Hardline – Life

La cover di Who Wants To Live Forever dei Queen come perla incastonata tra la dozzina di tracce che compongono l’album, valorizza, se ce ne fosse bisogno il gran lavoro degli Hardline a conferma dell’ottimo stato di forma dell’hard rock melodico.

Gli Hardline sono sempre stati considerati un supergruppo, fin da quando il debutto Double Eclipse, arrivò sul mercato nel 1992, tempi duri per il classic rock e l’hard rock melodico.

Johnny Gioeli, talentuoso singer con una carriera spumeggiante nel gruppo di Axel Rudi Pell e non solo, continua a capitanare questa congrega di talenti che oggi vede, dopo i contributi nel corso degli anni di musicsti come Deen Castronovo, Neal Schon, Mike Terrana e Rudi Sarzo, una milizia tutta italiana ad accompagnare le gesta dietro al microfono del vocalist statunitense.
Alessandro Del Vecchio (tastiere), Mario Percudani (chitarra), Anna Portalupi (basso) e Marco Di Salvia (batteria) assecondano Gioeli in questo nuovo lavoro, il sesto in studio per la band a tre anni di distanza dal precedente Human Nature, segno di un rinnovato entusiasmo non solo negli Hardline ma in tutto il genere, che il gruppo di Gioeli contribuisce a rappresentare.
Entusiasmo che esce a frotte dai brani di Life, sempre pregni di quell’hard rock melodico e graffiante diventato marchio di fabbrica della band e in cui Gioeli mette la sua firma con un prestazione come sempre sontuosa, carica di feeling, ed ovviamente meno epica che sui lavori degli Axel Rudi Pell.
Il genere rimane ancorato a delle caratteristiche note al pubblico di rockers sparsi per il mondo, quindi non è una novità il trittico di song iniziali, dove la band spara tre hard rock song potenti, melidiche dall’appeal stratosferico, con l’opener Place To Call Home a dare il benvenuto in Life.
Poi la verve si stempera per lasciare spazio a mid tempo e ballads che ci accompagnano sino alla fine mantenendo la solita qualità sopra le righe, sia nel songwritng che nelle prove dei quattro moschettieri tricolori che accompagnano il singer in questa nuova avventuta.
La cover di Who Wants To Live Forever dei Queen come perla incastonata tra la dozzina di tracce che compongono l’album, valorizza, se ce ne fosse bisogno il gran lavoro degli Hardline a conferma dell’ottimo stato di forma dell’hard rock melodico.

1.Place To Call Home
2.Take A Chance
3.Hello’s Sun
4.Page Of Your Life
5.Out Of Time
6.Hold On To Right
7.Handful Of Sand
8.This Love
9.Story Of My Life
10.Who Wants To Live Forever
11.Chameleon
12.My Friend

Johnny Gioeli – Vocals
Alessandro Del Vecchio – Keyboards, Backing Vocals
Mario Percudani – Guitars
Marco Di Salvia – Drums
Anna Poratalupi – Bass

https://www.facebook.com/hardlinerocks/

2019 Hard Rock 8.30

Silenzio – Ep

I Silenzio sono un ottimo gruppo hardcore punk di Vicenza che attinge dalla splendida tradizione italiana del genere e al contempo innova fondendo vari sottogeneri.

I Silenzio sono un ottimo gruppo hardcore punk di Vicenza che attinge dalla splendida tradizione italiana del genere e al contempo innova fondendo vari sottogeneri.

I ragazzi sono di Vicenza e hanno ben chiara la loro missione, ovvero descrivere con la musica ed il sangue ciò che vediamo e viviamo tutti i giorni, con il supporto di una capacità musicale affatto comune. I Silenzio hanno il passo dei grandi gruppi hardcore punk, avendo la grande capacità di cambiare registro musicale a seconda delle emozioni che vogliono descrivere. Ascoltando questo ep si ha la confortevole sensazione di essere tornati vicino a delle ottime vibrazioni hardcore punk, ma il comfort finisce qui, perché oltre quella porta c’è solo dolore e smarrimento. Proprio quest’ultimo è uno dei sentimenti dominanti di questa nostra epoca, avvertiamo nettamente la sensazione di essere fuori posto, sopratutto se cerchiamo di vivere secondo i modelli dominanti, che sono chiaramente fallimentari, ma che più espletano il loro fallimento più ci vengono imposti. Ad esempio la conclusiva Merito è un bellissimo pezzo sulla meritocrazia, una cosa che in Italia non esiste nemmeno di sfuggita, e i Silenzio ne fanno una bellissima canzone mai ovvia. Tutto il disco è bello, è della lunghezza giusta, ci sono atomi che viaggiano velocissimi, e atomi che vanno più lenti, tutto è adeguato e molto ben fatto, e sopratutto è uno di quei dischi che ti fa ragionare e andare oltre le ombre. Musicalmente come composizione ed esecuzione sono molto oltre la media dei gruppi hardcore punk, che è un genere che fa giustamente esprimere anche chi non ha ottime capacità, ma che quando viene fatto da chi sa suonare lo si sente nettamente subito.
Un ottimo ep di esordio per un gruppo che ha tanto da dire e da suonare.

Tracklist:
1 Oro
2 Azione
3 Argento
4 Merito

Line-up
Maksymilian – Voice
Giordano – guitar
Samuele – bass
Francesco – drums

First Signal – Line Of Fire

Line Of Fire è una raccolta di canzoni dove rocciose parti hard rock, si alleano con linee melodiche di rara bellezza, raffinate ed eleganti, sapientemente ruvide ma, allo stesso tempo ruffiane tanto basta per spaccare cuori tra i rockers dai gusti melodici.

Il mondo dell’hard rock melodico è uno scrigno colmo di perle musicali come questo bellissimo lavoro intitolato Line Of Fire, il terzo per la band guidata dal cantante degli Harem Scarem Harry Hess e dal produttore Dennis Ward (Pink Cream ’69, Sunstorm, Place Vendome, tra gli altri).

