Æpoch – Awakening Inception

Awakening Inception è un album che unisce tecnica sopraffina ad un buon songwriting, cosa non da poco per un gruppo al primo lavoro sulla lunga distanza.

Dall’Ontario arriva un tumultuoso death metal tecnicissimo che non conosce ostacoli suonato dagli Æpoch band nata sei anni fa e al debutto sulla lunga distanza con Awakening Inception, album composto da dieci brani molto vari e splendidamente progressivi.

Il quartetto canadese ha dato vita ad un’opera intensa ed assolutamente estrema: il growl si alterna ad un furioso scream, le ritmiche a tratti vicine al black o al thrash fanno da tappeto ad inserti di musica che vanno oltre il metal, per abbracciare soluzioni jazz e fusion.
Niente di nuovo, perché soluzioni di questo genere sono già state usate in passato, ma c’è da dire che gli Æpoch non si fanno pregare in quanto a rabbioso estremismo sonoro, in un contesto tecnico fuori dal comune.
I quattro musicisti (Brett Macintosch, Greg Carvalho, Kyle Edissi e Taylor Wroblewski) risultano dei veri maestri del proprio strumento, virtù che valorizza un songwriting efficace e che non perde di vista, tra ghirigori strumentali e tele progressive, la forma canzone.
I brani che compongono Awakening Inception hanno caratteristiche che si alternano tra loro rendendo l’ascolto vario, così da passare dal technical death metal, al black furioso e progressivo, da parti strumentali fuori contesto metallico a solos di estrazione classica o thrash.
Delirium Of Negation, Tabula Rasa, le intricate sfumature death della notevole Serenity Of Non-Existence e la devastante title track vi porteranno alla mente più di un gruppo ispiratore del sound di questo lavoro: dai Cynic, ai Morbid Angel, dai Death agli Between The Buried And Me, passando per Behemoth e Testament.
In conclusione, Awakening Inception è un album che unisce tecnica sopraffina ad un buon songwriting, cosa non da poco per un gruppo al primo lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist
1.Time-Perspective (Ouroborus Reborn)
2.Delirium Of Negation
3.The Expiration
4.Tabula Rasa
5.Mentally Raped By Christ
6.Burn Them At The Stakes
7.Serenity Of Non-Existence
8.Awakening Inception
9.Karmasphyxation
10.M.D.M.A (Methodical Doctor Murderous Acts)

Line-up
Brett Macintosch – Bass, Vocals
Greg Carvalho – Drums
Kyle Edissi – Guitras, B.Vocals
Taylor Wroblewski – Guitars

AEPOCH – Facebook

Into Eternity – The Sirens

The Sirens si rivela un lavoro ispirato, emozionante ed oscuro, tragico e potentissimo come da tradizione del gruppo canadese, che si muove a piacimento con la tecnica eccelsa dei suoi protagonisti, mantenendo ugualmente intatta la forma canzone ed un livello emozionale altissimo.

Questa bellissima opera progressiva ed estrema dal titolo The Sirens, accompagnata da una copertina altrettanto splendida, non è altro che il sesto lavoro dei progressive/deathsters canadesi Into Eternity, attivi da oltre un ventennio sulla scena progressiva mondiale.

Apprezzato tanto in ambito prog che in quello del death metal più tecnico, il quintetto, che vede impegnata dietro al microfono la cantante Amanda Kiernan, subentrata allo storico vocalist Stu Block, torna sul mercato dieci anni dopo The Incurable Tragedy, full length licenziato nel lontano 2008.
Dieci anni non sono passati invano e The Sirens si rivela un lavoro ispirato, emozionante ed oscuro, tragico e potentissimo come da tradizione del gruppo canadese, che si muove a piacimento con la tecnica eccelsa dei suoi protagonisti, mantenendo ugualmente intatta la forma canzone ed un livello emozionale altissimo.
L’album offre un’ora di evoluzioni progressive a velocità proibitive, tra death metal melodico, thrash, ed heavy metal, chorus evocativi, growl, clean vocals ed atmosfere epiche, in un quadro musicale progressivo entusiasmante.
The Sirens riesce a mantenere altissima l’attenzione dell’ascoltatore, lasciandolo a bocca aperta al cospetto di una band in evidente stato di grazia, tanto che diventa difficile nominare un brano rispetto ad un altro, anche se, per chi scrive, This Frozen Hell risulta l’apice di questo monumentale lavoro.
I cinque si scatenano in una tempesta di note, devastanti quando il ciclone infuria e la mareggiata si abbatte sulla costa (Sirens Of The Sea), splendidamente oscuri, drammatici e progressivi là dove la calma apparente ci fa tirare il fiato prima che il vento porti ancora umori tempestosi (Nowhere Near).
Gli Into Eternity, unendo in un solo sound dalla parola d’ordine progressive Iced Earth, Arch Enemy, Opeth e Symphony X, alimentano una serie di devastanti trombe marine: si salvi chi può.

Tracklist
1.The Sirens
2.Fringes of Psychosis
3.Sandstorm
4.This Frozen Hell
5.Nowhere Near
6.Devoured by Sarcopenia
7.Fukushima
8.The Scattering of Ashes

Line-up
Tim Roth – Guitar, Vocals
Matt Cuthbertson – Guitar
Troy Bleich – Bass, Vocals
Bryan Newbury – Drums
Amanda Kiernan – Vocals

INTO ETERNITY – Facebook

The Night Flight Orchestra – Sometimes The World Ain’t Enough

Hard rock melodico, arena rock, funky, dance, pop, fantascienza e porno soft da salette private in compagnia di fanciulle disinibite: come si può non amare i The Night Flight Orchestra?

I The Night Flight Orchestra o si amano alla follia o si odiano con altrettanta veemenza.

