Hauméa – Unborn

La voce, il suono, l’essere portati lontani, una musica coinvolgente, veloce e dura, il metal nel suo lato più melodico e la speranza di essere salvati. Un debutto di sole quattro canzoni ma gigantesco.

L’underground metal è un mondo bellissimo, nel quale le sorprese stanno dove meno te lo aspetti e in cui si possono trovare dischi come questo ep di debutto dei normanni Hauméa, una piccola meraviglia di metal melodico.

In questi quattro brani che compongono il primo atto discografico di questo gruppo nato nel 2018, sono concentrati molte delle cose che rendono piacevole un disco di metal melodico. Melodia per l’appunto, belle aperture e la sensazione di trovarsi di fronte ad una band mai banale e di talento. Non c’è una netta appartenenza ad un genere, quanto piuttosto la volontà di fare musica ben fatta e piacevole, con molta melodia che si lega alla durezza di un metal che è qualcosa in più di un hard rock. Colpisce la grande maturità di un gruppo formatosi da poco, ma le canzoni di Unborn sono una testimonianza di talento e versatilità. Il pathos è molto alto, le canzoni sono costruite in maniera da rimanere impresse nella testa degli ascoltatori, non sono musiche per un ritornello o per un motivo musicale, ma sono composizioni che vanno ascoltate e degustate nella loro interezza. La direzione è dettata dalle emozioni e da una costruzione che risente molto del gusto grunge, quell’andare su e giù con chitarroni distorti, rendendo bene il gusto di un certo gotico moderno che è qualcosa ci difficile da maneggiare, ma qui è nelle mani giuste. Gli Hauméa sono un gruppo che già al primo colpo ha una fisionomia ed un suono assolutamente precisi e personali, basta ascoltare il primo minuto dell’iniziale Unborn che già si è dipendenti ed assuefatti senza speranza. La voce, il suono, l’essere portati lontani, una musica coinvolgente, veloce e dura, il metal nel suo lato più melodico e la speranza di essere salvati. Un debutto di sole quattro canzoni ma gigantesco.

Tracklist
1.Unborn
2.Not Usual
3.Dad Is Fool
4.Here I am

HAUMEA – Facebook

Antipathic – Humanimals

Humanimals offre una mezz’ora di morte e distruzione ottimamente prodotta e suonata, assolutamente consigliata ai fans del genere per i quali i due musicisti sono vecchie conoscenze, alla luce del loro importante curriculum.

Gli Antipathic sono un duo estremo composto dal bassista e cantante italiano Giuseppe Tato Tatangelo (A Buried Existence, Glacial Fear e Zora tra gli altri) e Chris Kuhn, batterista e chitarrista americano (Human Repugnance) che un paio di anni fa hanno unito le forze sotto la bandiera del metal più estremo e brutale.

Dopo un ep di rodaggio intitolato Autonomous Mechanical Extermination, il duo torna a distruggere tutto con il nuovo album, composto da una dozzina di brani ed intitolato Humanimals.
Il brutal death degli Antipathic alterna disfacimenti sonori a velocità sostenuta e rallentamenti potentissimi, dense colate di metallica lava incandescente che confluiscono in un sound senza compromessi tra brutal, slam e grind.
Continua il predominio delle macchine sull’uomo, in un mondo dove l’umanità viene spazzata via da letali robot o resa schiava, con la band che crea colonne sonore violentissime descrivendone il massacro.
Humanimals offre una mezz’ora di morte e distruzione ottimamente prodotta e suonata, assolutamente consigliata ai fans del genere per i quali i due musicisti sono vecchie conoscenze, alla luce del loro importante curriculum.

Tracklist
1.Binary Extraction
2.Digital Damnation
3.Integers
4.Industrial Exorcism
5.Singularity
6.Failure Nodes
7.Abdication Through Transcendence
8.iscariot
9.Synesthesia
10.Neurotoxic Paralysis
11.The Inorganic repopulation
12.Cognitive Dissonance

Line-up
Tato – Bass, Vocals
Chris – Drums, Guitars

ANTIPATHIC – Facebook

Robben Ford – Purple House

Robben Ford da vita ad un lavoro vario, benedetto da un’alternanza di generi che vanno dal southern al blues, dal rock alla fusion in un caleidoscopio di sgargianti colori di musica che ha nella chitarra sempre ispirata di Ford la bacchetta magica per ammaliare per l’ennesima volta i fans del genere.

Per gli amanti del rock a stelle e strisce di matrice blues, southern e fusion un nuovo album del guitar hero Robben Ford è un appuntamento imperdibile.

Lo storico chitarrista statunitense in oltre mezzo secolo di carriera ha collaborato con i più grandi artisti della storia del rock: da Miles Davis, a George Harrison, da Joni Mitchell ai Kiss, senza dimenticarsi di Dizzy Gillespie, Georgie Fame, Steely Dan e tanti altri.
La leggendaria marca di chitarre Fender gli ha dedicato una sua creazione (Robben Ford Signature), mentre la rivista Musician lo ha inserito nella classifica dei migliori cento chitarristi del mondo.
Con queste premesse è chiaro che Purple House è un album importante e che, diciamolo subito, non tradisce le attese, almeno per chi segue il chitarrista americano nel suo esemplre percorso da solista.
L’album è stato registrato in studio e co-prodotto da Casey Wasner e in veste di ospiti hanno collaborato la cantante blues Shemekia Copeland, il cantante dei Natchez Travis McCready e la band del Mississippi Bishop Gunn.
Robben Ford dà vita ad un lavoro vario, benedetto da un’alternanza di generi che vanno dal southern al blues, dal rock alla fusion in un caleidoscopio di sgargianti colori di musica
che ha nella chitarra sempre ispirata la bacchetta magica per ammaliare per l’ennesima volta i fans del genere.
L’opener Tangle With Ya, la splendida Bound For Glory, che profuma di grano arso dal sole del sud, il southern blues di Break In The Chains e Somebody’s Fool sono i brani trainanti di questa bellissima raccolta di canzoni che confermano ancora una volta il talento di questo immenso musicista.

