Riot City – Burn The Night

Nel suo genere Burn The Night risulta un album senza pecche, ma è chiaro che si tratta di un lavoro consigliato ai fans dell’heavy metal tutto borchie e chiodo d’ordinanza, ignorante il giusto per chiudere gli occhi e convincersi d’essere ancora negli anni ottanta.

Il primo lavoro su lunga distanza dei Riot City è in linea con la tradizione per il metallo tutto acciaio, fuoco e fiamme nord americano.

Burn The Night, benedetto dai Judas Priest, conserva intatte le caratteristiche peculiari dell’heavy metal anni ottanta, tra cascate di ritmiche e solos, taglienti come rasoi, voce in linea con il genere e produzione che segue l’atmosfera ottantiana dell’opera.
Si viaggia veloci su e giù per lo spartito, con in bella mostra la devozione che la band ha per tutto il movimento metallico di scuola classica e le otto tracce che formano la tracklist ne sono la conferma.
Nel suo genere Burn The Night risulta un album senza pecche, ma è chiaro che si tratta di un lavoro consigliato ai fans dell’heavy metal tutto borchie e chiodo d’ordinanza, ignorante il giusto per chiudere gli occhi e convincersi d’essere ancora negli anni ottanta.

Tracklist
1. Warrior Of Time
2. Burn The Night
3. In The Dark
4. Livin’ Fast
5. The Hunter
6. Steel Rider
7. 329
8. Halloween At Midnight

Line-up
Cale Savy – Guitars & Vocals
Roldan Reimer – Guitars
Dustin Smith – Bass
Chad Vallier – Drums

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Slow Order – Eternal Fire

Il re incontrastato di Eternal Fire è il groove, che gli Slow Order sanno creare molto bene portandolo a spasso lungo un disco piacevole, più complesso e corposo di tanti altri all’interno di questo genere.

Nuovo lavoro per questo gruppo bolognese di stoner e doom, nato per esprimere l’amore verso i suoni ribassati e i giri di chitarra che si fondono con la sezione ritmica.

Gli Slow Order fanno ottima musica strumentale, sciogliendo una forte dose di psichedelia nel pastiche stoner doom. Eternal Fire è un disco strutturato molto bene, con una composizione che spazia in molti campi diversi, non c’è mai uno schema fisso e di ciò il disco si giova enormemente, lasciando molti motivi per muovere la testa durante l’ascolto. Giustamente si potrebbe chiedere cosa hanno di più questi bolognesi rispetto al resto di gruppi stoner doom strumentali? Ascoltando Eternal Fire lo si potrà capire subito, mentre per invitare all’ascolto si potrebbe dire che ci sono molti mondi qui dentro, dallo stoner strumentale alla Karma To Burn, a riff in stile southern metal, a momenti di psichedelia pesante, per un lavoro molto forte e con i piedi bene piantati nel pantano. Ogni cosa qui è funzionale allo svolgimento generale, non ci sono orpelli o cose fittizie, tutto è consequenziale e opera per un fine più alto. Il trio è molto affiatato e ciò lo si sente dalle prime note, perché gli Slow Order sono uno di quei gruppi che trascinano l’ascoltatore indicandogli la via, anche se fosse in mezzo alle tenebre. Eternal Fire è un ottimo esempio di come possa essere la musica pesante declinata in una certa maniera, con un codice nato in giro per il mondo e che tanti gruppi stanno usando nel migliore dei modi. Il re incontrastato di Eternal Fire è il groove, che gli Slow Order sanno creare molto bene portandolo a spasso lungo un disco piacevole, più complesso e corposo di tanti altri all’interno di questo genere.

Tracklist
01. Eternal Fire
02. Obsessive Tale
03. Serpent’s Son
04. Eclipse
05. Kanavar
06. The Hunter
07. Starweed
08. Black Mass

Line-up
minoz
robby
ale

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Timo Tolkki’s Avalon – Return To Eden

Nel nuovo lavoro firmato Timo Tolkki’s Avalon si ritrovano gli spunti e le caratteristiche peculiari che fecero risplendere la musica del musicista finnico nella scena classica della seconda parte degli anni novanta, grazie ad una serie di tracce convincenti, suonate e cantate benissimo, dal grande appeal e dotate di raffinata eleganza metallica.

La rinascita dei suoni classici nella seconda metà degli anni novanta passa anche dalla chitarra di Timo Tolkki, per anni leader degli Stratovarius, band di punta del power metal di matrice scandinava.

Basterebbero i due capolavori Episode e Visions per mettere tutti d’accordo riguardo al talento del funambolico chitarrista finlandese, poi perso tra i molteplici problemi di salute e tornato con alterne fortune con il mondo di Avalon.
Il suo progetto chiamato Timo Tolkki’s Avalon, infatti, ha dato alla luce due lavori, ma mentre il primo (The Land of New Hope), uscito nel 2013, si segnalava come un buon ritorno dopo anni di assenza dalle scene, il secondo album (Angels of the Apocalypse) non aveva mantenuto le promesse risultando un’opera scialba e senza nerbo.
Quindi è ovvio che un nuovo album di Tolkki susciti non poco interesse nella scena classica odierna e questa volta, grazie alle truppe tricolori corse in aiuto del chitarrista e ad una gruppo di ospiti titolati si può sicuramente affermare che Return To Eden è un album all’altezza della reputazione del musicista scandinavo.
Licenziato dalla nostrana Frontiers, Return To Eden vede la band formata da un manipolo di musicisti italiani, da Aldo Lonobile, chitarrista e co-produttore dell’album insieme a Tolkki, ad Andrea Buratto al basso e Antonio Agate alle tastiere e Giulio Capone alla batteria.
Come ospiti questa volta siamo davvero nel gotha del metal classico mondiale, con diversi talenti che si danno il cambio dietro al microfono come Zachary Stevens, Todd Michael Hall, Eduard Hovinga, Anneke Van Giersbergen e Mariangela Demurtas.
Savatage, Riot V, Elegy, The Gathering, Tristania: Timo come si dice oggigiorno “l’ha toccata piano” e, grazie ad una ritrovata ispirazione e all’aiuto di cantanti di livello superiore, dà vita ad un album convincente nel quale il power diretto, melodico e neoclassico ritrova la sua originaria forza.
Nel nuovo lavoro firmato Timo Tolkki’s Avalon si ritrovano gli spunti e le caratteristiche peculiari che fecero risplendere la musica del musicista finnico nella scena classica della seconda parte degli anni novanta, grazie ad una serie di tracce convincenti, suonate e cantate benissimo, dal grande appeal e dotate di raffinata eleganza metallica.
Dopo le tante reunion che hanno coinvolto gruppi storici della scena metal mondiale, le voci che vorrebbero un ritorno di Timo Tolkki negli Stratovarius si fanno sempre più insistenti: vedremo, nel frattempo godiamoci questo ottimo Return To Eden.