Dopo i due lavori precedenti (First Signal e One Step Over The Line) e raggiunti dal batterista e produttore Daniel Flores (Mind’s Eye, 7 Days e X Savior), i First Signal tramite la nostrana Frontiers dà vita ad un altro splendido esempio di hard rock melodico di gran classe, scritto da un manipolo di autori fuori categoria come Stan Meissner, Bruce Turgon, Nigel Bailey e Carl Dixon, tra gli altri e valorizzato dal talento melodico del cantante, uno dei migliori singer che l’AOR odierno possa vantare.
Line Of Fire è una raccolta di canzoni dove rocciose parti hard rock, si alleano con linee melodiche di rara bellezza, raffinate ed eleganti, sapientemente ruvide ma, allo stesso tempo ruffiane tanto basta per spaccare cuori tra i rockers dai gusti melodici.
L’album alterna irresistibili brani dove graffianti riff hard rock irrobustiscono e alzano la temperatura di hard rock song a stelle e strisce come l’opener Born To Be A Rebel e A Millions Miles, a classiche ed eleganti melodic song dove Hess da prova di una forma smagliante.
La band segue il singer con una prova senza sbavature e le varie Walk Through The Fire e Never Look Back ribadiscono il valore di questa raccolta di brani che porta i First Signal tra le realtà più quotate dell’hard rock melodico internazionale.

Tracklist
01. Born To Be A Rebel
02. A Million Miles
03. Last Of My Broken Heart
04. Tonigh We Are The Only
05. Walk Through The Fire
06. Never Look Back
07. Line Of Fire
08. Here With You
09. Need You Now
10. Falling
11. End Of The World

Line-up
Harry Hess – Vocals
Michael Palace – Guitars
Johann Niemann – Bass
Daniel Flores – Drums, Keyboards

https://www.facebook.com/firstsignalband/

Deepshade – Soul Divider

I Deepshade esibiscono un sound personale, riescono nella non facile impresa di risultare a loro modo originali, pur lasciando che all’ascolto dell’album le loro ispirazioni facciano capolino dalle pareti del tunnel dai mille colori in cui si entra appena si preme il tasto play.

Psych rock, alternative metal ed hard rock stoner, un mix letale di cui si compone il sound di Soul Divider, nuovo full length dei rockers britannici Deepshade.

Licenziato dalla Wormholedeath, label che è una garanzia di qualità per gli amanti del metal e del rock in tutte le loro molteplici rivisitazioni, l’album è un tunnel di luci caleidoscopiche dove una volta entrati ci si perde, confusi ed ipnotizzati dalla musica che segue un fiume di colori travolgente.
Facile perdersi, ma più difficile tornare in sé, dopo il bombardamento ritmico che il trio ha in serbo per l’ascoltatore rapito da un sound a tratti claustrofobico che ha le sue radici nel rock anni settanta, modernizzato e reso potente da iniezioni di psych/stoner letale come il morso di un velenosissimo rettile.
Soul Divider non dà tregua, parte in sordina ma acquista subito forza, drogato di stoner bruciato dal sole della Sky Valley, mellifluo e lascivo come una bella ragazza in trip, mentre si muove al ritmo fluido ed ipnotico del rock psichedelico (Lonley Man) o tellurico e squassante come il miglior alternative metal anni novanta (Sad Sun, Gangzua).
I Deepshade esibiscono un sound personale, riescono nella non facile impresa di risultare a loro modo originali, pur lasciando che all’ascolto dell’album le loro ispirazioni (Kyuss, Nirvana, Black Sabbath, Queens Of The Stone Age, The Doors) facciano capolino dalle pareti del tunnel dai mille colori in cui si entra appena si preme il tasto play.

Tracklist
1.Airwaves
2.City Burns
3.Burning Up
4.Arches Of Innocence
5.Sad Sun (radio edit)
6.Lonley Man
7.Soul Divider
8.MaryLand
9.Monster
10.Ganzua

Line-up
David Rybka – Vocal, Guitar
Tommy Doherty – Bass
Chris Oldfield – Drums

https://www.facebook.com/deepshadeuk/

https://youtu.be/4zvp0QVJB80

The End Machine – The End Machine

The End Machine mette tutti d’accordo, non pretende di essere più di quello che è, un ottimo lavoro pregno di belle canzoni, incentrate sul rock più sanguigno e viscerale che ha passato indenne quarant’anni della nostra storia.

Quando ci si trova davanti a tre icone dell’hard & heavy classico come i tre Dokken George Linch, Jeff Pilson e Mick Brown non si può che inchinarsi a cotanto talento, anche perchè è praticamente scontato che avremo a che fare con un grande album di rock duro.

Se poi i tre piazzano davanti al microfono l’attuale singer dei Warrant Robert Mason e creano undici brani di hard rock tra sonorità classiche e moderne, spaziando tra anni ottanta, novanta con non pochi riferimenti al rock duro del nuovo millennio, il gioco è fatto.
Non aspettatevi quindi un classico album alla Dokken, i The End Machine non dimenticano il loro passato, ma usano l’enorme esperienza accumulata per regalare una track list inattaccabile sotto tutti i punti di vista, pregna di riff ruvidi, ritmiche che non disdegnano groove e feeling, ed un singer che sembra nato per cantare questi brani.
Leap Of Faith apre le danze, grintosa e con quel tocco mainstream anni novanta che risulta irresistibile, così come il mid tempo Bulletproof, dove echi di blues si fanno largo tra riff possenti e solos decisi di un Linch ispiratissimo.
L’urgenza rock’n’roll di Ride It attacca al muro, mentre le armonie acustiche di Burn The Truth, tornano a far sognare tramonti di frontiera come ai tempi di Bon Jovi e Poison.
E qui è il bello, perchè The End Machine cambia pelle in un attimo, salta tra i decenni con la facilità di un grillo musicale, tra gli Europe odierni, i Kings X (clamorosa Hard Road), e Dokken, lasciando al rock’n’roll la sua parte da protagonista (Life Is Love Is Music).
The End Machine mette tutti d’accordo, non pretende di essere più di quello che è, un ottimo lavoro pregno di belle canzoni, incentrate sul rock più sanguigno e viscerale che ha passato indenne quarant’anni della nostra storia.