Tracklist
1.Tangle with Ya
2.What I Haven’t Done
3.Empty Handed
4.Bound for Glory
5.Break in the Chain
6.Wild Honey
7.Cotton Candy
8.Willing to Wait
9.Somebody’s Fool

Line-up
Robben Ford – Guitars

ROBBEN FORD – Facebook

Cotard – Depths

Depths apre lo scenario su un musicista assai interessante e su un viaggio appena cominciato.

Antonio Rubino, oltre che suonare nei Satan’s Grind, è il chitarrista dei baresi Symptoms Of The Universe, un giovane gruppo del quale cui abbiamo recensito il primo demo.

Cotard è un progetto parallelo e totalmente slegato dal gruppo di cui sopra, nato dalla torrenziale musicalità di Antonio. Depths è un disco totale, nel senso che esplora centinaia di diversi territori musicali, non ha punti di riferimento né centralità, perché è una insieme di suoni nato per farci pensare, o semplicemente per farsi ascoltare. Questo è il debutto su lunga distanza, poiché è già stato pubblicato uno spilt con la one man band inglese di black ambient metal Neroartico. Il disco, composto da 10 tracce (5 brani, 1 intro e 4 interludi) è stato interamente scritto da Antonio, tranne che per la collaborazione con Nicola Picerno in The Wake e la cover di Funeral Music for Queen Mary di Purcell. La cover rende evidente la provenienza classica di Antonio, che è un musicista fatto e finito che riesce a fondere molto bene tecnica e pathos, e questo disco è strutturato come un lavoro di musica classica, con interludi, temi, fughe e tutto il repertorio. Musicalmente il sentire di Antonio è davvero di un altro pianeta, si viaggia ad un’altezza molto alta. Come tutti i grandi lavori solisti, Cotard ha un disegno che noi possiamo solo intravedere, perché la totalità può essere afferrata solo dall’autore, in quanto la nostra è una visione estremamente personale che consente comunque di cogliere molto bene la grandiosità musicale di questo progetto. La libertà è totale, non ci sono vincoli né obiettivi commerciali, e si insegue un sogno musicale che si realizza in ogni canzone di questo album che è molto particolare ed unico. Ci sono scampoli di metal e non solo, di neoclassicismo e di prog, per andare oltre ogni schema e genere. La produzione è accurata, anche se forse un qualcosa di più potente avrebbe giovato al tutto. Depths apre lo scenario su un musicista assai interessante e su un viaggio appena cominciato.

Tracklist
01 – Intro
02 – The Wake
03 – Interlude 1
04 – Power
05 – Interlude 2
06 – Transcend
07 – Interlude 3
08 – Depths pt.1
09 – Interlude 4
10 – Depths pt.2

Line-up
Antonio Rubino

Monarch – Sabbat Noir

La ristampa di questo lavoro nei formati vinile e cassetta da parte della Zanjeer Zani Productions si rivela quanto mai opportuno , in quanto Sabbat Noir è uno dei prodotti più significativi usciti in tale ambito all’inizio del decennio

Sabbat Noir è il quinto full length della discografia dei francesi Monarch, insidiosi interpeti di uno sludge drone impietoso come pochi altri.

L’album, composto da una sola traccia di quasi trenta minuti, suddivisa in due parti equivalenti nella versione in vinile, è una lunga e penosa discesa negli inferi, tra riff ultraribassati, ritmiche pachidermiche non prive di interessanti sussulti e, in sottofondo, i quasi impercettibili sussurri e le più udibili e strazianti urla di Emilie Bresson.
Come si può intuire, qui non si parla di schemi compositivi ben definiti bensì quasi di una sorta di flusso che sorge spontaneo e che si dipana lento e brutale con modalità ai limiti dell’esasperazione; il tutto all’insegna di un rumorismo che però non è puro caos ma, addirittura, nella seconda parte esibisce barlumi di linee melodiche nonostante il contesto di fatto resti sempre quanto mai apocalittico.
La ristampa di questo lavoro nei formati vinile e cassetta da parte della Zanjeer Zani Productions si rivela quanto mai opportuno , in quanto Sabbat Noir è uno dei prodotti più significativi usciti in tale ambito all’inizio del decennio e si trattava, al contempo, di una sorta di punto oltre il quale i Monarch non avrebbero porto spingersi senza scadere nel rumorismo fine a sé stesso: infatti, i tre full length successivi vedranno la band aprirsi a suoni “relativamente” più accessibili (fatte tutte le dovute contestualizzazioni) inserendo all’interno di strutture sempre e comunque abbondantemente disturbate sia parti di chitarra vagamente più lineari, sia passaggi vocali cantati nel senso vero del termine.
Tale percorso, che ha in Never Forever del 2017 la sua ultima tappa, ha visto la band transalpina protagonista di un consistente crescendo che l’ha portata ad essere oggi una delle più credibili risposte europee ai vari Khanate e Sunn O))), il che non è affatto trascurabile.

Tracklist:
1.Sabbat Noir

Line-up:
Emilie Bresson (Vocals)
MicHell Bidegain (Bass)
Rob MacManus (Drums)
Shiran Kaïdine (Guitars)

MONARCH – Facebook

Asymmetry of Ego – Forsake Beyond the Dusk

Una giovane band nostrana, la dimostrazione che la modernità può guardare (e con frutto) alla tradizione. Senza essere eccessivamente post, per chi ama ad esempio i Coheed and Cambria.

Negli anni Novanta l’alternative rock fu – o comunque divenne presto – una moda, dichiaratamente nemica della tradizione rappresentata dal progressive e dal metal.

