Athanasia – The Order of the Silver Compass

Non lasciatevi ingannare dalla provenienza, perché il trio non ha nulla a che fare con il sound nato sui marciapiedi del Sunset Boulevard, anzi il metallo incendiario racchiuso in questo ottimo lavoro risulta di matrice europea, tra power metal, melodic death e hard & heavy.

Gli Athanasia sono un nuovo gruppo proveniente dagli Los Angeles, formato dal cantante e chitarrista Caleb Bingham (ex Five Finger Death Punch), dal bassista Brandon Miller e dal batterista Jason West (ex Murderdolls/Wednesday13).

Non lasciatevi ingannare dalla provenienza, perché il trio non ha nulla a che fare con il sound nato sui marciapiedi del Sunset Boulevard, anzi il metallo incendiario racchiuso in questo ottimo lavoro intitolato The Order of the Silver Compass risulta di matrice europea, tra power metal, melodic death e hard & heavy.
Tedesco/scandinavo, così si potrebbe definire la matrice del sound creato dagli Athanasia, che offrono mezz’ora abbondante di musica divisa in otto brani uno più bello dell’altro.
L’approccio melodico si alterna con sfuriate estreme gelide come il vento che soffia dai paesi scandinavi, le atmosfere drammatiche ed un tocco progressivo tradiscono a tratti la nazionalità a stelle e strisce, lasciata solo intravedere, mentre il power death metal melodico regna sovrano tra i solchi di piccoli gioiellini metallici come l’opener Read Between The Lines, la title track, Cyclops Lord e Nightmare Sound.
L’album offre un’altalena imperdibile di metal estremo e classico, tra sfumature melodiche di alto livello e hard & heavy sfoggiato in refrain dall’appeal altissimo, con l’ottima la prova di Bingham al microfono, alle prese con clean e scream, e alla chitarra, con la quale sciorina riff di scuola classica, e dei suoi due compari a formare una sezione ritmica rocciosa e varia.
La conclusiva metal ballad WhiteHorse chiude benissimo un album che lascerà a bocca aperta i fans dei generi citati, assolutamente accontentati in toto dal sound di questo ottimo lavoro.

Tracklist
1.Read Between The Lines
2.Spoils Of war
3.The Order Of The Silver Compass
4.Cyclops Lord
5.The Bohemian
6.Mechanized Assault
7.Nightmare Sound
8.WhiteHorse

Line-up
Caleb Bingham – Guitar/Lead Vocals
Brandon Miller – Bass/Background Vocals
Jason West – Drums

ATHANASIA – Facebook

Starbynary – Divina Commedia – Purgatorio

Divina Commedia – Purgatorio è un altro lavoro che merita applausi a scena aperta dal primo all’ultimo minuto di musica offerta dagli Starbynary.

Finalmente i notevoli Starbynary pubblicano la seconda parte della trilogia dedicata alla Divina Commedia e, ovviamente, dopo essere partiti con l’Inferno tocca ora al Purgatorio, raccontato attraverso le note create dai cinque musicisti nostrani.

La band continua nella sua straordinaria opera con un altro capitolo tutto da ascoltare, dopo gli sfavillanti e precedenti lavori, dal debutto Dark Passenger uscito nel 2014 ed appunto Inferno, bellissimo album del 2016 che dava il via alla trilogia incentrata sull’opera dantesca.
Il cantante Joe Caggianelli ed il chitarrista Leo Giraldi tornano accompagnati dal tastierista Luigi Accardo, dal bassista Sebastiano Zanotto e dal batterista Alfonso Mocerino, con uno spettacolare e magniloquente album di power progressive metal che, se da una parte risulta di chiara ispirazione Symphony X (ricordo che nel primo album Mike Lepond fu ospite d’eccezione al basso), deborda di una personalità marcata, di grande fascino e di un songwriting che rimane di altissimo lungo la sua intera durata.
Per oltre un’ora si va su e giù per scale progressive tra solos metallici eleganti, raffinati, ma che non si fanno pregare quando l’atmosfera drammatica richiede un impatto graffiante, ritmiche al cardiopalma ed un sontuoso uso dei tasti d’avorio, mai come in questo album protagonisti così come la prestazione del cantante.
A tratti gli Starbynary ci vanno davvero pesante: Underneath the Stones è squarciata da parti estreme, le ritmiche di Running And Screaming si avvicinano pericolosamente al thrash, così come la sontuosa Laying Bound alterna richiami sinfonici a schiaffi power metal feroci.
Walking Into Fire è una metal song progressiva che, se non fosse cosa pressoché scontata, mette in mostra la notevole tecnica degli Starbynary, mentre Eden e Stars calmano le acque, aprendosi ad un sound che si scrolla la tensione ed i ritmi serrati e ci porta verso le porte del Paradiso, prossima ed obbligatoria tappa del viaggio che la band ha intrapreso nelle pagine di una delle opere letterarie più importanti di tutti i tempi.
Divina Commedia – Purgatorio è un altro lavoro che merita applausi a scena aperta dal primo all’ultimo minuto di musica offerta dagli Starbynary.

Tracklist
01 – On The Shores Of Purgatory
02 – Miserere
03 – Underneath The Stones
04 – Blindness
05 – In The Smoke
06 – Running And Screaming
07 – Laying Bound
08 – The Suffering
09 – Walking Into Fire
10 – Eden
11 – Stars
12 – Ary (Bonus Track)

Line-up
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo – Keyboards
Alfonso Mocerino – Drums
Sebastiano Zanotto – Bass

STARBYNARY – Facebook

Syrence – Freedom In Fire

Qualche valido spunto a livello strumentale, specialmente nei brani in cui le chitarre si impongono con ritmiche incisive, e un look ed un’attitudine alla Judas Priest sono ciò che resta di un lavoro che rimarrà confinato nell’underground confuso tra la montagna di uscite che ogni mese affolla il mercato dell’hard & heavy.