1.Leap Of Faith
2.Hold Me Down
3.No Game
4.Bulletproof
5.Ride It
6.Burn The Truth
7.Hard Road
8.Alive Today
9.Line Of Division
10.Sleeping Voices
11.life Is Love Is Music

Robert Mason – Vocals
George Lynch – Guitars
Jeff Pilson – Bass
Mick Brown – Drums

https://www.facebook.com/TheEndMachine/

Rockin’ Engine – Midnight Road Rage

Midnight Road Rage è un album che si fa ascoltare con piacere e che, in quanto ad attitudine ed impatto, dice sicuramente la sua nell’affollato mondo del rock duro.

Hard & heavy potente e tagliente come un rasoio è quello proposto dal quartetto canadese dei Rockin’ Engine provenienti da Ottawa ed attivi dal 2015.

Il loro debutto autoprodotto si intitola Midnight Road Rage ed è composto da otto esplosive tracce di rock duro che amalgama con buon esito hard rock ed heavy metal old school.
Un grande lavoro chitarristico (Steve O Leff e Ste Vy Leff ) e ritmiche telluriche e pregne di un buon groove (Joel Bilodeau alla batteria e JP Buzzard al basso) sono il leit motiv di Midnight Road Rage, un album classico nel suo approccio (ma ben inserito in questi tempi in cui i suoni classici stanno trovano nuovamente buoni riscontri rispetto a qualche anno fa, merito anche dell’underground e di band come i Rockin’ Engine), che nei suoi quaranta minuti circa di durata non molla la presa grazie ad una ricetta semplice ma assolutamente vincente.
Unj rock duro di origine controllata che tra i solchi di tracce dinamitarde come Let’s Roll The Dice, When Engines Collide e la spettacolare Road Rage Boogie non manca di farci divertire a suon di rock’n’roll potenziato da un’overdose di watt, tra Van Halen, Gotthard e modern hard rock dal groove micidiale.
Midnight Road Rage è un album che si fa ascoltare con piacere e che, in quanto ad attitudine ed impatto, dice sicuramente la sua nell’affollato mondo del rock duro.

Tracklist
1.Shake That Ass
2.Let’s Roll The Dice
3.Livin’ A Lie
4.When Engines Collide
5.Never Surrender
6.The State Of Nature
7.Hiding In Darkness
8.Road Rage Boogie

Line-up
Steve O Leff – Vocals, Guitars
Ste Vy Leff – Guitars
JP Buzzard – Bass
Joel Bilodeau – Drums

https://www.facebook.com/rockinengineofficial

Plague Vendor – By Night

Era da tempo che si era tutto orfani di un suono potente e indie punk rock, ma i Plague Vendor sono qui per colmare il vuoto e proporsi per occupare un posto importante nel futuro della musica alternativa, e soprattutto per regalare momenti piacevoli ai loro ascoltatori, e questo disco è pieno di bei momenti.

Indie rock dalla forte attitudine punk in uscita per Epitaph. Prendete i migliori Hives e mischiateli con i Black Keys meno blues e ci sarete vicini.

Il loro incedere è molto convincente, hanno un tiro molto intenso e sono anche orecchiabili senza essere mai banali, una bella scoperta. I Plague Vendor rinverdiscono e scuotono quella tradizione indie punk rock che era ultimamente in difficoltà, vuoi per l’avanzare del tempo, vuoi per mancanza di idee. Queste ultime sono presenti in abbondanza in questo disco, un lavoro molto onesto e diretto, piacevole e mai noioso. Chi ama l’indie americano era da tempo in attesa di un disco così, nervoso, melodico e anche ballabile. I Plague Vendor hanno un cuore new wave post punk affatto indifferente, che è il valore aggiunto di questo disco e della loro poetica musicale. La forza di questo gruppo è creare un suono molto organico, potente e sinuoso al contempo, dalla melodia importante ma anche profondo e mai ovvio. Non è facile avere un suono così di questi tempi, ed infatti i Plague Vendor sono un’affascinante anomalia che la Epitaph non si è lasciata scappare per ampliare il suo ventaglio di proposte. Il gruppo evoca fortemente un immaginario anni ottanta, ma anche i sessanta ed i settanta trovano il loro posto. Riesce molto piacevole ascoltare come n gruppo moderno e giovane arrivi a rielaborare istanze abbastanza antiche ma sempre valide, per fare un disco così il gruppo ha sicuramente una grande ampiezza di ascolti, ed una buona capacità selettiva. Era da tempo che si era tutto orfani di un suono potente e indie punk rock, ma i Plague Vendor sono qui per colmare il vuoto e proporsi per occupare un posto importante nel futuro della musica alternativa, e soprattutto per regalare momenti piacevoli ai loro ascoltatori, e questo disco è pieno di bei momenti.

1.New Comedown
2.Nothing’s Wrong
3.All Of The Above
4.Let Me Get High \ Low
5.Prism
6.White Wall
7.Night Sweats
8.Pain In My Heart
9.Snakeskin Boots
10.In My Pocke

Brandon Blaine – Vocals
Luke Perine – Drums
Michael Perez – Bass
Jay Rogers – Guitar

https://www.facebook.com/PLAGUEVENDOR/

Rival Sons – Feral Roots

Far passare per semplice attitudine vintage, opere e band di questo valore sarebbe peccato mortale, il genere è vivo e vegeto e si rigenera grazie al talento di gruppi come i Rival Sons.

Prima di avvicinarvi al nuovo lavoro firmato dai Rival Sons, sarebbe opportuno chiarire un concetto: l’hard rock di matrice settantiana è tornato con il suo carico di blues, ad incendiare gli impianti stereo dei fans di Led Zeppelin e compagnia con una serie di band e album che davvero poco avrebbero da invidiare alle opere leggendarie uscite nel decennio d’oro del rock duro.