Oggi che molta acqua è passata sotto i ponti, tante cose – giudizi, limitazioni, pregiudizi – sono cambiate e per fortuna in meglio, al punto che si possono esprimere diverse e più serene valutazioni. Gli Asymmetry of Ego – bel nome, complimenti! – provengono dal giro del rock alternativo, anzi di fatto lo suonano. Eppure, il gruppo genovese sa altresì incorporare, all’interno della propria gamma sonora, anche elementi progressivi, che rendono più obliqua la scrittura musicale (fra l’altro, amano molto i Genesis), nonché di matrice metal (apprezzano i Circle ed adorano i Pain of Salvation). Tutto ciò concorre a rendere assai varia e diversificata la proposta complessiva di queste dieci interessantissime tracce. Ovviamente, la band può e deve ulteriormente progredire, tuttavia questo Forsake Beyond the Dusk già si segnala per una bella serie di idee ben tradotte in pratica. Avanti così, dunque.

Tracklist
1 Intro
2 Erase Myself
3 The Sound of Brightness
4 The Monster
5 Deep From the Underground
6 I Don’t Know
7 One Word
8 Fake Lies
9 The Antheap Awakers
10 Outro

ASYMMETRY OF EGO – Facebook

Veil Of Conspiracy – Me, Us And Them

L’alternanza tipica che nel genere porta il metal estremo a confrontarsi con altre atmosfere e sonorità non è sicuramente originale, ma il tutto, seguito con la giusta attenzione, sa esprimere emozioni forti rendendo l’album una discesa nei meandri labirintici e pericolosi delle menti umane più deviate.

La capitale ospita una scena importante nell’economia del metal targato Italia, specialmente per quanto riguarda i suoni estremi e comunque adombrati da un alone oscuro che allontana quell’aura religiosa che il solo nominare Roma porta immediatamente in risalto.

Dal grind al death metal, passando per sonorità dark/gothic, l’underground musicale sulle sponde del Tevere sa regalare grande musica e protagonisti di un certo spessore, ora raggiunti da questa nuova band, i Veil Of Conspiracy, al debutto per la Revalve Records con questo ottimo Me, Us and Them.
Un concept che gravita intorno alle espressioni più estreme delle malattie mentali attraverso un metal estremo dal taglio oscuro e progressivo: dodici brani, altrettante camicie di forza strappate a colpi di death metal che ingloba dark/gothic, melodic death, progressive e a tratti black metal, partendo dagli anni settanta, passando per il decennio successivo e dalle sue sfumature dark rock per arrivare al nuovo millennio per mano dei generi estremi sviluppati negli anni novanta.
All’ascolto dei vari capitoli di questo gioiellino, le influenze che il quintetto romano esibisce apriranno le porte di un lungo corridoio dove all’interno di ogni cella ci si troverà al cospetto di una patologia mentale diversa, mentre le note create dai Veil Of Conspiracy fungono da colonna sonora, nel loro essere disperate, tragiche, oscure ed assolutamente estreme in ogni passaggio, anche in quello che all’apparenza potrà apparire il più pacato.
L’alternanza tipica che nel genere porta il metal estremo a confrontarsi con altre atmosfere e sonorità non è sicuramente originale, ma il tutto, seguito con la giusta attenzione, sa esprimere emozioni forti facendo di Mine Forever, Skinless, Fragments e Dorian i capitoli essenziali di una discesa nei meandri labirintici e pericolosi delle menti umane più deviate.
A livello di influenze si possono citare Pink Floyd, Katatonia, Opeth e i più recenti e magnifici Witherfall, ma in realtà un album come Me, Us And Them non si può archiviare con i soliti paragoni, più o meno azzeccati, ma va ascoltato e fatto proprio come merita.

Tracklist
1.Before Madness
2.Mine Forever
3.How To Find The Light
4.Seshen
5.Skinless
6.Split Mind
7.Fragments
8.Blasphemous Offering
9.Collapse
10.Son Of Shame
11.Doria
12.Staring

Line-up
Chris De Marco – Vocals
Luca Gagnoni – Guitars
Emanuela Marino – Guitars
Andrea Manno – Bass
Davide Fabrizio – Drums

VEIL OF CONSPIRACY – Facebook

Vanha – Melancholia

Melancholia è un’opera matura ed impeccabile, da qualsiasi punto di vista la si voglia osservare: neppure la configurazione da one man band riesce a scalfire il valore di quello che è destinato a restare uno dei migliori lavori del 2019 in ambito melodic death doom

Questo secondo full length per il progetto solista dello svedese Jan Johansson, denominato Vanha, ci consegna una nuova splendida realtà musicale in grado di ammaliare gli amanti del death doom melodico.

Melancholia è un lavoro contenente spunti evocativi che si susseguono senza soluzione di continuità e pongono questo musicista quale vertice del genere nel suo paese, stante la fine dei When Nothing Remains e la perdurante mancanza di nuovi lavori da parte dei Doom Vs. di Johan Ericson.
Il nostro Jan maneggia la materia esattamente come si attende chi la ama, quindi nell’album altro non si troverà se non quanto programmaticamente promesso dal titolo. I sei brani medio lunghi si sviluppano esibendo costantemente un dolente sentire che trova, poi, puntualmente sfogo in magnifici spunti chitarristici e si fa davvero fatica a scegliere l’una o l’altra traccia come possibile emblema della bontà dell’opera.
Dovendolo fare, personalmente opto per le tracce incastonate al centro dell’album, Starless Sleep, dalle ritmiche ulteriormente rallentate e con le sei corde di Johansson che offrono linee strappalacrime e, soprattutto, Your Heart in My Hands, sette minuti di commozione provocata dall’alternarsi di un lieve tocco pianistico al consueto affastellarsi di melodie sempre evocative e mai stucchevoli.
Melancholia è un’opera matura ed impeccabile, da qualsiasi punto di vista la si voglia osservare: neppure la configurazione da one man band riesce a scalfire il valore di quello che è destinato a restare uno dei migliori lavori del 2019 in ambito melodic death doom

Tracklist:
1. The Road
2. Storm of Grief
3. Starless Sleep
4. Your Heart in My Hands
5. Fade Away
6. The Sorrowful

Line-up:
Jan Johansson – All instruments, Vocals

VANHA – Facebook

The High Jackers – Da Bomb

Da Bomb è un disco assolutamente consigliato, un ritorno a sonorità che hanno marcato in modo indelebile la storia della musica e della cultura del secolo scorso e che risulta imprescindibile anche nel nuovo millennio.