Originari di Stoccarda ed attivi da oltre dieci anni, arrivano al debutto i rockers Syrence, quintetto avaro di informazioni e dedito ad un hard & heavy melodico, assolutamente vecchia scuola ed alquanto scolastico.

Licenziato dalla Fastball Music, Freedom In Fire è composto da una dozzina di brani che alternano mid tempo heavy, hard rock di matrice tedesca e qualche graffiante puntata metallica.
Il problema di Freedom In Fire è l’assoluta mancanza di appeal: i brani non esplodono, causa una produzione che segue le coordinate old school dell’album, e il cantante Johnny Vox, dal tono altamente melodico, risulta troppo monocorde e poco adatto ai brani più heavy metal oriented come Fozzy’s Song, un crescendo epico che (come già accennato) fatica ad imporsi mancando di quella scintilla che trasforma il compitino in un buon brano.
Qualche valido spunto a livello strumentale, specialmente nei brani in cui le chitarre si impongono con ritmiche incisive (Living On The Run, From Ashes To The Sky), un look ed un’attitudine alla Judas Priest sono ciò che resta di un lavoro che rimarrà confinato nell’underground confuso tra la montagna di uscite che ogni mese affolla il mercato dell’hard & heavy.

Tracklist
1. Freedom In Fire
2. Living On The Run
3. Your War
4. Fozzy´s Song
5. Addicted
6. Symphony
7. From Ashes To The Sky
8. Evil Force
9. Red Gold
10. Wild Time
11. Kings Of Speed
12. Seven Oaks

Line-up
Johnny Vox – Lead Vocals
Fritz Jolas – Bass
Oliver Schlosser – Guitar
Julian Barkholz – Guitar
Arndt Streich – Drums

SYRENCE – Facebook

Black Thunder – All My Scars

Con All My Scars, album massiccio, potente e diretto, i Black Thunder firmano dieci brani tellurici e compatti sicuramente meritevoli d’attenzione.

Secondo lavoro per i Black Thunder, trio lombardo fondato da Andrea Ravasio (batteria e voce) e Davide Ferrandi (chitarra e voce), raggiunti in seguito da Ivan Rossi (basso e voce).

All My Scars segue di cinque anni il primo album (Dominant Idea), esce in versione digitale per Club Inferno Ent. e risulta composto da dieci brani dal sound legato alla scuola tradizionale di matrice hard & heavy, anche se non manca di groove nel suo marciare inarrestabile, pregno di mid tempo e cori diretti di stampo hardcore/thrash.
Le ritmiche, per niente scontate, cuciono ragnatele di riff in continua evoluzione, le accelerazioni ricordano l’heavy thrash di scuola americana, mentre i solos sono 100% di matrice heavy.
Nel sound di All My Scars vivono molte anime che i Black Thunder riescono a domare creando un macigno sonoro niente male: i brani si susseguono senza soluzione di continuità, con reminiscenze panteriane che escono prepotentemente da brani potentissimi come Try To Break Me, dalla pachidermica Stop The Abuse e dalla thrashy Unrecognized Citizen.
Con All My Scars, album massiccio, potente e diretto, il trio lombardo, inarrestabile come un blindato, firma dieci brani tellurici e compatti sicuramente meritevoli d’attenzione.

Tracklist
1. Devil In My Bones
2. Try To Break Me
3. Angry Man
4. Stop The Abuse
5. Disorder And Pain
6. Days Could Stop To Run
7. Fly Away
8. Black Rain
9. Unrecognized Citizen
10. Anyway Have To Be Better

Line-up
Andrea “Andre” Ravasio – Drums, lead vocals
Davide “Ferdy” Ferrandi – Lead and rhythm guitars, backing vocals
Ivan Rossi – Bass, backing vocals

BLACK THUNDER – Facebook

Relinquished – Addictivities (Pt. 1)

Addictivities (Pt. 1) risulta un buon lavoro nella sua interezza, mancano solo quel paio di brani a farsi carico qualitativamente dell’intera tracklist ma sono dettagli, perché la band dà vita ad un’opera oscura e dalle atmosfere dark progressive che trovano nella musica di Opeth, Eternal Tears Of Sorrow e Diabolical Masquerade le loro più convincenti ispirazioni.

Provenienti dalla vicina Austria ed attivi da una quindicina d’anni, tornano sul mercato underground metallico i Relinquished con il terzo full length intitolato Addictivities (Pt. 1).

Il quintetto tirolese offre uno spaccato convincente di progressive metal estremo, dalle atmosfere dark che si scambiano la scena con un death metal melodico ben calibrato ed ispirato dalla scena scandinava di primi anni novanta.
Niente di moderno quindi, ma un sound che dà molto spazio alle parti atmosferiche, per poi ripartire potente e melodico, lasciando che il growl ci guidi tra ritmiche veloci, oscuri intermezzi dark rock e attimi dove la chitarra crea soluzioni melodiche di stampo classico.
Addictivities (Pt. 1) risulta un buon lavoro nella sua interezza, mancano solo quel paio di brani a farsi carico qualitativamente dell’intera tracklist ma sono dettagli, perché il cantante Sebastian Bramböck e compagni danno vita ad un’opera oscura e dalle atmosfere dark progressive che trovano nella musica di Opeth, Eternal Tears Of Sorrow e Diabolical Masquerade le loro più convincenti ispirazioni.
Avalanche Of Impressions è il brano che riassume tutto il lavoro del gruppo in otto minuti, anche se Addictivities (Pt. 1) è opera da ascoltare per intero per essere maggiormente apprezzata.