Tracklist
01. Enlighten
02. Promises
03. Return To Eden
04. Hear My Call
05. Now And Forever
06. Miles Away
07. Limits
08. We Are The Ones
09. Godsend
10. Give Me Hope
11. Wasted Dreams
12. Guiding Star

Line-up
Todd Michael Hall – Vocals
Anneke Van Giersbergen –Vocals
Mariangela Demurtas – Vocals
Zachary Stevens – Vocals
Eduard Hovinga – Vocals
Timo Tolkki – Guitars
Aldo Lonobile – Guitars
Antonio Agate – Keyboards
Andrea Buratto – Bass
Giulio Capone – Drums

https://www.facebook.com/avalonopera

Saint Vitus – Saint Vitus

Il Saint Vitus bis è un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.

Tra le tante band storiche decise a marcare nuovamente il territorio con un disco di inediti in questo periodo troviamo anche i Saint Vitus, nome che sta di diritto sul podio all time in ambito classic doom.

Autointitolare il disco, soprattutto se lo si è già fatto all’esordio trentacinque anni fa, può voler dire molte cose, come la chiusura del cerchio e quindi di un lungo percorso artistico oppure il simboleggiare un nuovo inizio, considerando che oltre a Dave Chandler qui alla voce possiamo nuovamente ascoltare l’altro membro fondatore Scott Reagers.
Personalmente questa è la configurazione che ho sempre preferito nei Saint Vitus, più ancora di quella comunque inattaccabile con Wino al microfono, e non è un caso che il mio album preferito sia alla fine Die Healing.
Questo ovviamente predispone ad un ascolto con occhi meno critici e molto più benevolo, ma del resto a questi arzilli sessantenni c’è ben poco da rimproverare visto che la loro interpretazione del genere è impeccabile, nonostante in più di un caso si provi ad uscire da schemi predefiniti, e il blues che sgorga da Hour Glass e il furioso punk hardcore della conclusiva Useless ne sono la più concreta testimonianza.
Chandler continua a proporre riff micidiali anche quando i brani prendono una strada più lisergica (A prelude…) e in generale l’album non delude in virtù anche di cavalcate che possono apparire scontate solo a chi conosce il doom in maniera superficiale.
Il Saint Vitus bis è quindi un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.

Tracklist:
1. Remains
2. A Prelude to…
3. Bloodshed
4. 12 Years in the Tomb
6. Hour Glass
7. City Park
8. Last Breath
9. Useless

Line-up:
Dave Chandler Guitars
Scott Reagers Vocals
Henry Vasquez Drums
Pat Bruders Bass

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Minor Poet – The Good News

Questo gruppo ha un tiro maledettamente affascinante molto anni ottanta, come se di quegli splendidi anni si fosse preso solo il buono per fondare un movimento tropical statunitense molto debitore ai Beatles, a cavallo fra le diapositive rock e quelle psichedeliche.

Visione musicale superiore di in qualcosa che si situa tra il pop di alta qualità, il rock e uno strano senso per la bossanova.

I Minor Poet sono una creazione della fervida mente musicale di Andrew Carter da Richmond, Virginia, il quale, con il disco del 2017 And How! ha dato vita a questo progetto diventato con il tempo un vero e proprio gruppo che si esibisce con successo in giro. In definitiva questa band ha un tiro maledettamente affascinante molto anni ottanta, come se di quegli splendidi anni si fosse preso solo il buono per fondare un movimento tropical statunitense molto debitore ai Beatles, a cavallo fra le diapositive rock e quelle psichedeliche. Il loro suono è ora dolce e malinconico ma sempre con un fondo di speranza, ora più scanzonato ma consapevole di cosa siamo e di cosa possiamo fare, ovvero poco, ma in questo poco perché non gustarci canzoni bellissime come queste? Ecco, queste sono canzoni molto belle, eleganti e di ottimo aspetto, ben composte e ben suonate. Questa eleganza in musica è qualcosa che si sta perdendo sempre di più, e i Minor Poet sono qui per ricordarcelo. In questi sovraffollati tempi manca qualcosa che un tempo veniva regalato, ad esempio, da un David Bowie o un Marc Bolan, quel cambiare atmosfera con una canzone. Ecco i Minor Poet lo fanno, sebbene in una scala minore, con il sax che entra alla fine di Nude Descending Staircase con un assolo che non dura molto ma cambia un disco. E questo album è pieno di particolari come questo, piccole chicche disseminate in un disegno già valido e molto bello.
Un disco che respira e fa respirare bene, non fa guardare davanti od indietro, ma verso lo specchio, per una nostra immagine finalmente sostenibile.

Tracklist
1.Tabula Rasa
2.Tropic of Cancer
3.Museum District
4.Reverse Medusa
5.Bit Your Tongue / All Alone Now
6.Nude Descending Staircase
Line-up
Andrew Carter, Jeremy Morris, Micah Head, Erica Lashley.

https://www.facebook.com/minorpoetmusic/

Welkin – Everlasting Echo Of A Farewell

Everlasting Echo Of A Farewell ha il pregio di variare l’atmosfera ad ogni brano, alternando in modo sagace potenza e melodia, tradizione e modernità in una raccolta di belle canzoni e non è poco.

Dal sottobosco musicale nazionale arrivano di continuo buone proposte che rinvigoriscono una scena rock/metal che, con tutte le problematiche e le conseguenti difficoltà di oggigiorno è ben presente e florida.