Da Bomb è il primo lavoro dei The High Jackers, un manipolo di musicisti capitanato da Stefano Taboga, cantante e bassista dei The Mad Scramble.

La loro missione è suonare rock, blues, soul e R&B come si faceva negli anni sessanta/settanta, una musica sanguigna e letteralmente irresistibile, tra brani briosi ed altri elegantemente vestiti di soul.
Sono in tredici, praticamente una piccola orchestra che regala emozioni sopite a chi ogni tanto ama tornare alle origini di note nate negli States molti anni fa e che ancora oggi ispirano artisti e gruppi legati ai generi citati.
The High Jackers è una band in continuo divenire, visto che si propone in varie vesti, dal duo acustico fino all’intera line up che ha suonato questa dozzina di perle, un magnete che attira a sé ascoltatori di generi lontani tra loro ma uniti dall’amore per la musica delle origini.
Il blues sporcato di soul dell’opener Burgers And Beers, Everybody’s Burning, la ballata Hush Now, il ritmo nero di You Make Me Mad e il crescendo dell’irresistibile This Is The Sound (Da Bomb), che conclude l’opera, vi faranno sognare, saltare, muovere come non facevate da tempo, grazie a Mr Steve ed ai suoi numerosi compari.
Da Bomb è un disco assolutamente consigliato, un ritorno a sonorità che hanno marcato in modo indelebile la storia della musica e della cultura del secolo scorso e che risulta imprescindibile anche nel nuovo millennio.

Tracklist
1.Burgers and beers
2.If I don’t have you
3.Going crazy
4.Sunshine
5.Everybody’s burning
6.Stunned and dizzy
7.Hush now
8.Live it
9.My new paradise
10.The wrong side of the street
11.You make me mad
12.This is the sound (Da bomb)

Line-up
Mr Steve Taboga
Mr Johnny Paper
Mr Marzio “Scoot” Tomada
Mr Fabio ” Fabulous” Veronese
Mr Alberto “Pezz” Pezzetta
Mr Pablo De Biasi
Mr Alan Malusa’ Magno
Mr Andrea “Cisa” Faidutti
Mr Filippo Orefice
Mr Mirko Cisilino
Mr Marco “Magic” D’orlando
Mr Emanuele Filippi
Mr Jeremy Serravalle

THE HIGH JACKERS – Facebook

Macchina Pneumatica – Riflessi e Maschere

Potente e fantasioso debutto di questo gruppo di fede gobliniana, bravo a comporre e a suonare.

Quella delle macchine pneumatiche è una lunghissima tradizione tecnico-scientifica, la cui storia va dall’età ellenistica di Erone d’Alessandria sino all’Inghilterra newtoniana di inizio ‘700.

In musica, il nome è quello scelto da questo gruppo esordiente. Il loro Riflessi e Maschere, forte di sei eccellenti composizioni (tutte tra i sei ed i dieci minuti), propone un entusiasmante e fresco rock progressivo, molto dinamico e dal taglio quasi cinematografico (certi passaggi sono davvero da colonna sonora), con belle inflessioni di natura a tratti fusion ed una componente più heavy che interviene in maniera più che opportuna, qua e là, per metallizzare le atmosfere sapientemente costruite dai quattro. Quello che ne emerge è, pertanto, un paesaggio sonoro a più voci, non privo di un’oscurità concettuale, che ci può non a torto riportare alla mente i primi Goblin. Del resto, le scelte timbriche sono abbastanza e piacevolmente settantiane. Veramente un bel debutto, da ascoltare e riascoltare per apprezzarne al meglio ogni rilucente sfaccettatura, non esente da tocchi space rock grazie all’utilizzazione dei synth e delle tastiere.

Tracklist
1 Gli abitanti del pianeta
2 Quadrato
3 Come me
4 Avvoltoi
5 Sopravvivo per me
6 Macchina pneumatica

Line up
Raffaele Gigliotti – Vocals / Guitars
Carlo Giustiniani – Bass
Vincenzo Vitagliano – Drums
Carlo Fiore – Keyboards / Synth

MACCHINA PNEUMATICA – Facebook

Cemment – Resurrection From Carnage

La band dall’attitudine death/grind (i brani per tre quarti superano di poco il minuto di durata) ci aggredisce con il suo industrial thrash/death metal, diretto, sporco e selvaggio non concede tregua e richiama alla mente gli svizzeri Swamp Terrorists death/thrash.

La nostrana Agoge Records allunga i suoi artigli fino alla terra del Sol Levante, dalla quale provengono i Cemment.

La band nipponica, dal sound che appare una miscela esplosiva di industrial metal e death/thrash, è attiva dalla metà degli anni novanta, quando mosse i primi passi in quel di Tokio.
Un paio di demo e poi tre full lengtth completarono la discografia della band, usciti tra il 1995 ed il 2000 (Lost Humanity, Donor e Cemment) prima del lungo silenzio e dal ritorno con un singolo di ormai cinque anni fa.
Attualmente la band risulta un duo (Ave alla voce e Taichi alle chitarre) e si ripresenta sul mercato con questo Resurrection From Carnage, ep composto da quattro brani per soli sette minuti di musica.
La band, dall’attitudine death/grind (i brani per tre quarti superano di poco il minuto di durata), ci aggredisce con il suo industrial thrash/death metal, diretto, sporco e selvaggio, che non concede tregua e richiama alla mente gli svizzeri Swamp Terrorists.
Vedremo se questa collaborazione tra la band e la label italiana porterà buone nuove, nel frattempo date un ascolto a questi quattro brani che potrebbero rivelarsi una bella sorpresa.