Tracklist
1.Expectations
2.Bundle of Nerves
3.Avalanche of Impressions
4.Pulse
5.Damaged for Good
6.Syringe
7.Zero
8.Into the Black
9.Void of My Ashen Soul

Line-up
Sebastian Bramböck – Vocals
Anton Keuschnick – Guitars, Clarinet
Simon Dettendorfer – Guitars, Vocals
Dominik Steffan – Bass
Richard Marx – Drums

RELINQUISHED – Facebook

Die On Friday – Revolution

I Die On Friday danno alle stampe un macigno metallico in cui non mancano sfuriate estreme, mid tempo dalle melodie mainstream ed atmosfere che ci portano aldilà dell’oceano: un sound ambizioso e dal buon appeal, ruvido il giusto per piacere anche a chi è abituato ad ascolti più in linea con la tradizione metallica.

Si può praticamente considerare una sorta di super gruppo questo nuovo progetto metallico che, con il monicker Die On Friday, vede all’opera membri di storiche realtà tricolori come Drakkar e In.si.dia.

Il quintetto debutta per Buil2Kill Records con Revolution, sorprendendo chi si aspettava un sound classico dovendo, invece, vedersela con un metal moderno dai rimandi statunitensi.
I Die On Friday, infatti, danno alle stampe un macigno metallico in cui non mancano sfuriate estreme, mid tempo dalle melodie mainstream ed atmosfere che ci portano aldilà dell’oceano: un sound ambizioso e dal buon appeal, ruvido il giusto per piacere anche a chi è abituato ad ascolti più in linea con la tradizione metallica.
Revolution non rinnega del tutto il background dei suoi creatori, bensì lo elabora unendolo ad un impatto moderno, con le linee vocali del bravissimo Gianluca Barbieri che, pur rimanendo graffianti e potenti, mantengono un certo fascino al servizio di una serie di brani aggressivi ma al contempo ben fruibili.
Guardando agli States è innegabile l’ispirazione data da quelle band che hanno fatto la storia del metal moderno a cavallo dei due millenni, quindi in Revolution è inutile cercare chissà quale spunto originale, perché si troverà “solo” del potentissimo e compatto metal del XXI secolo.
I vari sussulti di adrenalinico modern metal rinvenibili nella title track, nel brano autointitolato e in Knock Down Myself e Repentance offrono una serie di validi motivi per non lasciarsi sfuggire questo ottimo album di debutto dei Die On Friday.

Tracklist
01. Rise Again
02. Revolution
03. Knock Down Myself
04. MMI
05. New Born Man
06. Repentance
07. Chaos T.
08. Born Without Hope
09. Die On Friday
10. Last Night
11. Alice

Line-up
Gianluca Barbieri – Vocals
Dario De Carlo – Guitars
Manuel Merigo – Guitars
Manuel Maffi – Bass
Paolo Pirola – Drums

DIE ON FRIDAY – Facebook

Burial Remains – Trinity Of Deception

Venticinque minuti di ottimo death metal old school sotto forma di macigni sonori che non deluderanno gli appassionati dai gusti classici.

Old School death metal di grande impatto quello degli olandesi Burial Remains, al debutto con questo massacro sonoro composta da sette brani ed intitolato Trinity Of Deception.

Attivo dal 2006, il quartetto di Drachten, composto da membri di Boal, Grim Fate, Fleshcrawl e Disintegrate, licenzia tramite la Transcending Obscurity una bomba old school, mixata e masterizzata da Jonny Pettersson, già alle prese con band del calibro di Wombbath, Heads For The Dead, Nattravnen ed Henry Kane, praticamente il meglio offerto dal death metal underground lo scorso anno.
E Trinity Od Deception non tradisce le aspettative degli amanti di queste sonorità, tradizionali e poco originali quanto si vuole, ma dannatamente coinvolgenti, almeno per chi ama il metal estremo.
I Burial Remains di loro ci mettono una buona dose di impatto e quel mescolare il classico sound swedish con elementi provenienti dal death europeo, per semplificare si pensi ad una jam tra Dismember e Benediction da cui escono sette bestiali e devastanti tracce.
Venticinque minuti di ottimo death metal old school dunque, sotto forma di macigni sonori che non deluderanno gli appassionati dai gusti classici.

Tracklist
1.Crucifixion of the Vanquished
2.They Crawl
3.Trinity of Deception
4.March of the Undead
5.Burn With Me
6.Days of Dread
7.Tormentor

Line-up
Sven – Vocals
Wim – Guitar
Philippus – Guitar and bass
Danny – Drums

BURIAL REMAINS – Facebook

Axel Rudi Pell – XXX Anniversary Live

Registrato a Bochum e Budapest di recente, XXX Anniversary Live risulta il miglior modo per festeggiare un grande interprete dell’hard & heavy e la sua band, erede dei Rainbow o almeno della loro anima più metal.

Per i fans dell’hard & heavy classico i trent’anni di carriera di un personaggio come Axel Rudi Pell sono una ricorrenza sicuramente da festeggiare, per l’enorme contributo che lo storico chitarrista tedesco ha dato al genere fatto di una discografia immensa, assolutamente coerente con un sound diventato iconico.