Questa volta abbiamo il piacere di presentarvi i Welkin, quartetto di Treviso attivo addirittura dal 1998 che tra cambi di line up e la solita gavetta sul fronte live arriva al 2019 con un nuovo lavoro intitolato Everlasting Echo Of A Farewell.
Francesco Bresolin(chitarra, voce), Arturo Trivellato (chitarra), Francesco Mocci (batteria), e Andrea Cenedese (basso), danno vita a sette tracce di rock moderno, melodico e alternativo, dove la parte metal mostra i muscoli solo a tratti, lasciando spazio ad atmosfere che mantengono un approccio riflessivo e malinconico.
L’opener Sacrifice irrompe con il suo metal che non nasconde un’anima progressiva, le chitarre ricamano solos di matrice Queensryche, su ritmi sostenuti, ma già dalla successiva Bleed, l’acustica si impadronisce della scena con accordi di delicato rock d’autore.
Molto curate le parti vocali, sia la solista che i chorus, mentre il sound continua ad alternare atmosfere pacate, e ritmi incalzanti sorretti da una buona dose di potenza e melodia.
Take Me The Horizon è un hard & heavy tra tradizione ed input alternative, metal/rock che come già sentito sulle altre tracce non manca di essere valorizzato da impennate progressive.
Ballatona da accendini accesi Part Of Me, metal potente e tecnico The World Behind e rock alternativo Break The Silence brano che conclude questa buona prova del gruppo Veneto.
Everlasting Echo Of A Farewell ha il pregio di variare l’atmosfera ad ogni brano, alternando in modo sagace potenza e melodia, tradizione e modernità in una raccolta di belle canzoni e non è poco.

Tracklist
1.Sacrifice
2.Bleed
3.Everything
4.Take Me To The Horizon
5.Part Of me
6.The World Behind
7.Break The Silence

Line-up
Francesco Bresolin – Guitars, Vocals
Arturo Trivellato – Guitars
Francesco Mocci – Drums
Andrea Cenedese – Bass

WELKIN – Facebook

Khanus – Flammarion

Il black death è un sottogenere inflazionato e che richiede un grande talento per essere innovato: qui l’innovazione non c’è, e in definitiva la prova dei Khanus si rivela molto solida senza squilli.

Flammarion è un disco del 2018 dei Khanus, gruppo finlandese di Oulu, che ha fatto il suo esordio nel 2016 con l’ep Rites Of Fire.

I Khanus propongono un black death metal di buona fattura, ben composto e ben suonato, però non scatta mai la scintilla, nel senso che l’ascoltatore non viene avvinto in maniera totale dalle loro trame sonore. Ci sono molti gruppi come i Khanus, certamente questi finlandesi appartengono al novero dei gruppi di qualità medio alta, ma Flammarion è un album molto standard per i generi black death, in quanto non c’è una fuga verso l’alto. Di certo è poco comune quanto azzeccata la scelta di cominciare con una cover dei norvegesi Darkthrone, The Serpent’s Harvest da Total Death del 1996, un brano che è una dichiarazione programmatica di intenti. Da qui comincia il disco che non è mai suonato in maniera velocissima, ma si dipana per mid tempo che poi lasciano spazio a sfuriate sempre abbastanza contenute. Come detto sopra il risultato è buono, ma troppo piatto per scatenare entusiasmo. Escono per I, Voidhanger Records, etichetta che ha sempre un’altissima qualità e questo disco sta nelle loro corde, ma non può competere con il resto del catalogo. Flammarion è un album nella media del black death, suonato da musicisti esperti e dalle evidenti capacità compositive, con le quali apportano anche alcune particolarità come il cantato che, in certi tratti, è quasi operistico. Il black death è un sottogenere inflazionato e che richiede un grande talento per essere innovato: qui l’innovazione non c’è, e in definitiva la prova dei Khanus si rivela molto solida senza squilli.

Tracklist
1.The Serpent’s Harvest (Darkthrone Cover)
2.A Timeless Sacred Art
3.Titan Souls
4.Ageless
5.The Uncreated
6.Secular Spiritual Existence
7.Surrupu
8.Magick And Numbers

Line-up
Meltiis – Soprano vocals and Choir
Lordt – Drums
Sovereign – Guitars, Bass, Vocals

KHANUS – Facebook

Cremisi – Dawn of a New Era

I Cremisi raccontano tutto ciò attraverso l’unica musica in grado di fagocitare altri generi e rigettarli sotto forma di arte delle sette note, il metal, sottovalutato ed ignorato dai suoi detrattori, ma fonte inesauribile di emozioni in tutte le sue forme.

Un esordio che sicuramente non passerà inosservato quello dei Cremisi, quartetto proveniente dall’Emila Romagna (Bologna/Ravenna) che si presenta sul mercato metallico forte di una personalità debordante ed un album maturo, sia per le tematiche trattate che per il sound espresso.

La storia del nostro paese raccontata da un metal sinfonico, epico ed evocativo che accomuna prog metal, heavy classico e metal estremo sinfonico di matrice scandinava, è una delle caratteristiche principali di Dawn of a New Era e delle sue dieci composizioni, un viaggio nel tempo tra la scoperta delle Americhe e Leonardo Da Vinci, la caccia alle streghe e la peste del 1300, senza dimenticare l’arte e le sue opere, patrimonio della nostra storia.
I Cremisi raccontano tutto ciò attraverso l’unica musica in grado di fagocitare altri generi e rigettarli sotto forma di arte delle sette note, il metal, sottovalutato ed ignorato dai suoi detrattori, ma fonte inesauribile di emozioni in tutte le sue forme.
Nei brani che i Cremisi hanno creato per dare vita a Dawn Of A New Era proliferano diverse anime musicali, a formare un sound vario ed estremamente affascinante: non manca nulla tra lo spartito di brani come The Black Death, Confession, In The Name Of The lord o la splendida Battle Of Lepanto, che tanto sa di ultimi Amorphis in una versione più epica e meno progressiva.
E poi Symphony X, Iron Maiden, Sabaton, Omnium Gatherum, ma finire l’articolo con i soliti paragoni non darebbe il giusto risalto al grande lavoro svolto dai quattro musicisti nostrani che hanno dato vita ad un’opera davvero molto suggestiva e matura già al debutto.