Ma non saranno certo gruppetti di ragazzini costruiti a tavolino dai mercenari del music biz a cambiare la storia di questo clamoroso ritorno, ma una serie di gruppi che dall’America, al Regno Unito, fino alle fredde terre del nord, hanno conquistato i fans, ognuna con una sua personale visione della materia, ognuna con il talento giusto per rimanere nel mercato, senza farsi dimenticare dopo un paio di lavori.
I Rival Sons sono sicuramente tra questi, giunti al sesto lavoro, continuano con il loro personale tributo agli anni settanta e all’hard rock segnato da stigmate blues, dal chiaro ma a volte semplicistico riferimento agli Zep ed alle loro intramontabili opere.
D’altronde dieci anni di album e live hanno portato i Rival Sons ad avere una reputazione più che consolidata e non sarà certo un album come Feral Roots a far perdere punti alla band tra gli amanti del genere.
Con sempre il fido Dave Cobb dietro al mixer, la band sforna undici spettacolari brani dove, se sicuramente non troverete chissà quali soprese compositive, verrete travolti da una cascata di note sanguigne, tra rock e blues, suonate con grinta ed una teatralità a tratti spropositata.
Il quartetto statunitense parte in quarta con il riff mostruoso dell’opener Do You Worst e non si ferma più con la coppia Jay Buchanan (voce) e Scott Holiday (Chiatarra) a dare letteralmente di matto, coadiuvati dalla solita e precisa sezione ritmica composta da Dave Beste al basso e Mike Miley alla batteria.
Basterebbe il blues ferale di Stood By Me per decretare il nuovo Rival Sons come un altro pezzo da novanta tra le opere di genere degli ultimi tempi, ma Back In The Woods, le armonie acustiche della rupestre Look away che cresce di intensità ed esplode nel finale, la splendida e solare Imperial Joy, non mancano di incantare l’ascoltatore rapito dal sound di questi ottimi interpreti dell’hard rock classico del nuovo millennio.
Far passare per semplice attitudine vintage, opere e band di questo valore sarebbe peccato mortale, il genere è vivo e vegeto e si rigenera grazie al talento di gruppi come i Rival Sons.

1.Do You Worst
2.Sugar On The Bone
3.Back In The Woods
4.Look away
5.freal Roots
6.Too Bad
7.Stood By Me
8.Imperial Joy
9.All Directions
10.End Of Forever
11.Shooting Stars

Jay Buchanan – Vocals
Scott Holiday – Guitars
Dave Beste – Bass
Mike Miley – Drums

https://www.facebook.com/rivalsons/?epa=SEARCH_BOX

Pretty Wild – Interstate 13

Il sound di Interstate 13 pulsa di influenze che vanno ricercate tra le band che fecero la storia del genere come i sempre presenti Mötley Crüe oppure Winger, Steelheart e Firehouse, il che tradotto significa zero originalità, tanta attitudine e soprattutto belle canzoni.

Le terre scandinave, da molti considerate a ragione culla del metal estremo e dei suoni power, continuano a sfornare ottime band dai suoni classici in un hard rock ispirato alla scena americana di fine anni ottanta.

Hard rock, sleaze/street e hair metal, sono generi radicati nelle terre del nord da decenni, basti pensare agli Hanoi Rocks, la band di Michael Monroe ed Andy McCoy, fermata sul più bello dal tragico incidente che causò la morte del batterista Razzle una notte di bagordi sul Sunset Boulevard.
Il gruppo svedese dei Pretty Wild, già passato agli onori della cronache rock con il precedente lavoro omonimo uscito nel 2014, torna con un nuovo album a ribadire la bontà delle nuove leve dedite a queste sonorità,.
Il quartetto, come da copertina, lascia la propria terra per avventurarsi nell’assolato deserto americano sulla Interstate 13, viaggiando tra la storia dell’hard rock statunitense, tra hair/sleaze metal ed hard rock classico dando vita ad una raccolta di brani in cui le parole d’ordine sono energia e melodia.
Una tracklist che lascia il segno, composta da un lotto di canzoni dove melodie vocali dall’appeal enorme, riff graffianti e tanta ruffiana attitudine rock riescono a far prigionieri non pochi rockers dal cuore che pulsa di note perse nelle notti di un’America che stava per lasciare le strade illuminate di Los Angeles per quelle bagnate di Seattle.
Le prime sette tracce non lasciano dubbi sulla voglia di Ivan Ivve Höglund e compagni di fare danni, veniamo quindi travolti dall’irresistibile hard classic rock venato di hair metal di Ment For Trouble, Superman, Wild And Free e Stand My Ground, tracce diverse tra loro, tra mid tempo, ritmiche assassine e chorus assassini, con una Shot Me Down che stravince il premio di miglior canzone dell’album.
Il sound di Interstate 13 pulsa di influenze che vanno ricercate tra le band che fecero la storia del genere come i sempre presenti Mötley Crüe oppure Winger, Steelheart e Firehouse, il che tradotto significa zero originalità, tanta attitudine e soprattutto belle canzoni.

Tracklist
01. Let’s Get It Out
02. Meant For Trouble
03. Superman
04. Wild And Free
05. Give It All Tonight
06. Stand My Ground
07. The Way I Am
08. Thanks To You
09. Shot Me Down
10. Walk The Edge
11. I Love It
12. Break Down The Walls

Line-up
Ivan Ivve Höglund – Vocals
Axl Ludwig – Guitars
Kim Chevelle – Bass
Johnny Benson – Drums

https://www.facebook.com/prettywildofficial/

Royal Republic – Club Majesty

I quattro musicisti di Malmö, look da balera ed attitudine sfrontata come pochi, arrivano al quarto album intitolato Club Majesty continuando con la loro rivisitazione in chiave rock della musica dance di quarant’anni fa, un’irresistibile quanto appagante tuffo nella musica tutta luci e lustrini.

I Royal Republic sono un’entità a sé nel panorama musicale odierno, fanno rock ma lo maltrattano con schiaffoni dance, pop funky e soul in un’orgia di suoni ed umori che passano agevolmente dal glam, al rock’n’roll , per poi finire sulla pista da ballo di locali dove si balla musica che non supera l’anno di grazia 1978.