E allora ecco servito il live, l’ennesima prova dal vivo di un gruppo che, sotto il nome del chitarrista, vede oggi un gruppo di musicisti dalle qualità altissime come il cantante Johnny Gioeli, una delle voci più belle e sottovalutate della scena classica, Ferdy Doernberg alle tastiere, Volker Krawczak al basso e quella piovra di Bobby Rondinelli dietro le pelli.
Registrato a Bochum e Budapest di recente, XXX Anniversary Live risulta il miglior modo per festeggiare un grande interprete dell’hard & heavy e la sua band, erede dei Rainbow, o almeno della loro anima più metal.
Ovviamente attraversiamo gran parte della carriera di Axel Rudi Pell, travolti da brani immortali, atmosfere epiche ed evocative, grandi melodie e come sempre una prestazione sontuosa del singer, mattatore tanto quanto la chitarra del leader.
Licenziato in doppio cd, l’album è assolutamente dedicato ai fans del gruppo, deliziati da una serie di brani storici presi da altrettanti album come Between The Walls, Black Moon Pyramid, Oceans Of Time, The Masquerade Ball e Mystica, tanto per citarne alcuni.
Poco altro da aggiungere se non che Axel Rudi Pell rimane ancora uno dei maggiori interpreti di queste storiche sonorità, pronto per il prossimo anno ad uscire con un nuovo lavoro, il diciannovesimo in carriera….e scusate se è poco.

Tracklist
CD1
01. The Medieval Overture (Intro)
02. The Wild And The Young
03. Wildest Dreams
04. Fool Fool
05. Oceans Of Time
06. Only The Strong Will Survive
07. Mystica (incl. Drum Solo)
08. Long Live Rock
CD2
01. Game Of Sins / Tower Of Babylon (incl. Keyboard Solo)
02. The Line
03. Warrior
04. Edge Of The World (incl. Band Introduction)
05. Truth And Lies
06. Carousel
07. The Masquerade Ball / Casbah
08. Rock The Nation

Line-up
Johnny Gioeli – Vocals
Axel Rudi Pell – Guitars
Ferdy Doernberg – Keyboards
Volker Krawczak – Bass
Bobby Rondinelli – Drums

AXEL RUDI PELL – Facebook

Meadows End – The Grand Antiquation

The Grand Antiquation è un album che nulla toglie e nulla aggiunge alla carriera del gruppo svedese, ma di fatto conferma la buona proposta che da anni lo contraddistingue, continuando la tradizione dei Meadows End nel death metal melodico dall’anima epico sinfonica.

Tornano sul mercato i Meadows End, gruppo svedese arrivato al quarto full length in ormai vent’anni di attività.

Poco conosciuta rispetto ad altre realtà della scena estrema melodica scandinava, la band ha sempre rilasciato buoni lavori incentrati su un melodic death metal valorizzato dalla parte sinfonica, molto presente ed importante nell’economia del sound.
The Grand Antiquation segue di tre anni l’ultimo Sojourn e di cinque il notevole The Sufferwell, del quale vi parlammo all’epoca e le novità in parte non mancano in un sound ormai consolidato.
Il gruppo vira leggermente verso un approccio più moderno e groove, mantenendo quel tocco epico che tanto sa di primi Amorphis come di Amon Amarth, scandito da riff creati nel profondo delle foreste scandinave, sinfonie suggestive ed a tratti magniloquenti e, specialmente, nei primi brani (Devilution, Storm Of Perdition), potenziati da ritmiche terremotanti.
Nel corso dell’ascolto si torna pian piano al solito sound di marca Meadows End che accoglie tra le sue note melodic death metal svedese ed un approccio epico sinfonico proveniente dalla terra dei mille laghi.
Mats Helli, Jan Dahberg e compagni sanno come catturare l’attenzione degli amanti del genere, tra potenti sciabolate estreme e raffinati passaggi orchestrali, dando vita a cavalcate metalliche dalle melodie a cui difficilmente si resiste, otto sinfonie d’acciao sempre in bilico tra la raffinata anima orchestrale e la potenza del metal estremo (Non-Dreaming Eye).
The Grand Antiquation è un album che nulla toglie e nulla aggiunge alla carriera del gruppo svedese, ma di fatto conferma la buona proposta che da anni lo contraddistingue, continuando la tradizione dei Meadows End nel death metal melodico dall’anima epico sinfonica.

Tracklist
1.Devilution
2.Storm Of Perdition
3.Svept In Sorgeplad
4.Night’s bane
5.Non-Dreaming Eye
6.Her Last Sigh Goodbye
7.The Insignificance Of Man
8.I Stilla Vemod Vandra

Line-up
Mats Helli – Bass
Jan Dahlberg – Guitars
Robin Mattsson – Keyboards
Johan Brandberg – Vocals
Daniel Tiger – Drums

MEADOWS END – Facebook

X-PLICIT – Like A Snake

Like A Snake è composto da una decina di esplosioni sleazy/street rock metal che vi faranno saltare come grilli, un rock’n’roll che viaggia spedito sul Sunset Boulevard illuminato come ai bei tempi: trascinante, melodico e sfacciato, insomma, una vera goduria per i tanti fans di queste sonorità.

Nel panorama underground rock/metal tricolore i suoni hard rock di matrice street/sleaze hanno sempre regalato ottimi lavori ed altrettante band, supportate da varie etichette tra cui ultimamente la coppia Sneakout Records e Burning Minds Music Group, facenti parte della famiglia Atomic Stuff.

Sempre attente alle nuove proposte riguardanti il genere che più di tutti ha marchiato a fuoco gli anni ottanta, e tornato alla ribalta con l’uscita di The Dirt, il biopic sui Motley Crüe, queste label si prendono cura degli hard rockers X-PLICIT, quartetto fondato dal chitarrista Andrea Lanza, già agli onori della cronaca rock con il progetto Skill In Veins, raggiunto da Sa Talarico (Aeternal Seprium) al basso, Giorgio Annoni (Longobardeath, Homerun) alla batteria e dal cantante Simone Zuccarini (Generation On Dope, Razzle Dazzle, Norimberga, Torque, The Wetdogs).
Like A Snake è composto da una decina di esplosioni sleazy/street rock metal che vi faranno saltare come grilli, un rock’n’roll che viaggia spedito sul Sunset Boulevard illuminato come ai bei tempi: trascinante, melodico e sfacciato, insomma, una vera goduria per i tanti fans di queste sonorità.
I musicisti coinvolti, tutti dal background vario, fanno squadra e compatti come un bolide rock’n’roll ci martellano con una potenza di fuoco niente male, e bisogna arrivare ad Angel, brano numero otto, per tirare il fiato con una ballad di matrice Extreme.
Il resto del disco è una cascata di travolgente hard rock, con tutti i crismi per non sfigurare sul palco di qualche locale nella città degli angeli: fin dalle prime battute Lanza risulta una macchina spara riff micidiale, supportato da un sound che, rimanendo ad alta tensione non lesina melodie irresistibili, tra il party scatenato delle varie Hell Is Open, The Great Show, Shake Up You Life e Free.
Parlare di influenze è superfluo, basti sapere che premendo il tasto play come d’incanto si riaccenderanno le luci del Sunset e dei suoi selvaggi party notturni.