Tracklist
1.Dark Winds
2.The Black Death
3.Dawn of a New Era
4.Captain’s Log
5.Confession
6.In the Name of the Lord
7.Waves of Sorrow
8.Battle of Lepanto
9.The Hanged Man
10.On the Moon

Line-up
Federico Palmucci – Guitars
Davide Tomazzoni – Vocals
Francesco Messina – Bass
Rolando Ferro – Drums

CREMISI – Facebook

Abrahma – In Time for the Last Rays of Light

Illustrato da una copertina che rievoca atmosfere bibliche, l’album si snoda in otto brani medio lunghi, ma non prolissi: la band riempie lo spazio di musica colta, usando tutte le armi in possesso per trasformare l’ascolto in un’esperienza pregna di sacrali sfumature epico evocative.

Licenziano il loro terzo lavoro sulla lunga i parigini Abrahma, quintetto dal sound personale che molto bene aveva fatto in passato, specialmente con il precedente album uscito ormai quattro anni fa (Reflections In The Bowels Of A Bird).

La musica del combo non segnala grossi cambiamenti rispetto al passato, anche questa nuova opera, intitolata In Time for the Last Rays of Light si muove su coordinate stoner/doom, dalle sfumature evocative e a tratti vivacizzate da spartiti rock ed alternative metal.
Sempre illustrato da una copertina che rievoca atmosfere bibliche, l’album si snoda in otto brani medio lunghi, ma non prolissi: la band riempie lo spazio di musica colta, usando tutte le armi in possesso per trasformare l’ascolto in un’esperienza pregna di sacrali sfumature epico evocative.
L’opener Lost Forever risulta il brano più diretto, usato non a caso come singolo e video, poi da Lucidly Adrift in poi veniamo catapultati in un’atmosfera in cui i vari generi esposti formano un altare musicale dal quale gli Abrahma decantano il loro verbo.
Band dal sound personale, il quintetto transalpino mostra i muscoli in brani come Last Epistle, dove si concentrano le anime più alternative in seno al gruppo, tra The God Machine ed Alice In Chains, mentre lo sludge/doom della monolitica Wander In Sedation riporta l’album in territori desertici.
Se non conoscete ancora la band francese, immaginate una lunga jam composta da Orange Goblin, Yob, Monster Magnet e gli altri nomi precedemente citati, ed avrete un’idea di quello che ascolterete in questo affascinante lavoro.

Tracklist
1.Lost Forever
2.Lucidly Adrift
3.Eclipse of the Sane Pt.1: Isolation Ghosts
4.Dusk Contemplation…
5….Last Epistle
6.Wander in Sedation
7.Eclipse of the Sane Pt. 2: Fiddler of the Bottle
8.There Bears the fruit of Deceit

Line-up
Sébastien Bismuth – Vocals, Guitars
Florian Leguillon – Guitars, Vocals
Benoit Carel – Guitars, Synths & Effects
Romain Hauduc – Bass, Vocals
Baptiste Keriel – Drums, Vocals

ABRAHMA – Facebook

METEORE: LUBRICANT

Progressive Grind/Death Metal finnico. Una band all’avanguardia per gli anni novanta, forse troppo. Poco capiti all’epoca, restano oggi un esempio, per le decine di band che desiderano sperimentare nuove sonorità, sulle solide basi del genere più estremo.

Il titolo del loro “breve” libro, potrebbe essere questo: ”nascita prematura spesso coincide con morte prematura”.

Si, proprio vero. La grande sfortuna del combo di Nokia (avete capito bene; la piccola città finlandese che ha dato il nome alla nota fabbrica di cellulari…) fu quello di essere nati troppo presto, in un mondo, quello dei primi anni novanta, dove il fan medio del Death Metal non cercava suoni sperimentali, progressivi o comunque troppo ricercati. Il deathster di allora voleva solo rimanere travolto da un treno in piena corsa; abbandonarsi a schitarrate sparate alla velocità della luce, tempi serratissimi, growls cavernosi che spesso non facevano nemmeno intuire che la band stesse cantando in inglese (o addirittura che stesse cantando un vero e proprio testo). Invece, i 4 coraggiosi ragazzotti finlandesi decisero di andare controcorrente (anche lo stesso monicker, fu scelto come “anti Death Metal Band’s name”), proponendo un Death a tratti addirittura Grindcore, davvero d’avanguardia, ricco di spunti progressive, suoni sperimentali e momenti quasi futuristici (almeno per quei tempi) accompagnati da un cantato che spesso faceva spola dal classico growl al più morbido dei clean. Decisione coraggiosa, ma che – ahimè – oggi li ha relegati a semplice meteora del periodo, capace sì di donarci perle di culto come il demo “Swallow The Symmetric Swab”(1991) e il famosissimo ep “Nookleptia” (1993), ma che allora, non fecero presa nel cuore dei fan. Ciò li costrinse dopo una brevissima vita musicale, a sciogliersi a distanza di soli tre anni dalla loro nascita (sono nati verso la fine del 1989 come Lubricant; in precedenza come O.V.D. suonavano un basilare Speed Metal). In realtà oggi, i non più giovani “lubrificati”, fanno ancora qualche apparizione dal vivo, ma senza far uscire nulla di nuovo.

Discography:
Subscription of Hydatidocele – Demo – 1990
Surgical Centesis – Demo – 1991
Swallow the Symmetric Swab – Demo – 1991
Nookleptia – EP – 1993
Zander (Enslaved / Lubricant / Necromance / Cadaver Corpse) – Split – 1993
Swallow This – Compilation – 2017

Line-up
Tero Järvensivu – Bass
Aki Ala-Kokko – Drums
Sami Viitasaari – Guitars
Sami Paldanius – Vocals

Chaos Factory – Horizon

Settantacinque minuti di musica e parole divisi in due cd, Perception e Myth, per un’opera mastodontica e sorprendente per una band al debutto, di non facile assimilazione proprio a causa della durata e degli interventi vocali che spezzano il ritmo e la scorrevolezza della parte musicale.