I quattro musicisti di Malmö, look da balera ed attitudine sfrontata come pochi, arrivano al quarto album intitolato Club Majesty continuando con la loro rivisitazione in chiave rock della musica dance di quarant’anni fa, un’irresistibile quanto appagante tuffo nella musica tutta luci e lustrini.
La Febbre del Sabato Sera è servita, mentre con l’opener Fireman & Dancer scendiamo sulla pista da ballo e ci scateniamo tra rock’n’roll e dance di alto livello; Can’t Fight The Disco non permette ai nostri arti di fermarsi mentre li muoviamo incontrollati al ritmo della spettacolare Blunt ForceTrauma.
Questo revival glam/dance che sta acquisendo sempre più spazio sul mercato discografico, trova nei Royal Republic la band di riferimento: Adam Grahn e compagni sanno come far divertire, mantenendo più di un piede nel rock, (la conclusiva Bulldog è un rock’n’roll micidiale), ma lasciando che l’atmosfera danzereccia non perda mai appeal nei confronti di chi ascolta.
Mezz’ora abbondante da spararsi a volume illegale, magari dopo aver organizzato un party con tanto di girandole di luci colorate, brillantini e tanto rock’n’roll.

Tracklist
1.Fireman & Dancer
2.Can’t Fight the Disco
3.Boomerang
4.Under Cover
5.Like a Lover
6.Blunt Force Trauma
7.Fortune Favors
8.Flower Power Madness
9.Stop Movin’
10.Anna-Leigh
11.Bulldog

Line-up
Adam Grahn – vocals
Hannes Irengård – guitars
Jonas Almén – bass
Per Andreasson – drums

http:www.facebook.com/royalrepublic

Dude York – Falling

I Dude York sono un gruppo americano, e non potrebbe essere altrimenti, provengono da Seattle e offrono uno stile musicale che contiene al suo interno qualcosa dei Ramones, qualcosa dei Dinosaur Jr., e qualcosa del migliore indie rock, oltre ad un’immensa carica pop, che è poi il genere finale.

Indie punk pop di alta qualità con voce femminile, molta melodia e una capacità di far sembrare semplice ciò che in realtà è difficilissimo, ovvero fare un disco orecchiabile e profondo al contempo.

I Dude York sono un gruppo americano, e non potrebbe essere altrimenti, provengono da Seattle e offrono uno stile musicale che contiene al suo interno qualcosa dei Ramones, qualcosa dei Dinosaur Jr., e qualcosa del migliore indie rock, oltre ad un’immensa carica pop, che è poi il genere finale. Il trio non è composto da musicisti alle prime armi e lo si sente chiaramente in Falling, tutte le canzoni hanno motivi di interesse, non c’è nulla di noioso o di artefatto e il lavoro non è affatto monocorde. In sostanza Falling è un qualcosa che racchiude dentro di sé molto di ciò che è successo nella parte alternativa del rock negli ultimi venti anni, ma che va anche a pescare in ciò che si nasconde più in profondità nel pop rock americano, con le sue solide radici anni ottanta. I Dude York sanno fare molto bene delle melodie per nulla ovvie, con delle aperture che ricordando molto quelle delle college band degli anni ottanta e novanta, con quella freschezza contagiosa che è radiosa ma che, per essere tale, ha bisogno anche della malinconia quale suo contraltare. Questi tredici brani hanno come minimo comune denominatore qualcosa che si è rotto, possa essere un filo, un rapporto di amicizia o di amore. L’intensità della rottura è determinata da vari fattori, ma è comunque una rottura, e questi avvenimenti li viviamo ogni giorno: la fine di qualcosa fa parte della vita, anzi forse è la maggior parte del nostro vissuto. I Dude York raccontano molte cose in maniera intelligente, con il continuo gioco fra voce femminile e voce maschile, ci sono momenti in cui sembrano gli Weezer prima che si perdessero in dischi inutili, ascoltare How It Goes per credere.
Un disco molto piacevole che parla di cose non facili e della nostra inadeguatezza di fronte a noi stessi, ma Falling è un buon motivo per non buttarci giù dalla torre.

Tracklist
1.Longest Time
2.Box
3.I’m the 1 4 U
4.Should’ve
5.Only Wish
6.Unexpected
7.How It Goes
8.Falling
9.Doesn’t Matter
10.Let Down
11.:15
12.Making Sense
13.DGAFAF (I Know What’s Real)

Line-up
Andrew
Claire
Peter

https://www.facebook.com/dudeyorkamerica/

Port Noir – The New Routine

Il sound proposto è un rock alternativo appena sfiorato da venti metal, farcito di soluzioni elettroniche e ritmiche che sfruttano le ispirazioni alternative statunitensi in materia di rap/rock

L’alternative rock/metal di questi primi anni del nuovo millennio è sicuramente uno dei generi più seguiti e popolari tra i giovani.

Le scene pullulano di band con un livello qualitativo soddisfacente e le sorprese sono sempre dietro l’angolo, iniziando dalla tanto bistrattata (in campo rock) Italia, senza dimenticare gli Stati Uniti, padri di queste sonorità e la sempre presente Scandinavia.
I Port Noir infatti sono svedesi, licenziano questo nuovo lavoro per Inside Out, label famosa in ambito progressivo, questa volta alle prese con un sound lontano dalle solite produzioni.
The New Routine è il terzo lavoro su lunga distanza per il trio composto dal chitarrista e cantante Love Andersson, dal batterista Andreas Wiberg e dal chitarrista Andreas Hollstrand.
Il sound proposto è un rock alternativo appena sfiorato da venti metal, farcito di soluzioni elettroniche e ritmiche che sfruttano le ispirazioni alternative statunitensi in materia di rap/rock (Rage Against The Machine).
La particolarità del sound di cui si fregiano i Port Noir sta nell’amalgamare l’approccio del gruppo di Tom Morello con il rock sofisticato dei Muse, perdendo inevitabilmente in impatto.
Proviamo ad immaginare i Rage Against The Machine, senza la chitarra di Morello ed infarciti di atmosfere elettroniche: la cosa può funzionare a tratti, quando il basso pulsa di palpitante energia e Andersson canta con un tono più consono al genere (Old Fashioned, 13).
Il resto di The New Routine rischia di risultare però ne carne ne pesce, perché troppo morbide sono le linee elettroniche sulle quali sono strutturati gran parte dei brani, e troppo orientato verso la ricerca di una melodia vincente il mood generale di un album che rimane ad uso e consumo di un pubblico giovane e avulso dalla tradizione rock e metal.