Tracklist
01. Hell Is Open
02. The Great Show
03. You Don’t Have To Be Afraid
04. Shake Up Your Life
05. Deep Of My Soul
06. I’m Original
07. Free
08. Angel
09. Don’t Close This Bar Tonight
10. Like A Snake

Line-up
Simone Zuccarini – Vocals
Andrea Lanza – Guitars
Sa Talarico – Bass
Giorgio Annoni – Drums

X-PLICIT – Facebook

Xaon – Solipsis

Accompagnato da un bellissimo ed alquanto evocativo artwork, Solipsis risulta un’altra opera di spettacolare metal estremo all’interno della quale vivono in perfetta armonia death melodico, gothic/dark, symphonic black, doom/death e power creando un assalto sonoro, maestoso ed epico.

Tornano gli svizzeri Xaon con il successore del già bellissimo debutto licenziato un paio di anni fa ed intitolato The Drift.

Nel frattempo la band è diventata un duo formato da Vincent Zermatten alle chitarre e Rob Carson alle orchestrazioni e al microfono (poi raggiunti dl vivo da altri cinque musicisti) e rilascia per la Mighty Music questo monumentale lavoro intitolato Solipsis.
Accompagnato da un bellissimo ed alquanto evocativo artwork, Solipsis risulta un’altra opera di spettacolare metal estremo all’interno della quale vivono in perfetta armonia death melodico, gothic/dark, symphonic black, doom/death e power creando un assalto sonoro, maestoso ed epico.
Su tutta questa tempesta di suoni ed atmosfere si staglia il vocione del singer, che alterna vari toni in una performance sugli scudi, rabbiosa, epica ed evocativa.
Dall’opener Monolith si entra nell’armageddon sonoro creato dai Xaon, una battaglia di note apocalittiche dove le orchestrazioni fanno il bello e cattivo tempo, in un sound che cambia ritmiche e sfumature, cangiante come un camaleonte ma fortemente evocativo in ogni passaggio.
Le melodie che sono la linfa di brani capolavoro come Eros o Cipher non placano la furia estrema con cui il gruppo affronta la materia in un’apoteosi di suoni che creano un sound belligerante, epico e bombastico.
Pensate a cosa potrebbero creare Emperor, Bal Sagoth, Paradise Lost, Dark Tranquillity e Septic Flesh chiusi in una stanza a jammare ed avrete un’idea di come suona questo monumentale e imperdibile lavoro.

Tracklist
1. Monolith
2. Carillon
3. Solipsis
4. Mobius
5. Eros
6. Cipher
7. Beast
8. River
9. Mask

Line-up:
Vincent Zermatten – Guitars
Rob Carson – Vocals/Orchestrations
Live Members
John Six – Bass
Jordan Kiefer – Drums
Onbra Oscouŗa – Guitars
Klin HC – Guitars
Julien Racine – Drums

XAON – Facebook

Opprobrium – The Fallen Entities

The Fallen Entities è un bombardamento death/thrash metal che non concede tregua, ruvido, diretto e old school, dal lavoro ritmico più vario rispetto a quello di molte altre band, ma sempre legato ad un genere che ha come base un muro sonoro massiccio e potente.

Tornano gli storici Opprobrium, band di New Orleans nata a metà anni ottanta come Incubus e trasformatasi nella devastante realtà odierna nel 1999 per volere del batterista Moyses M. Howard e del chitarrista/cantante Francis M. Howard.

The Fallen Entities è il sesto lavoro sulla lunga distanza, un bombardamento death/thrash metal che non concede tregua, ruvido, diretto e old school, dal lavoro ritmico più vario rispetto a quello di molte altre band, ma sempre legato ad un genere che fa del muro sonoro massiccio e potente la base per brani che pescano a pari misura dal thrash anni ottanta (Slayer) e dal death metal di scuola statunitense dei primi anni del decennio successivo.
Niente di nuovo rispetto a quanto fatto in passato dal duo dunque, ma è indubbio che l’impatto di brani come le telluriche Creation That Affect o la title track, brano top dell’album con la lunga e a suo modo progressiva Throughout The Centuries.
Lavoro rivolto ai fans del death/thrash più ignorante e violento, The Fallen Entities è un macigno estremo potentissimo e senza compromessi.

Tracklist
1. Dark Days, Dark Times
2. Creations That Affect
3. Wicked Mysterious Events
4. The Fallen Entities
5. Throughout The Centuries
6. Turmoil Under The Sun
7. In Danger
8. Obstructive Behaviour

Line-up
Moyses M. Howard – Drums
Francis M. Howard – Guitars, Vocals

OPPROBRIUM – Facebook

Sidechain – Sidechain

In questo lavoro c’è un po’ tutto quello che il rock ha regalato a cavallo dei due secoli, che il gruppo marchigiano fa suo e con sagacia lo amalgama in una ricetta musicale vincente e matura.

Altro nome di cui risentiremo parlare in futuro è quello dei marchigiani Sidechain.