Ambiziosa e oltremodo coraggiosa la proposta dei nostrani Chaos Factory, al debutto per Underground Symphony con Horizon, opera metal che unisce power, heavy e spunti sinfonici progressivi in un concept “raccontato” da Luca Ward, voce di Russel Crowe nel Il Gladiatore, capolavoro cinematografico di Ridley Scott.

Settantacinque minuti di musica e parole divisi in due cd, Perception e Myth, per un’opera mastodontica e sorprendente per una band al debutto, di non facile assimilazione proprio a causa della durata e degli interventi vocali che spezzano il ritmo e la scorrevolezza della parte musicale.
Sono dettagli, questi, che potrebbero far perdere qualche punto ad un lavoro che merita la giusta attenzione, perché la band ha creato un sound che, pur evidenziando le sue molteplici influenze, ha la personalità per uscire dall’anonimato in un genere nel quale in termini musicali si è detto tutto o quasi.
Concept a parte (una serie di riflessioni sulla condizione umana), Horizon musicalmente è un piccolo gioiello di metal classico, i brani sono tutti benedetti da un ottimo appeal, trattandosi di una serie di cavalcate power alternate a magniloquenze sinfoniche, atmosfere progressive e hard & heavy, con il gruppo sugli scudi sia per la ricerca del chorus e del refrain perfetto che per il buon uso degli strumenti.
Human Orogeny, We Believe, Juggernaut Is Coming e Running Wild valorizzano il primo cd, mentre sul secondo la band si lascia prendere la mano dalla parte recitata, atmosferica e sinfonica di cui si compone l’album.
Horizon rimane comunque un lavoro da ascoltare con l’impegno che merita, ricco com’è di atmosfere e sfumature che avvicinano la band a icone del genere come Rhapsody, Stratovarius, Labyrinth ed alle colonne sonore di Ennio Morricone.

Tracklist
CD1
01. Human Orogeny
02. Crystalline
03. We Believe
04. Juggernaut Is Coming
05. Affinità Morenti
06. Whispers in the Dark
07. Universal Flow
08. Horizon
09. Come Lacrime Nella Pioggia
10. Running Wild
11. Sins of the Lambs
12. Polychrome Glows
CD2
01. And Zarathustra Said: Horizon
02. Sento La Morte Nel Sogno Che Viene
03. Drying Her Tears
04. In the Depths of the Void
05. L’ultima Madre
06. The Doom of Destiny
07. Nel Profondo Dell’universo
08. Blue Steams
09. Al Calar Della Luce
10. Chaos Variation XVIII

Line-up
Francesco Vadori – Vocal
Luca Moser – Guitar
Mattia “HeadMatt” Carli – Guitar
Diana Aprile – Drums
Fabio Sartori – Bass

CHAOS FACTORY – Facebook

Versing – 10000

Questi tredici brani ci offrono uno spaccato convinto e convincente di come possa essere l’indie pop rock fatto bene, grazie alla passione e alla competenza.

Ci sono dischi che gridano, altri che sussurrano o che passano sopra le nostre teste senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

10000 dei Versing è un disco scritto e prodotto per corrodere la nostra malata quotidianità. Questo lavoro mostra quanto ancora di buono e valido ci possa essere in un lavoro genuinamente indie. I nostri si incontrano nell’ambito di una college radio di Tacoma, la KUPS, dove il cantante, chitarrista e scrittore dei testi Daniel Salas era direttore artistico per il comparto alternative. Lì incontra l’altro chitarrista Graham Baker, il batterista Max Keyes,e il bassista Kirby Lochner. Insieme danno vita ai Versing, un gruppo indie alternative che prende la mosse dalla tradizione americana per innovarla profondamente. I Versing avanzano in maniera apparentemente sbieca e ondivaga, invece vanno dritti al punto, con un indie rock minimale, melodico e distorto al contempo. Questa band possiede quella speciale levità che pochi gruppi hanno, quel gettarsi nella mischia con la consapevolezza di riuscire a giocare secondo le proprie regole. Non inventano nulla ma riescono ad offrire un qualcosa di efficace e soprattutto credibile. Per i parametri di vita americani sono certamente degli sfigati, ma sono ciò che vogliamo, perché per fare musica come la loro ci vuole coraggio in questa epoca di pose social, ed infatti i nostri fanno promozione su facebook con un logo con sopra il loro nome e… i Minions
La musica, che è quella poi l’unica cosa importante, è davvero buona e varia, i tredici pezzi ci offrono uno spaccato convinto e convincente di come possa essere l’indie pop rock fatto bene, grazie alla passione e alla competenza. Rispetto alla media degli altri gruppi i Versing fanno un uso mirabile della distorsione, il vero valore aggiuntivo al tutto.

Tracklist
1Entryism
2 Offering
3 Tethered
4 Violeta
5 By Design
6 Vestibule
7 In Mind
8 Long Chord
9 3D
10 Sated
11 Survivalist
12 Loving Myself
13 Renew

Line-up
Daniel Salas
Graham Baker
Kirby Lochner
Max Keyes

VERSING – Facebook

Bullet – Bullet Live

Bullet Live è un album che una volta schiacciato il tasto play vi tiene per le palle, vi obbliga con la sua forza ed energia a rimanere incollati allo stereo mentre una per una passano le varie tracce, in un tripudio di note già sentite migliaia di volte ma irrinunciabili anche questa volta.

Questo live è un inno all’hard & heavy, un rito di cui non potrete esimervi di presenziare se vi considerate true metallers di origine controllata.