Tracklist
01. Old Fashioned
02. Flawless
03. Blow
04. Champagne
05. Low Lights
06. 13
07. Young Bloods
08. Define Us
09. Drive
10. Down For Delight
11. Out Of Line

Line-up
Andreas Wiberg – drums
Love Andersson – vocals, guitar
Andreas Hollstrand – guitar, backing vocals

www.facebook.com/portnoirofficial

Corrosive Sweden – Blood And Panic

La band svedese suona rock/metal dal buon groove, moderno e alternativo, la sua idea di metal mantiene un’attenzione particolare per le melodie dal buon appeal radiofonico, anche se non mancano accelerazioni di stampo thrash a mettere un po’ di adrenalina a questa raccolta di brani.

Attivi addirittura dal 1997, i Corrosive Sweden hanno un solo full length all’attivo (Wanted uscito tredici anni fa), contornato da una manciata di lavori minori e ora raggiunto da questo nuovo lavoro intitolato Blood And Panic.

La band svedese suona rock/metal dal buon groove, moderno e alternativo, la sua idea di metal mantiene un’attenzione particolare per le melodie dal buon appeal radiofonico, anche se non mancano accelerazioni di stampo thrash a mettere un po’ di adrenalina a questa raccolta di brani.
Molto bravo il cantante Johan Bengtsson, aggressivo e melodico a seconda dell’evenienza e carine le canzoni che si assestano su di una buona qualità.
La particolarità del gruppo svedese consiste nell’anima heavy metal che a tratti fa capolino su tracce dall’attitudine che scontra con solos classici, mentre da un momento all’altro le atmosfere cambiano repentinamente costringendo l’ascoltatore a lunghi balzi tra un genere e l’altro.
Nell’insieme l’album risulta piacevole, con le melodie che sono l’arma vincente del gruppo in brani dal buon appeal come Fire From A Gun, la title track ed Angry Me, in un mix in parte riuscito di heavy metal ed alternative rock.
A mio avviso i Corrosive Sweden danno il meglio nei brani più rock oriented, grazie anche all’ottima voce del cantante dal buon talento melodico, perdendo qualche punto quando nei brani vengono inseriti sferraglianti assoli classic heavy metal che lasciano il tempo che trovano.

Tracklist
1.Fire from a Gun
2.Blood and Panic
3.Speed
4.Angry Me
5.Angel or a Beast
6.Terrified as I Die
7.Parasite
8.At the Top
9.Black Paint

Line-up
Johan Bengtsson – Vocals
Christer Ulander – Guitar, Keyboard, backing vocals
Peter Forss – Guitar, backing vocals
Daniel Hedin – Drums
Magnus Nordin – Bass

https://www.facebook.com/CorrosiveSweden/

Scimmiasaki – Trionfo

A parte le definizioni, che sono sempre sclerotiche, gli Scimmiasaki sono uno di quei gruppi che fa musica malinconica e dolce al contempo, che ti riportano a gusti che sembravano dimenticati, a momenti che hanno segnato la nostra esistenza.

Gli Scimmiasaki sono un gruppo italiano che appartiene alla nuova onda dell’indie pop rock italiano, attingono da varie tradizioni, in primis quella alternativa italiana declinata verso il punk, prendono qualcosa dell’emo e fondamentalmente sono un gruppo rock altro.

A parte le definizioni, che sono sempre sclerotiche, gli Scimmiasaki sono uno di quei gruppi che fa musica malinconica e dolce al contempo, che ti riportano a gusti che sembravano dimenticati, a momenti che hanno segnato la nostra esistenza. Canzoni come Giostra sono un po’ il manifesto dei nostri anni, dove tutto è stato detto, tutto è stato fatto ma rimane qualcosa, e quel qualcosa deve essere ricercato in profondità. Trionfo è un disco che non è mai ovvio, riesce a portare avanti con dolcezza e fermezza certe istanze molto importanti. Innanzitutto non si atteggiano a fenomeni, nel senso che hanno testi diretti e semplici che gli calzano a pennello, anche la musica è sempre bilanciata e prodotta molto bene. In certi momenti si arriva addirittura in territori power pop, che sono il regno adatto per questo gruppo che è sempre piacevole e riesce ad imprimere delle belle cose nella nostra mente. Quello che si respira qui è una certa lucida serenità in mezzo al disastro che sono i nostri tempi, non ci sono tante coordinate, ma raccontare alla maniera degli Scimmiasaki significa già molto, come raccontano in Vorrei, non sono rimpianti ma desideri. Altra cosa notevole è la bellissima copertina di Riccardo Torti, disegnatore anche di Dyland Dog e di altre collane di casa Bonelli. La copertina illustra la perfetta meccanica del tiro nella pallacanestro, e sarebbe l’optimum, ma l’importante è metterla nel cesto, e difendere ovviamente. Molto buona la produzione di Andrea “Sollo” Sologni dei Gazebo Penguins, che dà un tocco molto personale al suono dei Scimmiasaki.
Un disco da sentire e da guadagnarci tempo, perché qui il tempo non è mai perso.

Tracklist
01.Giardini
02.Tutto Bene
03.Giostra
04.Denti
05.Il Pianto
06.Trionfo
07.Castello
08.Caro Mio
09.Merda
10.Vorrei

Line-up
GIACOMO voce e chitarra
PEPPE chitarra e voce
NIKI basso
SANTIAN batteria

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Jack Slamer – Jack Slamer

I Jack Slamer, quintetto svizzero al debutto su Nuclear Blast la lezione l’hanno imparata alla grande ed il loro album omonimo è un perfetto esempio del sound tanto di moda nell’anno di grazia 2019.

L’ondata nostalgica di matrice hard rock che sta attraversando la scena mondiale sembra inarrestabile, almeno a giudicare dai tanti nuovi gruppi che si affacciano sul mercato underground e non solo.