La band, nata su un tour bus nelle estenuanti giornate in attesa di salire sul palco e che vede coinvolti una manciata di musicisti della scena melodic death metal scandinava capitanati da quel ragazzaccio di Björn Strid (Soilwork), torna con un nuovo lavoro dopo un annetto dallo splendido Amber Galactic, confermando che questo è tutt’altro che un progetto estemporaneo, divenendo sempre più una priorità per i suoi protagonisti.
Ovviamente i deathsters duri e puri possono tranquillamente passare oltre: Sometimes The World Ain’t Enough è un altro straordinario viaggio tra la musica rock e dance a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, una raccolta di brani dall’appeal stratosferico che fanno l’occhiolino all’hard rock melodico così come alla pop/dance, tra luci che colorano le piste da ballo direttamente dalla Febbre Del Sabato Sera e i watt sprigionati nei concerti da arena rock negli anni d’oro del pomp rock.
Comunque la si giri, si continua a guardare all’ America ed ai suoi eccessi, in un’atmosfera che più vintage di così non si può: l’opener This Time sottolinea fin da subito il concept nostalgico e rock/pop che sta dietro a questo insolito progetto.
Strid sembra nato per cantare i ritornelli delle varie Turn To Miami, Speedwagon o della splendida Barcelona, le tastiere sono macchine del tempo che ci riportano ai tempi in cui i Toto imperversavano nelle classifiche, e le ritmiche accendono luci funky e pop nelle discoteche della New York da bere e ballare.
Ovviamente avvicinarsi a questo ennesimo bellissimo lavoro vuol dire dimenticarsi completamente per un’oretta della provenienza dei sei musicisti al comando della navicella musicale (siamo sempre nell’immaginario sci-fi di serie b) The Night Flight Orchestra, per godere degli eccessi stilistici di un’era definitivamente dimenticata dai più, ma in cui la band si cala perfettamente, si diverte e ci fa divertire; d’altronde le influenze che traspaiono sono il meglio che la musica rock/pop ha regalato negli anni d’oro.
Hard rock melodico, arena rock, funky, dance, pop, fantascienza e porno soft da salette private in compagnia di fanciulle disinibite: come si può non amare i The Night Flight Orchestra?

Tracklist
01.This Time
02.Turn To Miami
03. Paralyzed
04.Sometimes The World Ain’t Enough
05.Moments Of Thunder
06.Speedwagon
07.Lovers In The Rain
08.Can’t Be That Bad
09.Pretty Thing Closing In
10.Barcelona
11.Winged And Serpentine
12.The Last Of The Independent Romantics

Line-up
Björn Strid – Vocals
David Andersson – Guitars
Sharlee D‘Angelo – Bass
Richard Larsson – Keyboard
Sebastian Forslund – Guitars, Percussion
Jonas Källsbäck – Drums

THE NIGHT FLIGHT ORCHESTRA – Facebook

Battleroar – Codex Epicus

I Battleroar sanno maneggiare la materia con sagacia e Codex Epicus non delude le aspettative dei fans dell’epic metal con una serie di brani in linea con le caratteristiche peculiari del genere.

Si torna a parlare di epic metal con il nuovo album dei greci Battleroar, band che ha nelle sue fila il guerriero Gerrit Mutz, inesauribile vocalist dietro al microfono dei Sacred Steel.

Il nuovo album si intitola Codex Epicus, è stato registrato ai Devasoundz Studios di Atene e vede in veste di ospite il cantante e chitarrista dei Manilla Road Mark Shelton, protagonista assoluto sulla splendida Sword Of The Flame, brano oscuro, evocativo e picco qualitativo di questo ultimo lavoro.
Il quinto album nella storia del gruppo non si discosta più di tanto dai suoi predecessori, i Battleroar sanno maneggiare la materia con sagacia e Codex Epicus non delude le aspettative dei fans dell’epic metal con una serie di brani in linea con le caratteristiche peculiari del genere.
Più ruvido rispetto a Blood Of The Legends, precedente album che aveva nel violino di Alex Papadiamntis l’arma in più per rendere ancora più malinconico ed evocativo il sound, Codex Epicus è un ottimo album che possiede tutti i crismi per non deludere i tanti epic metallers sparsi per il mondo, in attesa che la battaglia abbia inizio tra gesta eroiche e gloria perenne.
I brani lenti, epici ed evocativi sono i più gettonati dalla macchina metallica Battleroar, e The Doom Of Medusa è l’altra perla di questo lavoro, con un Mutz all’altezza della sua fama, interpretativo come forse non lo era mai stato sull’album precedente.
Il corno saluta la marcia degli eroi in Palace Of The Martyrs, mentre il crescendo di Enchanting Threnody, epica cavalcata heavy metal, è il terzo gioiellino racchiuso in questo ottimo lavoro targato Battleroar.
Promosso a pieni voti, Codex Epicus non raggiunge i livelli del bellissimo To Death and Beyond… (2008), ma non tradisce sicuramente le attese degli amanti di queste sonorità: alzate le spade e rendete gloria ai Battleroar.

Tracklist
1. Awakening the Muse
2. We Shall Conquer
3. Sword of the Flame
4. Chronicles of Might
5. The Doom of Medusa
6. Palace of the Martyrs
7. Kings of Old
7. Enchanting Threnody
8. Stronghold (CD BONUS TRACK)

Line-up
Gerrit Mutz – Vocals
Kostas Tzortzis – Guitar
Michael Kontogiorgis – Guitar
Sverd – Bass
Greg Vlachos – Drums

BATTLEROAR – Facebook

Hirax – Born In The Street 1983-1984

Born In The Streets è un buon pretesto per tuffarsi nel clima metallico dei primi anni ottanta in compagnia di Katon De Pena e compagni, ottimi outsider della scena thrash metal statunitense.

La FOAD ristampa in vinile i primi demo degli Hirax, band dello storico cantante Katon De Pena, unico membro originale del gruppo rimasto in formazione dal lontano 1984.

Facente parte della scena di San Francisco, covo di fiere metalliche come Testament, Megadeth, Exodus e Metallica, la band ancora in attività (l’ultimo album si intitola Immortal Legacy ed è uscito nel 2014) ed è una delle più amate realtà della prima ondata thrash metal che invase il mondo musicale, anche se in termini commerciali rimasero un passo indietro rispetto alle band citate.
I demo di cui si compone Born In The Streets 1983/1984 sono Hirax, omonimo lavoro del 1984, e La Kaos, licenziato un anno prima, integrati da una manciata di brani inediti che fanno della compilation una chicca per gli amanti della band di Katon De Pena.
Influenzato dalla New Wave Of British Heavy Metal, il gruppo americano sfoggiava una rabbiosa grinta heavy speed, con la voce del cantante a valorizzare le fughe velocissime dei suoi compari e dimostrandosi come uno dei migliori interpreti della scena.
I brani inediti hanno la pecca del suono deficitario e da garage e rimangono essenzialmente delle testimonianze storiche interessanti per i fans e nulla più, mentre il demo omonimo dimostra di cosa fossero capaci gli Hirax quando decidevano di spingere a tavoletta.
La Kaos ci riserva il lato rock’n’roll della band con almeno due perle di hard & heavy come My Baby e She’s Man Killer, che tanto sanno di Thin Lizzy.
Born In The Streets è un buon pretesto per tuffarsi nel clima metallico dei primi anni ottanta in compagnia di Katon De Pena e compagni, ottimi outsider della scena thrash metal statunitense.