D’altronde la missione degli svedesi Bullet è sempre stata quella di portare in giro per i palchi il loro tributo ad un genere e ad uno stile di vita consolidati, una sfacciata e alquanto riuscita riproposizione di cliché abusati all’infinito ma di cui non potremmo farne a meno ogni tanto.
E allora buttatevi con birra in mano e pugno alzato tra le prime file di questo live che ripercorre le gesta del gruppo svedese, attivo da quasi vent’anni e con il suo bottino di sei album di cui l’ultimo uscito un annetto fa.
Il quintetto scandinavo mantiene quello che promette, con il palco messo a ferro e fuoco grazie ad una energia liberata in diciotto dei brani più significativi e riusciti del loro repertorio che, chiariamolo, non si scosta di un millimetro dal tributare il sound leggendario di Ac/Dc e Accept, con un tocco qua e là di Judas Priest ad aumentare la temperatura quando le chitarre si lanciano in solos che sono il pane e la birra del genere.
Una serie di inni che non lasciano scampo, ci investono in tutta la loro metallica forza, tra sudore, alcool ed attitudine così come il genere esige.
Bullet Live è un album che una volta schiacciato il tasto play vi tiene per le palle, vi obbliga con la sua forza ed energia a rimanere incollati allo stereo mentre una per una passano le varie tracce, in un tripudio di note già sentite migliaia di volte ma irrinunciabili anche questa volta.
Storm Of Blade, Turn It Up Loud, Speed And Attack, Ain’t Enough, Highway Love e Bite The Bullet, prima di essere canzoni, sono inni e questo live è un tributo imperdibile all’hard & heavy e al suo mondo.

Tracklist
CD1
1. Uprising
2. Storm Of Blades
3. Riding High
4. Turn It Up Loud
5. Dusk Til Dawn
6. Dust To Gold
7. Rambling Man
8. Bang Your Head
9. Hammer Down

CD2
1. Speed And Attack
2. Ain’t Enough
3. Rolling Home
4. Heading For The Top
5. Stay Wild
6. Fuel The Fire
7. Highway Love
8. The Rebels Return
9. Bite The Bullet

Line-up
Hell Hofer – Vocals
Hampus Klang – Lead Guitar
Alex Lyrbo – Lead Guitar
Gustav Hector -Bass
Gustav Hjortsjö – Drums

BULLET – Facebook

Dispnea – Incitement To Self Destruction

Questo ep d’esordio intitolato Incitement To Self Destruction potrebbe rivelarsi uno dei classici degli ultimi anni del genere in Italia: chi ama il black metal qui troverà molte perle nere, confermando la scuola napoletana del nero metallo fra le più efficaci.

Autore – Titolo

Testo Recensione
I Dispnea sono un gruppo di Napoli all’esordio con questo ep uscito a maggio.

La proposta musicale è un black metal di tipo depressive di buona qualità, non necessariamente confinato nel recinto di quel sottogenere. Infatti, a differenza di altri gruppi simili, i partenopei producono composizioni di più ampio respiro, andando ad esplorare tutto il black metal, essendo legati a quello classico come punto di partenza. Il disco è un fiume in piena di dolore sublimato attraverso il genere, che in questo caso è il veicolo ed il codice migliore per esprimersi. I quattro brani dell’ep trattano di cose che viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, di eventi che ci vengono contrabbandati per normali ma che normali non sono affatto. La nostra vita quotidiana è un potentissimo generatore di dolore, un continuo allontanamento dalla nostra vera natura, in un loop senza speranza. I Dispnea mettono tutto ciò in questo ep attraverso un black metal che picchia forte e contiene una melodia di qualità superiore, con una composizione molto semplice e molto efficace che fa di questo gruppo uno dei migliori della nuova legione italiana di black metal. Ascoltando i Dispnea si viene condotti in un viaggio molto bello e particolare nel black maggiormente ortodosso e classico, che però non essendo un dogma qui viene innestato anche di momenti meno tradizionali. Come prima prova è sicuramente buona e questo ep d’esordio potrebbe rivelarsi uno dei classici degli ultimi anni del genere in Italia: chi ama il black metal qui troverà molte perle nere, confermando la scuola napoletana del nero metallo fra le più efficaci.

Tracklist
1.Winter Suicide
2.Distorted Thoughts
3.AB Negative
4.Perpetua Pena

Line-up
I. – LYRIC, SCREAMS
E. – SONGWRITING, INSTRUMENTS
T. – SESSION BASS

DISPNEA – Facebook

Aldi Dallo Spazio – Quasar

Quasar è un ottimo lavoro, opportunamente riproposto, che non mancherà di soddisfare la fame di progressive rock degli amanti del genere classico, magari in attesa di una nuova opera targata Aldi Dallo Spazio.

Dopo tanto progressive moderno e metallico, arriva un ottimo lavoro che guarda sfacciatamente alla tradizione senza timori reverenziali, ispirandosi quindi alle grandi band del passato ed a quel rock progressivo degli anni settanta diventato ormai storia.

Gli Aldi (Awesome Lysergic Dream Innovation) Dallo Spazio il loro bellissimo esordio Quasar lo avevano licenziato due anni fa in regime di autoproduzione, e ora viene ristampato, remixato e rimasterizzato in vinile, cd e digitale da parte della Jolly Roger.
Il quintetto ravennate dà vita ad un’opera affascinante di rock progressivo che si confronta con i grandi lavori del passato ed i suoi creatori, cinque lunghe jam che spaziano tra il progressive, il rock psichedelico e sfumature space, per un viaggio nel mondo del rock classico rivisitato da un giovane quintetto dotato di una buona personalità.
I brani sono cinque capitoli di un viaggio nel mondo di quel rock che non smette neanche nel nuovo millennio di influenzare generazioni di musicisti, confondendosi e amalgamandosi con svariati generi in barba ai suoi detrattori.
Tuffatevi dunque senza timore nelle trame dell’opener Long Time Lover o nei lunghi fluidi musicali di The Distance o Epiphany: vi troverete al cospetto di cinque progsters che, senza alcun tentennamento, percorrono le strade colorate di grande musica tracciate da capisaldi del progressive nazionale ed internazionale come PFM, Pink Floyd, Tangerine Dream, Yes con in più una componente melodica e psichedelica che a tratti avvicina la band ai The Beatles (era Sgt Pepper’s) e T.Rex.
Quasar è un ottimo lavoro, opportunamente riproposto, che non mancherà di soddisfare la fame di progressive rock degli amanti del genere classico, magari in attesa di una nuova opera targata Aldi Dallo Spazio.