Tracklist
1.Aztec Warrior
2.Screw Ship
3.Death Whistle
4.Suffer

Line-up
Ave – Vocals
Taichi – Guitars

CEMMENT – Facebook

IN-SIGHT

Il lyric video di “Blank Horizons”, dall’album “Enlightened By Shadows”.

Il lyric video di “Blank Horizons”, dall’album “Enlightened By Shadows”.

Gli IN-SIGHT pubblicano oggi in formato digitale l’album “Enlightened By Shadows”, il seguito di “From the Depths”. Disponibile il lyric video di “Blank Horizons”.

L’album è stato registrato e mixato da Aron Corti e Mauro “Drago” Bertagna presso gli StreetRecStudio.
Il master è stato affidato a Øystein G. Brun (Borknagar) presso i Crosound Studio.
“Enlightened By Shadows” è disponibile per l’ascolto su Spotify e iTunes.

Di seguito artwork e tracklist di “Enlightened By Shadows”:

Echoes
Confined
Pit of snakes
Dawn of redemption
My own path
Woods of misery
Blank horizons
Inner sight (instrumental)
Inner voice
No end

IN-SIGHT is:
Gianluca “Mek” Melchiori – Batteria
Paolo Rizzi – Chitarra
Aron Corti – Chitarra
Roberto “Berna” Bernasconi – Basso
Maurizio Caverzan – Voce.

IN-SIGHT online:
https://www.facebook.com/InsightOfficialPage/

Purnama – Lioness

La mezz’ora circa di durata aiuta l’ascolto di Lioness, un album che sparato e fagocitato per intero non delude, con i brani che si susseguono violenti ed oscuri, tra armonie luciferine e ripartenze veloci.

Ci sono voluti sette anni ai Purnama per rilasciare il primo lavoro, ma considerata la più che sufficiente riuscita di Lioness, la band proveniente dalla Repubblica Ceca supera l’importante esame.

Il quartetto di Turnov rilascia questi sette brani di death metal oscuro e maligno, contaminato dal black e da associare sicuramente alla scena death/black che ha visto i suoi natali nell’Europa dell’est.
I mai troppo osannati Behemoth sono i padrini del sound con cui la band attacca senza pietà, le tracce hanno una putrida anima nera e la mezz’ora circa di durata aiuta l’ascolto di Lioness, un album che sparato e fagocitato per intero non delude, con i brani che si susseguono violenti ed oscuri, tra armonie luciferine e ripartenze veloci.
L’album non ha grossi picchi ma, nell’insieme, raggiunge il suo scopo, con i Morbid Angel che a tratti fanno capolino nei momenti in cui il sound rallenta quel tanto che basta per rendere ancora più oscura l’atmosfera.
Lioness troverà estimatori tra gli amanti del metal estremo underground di scuola death/black, ed è un discreto inizio in attesa di future riprove.

Tracklist
1.Acheron
2.War For Home
3.Old Mystery Of Black venus
4.Black Panther
5.No Evil No God
6.Denial Of Humanity
7.Lioness

Line-up
Pavel Burkvic – Bass, Vocals
Vàclav Lhota – Drums
Jakub Vitàk – Guitars, Vocals
Vasek Vanicek – Guitars

PURNAMA – Facebook

Trent’anni dopo: ricordando Vincent Crane e gli Atomic Rooster

Il giorno di San Valentino del 1989, moriva suicida, a Londra, dopo una vita di problemi, disturbi e dipendenze, il grande Vincent Crane. Quanto da lui realizzato con gli Atomic Rooster, al principio degli anni Settanta, rimane nella storia. Ma la sua è una vita da raccontare, viste anche le moltissime e interessanti collaborazioni musicali. Per ricordare adeguatamente, a tre decenni dalla scomparsa, il grande keyboards-player, tra coloro che hanno avuto il fondamentale ed indiscusso merito di avere portato le tastiere nel mondo dell’hard rock.

Nel 1969, Vincent Crane (tastiere) e Carl Palmer (batteria) si incontrano, nella capitale inglese, alla corte del funambolico e teatrale Arthur Crown, istrionico campione del free rock più sperimentale e anti-conformista. Trovato il bassista e cantante in Nick Graham e rinunciando intenzionalmente alla chitarra, in favore di una formazione a tre tastiere-basso-batteria (un po’ come i coevi Quatermass), gli Atomic Rooster realizzano il loro esordio eponimo, un magnifico affresco di prog imperniato sul fantasioso e potente lavoro del tastierista, con tracce cucite, su misura, per lui. Lo stile ricordava, a tratti, quello di Brian Auger e dei suoi Oblivion e tendeva a saturare il suono. Friday the 13th fu e rimase un brano simbolo, Before Tomorrow una incalzante progressione strumentale, Winter invece una melodica ballata di stampo folk per piano e flauto, lirica e commovente, Broken Wings una tesa e fosca rivisitazione di John Mayall. Il drumming di Palmer era ritmicamente martellante e sempre puntuale, la voce di Graham appropriata al sound. Una vera e pionieristica lezione di art rock, di cui ELP avrebbero tratto presto i frutti in termini più enfatici e magniloquenti, oltre che remunerativi e con una notorietà su scala via via più vasta.