Tracklist
Side A
1.Born in the Streets
2.Battle Cry
3.Stand and Be Counted
4.Believe in the King
5.To Be Free
6.The Saviour
7.War Hero

Side B
8.Intro / Life Goes On
9.She’s Man Killer
10.My Baby
11.Y.B.D.
12.Runnin’

Line-up
Katon W. De Pena – Vocals
Steve Harrison – Bass
Lance Harrison – Guitars
Mike Vega – Drums

HIRAX – Facebook

Crawl – Rituals

I Crawl hanno dato alla luce un mostro sonoro che trasuda death metal old school: l’album ovviamente non dà tregua e per mezz’ora scarsa vi terrà incollati al muro con i piedi ad un palmo dal pavimento ed una mano scarnificata a stringervi il collo.

Quello dei Crawl è uno swedish death metal putrescente, di origine controllata, che farà non poche vittime tra i cultori del metal estremo old school.

Rituals è il primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo di Stoccolma, dedito appunto al genere nella sua forma più pura, un concentrato di violenza sonora che prende ispirazione dalla scena death metal scandinava di primi anni novanta.
La Transcending Obscurity non se li è fatta scappare, dopo le prime avvisaglie di quello che avrebbero potuto combinare lasciate nel demo I: Serpents e nell’ep Worship Death, licenziati nel 2015.
Rituals porta con sé tutto quanto serve per descrivere un album di swedish death, con riff lasciati a imputridire in qualche cimitero dimenticato nel tempo, con stop and go e ripartenze micidiali: un’atmosfera catacombale aleggia sui brani, mentre a tratti rallentamenti pesantissimi imprimono ancora più potenza al sound.
I Crawl hanno dato alla luce un mostro sonoro che trasuda death metal old school: l’album ovviamente non dà tregua e per mezz’ora scarsa vi terrà incollati al muro con i piedi ad un palmo dal pavimento ed una mano scarnificata a stringervi il collo.
Rituals si rivela un’opera esemplare in grado di rendere i Crawl un gruppo da tenere in grade considerazione da parte degli amanti del più puro swedish death.

Tracklist
1.Reject The Cross
2.Breathing Violence
3.The Stench
4.Black Ritual
5.Trail of Traitors
6.Sentenced To Rot
7.Cowards
8.Suffer
9.Coven of Servants

Line-up
Martin Sjögren – Guitars
Joachim Lyngfelt – Vocals
Ämir Batar – Drums
Ragnar Hedtjärn Ullenius – Bass

CRAWL – Facebook

Internal Suffering – Choronzonic Force Domination

Choronzonic Force Domination risulta un lavoro consigliato ai fans di Incantation, Morbid Angel, Decide e Immolation, nel caso se lo fossero perso al momento della sua prima uscita quattordici anni fa.

Giunge il momento della ristampa anche per i colombiani Internal Suffering e non poteva che riguardare il loro album migliore, quel Choronzonic Force Domination uscito nel 2004 per Displaced Records e prodotto nientemeno che da Erik Rutan (Morbid Angel, Hate Eternal, Ripping Corpse ed Alas).

Ovvio che, allora, la presenza di un protagonista così importante della scena estrema mondiale portasse un certo interesse nei confronti del gruppo da parte degli amanti del death metal più violento e brutale.
Interesse ben riposto visto il muro sonoro con cui gli Internal Suffering assaltano l’ascoltatore, un muro altissimo e spesso, invalicabile per chiunque non abbia confidenza con i suoni estremi.
Curato dalla Satanath Records, il ritorno sul mercato di Choronzonic Force Domination dimostra le capacità del gruppo colombiano, realtà di una scena conosciuta solo agli intenditori e messa in secondo piano dal sempre presente Brasile, quando si parla di metal sudamericano.
Si diceva del muro, altissimo ed invalicabile che i quattro brutali distruttori alzarono con questo lavoro che unisce una violenza sonora devastante ed un buona tecnica esecutiva, senza cedere di un passo in quanto ad impatto.
E qui emerge l’unico difetto riscontrato in Choronzonic Force Domination, essendo composto da tredici aggressioni sonore senza soluzione di continuità ma pure senza una minima variazione sul tema che possa dare quel tocco più vario e meno uniforme al lavoro.
Un dettaglio, per molti magari più che un semplice difetto, fatto sta che Choronzonic Force Domination risulta un lavoro consigliato ai fans di Incantation, Morbid Angel, Decide e Immolation, nel caso se lo fossero perso al momento della sua prima uscita quattordici anni fa.

Tracklist
1.Choronzonic Force Domination (I Am the Power 333 of the Tenth Aethyr!)
2.Summon the Gods of Chaos (Projected into the Abyss)
3.Across the Tenth Aethyr (Transcending into the Outerworlds)
4.Baphomet Invocation (Ancient Gods Return)
5.Legion (We, as One… Dominate!)
6.Dagon’s Rising (Macrocosmic Guardian of the Threshold)
7.Dispersion & Darkness (In the Outermost Abyss It Dwells)
8.Orbiting Chaosphere (Primal Chaos Manifestation)
9.Enter the Gate of Death (…into the Darkly Shinning World)
10.Internal Suffering – Enter The Gate Of Death (Original 1999 Version) [bonus track]
11.Internal Suffering – Choronzonic Force Domination (Rough Mix) [bonus track]
12.Internal Suffering – Summon The Gods Of Chaos (Rough Mix) [bonus track]
13.Internal Suffering – Thelemic Conqueror (Promo 2005) [bonus track]

Line-up
Fabio Marin – Vocals
Andres Garcia – Bass
Alex del Rey + Diego Alonso – Guitars
Wilson “Chata” Henao – Drums

INTERNAL SUFFERING – Facebook

Set Before Us – Vitae

I Set Before Us presentano la loro personale proposta di metal moderno dall’alto tasso melodico, ma anche pregno di rabbia sfogata in sfuriate che si rifanno tanto all’alternative metal quanto al moderno death metal.

Sembra che il metalcore si stia evolvendo in qualcosa di meno definito e più aperto ad influenze che vanno dall’alternative rock, al progressive, e ad ispirazioni che si rifanno alla scena new metal al melodic death.