La band, dopo gli iniziali aggiustamenti nella line up, trova l’assetto definitivo nel quartetto composto da Simone Tedeschi alla voce, Matteo Nardinocchi alla chitarra, Mario Bianchini al basso e Danilo Innocenti alla batteria.
L’ep omonimo licenziato tramite la Volcano Records presenta cinque brani molto interessanti, poco inclini a facili melodie ed incentrati sulla parte più metallica e progressiva del rock alternativo degli anni novanta.
Chi si aspetta una manciata di canzoni dal ritornello carino, magari dal taglio post grunge ed in linea con il sound radiofonico alla Nickelback, verrà invece travolto da un sound potente, che non manca di pesanti note stoner e valorizzato da un grande lavoro ritmico dai rimandi progressivi.
In questo lavoro c’è un po’ tutto quello che il rock ha regalato a cavallo dei due secoli, che il gruppo marchigiano fa suo e con sagacia lo amalgama in una ricetta musicale vincente e matura.
Si parte dal metal al moderno rock progressivo, attraverso l’alternative rock tra lo spartito dell’opener My Master, di Horrible Tentacle e soprattutto della conclusiva Flame, brano simbolo del sound Sidechain, tra Tool, Alice In Chains ed Alter Bridge.
Cinque ottimi brani (l’ep si completa con Wars Today e Last Redemption Of My Soul) che ci presentano una band avviata a dire la sua nella scena underground rock odierna.

Tracklist
1. My Master
2. Horrible Tentacle
3. Wars Today
4. Last Redemption of My Soul
5. Flame

Line-up
Simone Tedeschi – Vocals
Matteo Nardinocchi – Drums
Mauro Bianchini – Bass
Danilo Innocenti – Drums

SIDECHAIN – Facebook

Lost In Pain – Gold Hunters

La band suona un heavy thrash old school che tradisce ispirazioni americane, quindi dal grande impatto, ben prodotto, veloce e basato su un lavoro strumentale di buona fattura.

Dal Lussemburgo arrivano i Lost In Pain, realtà di tutto rispetto dell’underground metallico europeo, arrivati con questo nuovo album al terzo su lunga distanza dopo il debutto omonimo del 2011 ed il precedente Plague Inc. licenziato nel 2015.

La band suona un heavy thrash old school che tradisce ispirazioni americane, quindi dal grande impatto, ben prodotto, veloce e basato su un lavoro strumentale di buona fattura.
I primi Metallica sono probabilmente la band che più si avvicina al sound del quartetto di Niedercorn, composto da Hugo Centeno (voce e chitarra), Dario Raguso (chitarra), Luca Daresta (batteria) e Nathalie Haas (basso), che partono a manetta con la title track e arrivano al traguardo passando per devastanti accelerazioni, groove e mid tempo pesantissimi.
La loro attitudine old school è mitigata da una produzione in linea con quanto proposto oggigiorno, punto a favore dei Lost In Pain che risultano tradizionalisti nel sound ma sul pezzo in quanto a scelte in sala d’incisione.
Accenni a qualche sfumatura estrema a livello d’impatto fanno il resto e brani possenti come Rebellious Protesters o A Word risultano delle potenti mazzate heavy/thrash, così come funzionano le melodie metalliche della semi ballad in crescendo God Of Destruction.
In conclusione Gold Hunters è un album diretto, potente e ben suonato, assolutamente consigliato agli amanti del thrash metal di matrice statunitense.

Tracklist
1.Gold Hunters
2.Mining for Salvation
3.Revolt
4.Rebellious Protesters
5.Burnout
6.A Word
7.God of Destruction
8.The Great Illusion

Line-up
Hugo Centeno – Vocals / Lead Guitar
Dario Raguso – Guitar / B.Vocals
Luca Daresta – Drums
Nathalie Haas – Bass / B. Vocals

LOST IN PAIN – Facebook

Hidden Lapse – Butterflies

Con Butterflies l’asticella della qualità si è alzata non di poco, a conferma delle enormi potenzialità degli Hidden Lapse.

La vena melodica e progressiva dei nostrani Hidden Lapse non si è ovviamente esaurita con Redemption, lavoro uscito un paio di anni fa, e la band torna a scrivere un’altra pagina della sua storia con questo nuovo album, intitolato Butterflies e licenziato ancora dalla Rockshots Records.

Questo nuovo lavoro conferma tutte le buone parole spese per l’album precedente, risultando leggermente più metallico ma sempre elegante e sinuoso, valorizzato da melodie splendidamente incastonate in un sound che a tratti risulta di una forza d’urto devastante.
La band è ancora più compatta e sfoggia, oltre alla notevole interpretazione della cantante Alessia Marchigiani e al gran lavoro del chitarrista Marco Ricco, una sezione ritmica potentissima, più presente e potente rispetto al passato e tecnicamente ineccepibile.
Romina Pantanetti al basso e Alessio Monacelli alla batteria sono l’arma in più di Butterflies, anche se, come scritto in precedenza, la sensazione di essere al cospetto di un gruppo compatto è forte come dimostrano i nove brani.
Butterflies parte deciso, Dead Jester è un opener power progressiva devastante, la splendida voce della singer ricama linee melodiche su un sound che ricorda i Dream Theater più metallici dell’ultimo Distance Over Time.
The Letter 0 si avvicina più ai maestri Symphony X, brano che risulta un piccolo capolavoro prog metal con la track list che non inciampa, regalando qualche spunto elettronico come nel precedente album (Glitchers) e corre dritta verso il traguardo, tra qualche accenno alla scena tricolore (Vision Divine) e bordate di power metal tecnico da applausi (Grim Poet, Cruel Enigma).
Con Butterflies l’asticella della qualità si è alzata non di poco, a conferma delle enormi potenzialità degli Hidden Lapse.