Nonostante l’ottimo livello del debutto e i primi riscontri di critica, alla fine dell’anno Crane si vide costretto a reinventare la line-up: Palmer ha infatti raggiunto Emerson e Lake, per formare gli ELP, mentre Graham ha scelto di unirsi ai connazionali Skin Alley, con i quali realizzerà il classico di jazz rock To Pagham and Beyond (CBS, 1970), sulla scia dei danesi Burning Red Ivanhoe. Crane quindi recluta (rinunciando al bassista, in favore di un suono più hard) il chitarrista John Du Cann (il quale aveva fatto meraviglie con Attack, Five Day Week Straw People e, soprattutto, Andromeda) e Paul Hammond, alla batteria. Alla fine del 1970, esce così il capolavoro Death Walks Behind You, vertice dell’hard prog, intarsiato di atmosfere gotiche e dark, a partire dalla copertina raffigurante il celebre Nabuccodonosor di William Blake (1757-1827). Il disco, che sfiora la top ten britannica, riesce nel tentativo di fare incontrare l’hard dei Deep Purple e il prog tastieristico di ELP: una autentica pietra angolare dell’hard prog albionico più tetro ed evocativo, suggestivo e oscuro. Le sonorità sono oggi ancora inquietanti e sepolcrali, sinistre e misticheggianti, spettrali e malinconiche. Tomorrow Night salì sino al numero undici delle charts in Inghilterra, ma di pari livello sono la mini suite Streets, la ballad pianistica Nobody Else e il grintoso pomp rock ante litteram VUG.

Tra il 1970 ed il 1971, gli Atomic Rooster suonano spessissimo da vivo. Il compact Live and Raw, oggi, documenta degnamente quelle infuocate esibizioni. Nel 1971, Crane suona anche il piano nel bellissimo e intenso disco d’esordio omonimo dell’ex-Taste Rory Gallagher. In quel medesimo anno, esce anche il terzo disco degli Atomic Rooster, intitolato In Hearing of, con la copertina di Roger Dean. Si tratta di un lavoro più classicamente legato agli stilemi dell’hard inglese, allora all’apogeo, che vede in grande spolvero la voce del nuovo cantante Peter French (dai leggendari Leaf Hound di Growers of Mushroom, uscito per la Decca, nel 1970) e non lesina momenti melodici ed intimistici, come in Decision / Indecision, accanto ai frangenti più duri e sferzanti di Head in the Sky. Un terzo grande classico, anche riascoltandolo ora.
Il 1972 vede altri concerti dei galletti atomici – documentati, in seguito, su CD, dalle sessions alla BBC Live in Concert e dal mini Little Red Rooster – ma soprattutto una svolta in direzione funky e soul (Crane, che ha introdotto il sintetizzatore, se ne dichiara in quel periodo grande appassionato), nonché un parziale ricupero della tradizione rimontante al British Blues anni Sessanta. Il risultato è la pubblicazione, con il grande Chris Farlowe alla voce, di Made in England, con Steve Bolton alla chitarra e una stupenda veste grafica. Crane, con questo LP, cerca altresì di ricuperare qualcosa della vecchia ispirazione di impronta dark, sia pure solo a livello lirico e testuale. Un album comunque da rivalutare, insieme al successivo Nice and Greasy (Dawn, 1973), che vede il nuovo chitarrista John Goodsall – accreditato come Johnny Mandala (ormai gli avvicendamenti nella formazione degli AR sono una costante) – e tracce assai valide, tra le quali l’epica Voodoo in You e lo strumentale per solo piano Moods. Un altro vinile ingiustamente sottostimato.

Nel 1974, gli Atomic Rooster pubblicano il singolo Tell Your Story / OD e nel 1975 si imbarcano in una disastrosa tournée italiana. Crane, sempre più scontroso e imprevedibile, segnato da problemi di natura psichica e dall’abuso di stupefacenti, fugge, in quella circostanza, con gli incassi, sciogliendo di fatto il suo gruppo, con questo gesto sconcertante e senza ritorno. Il talentuoso Goodsall si orienta verso la fusion progressiva, prima con i Brand X e poi con i notevoli e purtroppo misconosciuti Fire Merchants.
Nel 1977, con materiale tratto dai primi tre dischi, la Mooncrest ricorda gli Atomic Rooster e Crane pubblicando la raccolta Home to Roost. In quello stesso anno, Crane ritrova il vecchio amico Arthur Brown e partecipa al suo Chisholm in My Boson (1977). I due, firmandolo con il nome di entrambi, danno altresì alle stampe nel 1979 l’interessante Faster Than the Speed of Light, a mezza strada tra prog sinfonico inglese e pomp rock americano, con belle parti orchestrali e grande uso del Moog. I due artisti collaborano anche, sempre nel 1979, al primo capitolo del progetto Richard Wahnfried: il disco Time Actor si muove in maniera notevolissima fra kraut rock ed elettronica tedesca. Una vera all-star band, composta – oltre che da Crane e Brown – anche dall’ex Santana Micheal Shrieve e dal mitico Klaus Schulze (Brown e Schulze collaborarono quello stesso anno anche a Dune, del primo): è evidente che, passati i suoi guai, Crane ha ritrovato la stabilità e la vena. Appare giunto quindi il momento, complice anche la montante NWOBHM, di dimenticare il passato e riformare gli Atomic Rooster. Nel 1980 – dopo che per poche settimane, prima di unirsi agli Hawkwind di Levitation, ha transitato nella rinata band anche Ginger Baker – vede la luce Atomic Rooster, aggiornamento in una chiave più metal delle sonorità di Death Walks Behind You. Sempre nel 1980, i galletti si presentano al Marquee di Londra in piena forma: con Crane ci sono i fedeli Du Cann e Hammond. Performance che uscirà tempo dopo anche su compact disc. Il successo di inizio carriera però non arriva. Crane – che è molto curioso verso il nuovo rock inglese e non teme mai confronti – vira pertanto col nuovo disco degli Atomic Rooster, Headline News (1983), verso un bel mix di prog rock elettronico e new wave inglese. Il disco è riuscito, ma in tempo di purismo imperante scontenta tutti. A nulla vale una serie di concerti tedeschi, sul finire di quel medesimo 1983, editi poi come Live in Germany. Per gli Atomic Rooster è nuovamente la fine, questa volta definitiva e non senza rammarichi.