Non sono poche ultimamente le band che, presentate come gruppo di genere, a ben sentire aprono i loro confini ad altri suoni, come è il caso degli svedesi Set Before Us, i quali presentano la loro personale proposta di metal moderno dall’alto tasso melodico, ma anche pregno di rabbia sfogata in sfuriate che si rifanno tanto all’alternative metal quanto al moderno death metal.
Niente che non si conosca, chiariamolo subito: in Vitae le influenze del gruppo proveniente da Stoccolma sono in bella mostra ed assolute protagoniste degli undici brani che compongono l’album, ma presentate con personalità, perfettamente amalgamate tra loro e tenute insieme da una prestazione vocale di altissima qualità, specialmente (e finalmente direi) nella parte in clean, troppe volte usate in modo superficiale e non all’altezza in altre realtà.
La band arriva così al primo lavoro sulla lunga distanza tramite la label statunitense Eclipse Records, dopo due ep licenziati tra il 2014 ed il 2016, confermando la buona qualità della propria musica e la riuscita alternanza tra i generi che compongono il metal moderno.
La bellissima The Eternal Flight ed Everest, per esempio, sono in tutto e per tutto due brani melodic death alla Soilwork, influenza obbligatoria se si suona metal in Scandinavia, mentre tra le prime quattro tracce e le successive ci si imbatte nelle suddette influenze ma con l’ascolto reso vario quel tanto che basta per arrivare a fondo corsa in un batter d’occhio.
Anche i Parkway Drive contribuiscono al bagaglio musicale che ha ispirato buona parte dei brani presenti su Vitae, rimane il fatto che i Set Before Us hanno confezionato un bel regalino per tutti i fans del metal moderno e melodico.

Tracklist
01. Untainted
02. Avalanche
03. Identity
04. Harbor
05. The Eternal Fight
06. Everest
07. Ignite
08. Haven
09. Fountain of Youth
10. Oblivion
11. Charon

Line-up
Niklas Edström – Guitar/Vocals
Erik Tropp – Vocals
Hampus Andersson – Bass
Jesper Nilsson – Guitar
Emanuel Borgefors – Drums

SET BEFORE US – Facebook

Old Man Wizard – Blame It All On Sorcery

Un’altalena tra le trame progressive e le potenti divagazioni heavy, questo risulta Blame It All On Sorcery senza mai sconfinare nei cliché del progmetal, bensì mantenendo un approccio hard rock ispirato ai nomi storici del progressive di quarant’anni fa.

Nuovo lavoro per il trio progressive heavy rock degli Old Man Wizard, dei quali MetalEyes vi aveva parlato riguardo al singolo apripista per questo album uscito sul finire dello scorso anno.

Attiva da sei anni e con un full length risalente ormai a cinque anni fa ed intitolato Unfavorable, uscito anche in versione strumentale, la band mantiene le promesse continuando imperterrita sulla strada a ritroso verso il progressive rock settantiano, qui rivisto in chiave più heavy, a tratti estrema con il contrasto tra la voce melodica ed il sound smaccatamente metallico e pregno di groove.
Un’altalena tra le trame progressive e le potenti divagazioni heavy, questo risulta Blame It All On Sorcery senza mai sconfinare nei cliché del prog metal, bensì mantenendo un approccio hard rock ispirato ai nomi storici del progressive di quarant’anni fa.
Innocent Hands e The Blind Prince sono i due brani ereditati dal singolo, con le restanti otto canzoni che sono ancora più incentrate su questo contrasto, a suo modo originale, tra i due generi che compongono l’idea di musica del gruppo americano, bravissimo nel partire con sferzate ritmiche al confine con il metal estremo per poi ritornare su lidi progressive di matrice Jethro Tull / Gentle Giant e poi riavvicinarsi al nuovo millennio con momenti di rock americano in Seattle style.
Quando il progressive rock prende il sopravvento, Somehow ci delizia con trame acustiche, mentre The Long-Nosed Wiseman conclude l’album in modo splendido, tra King Crimson e Black Sabbath.
Promesse mantenute dunque, ed album che trova posto tra i lavori di spicco nel panorama del metal/rock con un occhio rivolto al passato.

Tracklist
1.Beginnings and Happenstance
2.Sorcerer
3.The Blind Prince
4.Never Leave
5.Cosmo
6.Somehow
7.Innocent Hands
8.Last Ride of the Ancients
9.The Vision
10.The Long-Nosed Wiseman

Line-up
Andre Beller – Bass Guitar, Vocals
Francis Roberts – Guitar, Vocals, etc.
Kris Calabio – Drums, Vocals

OLD MAN WIZARD – Facebook

Ærgonaut – Destination Anywhere

Il sound di Destination Anywhere è composto da varie anime che si alternano e rendono l’ascolto vario e a suo modo originale, pur restando nei binari del metal progressivo, con sette brani che formano una lunga jam strumentale nella quale non troverete una nota fuori posto.

I tempi sono cambiati in ambito metal strumentale, e col passare del tempo ci ritroviamo sempre più spesso al cospetto di lavori che, oltre alla mera tecnica, cercano di trasmettere emozioni anche a chi non è per forza di cose un musicista e dal mondo delle sette note cerca emozioni.

Molti sono coloro i quali si cimentano in opere in cui la mancanza di una voce guida lascia libera l’immaginazione dell’ascoltatore, rapito dalle evoluzioni strumentali mai fine a se stesse ma esposte come colonne sonore, racconti in musica di viaggi come questo ottimo debutto intitolato Destination Anywhere, opera strumentale di Ærgonaut, polistrumentista e compositore italiano.
Destination Anywhere è proprio quello descritto in precedenza, un viaggio musicale lungo sette brani, dalla decisione di partire, ai timori del protagonista per quello che lo aspetterà lungo il tragitto che lo separa dalla Terra, un traguardo sospirato e raccontato con l’aiuto di un metal progressivo che non disdegna soluzioni moderne, tra elettronica, synth e ritmiche a tratti sincopate, ma subito alleggerite da splendide aperture melodiche.
I solos raccontano le emozioni che scaturiscono dalle varie peripezie che Ærgonaut incontra nel suo vagabondare, lo spazio e il suo infinito, mentre le note alternano momenti di ruvido metall, a progressive digressioni melodiche e atmosferiche parti vicino allo space rock.
Il sound di Destination Anywhere è composto da varie anime che si alternano e rendono l’ascolto vario e a suo modo originale, pur restando nei binari del metal progressivo, con sette brani che formano una lunga jam strumentale nella quale non troverete una nota fuori posto.

Tracklist
1. The Beginning
2. Planet
3. Little Trip
4. Boys On The Road
5. The Storm
6. The Binary Code
7. Arrival

Line-up
Ærgonaut – All Instruments

AERGONAUT – Facebook

Graveyard – Peace

Peace continua il viaggio dei Graveyard nella musica degli anni settanta, con un sound forse più immediato di altri ma pur sempre ricalcando la formula, ormai abusata, del classic rock animato da iniezioni di rock duro e drogato di psichedelia.

