ma che non arriva mai al dunque.

I catalani Pànico Al Miedo debuttano sulla lunga distanza con Formador, lavoro che segue di tre anni l’ep omonimo.

L’album si presenta con tutti i crismi di un’opera a cui non manca davvero nulla per solleticare i fans del genere: produzione nelle mani di Juan Orteaga (Testament, Exodus, Machine Head), il master lasciato a Jens Brogen (Kreator, Opeth, Amon Amarth) e cover creata da Ed Repka (Death, Megadeth, Venom).
Il quintetto di Barcellona aggiunge di suo una buona tecnica ed un songwriting in linea con le produzioni di genere, l’anima death rimane confinata nell’uso del tono estremo tra scream e growl, neanche troppo indicato per il sound creato dal gruppo che, valorizzato dal gran lavoro in studio, corrisponde ad un thrash metal di matrice americana.
Il gruppo suona molto bene, le canzoni però faticano a decollare soffrendo di una leggera prolissità che porta a quasi un’ora di metal cristallino e potente, ma che non arriva mai al dunque.
E’ comunque notevole il lavoro delle due chitarre, sia in fase ritmica che solista, precisa senza mai strafare la sezione ritmica, mentre la voce come scritto in precedenza non rispecchia il sound di cui si compone Formador.
Megadeth, ed Exodus sono le band che più ispirano il combo catalano e la sua musica, sulla quale sicuramente ci sarà da lavorare in futuro se si vorrà giustificare il dispiego di forze esibito in questo lavoro che vede come ospiti due chitarristi leggendari come James Murphy (Formador) e Bobby Koelbe (Cebos Vivos, Formador).

Tracklist
1.Intro-Popol Vuh
2.Formador
3.La Fuente
4.Hermanos De Sangre
5.Cebos Vivos
6.Rompe El Cepo
7.Bautizado Por La Arrogancia
8.Punos
9.No Voy A Perder
10.Asfixiar Con Verbo
11.El Final De la Grandeza
12.Outro-Popul Vuh
13.Formador

Line-up
Marc Jufrè – Vocals
Jordi Creus – Guitars
Pep Bruguera – Guitars
Al Drumer – Drums
Chiri Lopez – Bass
URL Facebook

PANICO AL MIEDO – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari
Voto
65
Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Thrash/Death Metal 6.50

Extremity – Coffin Birth

Coffin Birth è un album di duro e puro metal estremo di stampo death, in cui l’attitudine e l’impatto giocano un ruolo fondamentale e per questo verrà sicuramente amato dai fans del genere.

Da Oakland, cittadina bruciata dal sole californiano, ma che a giudicare da Coffin Birth offre segni di vita anche nei profondi abissi sotto le sue strade, arrivano gli Extremity, death metal band dall’animo crust e dalle influenze old school.

Formata da musicisti provenienti da una manciata di gruppi estremi attivi sul territorio (Vastum, Ludicra, Agalloch, Repulsion, Cretin), la band licenzia il primo full length, una mazzata estrema che coniuga una bella fetta del death metal mondiale pescando a piene mani sia dalla scuola americana che da quella europea, e rende il tutto ancora più potente e senza compromessi con dosi massicce di attitudine crust/punk, e una cascata di riff che fanno trasparire anche qualche trovata melodica, incastonata tre le trame di un sound diretto ed ignorante.
Coffin Birth / A Million Witches apre le ostilità, l’approccio è fin da subito devastante, si sente che l’esperienza accumulata in anni di metal estremo porta i musicisti a non sbagliare un colpo, anche se quello che conta è la forza d’impatto.
Ottimi sono i tanti rallentamenti al limite dei doom, che la band sciorina tra terremoti ritmici (Umbilicus, Like Father Like Son) e sfuriate belligeranti, in un delirio estremo ispirato a Exhumed, Repulsion, Autopsy, Bolt Thrower e Asphyx.
Coffin Birth è un album di duro e puro metal estremo di stampo death, in cui l’attitudine e l’impatto giocano un ruolo fondamentale e per questo verrà sicuramente amato dai fans del genere ed è a loro che viene quindi consigliato.

Tracklist
1. Coffin Birth / A Million Witches
2. Where Evil Dwells
3. Grave Mistake
4. Umbilicus
5. For Want Of A Nail
6. Occision
7. Like Father Like Son
8. Misbegotten / Coffin Death
Line-up

Shelby Lermo – Guitars, Vox, Bass, Organ, Piano
Marissa Martinez-Hoadley – Guitars, Vox
Aesop Dekker – Drums

EXTREMITY – Facebook