Tracklist
1. Dead Jester
2. Third
3. The Letter 0
4. Stone Mask
5. Glitchers
6. Grim Poet
7. Sleeping Beauty Syndrome
8. Cruel Enigma
9. Dust
10. Silent Sacrifice (rearmed) – Bonus Track

Line-up
Alessia Marchigiani – Vocals
Marco Ricco – Guitars and Vocals
Romina Pantanetti – Bass
Alessio Monacelli – Drums

HIDDEN LAPSE – Facebook

Embrional – Evil Dead

Gli Embrional manipolano la materia a loro piacimento, creando una valanga di riff forgiati negli oscuri abissi dell’inferno, tra tempi veloci ed altri più rallentati, maligni come demoni intenti a portare il verbo oscuro sulla terra.

Sono passati quattro anni da quando gli Embrional fecero la loro maligna apparizione su quelle che erano pagine metal di Iyezine con quell’oscuro massacro sonoro dal titolo The Devil Inside, e il diavolo pare proprio che continui ad ispirare alla band polacca musica estrema malefica e putrescente.

Il gruppo torna con questo ottimo lavoro intitolato Evil Dead, composto da otto brani di death metal oscuro e diabolico, dai tratti black ed accostabile ai soliti Behemoth.
Gli Embrional manipolano la materia a loro piacimento, creando una valanga di riff forgiati negli oscuri abissi dell’inferno, tra tempi veloci ed altri più rallentati, maligni come demoni intenti a portare il verbo oscuro sulla terra.
Dall’opener Ending Up On The Gallows in poi è un susseguirsi di atmosfere oscure e possessive, un crescendo di odio e malvagità che trova nell’oppressiva Lords Of Skull, nella violenta e veloce Day Of Damnation e nella conclusiva Damned By Dogmas il culmine di tensione di questo nuovo lavoro degli Embrional, altro ordigno sonoro appannaggio degli amanti del death metal di scuola est europea.

Tracklist
1.Ending up on the Gallow
2.Vileness…
3.Inhuman Lusts
4.Lord of Skulls
5.Day of Damnation
6.Endless Curse
7.Abomination
8.Damned by Dogmas

Line-up
Armagog – Bass
Skullripper – Guitars, Vocals
Młody – Drums
Tomasz Nowok – Guitars

EMBRIONAL – Facebook

Legacy Of Silence – Our Forests Sing

In virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal.

La Volcano Records ci sorprende ancora una volta, licenziando il debutto dei Legacy Of Silence, band folk/death metal di Torino.

Il gruppo, attivo dal 2014, dopo vari cambi nella line up, un ep ed una manciata di singoli pubblicati arriva all’esordio su lunga distanza, un’opera curata nei minimi dettagli intitolata Our Forests Sing.
Ispirato dai luoghi montani della loro terra, il concept dell’album ruota intorno alla natura, alla sua forza e all’influenza che ha su chi ancora riesce a viverci in simbiosi, ed il sound non può che essere un death metal melodico, di matrice nord europea e dalla forte componente folk.
Ormai il genere non fa più notizia, ma in virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal.
Our Forests Sing, le foreste cantano, intonando note d’altri tempi e con Witchwood si entra nel mondo dei Legacy Of Silence, fatto di rispettoso silenzio davanti alla maestosità dei luoghi dove le varie Bloodhunt o Misfortune ci accompagnano, mentre le ritmiche salgono, il growl si inspessisce e l’atmosfera si contorna di un’aura austera ed epica nello spartito di Heresy e Nightfall.
Le band di riferimento sono quelle ormai classiche del genere, con la componente estrema di matrice Amon Amarth ad irrobustire il suono dell’epico silenzio di cui si fanno portavoce i Legacy of Silence.

Tracklist
1.Witchwood
2.Bloodhunt
3.Misfortune
4.Torment
5.Heresy
6.Inquisition
7.J.A.W.S.
8.Nightfall
9.Rebirth

Line-up
Alberto Ferreri – Batteria
Luca Capurso – Flauto
Gianluca Mondo – Chitarra Main e Voce
Mark Greyowl – Voce Leader
Simone Macchia – Chitarra Leader
Alberto Ferrero – Basso

LEGACY OF SILENCE – Facebook

Lord Vicar – The Black Powder

I Lord Vicar non inventano nulla, suonando un genere circoscritto, ma lo fanno con una forza espressiva ed una qualità sopra la media che li rendono una delle massime espressioni del classic doom attuale.

Nati dalle ceneri dei Reverend Bizarre, i Lord Vicar proseguono il loro viaggio nel doom metal più classico con il il quarto lavoro su lunga distanza, questo nuovissimo e monolitico The Black Powder.

Registrato ai Noise for Fiction Studio di Turku in Finlandia, con il produttore Joona Lukala, ed accompagnato come tradizione da uno splendido artwork, l’album, partendo proprio dalla copertina si rivela un’opera d’arte, un bellissimo esempio di musica del destino dai rimandi classici, ma dotato di una forza ed un’eleganza straordinarie.
La band finlandese torna dunque con più di un’ora di sound pesante, monolitico, pregno di melanconiche melodie e dalla forza prorompente, alternate ad atmosfere in cui il metal lascia spazio a momenti musicali di stampo progressivo, accennati tra un dark sound che improvvisamente esplode in parti grondanti watt.
I nove brani partono dai diciassette minuti di Sulphur, Charcoal and Saltpetre, brano posto in apertura che non lascia spazio a dubbi su quello che si troverà tra le note delle varie Descent (brano che ricorda non poco gli statunitensi Revelation), la più vigorosa The Temple in the Bedrock e la conclusiva e travolgente A Second Chance, top song di questo ottimo lavoro.
I Lord Vicar non inventano nulla, suonando un genere circoscritto, ma lo fanno con una forza espressiva ed una qualità sopra la media che li rendono una delle massime espressioni del classic doom attuale.