Il successo dei suoni vintage ha portato verso le più importanti etichette mondiali band che sarebbero rimaste nel più profondo underground, mentre oggi una label come Nuclear Blast (da sempre punto di riferimento per i fans del metal) si permette di avere nel proprio roster non poche realtà dai suoni che ricalcano il sound sviluppatosi nei leggendari anni settanta.

Un bene sia chiaro, specialmente per chi non ha mai smesso di ascoltare rock classico pur guardando allo sviluppo dei tantissimi generi e sotto generi a cui il metal ha dato i natali in quarant’anni di musica.
I Graveyard sono un quartetto svedese capitanato dal chitarrista e cantante Joakim Nilsson: dopo essersi sciolti poco più di un anno fa lasciando un fatturato di quattro album, ora arriva l’inaspettata reunion seguita dalla pubblicazione di Peace, nuovo lavoro con la novità Oskar Bergenheim alla batteria, sostituto del partente Axel Sjöberg.
Peace continua il viaggio dei Graveyard nella musica degli anni settanta, con un sound forse più immediato di altri ma pur sempre ricalcando la formula, ormai abusata, del classic rock animato da iniezioni di rock duro e drogato di psichedelia.
Questo significa Black Sabbath, The Doors, Led Zeppelin e Pink Floyd riletti secondo il credo di Nilsson e compagni, i quali riescono a divertire con un album fresco, composto da un lotto di brani che attirano gli amanti del rock radiofonico ma che sanno anche conquistare (quando vogliono) con atmosfere di blues desertico e psichedelico sopra le righe.
Del Manic e Birth Of Paradise sono il cuore pulsante e stordito dal sole di Peace, brani che alzano la temperatura dell’album, sanguigni e ricchi di quelle sfumature sporche di blues che sono il marchio di fabbrica delle nuove leve dell’hard rock.
Il resto viaggia con il pilota automatico: buone canzoni dure il giusto per piacere ai fans dell’hard rock con i jeans a zampa di elefante ed il sacchetto delle erbe medicinali a tracolla, facili da ascoltare in una serata estiva sulla spiaggia accompagnati da un falò.

Tracklist
1. It Ain’t Over Yet
2. Cold Love
3. See The Day
4. Please Don’t
5. The Fox
6. Walk On
7. Del Manic
8. Bird Of Paradise
9. A Sign Of Peace
10. Low (I Wouldn’t Mind)

Line-up
Joakim Nilsson – vocals, guitars
Jonatan La Rocca Ramm – guitars
Truls Mörck – vocals, bass guitar
Oskar Bergenheim – drums

GRAVEYARD – Facebook

Fates Warning – Live Over Europe

I Fates Warning sembrano non accusare lo scorrere del tempo e sono ancora un gruppo da seguire, sia nelle opere in studio che sul versante live, e Live Over Europe risulta appunto una tappa fondamentale non solo per i fans, ma per tutti gli amanti del progressive metal.

La musica progressiva ha trovato nel metal il suo alleato più fedele e se oggi glorifichiamo questo genere e tutte le sue diramazioni (anche quelle più moderne) il merito è anche dei Fates Warning, una delle prime band heavy metal a introdurre elementi progressivi nella propria musica.

Sono passati più di trent’anni da Night on Bröcken, ma i Fates Warning sono ancora in giro ad insegnare come si suona metal progressivo, raffinato, potente ed emozionale quel tanto per non trasformare un concerto in una sorta di  workshop didattico sulla tecnica esecutiva.
Tre decenni sono trascorsi, tra alti e bassi più che altro in termini di popolarità, mentre la qualità della musica prodotta è sempre stata di elevato livello, con album che sono entrati nella storia della nostra musica preferita e che risulta superfluo nominare.
A supporto dell’ultimo lavoro licenziato nel 2016 (Theories Of Flight), Ray Alder, Jim Matheos, Joey Vera, Bobby Jarzombek e Mike Abdow sono partiti per un tour europeo che li ha visti esibirsi sui palchi italiani, greci, tedeschi, ungheresi, sloveni e serbi, tutte prestazioni documentate in questo mastodontico prodotto di oltre due ore di musica straordinariamente metallica e progressiva.
I maestri sono tornati, la band che ha scritto alcune delle pagine più importanti del genere, ci regala un altro documento live un anno dopo aver celebrato il best seller Awaken The Guardian, con un doppio cd mixato da Jens Bogren (Opeth, Kreator, Symphony X, Haken) e masterizzato da Tony Lindgren ai Fascination Street Studios.
La track list, specialmente nel primo cd, è incentrata sui brani dell’ultimo lavoro che vengono affiancati dai brani storici, offrendo un raccolta esaustiva della musica del gruppo americano che mette in evidenza la forma smagliante dei musicisti, con un Ray Alder formidabile e tutta la band che sfoggia prestazioni degne della fama costruita in tre decenni.
I Fates Warning sembrano non accusare lo scorrere del tempo e sono ancora un gruppo da seguire, sia nelle opere in studio che sul versante live, e Live Over Europe risulta appunto una tappa fondamentale non solo per i fans, ma per tutti gli amanti del progressive metal.

Tracklist
CD 1:
1.From The Rooftops
2.Life In Still Water
3.One
4.Pale Fire
5.Seven Stars
6.SOS
7.Pieces Of Me
8.Firefly
9.The Light And Shade Of Things
10.Wish
11.Another Perfect Day
12.Silent Cries
13.And Yet It Moves

CD 2:
1.Still Remains
2.Nothing Left To Say
3.Acquiescence
4.The Eleventh Hour
5.Point Of View
6.Falling
7.A Pleasant Shade Of Gray, Pt. IX
8.Through Different Eyes
9.Monument
10.Eye To Eye

Line-up
Ray Alder – Vocals
Jim Matheos – Guitars
Joey Vera – Bass and Vocals
Bobby Jarzombek – Drums
Mike Abdow – Guitars and Vocals

FATES WARNING – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
85

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Progressive Metal 8.50

Orphan Skin Diseases – Dreamy Reflections

Dreamy Reflections è un viaggio di settanta minuti tra il metal/rock degli ultimi trent’anni, attraversato da un alone di oscuro e drammatico spirito dark e animato da ispirazioni diverse riunite in un sound che, cercando di semplificare, si può certamente descrivere come alternative metal.