Tracklist
01. Long Time Lover
02. THe Distance
03. Little Piggy Will
04. Santana (A Freedom Song)
05. Ephipany

Line-up
Dario Federici – Vocals, Keyboards
Simone Sgarzi – Guitars
Davide Mosca – Guitars
Marco Braschi – Bass
Lorenzo Guardigli – Drums

ALDI DALLO SPAZIO – Facebook

Narnia – From Darkness to Light

Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)
I Narnia odierni sono un’ottima band classic metal, la cui maggiore caratteristica è fondere il power metal di matrice svedese con l’hard & heavy tradizionale, mettendo in risalto l’aspetto melodico di cui sono ricche le tracce che compongono l’album.

Nuovo lavoro anche per i Narnia, band dalle sonorità power neoclassiche che gli amanti del genere dovrebbero conoscere, almeno per gli ottimi lavori usciti nella seconda metà degli anni novanta, sulla scia del ritorno sul mercato dei suoni metal tradizionali.

E’ in quel periodo infatti che il gruppo capitanato dal polistrumentista Carl Johan Grimmark diede alle stampe le sue opere migliori, con in testa l’epico Long Live The King, uscito nel 1998.
Una carriera a singhiozzo ha in parte frenato i Narnia, tornati con il precedente album omonimo in buona forma, confermata dopo “soli” tre anni da questo nuovo album intitolato From Darkness to Light che, seguendo la scia del disco uscito nel 2016, continua a cavalcare la strada di un power robusto e diretto, pregno di mid tempo dal flavour epico, ricamato da tastiere hard rock e chitarre ispirate al metal neoclassico, anche se non più come in passato.
I Narnia odierni sono un’ottima band classic metal, la cui maggiore caratteristica è fondere il power metal di matrice svedese con l’hard & heavy tradizionale, mettendo in risalto l’aspetto melodico di cui sono ricche le tracce che compongono l’album.
Per chi non ha mai avuto il piacere di imbattersi nel quintetto svedese, From Darkness to Light rappresenta un buon esempio di musica metal ispirata da Rainbow e Royal Hunt, con qualche impennata più possente di matrice Stratovarius, elegante e raffinata quel tanto che basta per piacere anche agli amanti dell’hard rock melodico nato tra le nevi scandinave.
Ottima anche su questo lavoro la prova di Christian Liljegren dietro al microfono e di alto livello la tracklist, che trova nell’opener A Crack In The Sky, nel mid tempo epico Has The River Run Dry, nella aor oriented I Will Follow e nelle due parti della title track delle ottime ragioni per rendere From Darkness to Light un album raccomandato agli amanti dei suoni classici.

Tracklist
1.A Crack in the Sky
2.You Are the Air That I Breathe
3.Has the River Run Dry
4.The Armor of God
5.MNFST
6.The War That Tore the Land
7.Sail On
8.I Will Follow
9.From Darkness to Light (Part 1)
10.From Darkness to Light (Part 2)

Line-up
Carl Johan Grimmark – Guitar & backing vocals
Christian Rivel-Liljegren – Vocals
Andreas Johansson – Drums
Martin Härenstam – Keyboards
Jonatan Samuelsson – Bass

NARNIA – Facebook

Tanin’iver – Anno Domini Nostri Satanas

Anno Domini Nostri Satanas risulta un album evil, dove alle atmosfere nere come la pece ed un’attitudine cattivissima si aggiunge una bravura strumentale oltre la media, con la chitarra ad urlare solos dolorosi e dall’impronta melodica su di una struttura classicamente black.

I Tanin’iver sono un’oscura realtà estrema proveniente dall’Australia, composta dal tastierista e cantante Skorpa e dal chitarrista e bassista Asmodeus, nome d’arte in questo nuovo gruppo del polistrumentista Aidan Cibich, conosciuto per i due album della one man band Apophis di cui vi abbiamo parlato in occasione dell’uscita dei due full length, Under A Glossed Moon del 2017 e Virulent Host uscito lo scorso anno.

Il sound del duo si allontana in modo netto dal death metal strumentale del gruppo di Cibich per abbracciare la fiamma nera del nero metallo a sfondo luciferino caro alle orde sataniche Nord europee.
Anno Domini Nostri Satanas risulta un album in cui alle atmosfere nere come la pece ed un’attitudine cattivissima si aggiunge una bravura strumentale oltre la media, con la chitarra ad urlare solos dolorosi e dall’impronta melodica su di una struttura classicamente black.
Una settantina di minuti studiati e presentati al pubblico estremo come esempio di magniloquente black metal di matrice Dimmu Borgir/primi Satyricon, forse troppi per il genere, ma bisogna dare atto al duo australiano di non perdere il confronto con le proprie importanti influenze, grazie ad una track list che non perde colpi neppure sulla lunga distanza.
Lo scream diabolico di Skorpa si eleva su di un sound che risulta un armageddon di metal estremo, con la sua dose melodica ben in evidenza , cavalcate true black metal si alternano a sinfonie metalliche devastanti e rallentamenti di gelido terrore, per poi colpire con l’arma migliore dei Tanin’iver : la chitarra di Asmodeus.
Spira il vento da nord a raggelare brani corposi e medio lunghi come Golgotha, Steed Of Lilith e The Burning Of The Second Temple con la conclusiva e strumentale …As They Do To You a a far scorrere i titoli di coda ad un lavoro largamente riuscito.
Se volete ascoltare qualcosa di veramente cattivo e morbosamente di genere, Anno Domini Nostri Satanas è un lavoro altamente consigliato, una nera perla in arrivo dall’underground estremo australiano.