Crane, comunque, resta molto attivo e volenteroso. Suona con i Katmandu, dell’ex Fleetwood Mac Peter Green (A Case for the Blues, 1984), con i folk-rockers Dexys Midnight Runners (Don’t Stand Me Down, 1985) e sogna nuovi progetti, tutti però infranti il 14 febbraio del 1989. L’ex-moglie Jean – la sola che, fra le tante avventure che Crane ebbe nella sua non lunga vita, davvero lo amò più di ogni altra – contribuì a scegliere i pezzi che andarono a comporre le due antologie, pubblicate alla fine del 1989, per celebrare gli anni di Vincent con gli Atomic Rooster: Lose Your Mind e The Devil Hits Back contengono, oltre ai classici in studio, anche brani dal vivo, nonché versioni alternative o con un titolo leggermente differente rispetto a quelli noti. I collezionisti sono pertanto avvisati.
Chi desidera oggi approfondire l’operato di Crane con gli Atomic Rooster può rifarsi al cofanetto in quattro CD, edito dalla Esoteric, con il titolo Sleeping For Years, che racchiude tutte le registrazioni del gruppo dal 1970 al 1974, oppure al doppio A Classic History (uscito a maggio del 2018), oppure ancora ai due volumi (specie il primo) di The First 10 Explosive Years (apparso nel 1999, per mano della Angel Air). Quanto alla serie completa degli incisioni radiofoniche, realizzate dai galletti, alla BBC con John Peel, tra il 1970 e il 1981, sono state pubblicate nel 1998 con il titolo Devil’s Answer, in omaggio a quella che resta forse la canzone più famosa di Crane e compagni. Un discorso a parte merita invece Homework, compilation di demo risalenti al triennio 1979-1981, incisi, senza Crane, da Du Cann (chitarra e voce) e Hammond (drum machine). Malgrado si tratti soltanto di nastri non rifiniti, rimane interessante questo singolare e particolarissimo esperimento di hard rock sintetico e vagamente futuristico. Sempre a proposito di Du Cann, rammentiamo infine che, uscito dagli AR, aveva suonato con Daemon (1970-1971), Bullet (1972), Hard Stuff (1973) e Thin Lizzy (1974). Per una panoramica su di lui si può ricorrere a Many Sides of John Du Cann, utile antologia della Angel Air, che ha finalmente ristampato anche tutto quanto fatto (all’epoca non uscì nulla) dai Bullet (nel caso dei Daemon una operazione analoga è stata intrapresa, diverso tempo fa, dalla estinta Kissing Spell). Un grande chitarrista, che, insieme ad un grande tastierista, ha scritto pagine immortali del rock inglese anni Settanta.

kNowhere – Spiral

Un sound intimista, sofferto e dalle atmosfere ombrose, che scivola liquido per poi sbattere contro muri di rock duro e drammatico, è quello che ci propone la band torinese, con sfumature grigie come il cielo autunnale della loro città avvolta in una sottile coltre di foschia dentro la quale è facile perdersi alla ricerca di sé.

Nella scena underground tricolore si stanno muovendo label sempre più professionali e con roster di tutto rispetto che spaziano tra molti dei generi che gravitano nell’universo rock/metal.

Una di quelle più attive attualmente è di sicuro la Volcano Records, rifugio per un numero importante di ottime realtà nazionali ed estere.
L’ultima proposta dell’etichetta napoletana sono I kNowhere, alternative band piemontese in uscita con un nuovo lavoro intitolato Spiral, con nove brani per poco più di trenta minuti in compagnia del loro alternative post rock, dal taglio dark in molti passaggi, ma legato all’alternative anni novanta e a gruppi come Biffy Clyro e God Machine.
Un sound intimista, sofferto e dalle atmosfere ombrose, che scivola liquido per poi sbattere contro muri di rock duro e drammatico, è quello che ci propone la band torinese, con sfumature grigie come il cielo autunnale della loro città avvolta in una sottile coltre di foschia dentro la quale è facile perdersi alla ricerca di sé.
Dall’opener The Fly alla conclusiva The Seed (da cui è stato estratto un video) i kNowhere ci invitano a seguirli tra atmosfere di sofferenza e ricerca interiore attraverso un post rock che non lesina atmosfere drammatiche e forza elettrica, sempre in un crescendo di notevole impatto.
The Sword è l’esempio di come la band, da sfumature post rock, accresca l’intensità fino ad esplosioni di alternative rock che si nutre di una drammatica elettricità che ci accompagna per tutta la durata di Spiral.
I kNowhere risultano quindi un altro centro da parte della Volcano Records e Spiral un lavoro emozionale e personale, assolutamente consigliato.

Tracklist
1. The Fly
2. Imploding
3. The Sword
4. Envy
5. Taking Time
6. Tsunami
7. Ulisse
8. Pride
9. The Seed

Line-up
Federico Cuffaro – Vocals, guitars
Bruno Chiaffredo – Drums, backing vocals

KNOWHERE – Facebook

Hollow Leg – Civilizations

Fluidità, pesantezza e tanto bel suono granitico fanno dell’ultima opera degli Hollow Leg una delle più belle uscite del 2019 appena cominciato.

Tornano i re incontratati del groove sludge: dalla Florida ecco gli Hollow Leg.