Debutta per Logic Il Logic Records e Burning Minds Music Group questo quartetto di rockers nostrani chiamato Orphan Skin Diseases, fondato dal batterista Massimiliano Becagli, con un passato negli storici No Remorse,  raggiunto in seguito da Gabriele Di Caro (ex Sabotage, ex Outlaw al microfono), Juri Costantino (ex Creation al Basso) e David Bongianni (ex Virya, Little CB alla chitarra).

Mixato e masterizzato da Oscar Burato agli Atomic Stuff Studio, Dreamy Reflections, anticipato dal video del brano Flyin’ Soul, è un’opera massiccia, un tour de force di settanta minuti tra il metal/rock degli ultimi trent’anni, attraversato da un alone di oscuro e drammatico spirito dark e animato da ispirazioni diverse riunite in un sound che, cercando di semplificare, si può certamente descrivere come alternative metal.
Settanta minuti sono tanti, ma la band cerca di alternare le varie sfumature della propria musica che vanno dal metal moderno, al thrash, dal progressive all’hard rock, mantenendo un’ aura drammatica che si evince dai testi, impegnati a difesa dei più deboli e argomentati da una serie di denunce politiche e sociali.
Parlando di musica l’approccio al mondo del metal/rock alternativo è molto maturo e personale, e l’anima progressiva si fa spazio in quei brani che evidenziano un crescendo emotivo, sorretti da molte ottime idee che valorizzano la struttura di tracce come The Storm, As A Butterfly Crub, il potente macigno sonoro Sorrow & Chain e la conclusiva Just One More Day, brano diviso in tre parti dove intro e outro a titolo She Was fanno da contorno a Fathered, splendido brano che tanto sa di post grunge.
Dreamy Reflections unisce in un unico sound generi diversi ed ispirazioni che vanno dai Life Of Agony agli Alice In Chains, dai Tool ai Metallica, aggiungendo un personale tocco progressivo che ne valorizza la struttura dei brani e l’ascolto.

Tracklist
01. Into A Sick Mind
02. Flyin’ Soul
03. The Storm
04. Rapriest (Stolen Innocence)
05. Do You Like This?
06. As A Butterfly Grub
07. Awake
08. Leave A Light On
09. Sorrow & Chain
10. The Wall Of Stone
11. Waves
12. Just One More Day – She Was (Intro)
13. Just One More Day – Fatherend
14. Just One More Day – She Was (Outro)

Line-up
Gabriele Di Caro – Vocals
Dimitri Bongianni – Vocals, Backing Vocals
David Bongianni – Guitars, Backing Vocals
Juri Costantino – Bass, Backing Vocals
Massimiliano Becagli – Drums

ORPHAN SKIN DISEASES – Facebook

Nocturnal Breed – The Whiskey Tapes Germany

The Whiskey Tapes Germany è una compilation con inediti e cover dei black/thrashers Nocturnal Breed, dedicata ovviamemte solo ai fans più accaniti del gruppo.

I norvegesi Nocturnal Breed sono uno dei gruppi più famosi della scena black/thrash europea, essendo attivi dalla metà degli anni novanta con una serie di album che glorificano il black metal old school.

Ovviamente per black metal vecchia scuola si intende quello dei pionieri nati negli anni ottanta e divenuti famosi per opere estreme che al thrash metal univano un’attitudine luciferina e cattiveria come se piovesse.
Venom, Slayer e primissimi Bathory sono stati i nomi più importanti di questo genere che, negli ann,i ha unito al thrash e al black metal un’attitudine rock’n’roll, facendone un sottogenere seguitissimo nel sottobosco estremo.
I Nocturnal Breed si sono sempre imposti per la loro neanche troppo velata natura black, d’altronde il paese di origine parla chiaro e così anche i loro cinque full length (più un buon numero di lavori minori).
The Whiskey Tapes Germany è una compilation di brani rimasterizzati e di molti inediti per i fans tedeschi, con la chicca Evil Dead,  tributo a Chuck Schuldiner licenziato nel 2011, e la bellissima e devastante versione di Under The Blade dei Twisted Sister.
Le curiosità finiscono qui perché il resto è formato dabrani che non aggiungono nulla a quanto già edito dal gruppo, poco curato nei suoni e quindi da portare all’attenzione dei soli fans del genere ed in particolare della band scandinava.
Questa raccolta non è malvagia, ma come detto non va oltre il piacere di chi i Nocturnal Breed già li conosce e li apprezza, mentre gli altri a mio avviso troveranno pochi spunti interessanti.

Tracklist
1. Intro – Splinter-Day (Video Intro – Fields of Rot)
2. Metal Church (Prev. Unreleased)
3. I’m Alive (Org Keyboard Version) Prev. Unreleased 1997
4. Miss Misery (Prev. Unreleased)
5. Evil Dead (R.I.P. Evil Chuck Edit 2011)
6. Under The Blade (Alternate Mix)
7. Ballcusher (Raw Mix)
8. Metal Thrashing Mad (Experimental Mix)
9. Dead Dominions (The Hour of Death Is At Hand – Short Edit)
10. Killernecro (Ubernecro Version)
11. Barbed Wire Death (Demo 1998) (Prev. Unreleased)
12. No Retreat… No Surrender (Speed Metal Legions Version)
13. Rape The Angels (Reh. Sept.1997)
14. Maggot Master (Experimental Studio Demo)
15. The Artillery Command (Alt Mix)
16. Alcoholic Rites (Experimental Studio Raw Mix)

Line-up
S. A. Destroyer – Bass, Vocals
Axeman I. Maztor – Guitars
Tex Terror – Drums, Vocals
V. Fineideath – Guitars

NOCTURNAL BREED – Facebook

Steelmade – The Stories We Tell

La band forse si specchia leggermente troppo su una formula che alla lunga lascia qualcosa in termini di scorrevolezza, ma le idee ci sono, qualche buona canzone anche, quindi per noi l’album è promosso anche se non con lode.

Terra di tradizione metal e rock, la Svizzera ha dato i natali anche agli Steelmade, trio alternative hard rock nato tra le Alpi e composto da Paul Baron alla voce, Jadro alla chitarra e Joe Williams alla batteria.