Dai paesi scandinavi, massimi esponenti di questo revival con band di categoria superiore, agli States, passando per il centro Europa, i gruppi marchiati a fuoco dal dirigibile più famoso del rock sono tanti e molti davvero in gamba.
Non solo Led Zeppelin ovviamente, ma anche Deep Purple, Bad Company, Free, Lynyrd Skynyrd, Whitesnake: il rock duro dallo spirito bluesy è vario più di quanto si creda e i nostro eroi odierni lo accompagnano a tonnellate di riff pregni di groove, consolidando la tendenza che vede gli anni settanta amoreggiare con i novanta per portarli insieme nel nuovo millennio.
I Jack Slamer, quintetto svizzero al debutto su Nuclear Blast, la lezione l’hanno imparata perfettamente ed il loro album omonimo è un perfetto esempio di un sound prepotentemente tornato di moda.
Florian Ganz ricorda i vocalist del leggendario decennio, ma ha ascoltato senza sosta i primi album dei Soundgarden e lo spirito di Cornell aleggia non poco sul tutto, mentre Turn Down The Light apre danze che finiranno solo all’ultima nota della conclusiva Burning Clown.
In mezzo tanto hard rock di matrice settantiana, dal buon appeal, a tratti sciamanico, scalfito da ondate rock blues e sorretto da una manciata di ottimi brani.

Tracklist
Turn Down the Light
Entire Force
Wanted Man
The Truth Is Not a Headline
Red Clouds
Biggest Mane
Shaman and the Wolves
There Is No Way Back
I Want a Kiss
Secret Land
Burning Crown – Bonus Track
Honey & Gold – Bonus Track

Line-up
Cyrill Vollenweider–Guitar
Hendrik Ruhwinkel–Bass
Florian Ganz–Vocals
Marco Hostettler–Guitar
Adrian Böckli–Drums

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Stone Machine Electric – Darkness Dimensions Disillusion

Un disco che è l’esatto opposto di commerciabilità, con il suo tracciato onirico e di musica senza fissa dimora che regala notevole piacere all’ascoltatore.

Gli Stone Machine Electric sono un duo texano dall’approccio poco convenzionale alla musica, creando sonorità molto eteree che portano l’ascoltatore molto in alto.

I due sono qui al nono lavoro in studio, dando prova di una gioiosa bulimia musicale che li porta a giocare con gli strumenti e a trovare sempre nuove melodie, molto minimali ma assai ricche di chitarra e batteria. Come è facile da notare frequentando i lidi della musica alternativa, i duo chitarra e batteria abbondano, specialmente in ambito heavy blues, ma quelli validi non sono molti. Gli Stone Machine Electric risiedono decisamente nei gruppi validi, avendo un tocco che tocca molti generi senza mai andare a fossilizzarsi, ricercando sempre la distorsione perfetta, il giro di chitarra e batteria che ti piove addosso, in quelle jam che si spostano veloci come nuvole ventose in cielo, senza mai lasciare il tempo di trovare una coordinata musicale e di genere. Fughe, stop e riprese, il tutto per un lavoro intenso che non lascia mai nulla al caso, creativo e stimolante senza essere onanistico come altre produzioni di questo genere. Il tutto è irrobustito da una dose costante di psichedelia pesante che potenzia l’opera dei Stone Machine Electric. Un disco che è l’esatto opposto di commerciabilità, con il suo tracciato onirico e di musica senza fissa dimora che regala notevole piacere all’ascoltatore. La loro produzione è fitta, e questo episodio non è forse il migliore, ma è sicuramente una summa molto precisa di cosa sia questa band texana.

Tracklist
1.Sum of Man
2.SAND
3.Circle
4.Purgatory
Line-up
Dub – Guitar/Vocals
Kitchens – Drums/Vocals/Theremin

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Veuve – Fathom

Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità, con questa capacità di cogliere qualche aspetto della realtà o del sogno in ogni canzone

I Veuve sono un trio di Pordenone attivo dal 2014 che suona un’interessante miscela di stoner, fuzz e space rock.

Quello che colpisce maggiormente in questo disco è la diversità dei suoni e la versatilità del gruppo, e soprattutto le piacevolissime melodie che si alternano a pezzi più pesanti. Fathom non ha un approccio solo, contiene molte cose che unite danno l’unicità dei Veuve, quel tono particolare che altri gruppi non possiedono. Con l’ascolto si possono cogliere le impalcature sonore che vi sono allestite, non vi è nulla lasciato al caso, la costruzione va avanti progressivamente ed in maniera incessante. Nonostante facciano un genere davvero abusato come lo stoner, i Veuve riescono ad essere molto originali, rivolgendosi a ciò che sta oltre il cielo e non a quello che sta sotto. Qui dimora un notevole senso di libertà, un sano escapismo che ci porta lontano da una vita che sta stretta, e grazie all’immaginazione e a un disco come Fathom si può andare lontano senza muoversi. I Veuve sono uno di quei gruppi che lavora incessantemente alla propria musica e lo si può ascoltare benissimo qui, dove tutto è curato fin nei minimi particolari. Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità, con questa capacità di cogliere qualche aspetto della realtà o del sogno in ogni canzone. Molto forte è anche il senso di melanconia, intesa come profonda comprensione della nostra limitatezza, che è infatti rappresentata dalla loro parte post rock, molto presente in canzoni come Following, un piccolo capolavoro. Diciamo che i Veuve potevano scegliere per una via più facile, magari facendo uno stoner più rapace, ma sicuramente non è il loro modo di agire, e quindi confezionano un disco profondo ed interessante, che copre molti lati della luna. Da ascoltare con molta attenzione.

Tracklist
1.Radars Are High
2.Taste Of Mud
3.Following
4.Death Of The Cosmonaut
5.Low In The Air
6.The Unseen
7.Into The Smoke

Line-up
Riccardo Quattrin – bass & vocals
Stefano Crovato – guitar
Andrea Carlin – drums

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Minor Poet – The Good News

Questo gruppo ha un tiro maledettamente affascinante molto anni ottanta, come se di quegli splendidi anni si fosse preso solo il buono per fondare un movimento tropical statunitense molto debitore ai Beatles, a cavallo fra le diapositive rock e quelle psichedeliche.

Visione musicale superiore di in qualcosa che si situa tra il pop di alta qualità, il rock e uno strano senso per la bossanova.