La caratteristica principale del gruppo americano è saper rendere in maniera sublime un continuum sonoro sludge stoner di rara bellezza. I riff sono chiari e molto ben marcati, il suono è originale e ha un’andatura maestosa, come se uno degli antichi di Lovecraft stesse camminando per un deserto terrestre in cerca di qualcosa da distruggere. Civilizations è la loro opera migliore di una carriera veramente notevole, granitica e di qualità come il loro suono. Rispetto al precedente Crown del 2016, la produzione è più tonda e mette in risalto un suono più corposo, dove tutti gli elementi sonori si fondono alla perfezione, e troviamo anche una melodia costruita in maniera più barocca e ricca. Durante l’ascolto del disco ci sono moltissime cose che soddisfaranno i più diversi palati: sludge vigoroso e potente, stoner alla massima potenza, ma sopratutto lo stile Hollow Leg su tutto. Ci sono momenti di vera e propria illuminazione mentre si ascolta Civilizations, nei quali si aprono le braccia, si chiudono gli occhi e ci si tuffa nelle casse, che sono caldissime e grondano una delle migliori musiche pesanti che possiate ascoltare. La completezza e la semplice complessità di questo lavoro si possono avvertire fin dal primo riff. L’immaginario creato dal gruppo è uno dei più potenti che possiate ritrovare nell’alternativo mondiale: parla di occulto, di spazio profondo e di cose antiche che continuano a vivere dentro e fuori di noi. Fluidità, pesantezza e tanto bel suono granitico fanno dell’ultima opera degli Hollow Leg una delle più belle uscite del 2019 appena cominciato.

Tracklist
1 Litmus
2 Dirt Womb
3 Mountains of Stone
4 Black Moon
5 Hunter and the Hunted
6 Intro
7 Chimera
8 Akasha
9 Exodus

Line-up
Brent
Tim
Scott
Tom

HOLLOW LEG – Facebook

ATHROX

Il lyric video di Sadness N’ Tears, dall’album Through the Mirror (Revalve Records).

Il lyric video di Sadness N’ Tears, dall’album Through the Mirror (Revalve Records).

Athrox release now the new lyric video for the song Sadness N’ Tears, taken from the acclaimed last album Through the Mirror out via Revalve Records.

Enjoy at: https://youtu.be/JokMPZiCJag
Follow us on:
https://player.believe.fr/v2/3615934288249
https://www.revalverecords.com/Athrox.html
http://www.athroxofficial.com/
https://www.facebook.com/athroxofficial/
http://instagram.com/athroxofficial
http://twitter.com/OfficialAthrox

Athrox is the brainchild of the guitar player Sandro Seravalle and the drummer Alessandro Brandi, with the addition of Francesco Capitoni at the guitar and the bassplayer Andrea Capitani.
The lineup found its final shape with the singer Giancarlo Picchianti. With these members Athrox started the songwriting process for their first full lenght album entitled Are you alive? featuring 11 brand new heavy metal tracks – released by Red Cat Records in 2016.
Athrox music style is a powerful mixture of heavy metal with thrash elements, but characterized by different elements which brought the band to a great response from critics and audience.
The lyrical concept behin Are you alive?€ features the rising problems of mankind: war and massive new media problems which enslaved our free will and sensibiliy. Are you alive? is the question Athrox would like to ask to everyone, to everyone enslaved by this corrupted society.
The live activity has led the Athrox to share the stage with great artists such as Iced Earth, Ross The Boss, Mike Le Pond, Phil Campbell and many others, playing in local and renowned festivals.
Now the band is working for the new album €œThrough the Mirror€ , which is going to be released on November 9th 2018 via Revalve Records.

MEMBERS
Giancarlo “IAN” Picchianti – Lead Vocals
Sandro “SYRO” Seravalle – Guitars
Francesco “FRANK” Capitoni – Guitars
Andrea “LOBO” Capitani – Bass Guitars
Alessandro “AROON” Brandi – Drums

Aethyrick – Praxis

Gli Aethyrick mettono in scena un lavoro che  possiede tratti sognanti in più di un frangente, e il tutto avviene senza che ciò possa apparire mai forzato o fuori luogo all’interno di una struttura black metal.

La scena black metal finlandese ,che era rimasta oggettivamente in sordina in questi decenni rispetto ai paesi vicini, si sta rifacendo con gli interessi in questi ultimi tempi grazie a band nuove e di notevole spessore qualitativo tra le quali vanno inseriti di diritto gli Aethyrick.

Il duo formato da Gall ed Exile dopo due demo di rodaggio è giunto all’esordio su lunga distanza nello scorso dicembre con Praxis, album che mette in mostra un equilibrio invidiabile tra la componente melodica e quella riferita al black metal tradizionale.
Del resto il segreto neppure troppo nascosto è proprio quello di dosare al meglio tutti gli elementi del sound per farli poi confluire in brani che riescano a risultare avvincenti senza sacrificare l’integrità stilistica del genere.
Così, se gli Aethyrick mettono in scena un lavoro che  possiede tratti sognanti in più di un frangente, e il tutto avviene senza che ciò possa apparire mai forzato o fuori luogo: è proprio questo che rende magnifici brani come l’opener Protectress, dalle brillanti intuizioni melodiche, o ancora altri che alternano fasi dal notevole impatto atmosferico a repentine accelerazioni come Pilgrimage e la conclusiva ed evocativa Totems.
Dovendo cercare il pelo nell’uovo, sotto forma di qualcosa che non sia legato all’originalità del contesto, direi che, nonostante il genere non richieda prove di bel canto, la voce non possiede l’espressività necessaria per assecondare al meglio i contenuti musicali; detto ciò, Praxis si rivela un album ideale per chi non ne ha mai abbastanza di ascoltare black metal avvolgente e dal consistente impatto emotivo

Tracklist:
1. Protectress
2. Reverence
3. Pilgrimage
4. Quietude
5. Wayfarer
6. Adytum
7. Totems

Line-up:
Gall
Exile

childthemewp.com