Il debutto è targato 2016 e si intitola Love Or A Lie, quindi il terzetto di rocker torna dopo tre anni con un nuovo lavoro che si compone di una dozzina di brani incentrati su un alternative hard rock che, se da una parte, risulta l’ormai classico suono in voga nel nuovo millennio, dall’altra non rinuncia a qualche sfumatura più tradizionale specialmente nei solos.
Parte bene The Stories We Tell, le prime tracce convincono, potenti il giusto, molto americane nell’approccio che nasconde un’anima blues (Fairytales Of Childhood Days) e quindi pregne di attitudine ribelle.
La voce maschia e sporcata da un approccio rock’n’roll convince, Raise Your Voice (molto più moderna), Ashes Over Waters, il suono grasso e corposo di The Beast For Last e la grinta di Stupidity sono i momenti migliori di un album che a tratti però risulta leggermente ripetitivo: non un peccato mortale, ma certe formule ripetute all’eccesso creano un’atmosfera di stanca colpevole della poca fluidità dell’album.
La band forse si specchia leggermente troppo su una formula che alla lunga lascia qualcosa in termini di scorrevolezza, ma le idee ci sono, qualche buona canzone anche, quindi per noi l’album è promosso anche se non con lode.

Tracklist
1.Remember When (A Piece Of Contemporary History)
2.Raise Your Voice
3.The Stories We Tell
4.Fairytales Of Childhood Days
3:30
5.Ashes Over Waters
6.Trial And Tribulation
7.The Best For Last
8.Deal With The Devil
9.Stupidity
10.Appearance And Reality
11.Desire And Love
12.We Are Bizarre

Line-up
Paul Baron – Vocals
Jadro – Guitar
Joe Williams – Drums

STEELMADE – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
68

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Hard Rock 6.80

Perpetual Night – Anâtman

Anâtman ha tutto per essere apprezzato dai fans del melodic death metal: cavalcate oscure, solos che guardano da vicino il metal più classico, atmosferiche voci femminili e growl perfetto per il sound proposto dal gruppo.

Il melodic death metal di matrice scandinava continua ad ispirare gruppi in tutto il globo, eredi di quelle band che fecero innamorare schiere di appassionati dai gusti leggermente più melodici rispetto al death metal classico.

Ricordare In Flames, Dark Tranquillity ed At The Gates e poi tutte le band che hanno contribuito a rendere il genere uno dei più importanti e seguiti degli ultimi decenni è quanto meno doveroso, ma può risultare ovvio, quindi meglio passare oltre e presentare gli spagnoli Perpetual Night, in arrivo dalla grande famiglia Wormholedeath per conquistare i cuori degli amanti del suono nord europeo per antonomasia.
Nata sei anni fa in quel di Granada, la band arriva al traguardo del debutto sulla lunga distanza dopo due ep ed una compilation, con l’ausilio di una label  sempre attenta a proporre lavori sopra la media e di riflesso gruppi interessanti.
Anâtman ha tutto per essere apprezzato dai fans del melodic death metal: cavalcate oscure, solos che guardano da vicino il metal più classico, atmosferiche voci femminili e growl perfetto per il sound proposto dal gruppo.
Partiamo da The Howling, terza traccia e spettacoloso brano dove le melodie chitarristiche accompagnano le cleans ed il growl in un contesto evocativo struggente, torniamo alla title track, che funge da opener e ci presenta il sound dei Perpetual Night, tra ripartenze, crescendo e cavalcate metalliche valorizzate da camei di tastiere notturne, mentre i riff melodici di Nothing Remains ricordano gli Amorphis.
C’è tanto metallo classico nei solos della progressiva Raindrops, altro gioiellino di casa Perpetual Night racchiuso in questo ottimo lavoro, che cresce inesorabilmente con gli ascolti, mentre tutto finisce nella notte e nelle note della conclusiva Absence of Reality.
Un lavoro incentrato su un genere che sembra rinascere tutte lo volte che i suoi detrattori ne celebrano il funerale artistico, anche grazie a realtà come i Perpetual Night.

Tracklist
1.Anâtman
2.Wild
3.The Howling
4.Nothing Remains
5.His Darkness
6.Raindrops
7.Unpronounced Words
8.Absence of Reality

Line-up
Raúl Ríos
César Ramírez
Carlos Garrido

PERPETUAL NIGHT – Facebook

A Gathering Of None – One Last Grasp At Hope

I The Gathering Of None suonano rock a stelle e strisce, potente e melodico e pazienza se molti passaggi di One Last At Hope li avrete sicuramente già sentiti negli album usciti qualche anno fa, certo rock è come il bacio di una bella donna: non stanca mai.

Alternative metal, post grunge, modern hard rock, c’è di tutto un po’ nel sound degli statunitensi A Gathering Of None, band del Massachusetts al terzo full length dopo Purging Empty Promises del 2013 e Nothing Left To Lose uscito nel 2015.

Il gruppo, nato come one man band del chitarrista e cantante Tracy Byrd, è ad oggi una band composta da cinque musicisti, il cui prodotto è come scritto un buon mix dei suoni nati e cresciuti negli ultimi anni del secolo scorso nel nuovo continente: rock americano, potenziato da iniezioni di metal moderno e sfumature di quel grunge ancora oggi nelle corde degli ascoltatori dai gusti più moderni ed alternative.
Niente di nuovo, ma un lotto di belle canzoni, suonate e cantante davvero bene, con gli Alter Bridge a fare da padrini e poi una serie di band diventate icone di almeno due decenni di hard rock targato U.S.A.
One Last Grasp At Hope è quindi un buon modo per non perdere di vista un certo tipo di sonorità: la voce di TB aiuta non poco i brani a risplendere di una luce melodica che rimane accesa anche nei passaggi più grintosi, così che l’album funziona e piace fin dal primo ascolto.
No Stone Left Unturned, Fabulous Mishap, Dissolution (un tuffo nello stoner di marca Corrosion Of Conformity) sono brani semplici ma perfettamente in grado di non mancare l’appuntamento con i fans del genere, grazie ad una perfetta armonia tra l’anima metal e quella rock.
Band che non ha nulla da invidiare ai gruppi più blasonati, gli A Gathering Of None suonano rock a stelle e strisce, potente e melodico e pazienza se molti passaggi di One Last Grasp At Hope li avrete sicuramente già sentiti negli album usciti qualche anno fa, certo rock è come il bacio di una bella donna: non stanca mai.

Tracklist
1.What For?
2.No Stone Left Unturned
3.Break My Stride
4.A Fabulous Mishap
5.You Stagnate
6.Reaching Out
7.Dissolution
8.Something You Should Know
9.Predatory Male (Miltown cover)
10.I Hope I’m Wrong
11.Move Along

Line-up
TB – vocals, lead and rythm guitars
Justin Travis Osburn – rythm and lead guitars/bgvs
Jeff Grunn – lead and rythm guitars/bgvs
Ken Belcher – bass/bgvs
Chris White – drums/backup vocals

A GATHERING OF NONE – Facebook

Verano’s Dogs – Summoning The Hounds

Grind/death devastante e senza compromessi, old school nell’approccio e potentissimo nell’impatto che ricorda le grandi band del passato, dalle quali i Verano’s Dogs attingono a piene mani per il loro progetto estremo.