I Minor Poet sono una creazione della fervida mente musicale di Andrew Carter da Richmond, Virginia, il quale, con il disco del 2017 And How! ha dato vita a questo progetto diventato con il tempo un vero e proprio gruppo che si esibisce con successo in giro. In definitiva questa band ha un tiro maledettamente affascinante molto anni ottanta, come se di quegli splendidi anni si fosse preso solo il buono per fondare un movimento tropical statunitense molto debitore ai Beatles, a cavallo fra le diapositive rock e quelle psichedeliche. Il loro suono è ora dolce e malinconico ma sempre con un fondo di speranza, ora più scanzonato ma consapevole di cosa siamo e di cosa possiamo fare, ovvero poco, ma in questo poco perché non gustarci canzoni bellissime come queste? Ecco, queste sono canzoni molto belle, eleganti e di ottimo aspetto, ben composte e ben suonate. Questa eleganza in musica è qualcosa che si sta perdendo sempre di più, e i Minor Poet sono qui per ricordarcelo. In questi sovraffollati tempi manca qualcosa che un tempo veniva regalato, ad esempio, da un David Bowie o un Marc Bolan, quel cambiare atmosfera con una canzone. Ecco i Minor Poet lo fanno, sebbene in una scala minore, con il sax che entra alla fine di Nude Descending Staircase con un assolo che non dura molto ma cambia un disco. E questo album è pieno di particolari come questo, piccole chicche disseminate in un disegno già valido e molto bello.
Un disco che respira e fa respirare bene, non fa guardare davanti od indietro, ma verso lo specchio, per una nostra immagine finalmente sostenibile.

Tracklist
1.Tabula Rasa
2.Tropic of Cancer
3.Museum District
4.Reverse Medusa
5.Bit Your Tongue / All Alone Now
6.Nude Descending Staircase
Line-up
Andrew Carter, Jeremy Morris, Micah Head, Erica Lashley.

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Welkin – Everlasting Echo Of A Farewell

Everlasting Echo Of A Farewell ha il pregio di variare l’atmosfera ad ogni brano, alternando in modo sagace potenza e melodia, tradizione e modernità in una raccolta di belle canzoni e non è poco.

Dal sottobosco musicale nazionale arrivano di continuo buone proposte che rinvigoriscono una scena rock/metal che, con tutte le problematiche e le conseguenti difficoltà di oggigiorno è ben presente e florida.

Questa volta abbiamo il piacere di presentarvi i Welkin, quartetto di Treviso attivo addirittura dal 1998 che tra cambi di line up e la solita gavetta sul fronte live arriva al 2019 con un nuovo lavoro intitolato Everlasting Echo Of A Farewell.
Francesco Bresolin(chitarra, voce), Arturo Trivellato (chitarra), Francesco Mocci (batteria), e Andrea Cenedese (basso), danno vita a sette tracce di rock moderno, melodico e alternativo, dove la parte metal mostra i muscoli solo a tratti, lasciando spazio ad atmosfere che mantengono un approccio riflessivo e malinconico.
L’opener Sacrifice irrompe con il suo metal che non nasconde un’anima progressiva, le chitarre ricamano solos di matrice Queensryche, su ritmi sostenuti, ma già dalla successiva Bleed, l’acustica si impadronisce della scena con accordi di delicato rock d’autore.
Molto curate le parti vocali, sia la solista che i chorus, mentre il sound continua ad alternare atmosfere pacate, e ritmi incalzanti sorretti da una buona dose di potenza e melodia.
Take Me The Horizon è un hard & heavy tra tradizione ed input alternative, metal/rock che come già sentito sulle altre tracce non manca di essere valorizzato da impennate progressive.
Ballatona da accendini accesi Part Of Me, metal potente e tecnico The World Behind e rock alternativo Break The Silence brano che conclude questa buona prova del gruppo Veneto.
Everlasting Echo Of A Farewell ha il pregio di variare l’atmosfera ad ogni brano, alternando in modo sagace potenza e melodia, tradizione e modernità in una raccolta di belle canzoni e non è poco.

Tracklist
1.Sacrifice
2.Bleed
3.Everything
4.Take Me To The Horizon
5.Part Of me
6.The World Behind
7.Break The Silence

Line-up
Francesco Bresolin – Guitars, Vocals
Arturo Trivellato – Guitars
Francesco Mocci – Drums
Andrea Cenedese – Bass

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Versing – 10000

Questi tredici brani ci offrono uno spaccato convinto e convincente di come possa essere l’indie pop rock fatto bene, grazie alla passione e alla competenza.

Ci sono dischi che gridano, altri che sussurrano o che passano sopra le nostre teste senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

10000 dei Versing è un disco scritto e prodotto per corrodere la nostra malata quotidianità. Questo lavoro mostra quanto ancora di buono e valido ci possa essere in un lavoro genuinamente indie. I nostri si incontrano nell’ambito di una college radio di Tacoma, la KUPS, dove il cantante, chitarrista e scrittore dei testi Daniel Salas era direttore artistico per il comparto alternative. Lì incontra l’altro chitarrista Graham Baker, il batterista Max Keyes,e il bassista Kirby Lochner. Insieme danno vita ai Versing, un gruppo indie alternative che prende la mosse dalla tradizione americana per innovarla profondamente. I Versing avanzano in maniera apparentemente sbieca e ondivaga, invece vanno dritti al punto, con un indie rock minimale, melodico e distorto al contempo. Questa band possiede quella speciale levità che pochi gruppi hanno, quel gettarsi nella mischia con la consapevolezza di riuscire a giocare secondo le proprie regole. Non inventano nulla ma riescono ad offrire un qualcosa di efficace e soprattutto credibile. Per i parametri di vita americani sono certamente degli sfigati, ma sono ciò che vogliamo, perché per fare musica come la loro ci vuole coraggio in questa epoca di pose social, ed infatti i nostri fanno promozione su facebook con un logo con sopra il loro nome e… i Minions
La musica, che è quella poi l’unica cosa importante, è davvero buona e varia, i tredici pezzi ci offrono uno spaccato convinto e convincente di come possa essere l’indie pop rock fatto bene, grazie alla passione e alla competenza. Rispetto alla media degli altri gruppi i Versing fanno un uso mirabile della distorsione, il vero valore aggiuntivo al tutto.

Tracklist
1Entryism
2 Offering
3 Tethered
4 Violeta
5 By Design
6 Vestibule
7 In Mind
8 Long Chord
9 3D
10 Sated
11 Survivalist
12 Loving Myself
13 Renew

Line-up
Daniel Salas
Graham Baker
Kirby Lochner
Max Keyes

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