Tracklist
1.Sulphur, Charcoal and Saltpetre
2.Descent
3.World Encircled
4.Levitation
5.The Temple in the Bedrock
6.Black Lines
7.Impact
8.Nightmare
9.A Second Chance

Line-up
Gareth Millsted – Drums
Kimi Kärki – Guitars
Chritus – Vocals
Rich Jones – Bass

LORD VICAR – Facebook

Ontborg – Within The Depths Of Oblivion

Within The Depths Of Oblivion non ha nulla di originale, ma a forza di spallate potentissime sfonda le nostre resistenze, ci travolge con un quel sound diventato leggenda e ci regala cinquanta minuti di melodie incastonate tra devastanti ripartenze e mid tempo, atmosfere oscure e una raccolta di tracce praticamente perfette.

Difficile non essere d’accordo con le note biografiche presenti nel promo kit riguardante il debutto degli Ontborg, band nata nel 2017 dalle ceneri dei Voices Of Decay, ed ora pronta ad entrare con Within The Depths Of Oblivion nei cuori degli amanti del death metal old school di scuola scandinava.

Con base a Merano, trasformata in una piccola Göteborg dal quartetto, gli Ontborg si incuneano nell’ underground estremo tricolore con un lavoro decisamente riuscito, un tributo al genere con le carte in regola per accasarsi nei lettori cd di chi, ancora oggi, ad ogni uscita che riguarda il death metal nord europeo festeggia come fosse Natale.
Within The Depths Of Oblivion non ha nulla di originale, ma a forza di spallate potentissime sfonda le nostre resistenze, ci travolge con un quel sound diventato leggenda e ci regala cinquanta minuti di melodie incastonate tra devastanti ripartenze e mid tempo, atmosfere oscure e una raccolta di tracce praticamente perfette.
Dall’opener Living Is A Torture, passando per la title track, è un susseguirsi di brani di altissimo livello che, come scritto non muovono un passo fuori dal periodo 90′-95 ma che stendono al primo colpo, grazie a spettacolari mid tempo come Entwined In Darkness o alla clamorosa This Time, per poi accelerare i tempi fino al confine con il black metal e sfornare autentici gioielli come Die To Be Alive, facendo infine confluire il tutto in Snow Of Lethe.
L’artwork di Juanjo Castellano, artista conosciutissimo nella scena death metal, in linea con le leggendarie copertine di quel periodo, e con Dismember, Necrophobic, Entombed e primi Edge Of Sanity a fornire l’imprimatur al tutto, Within The Depths Of Oblivion si candida come una delle più belle sorprese dell’ultimo periodo per quanto riguarda lo swedish death.

Tracklist
1. Living Is A Torture
2. Within The Depths Of Oblivion
3. Entwined In Darkness
4. A Storm Breaks The Silence
5. This Time
6. Die To Be Alive
7. Snow Of Lethe
8. No Memories Beyond
9. The Long Awaited Winter
10. Black Garden

Line-up
Lukas Flarer – vocals, guitars
Florian Reiner – guitars
Harald Klenk – bass
Christoph Flarer – drums

ONTBORG – Facebook

Dethonator – Race Against The Sun (Part One)

Quasi un’ora di metallo ispirato ai sempre eterni Iron Maiden e Judas Priest è quello che si trova tra le trame di brani come Burial Ground o Ghost Of The Rolling Horizon, con le chitarre a macinare riff scolpiti nel tempo e quelle cavalcate in crescendo che hanno fatto la fortuna di Harris e soci.

La fiamma del metal classico di scuola britannica viene alimentata da band come i Dethonator, monicker da thrash metal band, ma dal sound forgiato alla scuola della New Wave Of British Heavy Metal.

Il quartetto, nato nelle East Midlands ma stabilitosi sul suolo londinese, dà alle stampe il suo terzo full length dopo il debutto omonimo del 2010 (ristampato nel 2016 dalla Killer Metal records) il secondo album del 2013, Return To Damnation e l’ep del 2014, Monuments to Dead Gods.
Il nuovo lavoro, intitolato Race Against The Sun (Part One), viene licenziato dalla Pavement Entertainment in versione digitale, accompagnato da una copertina bruttina che non rende onore alla musica suonata dai nostri, un robusto heavy metal old school.
Quasi un’ora di metallo ispirato ai sempre eterni Iron Maiden e Judas Priest è quello che si trova tra le trame di brani come Burial Ground o Ghost Of The Rolling Horizon, con le chitarre a macinare riff scolpiti nel tempo e quelle cavalcate in crescendo che hanno fatto la fortuna di Harris e soci.
Lavorano bene i quattro musicisti inglesi, lasciando trasparire qualche eco estremo qua e là, tanto per ribadire che siamo nel 2019 e che di musica metal dal 1981 ne è stata scritta tanta, e azzeccano brani trascinanti come Pyroclastic e tellurici come Terror By Night, facendo dell’album un buon ascolto per chi ama queste sonorità.
Race Against The Sun (Part One) non cambierà certo la storia della nostra musica preferita, ma si fa valere tra le tante uscite che affollano la scena metal classica underground.

Tracklist
1. When Lucifer Fell
2. Nightmare City
3. Burial Ground
4. Ulflag
5. Ghost of the Rolling Horizon
6. Pyroclastic
7. The Hangman
8. Narcisside
9. Terror By Night
10. Sharp’s Cairn

Line-up
Tris Lineker – Vocals, Guitars
Henry Brooks – Guitars, Keyboards, Backing Vocals
Adz Lineker – Bass, Growls Johnny
Mo Armstrong – Drums

DETHONATOR – Facebook