La scena romana è da qualche anno un punto di riferimento per gli amanti del metal estremo di stampo death, brutal e grind core, un nido di creature mostruose che abitano sulle rive del Tevere, a due passi dal Vaticano.

I Verano’s Dogs sono un trio nato tre anni fa e composto da musicisti già attivi in altre band della scena capitolina, come Taste the Floor, NIS e Injury Broadcast; Summoning The Hounds è il loro primo album, registrato presso gli Hombrelobo Studios di Roma e licenziato dalla Metal Age Productions.
I cani del Verano (noto cimitero della capitale), gli animali che in alcune culture accompagnano i morti nel trapasso, debuttano dunque con questo massacro grind/death, dalla copertina fortemente ispirata all’old school death metal e con un sound che inserisce elementi hardcore in una carneficina sonora di tutto rispetto.
I cani difendono il loro territorio, attaccano e sbranano senza pietà nella title track che apre l’album: le unghie sporche di terra putrida con cui sono ricoperte da centinaia di anni le bare ormai marcite, si conficcano nelle carni mentre il trio composto da Pompeo (chitarra), Ulderico (voce e basso) e Pablo (batteria) intona la  colonna sonora estrema di questo quadro macabro, un grind/death devastante e senza compromessi, old school nell’approccio e potentissimo nell’impatto che ricorda le grandi band del passato da dove i Verano’s Dogs attingono a piene mani per il loro progetto estremo.
Il cane rimane la figura animale a cui è dedicato il mondo dei Verano’s Dogs e i brani, ispirati musicalmente da Repulsion, Terrorizer e Napalm Death, affrontano tematiche legate al suo immaginario, dalla mitologia alla letteratura: un album sicuramente consigliato.

Tracklist
1- Summoning the Hounds
2- Keeper of Hades
3- Bark at the Grave (ft.: Alex Gore from The Juliet Massacre)
4- Mind Necropolis
5- Cannibalism and Agriculture
6- Holiday in Baskerville
7- Rabid Moments
8- The Hound (A Lovecraft’s tale)
9- Deadly Whispher
10- The Rising of the Necrotic Hound (ft.: Demian from Airlines of Terror)

Line-up
Pompeo – Guitars
Ulderico – Vocals, Bass
Pablo – Drums

VERANO’S DOGS – Facebook

Flames At Sunrise – Born In Embers

Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.

Arrivano da Barcellona i Flames At Sunrise, giovane band alternative al debutto con Born In Embers, full length del quale la Wormholedeath cura la promozione.

In questo ambito, oltre a buone canzoni, se hai tra le tue fila un talento al microfono, uomo o donna che sia, parti già con parecchi metri di vantaggio sulla concorrenza e questo è il caso del gruppo catalano, che può vantare le prestazione di Eve Nezer, giovanissima cantante che si produce in una notevole prova tra clean e scream d’impatto.
Il sound dei Flames At Sunrise si posiziona perfettamente tra il rock ed il metal alternativo, dal piglio dark/gothic quando le melodie prendono spazio ed il gruppo lascia alla cantante la scena, spettacolare nei vari cambi di tonalità e molto interpretativa.
Ma i Flames At Sunrise ovviamente non si fermano qui ed il resto della band sale in cattedra nei momenti più metallici dell’album quando scudisciate alternative colmano di umori nu metal brani dal piglio drammatico come Shades Falls Into Oblivion (in quota Disturbed), brano che da solo, se non vi sono bastati i fuochi d’artificio di Ark Flesh e The Myth (Eurodice’s Death), vale l’acquisto di questo ottimo lavoro.
I Flames At Sunrise conquistano: delicatamente dark quando si placa la tempesta, rabbiosi e potentissimi quando le chitarre gridano dolore seguendo le montagne russe su cui sale con una naturalezza disarmante la voce della cantante.
Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.

Tracklist
1.Ember
2.Dolmer
3.Ark Flesh
4.Dark Ages
5.The Myth (Eurodice’s Death)
6.Never Coming Home II
7.Shades Falls Into Oblivion
8.III faces
9.More Than Fear

Line-up
Eve Nezer – Vocals
Jordi Domìnguez – Guitars
Eric Knight – Guitars
Jose Escobar – Bass
Alvaro Garcia – Drums

FLAMES AT SUNRISE – Facebook

Infinitas – Skylla

Un singolo che dovrebbe fare da spartiacque tra l’album precedente e quello che verrà, ed alla luce di questi brani la speranza è che la band si lasci trasportare dalla parte più folk della propria musica, quella inevitabilmente più affascinante.

Torniamo a parlarvi degli Infinitas con questo singolo dal titolo Skylla che presenta, oltre alla title track, altri tre brani.

La band ridiscende le montagne delle Alpi svizzere dopo il primo full length licenziato lo scorso anno ed intitolato Civitas Interitus, puntualmente recensito sulle pagine virtuali di MetalEyes.
Il concept medievale, che aveva contraddistinto i brani che andavano a comporre l’opera di debutto, viene accentuato in questo singolo così che il thrash melodico e folkeggiante del gruppo viene spogliato dalla componente prettamente metal per lasciare a sognanti atmosfere semiacustiche il compito di riportarci nel mondo fatato dove gli Infinitas trovano nella splendida cantante Andrea Böll la loro musa.
Solo la title track, dunque, mantiene un po’ di quella elettricità che contraddistingue il sound della band, molto melodico e dal forte appeal, e valorizzata dai suoni folk del violino dalle reminiscenze Skyclad, band che più di altre è d’ispirazione al sound degli Infinitas.
Con il trittico Conclusio, la versione acustica di Samael e Leprechaun, invece, scendiamo dai destrieri elettrici per passeggiare tra i boschi incantati, accompagnati da suoni medievali.
Un singolo che dovrebbe fare da spartiacque tra l’album precedente e quello che verrà, ed alla luce di questi brani la speranza è che la band si lasci trasportare dalla parte più folk della propria musica, quella inevitabilmente più affascinante.

Tracklist
1.Skylla
2.Conclusio
3.Samael (Acoustic Version)
4.Leprechaun

Line-up
Andrea Böll – Vocals, Percussion
Irina Melnikova – Violin, Background Vocals
Piri Betschart – Drums, Vocals, Clarinette, Percussion
Selv Martone – Guitar, Virtual Instruments

INFINITAS – Facebook