Tracklist
1.Do Unto Others…
2.Thrice Cursed Are The Weak
3.Golgotha
4.Bloodlines
5.The Steed Of Lilith
6.The Burning Of The Second Temple
7.Ahura Mazda
8.Angra Mainyu
9…..As They Do To You

Line-up
Asmodeus – Guitars, Bass
Skorpa – Vocals, Keyboards

TANIN’IVER – Facebook

Intervista con L’esperimento del Dr. K: alle radici dell’horror punk

Nel 1958, diretto da Kurt Neumann per la 20th Century Fox, usciva negli Stati Uniti The Fly, prima versione cinematografica de La mosca, tradotta da noi in Italia come L’esperimento del dottor K. A quel mitico horror fantascientifico si ispira il quasi omonimo gruppo genovese, che ha pubblicato da pochissimo il suo primo lavoro, in formato CD + 45 giri. Un autentico gioiellino di horror punk che guarda ai Misfits di Glenn Danzig e alla gloriosa tradizione dei B-Movies americani anni Cinquanta e primi Sessanta, non senza poi un giusto orgoglio amorevolmente underground. I brani del singolo sono quattro e diventano sei nel compact, entrambi pubblicati dalla Flamingo Records di Genova (flamingorecords@outlook.com). I pezzi del quartetto sono di una notevole intensità e freschezza, genuinità e forza, essenzialità e bellezza. Abbiamo incontrato colui che è il fondatore e vocalist de L’esperimento, Dario Gaggero, per realizzare l’intervista che segue. Chi volesse intanto acquistare questo debutto, può rivolgersi al Disco Club di Genova, oppure scrivere a kleppini@gmail.com.

Il tuo gruppo suona horror punk. Cosa sono per te horror e punk?

‘Horror Punk’ è una definizione di comodo che ho usato per far capire a un potenziale ascoltatore cosa avrebbe potuto aspettarsi, magari sbagliando. Non sono molto affezionato al termine e – francamente – non apprezzo particolarmente nessuno dei gruppi associati al genere. L’horror, in tutte le sue forme, è una mia grande passione sin dalla tarda infanzia; una passione che mi accomuna a molti degli amanti del metal, tra l’altro. Faccio parte della generazione che è cresciuta con Dylan Dog, Stephen King e H/M, quindi immagino di avere diverse affinità con i lettori di Metal Eyes. Persino la mia ‘iniziazione’ musicale è legata inscindibilmente al tema – la mia fascinazione adolescenziale con gli Iron Maiden parte dalle bellissime copertine degli album e dalle mille trasformazioni di Eddie. Se all’epoca mi accontentavo di quel che passava il convento (improbabili film dell’orrore su Italia 1, qualche raro classico che passava a tarda notte su Rai 3) col tempo ho visto (quasi) tutto il campionario horror disponibile – dal ‘Gabinetto del Dr.Caligari’ a ‘Cannibal Holocaust’, dai film messicani tipo ‘Santo vs. las Momias de Guanajuato’ al vituperato ‘Nekromantik’, da ‘Tempi duri per i Vampiri’ a ‘Le Facce della Morte’. Ancora oggi mi butto su tutto quello che trovo, nuovo o vecchio che sia: anche se molti fanno veramente pena e non hanno nessuna qualità redimente manco a cercarla col microscopio va benissimo così. A volte capita un tesoro inaspettato e ti ripaga di tutte le ore perse a guardare mostri di gomma e attori da film porno. Per fortuna alcune case specializzate stanno facendo uscire sul mercato italiano classici ‘minori’ dell’horror in edizioni curate e rispettose (penso soprattutto alle nostrane Home Movies e Midnight Factory). Diverso il caso per la letteratura di genere: a parte i superclassici tipo Edgar Allan Poe e H.P.Lovecraft – letti e riletti in italiano e in originale sino alla nausea – e l’occasionale ritorno a Stephen King e Clive Barker non mi sono tenuto particolarmente aggiornato e faticherei a citarti uno scrittore horror contemporaneo. Idem per i fumetti: gli unici che riesco a leggere con grande divertimento sono i vecchi classici della EC Comics.
Arrivati al punk, invece, la cosa si fa più complicata: diciamo che per me è la forma più immediata, grezza e vitale di rock che si possa immaginare. Potrei dirti che del punk ho sposato solo l’estetica musicale ma non sarebbe completamente onesto, anche perché dipende di che punk stiamo parlando. Se da un lato L’Esperimento del Dr.K è effettivamente un gruppo distante dallo pseudo-situazionismo alla ‘épater le bourgeois’ dei Sex Pistols (seminali e mai abbastanza lodati, checché se ne dica), dalla rabbia barricadera di Clash e derivati o dal neofascismo di gente che non voglio manco citare (vergogna!), dall’altro è molto vicino all’autoproduzione, agli spazi autogestiti e al Do It Yourself che da sempre contraddistinguono l’etica – più che l’estetica – del punk come lo intendo io. A te le conclusioni.

So che hai un grande amore per Misfits e Danzig…

Nel 1990 ho comprato ‘Legacy of Brutality’ dei Misfits (una specie di compilation di inediti remixata e in parte risuonata da Danzig stesso) e la mia vita non è più stata la stessa! Spinto inizialmente da una fascinazione solo superficiale (ah, quelle foto dei Metallica!) sono stato risucchiato in un mondo misterioso e affascinante dal quale non sono più uscito. Quelle grafiche rubate ai film horror degli anni ’50, la voce alla Elvis, il basso distorto, le foto in bianco e nero…non riuscivo a sentire altro, parlare d’altro, pensare ad altro. All’epoca per uno come me – senza fratelli maggiori e con amici che ascoltavano tutt’altro – recuperare qualche straccio di informazione su discografie e formazioni è stato tutt’altro che facile e comprare tutto quello che vedevo (e potevo permettermi) era l’unica soluzione. Come unica arma avevo nel portafogli il ritaglio di un articolo scritto da Heintz Zaccagnini per Metal Shock e cercavo inutilmente di usarlo per orientarmi in un mare magnum di bootleg e live tarocchi.
L’Esperimento del Dr.K è principalmente un mio tributo, a volte smaccato, ai Misfits e alla loro discografia. Credo fermamente che Glenn Danzig abbia creato una band senza precedenti e che il suo percorso artistico (pur con qualche appannamento, comprensibile in una carriera quarantennale) mantenga una cifra stilistica sorprendentemente valida e riconoscibile. Potete dire quel che volete sull’uomo e sul personaggio (e il suo prendersi molto sul serio a volte ha ottenuto esattamente l’effetto contrario) ma i suoi dischi sono veramente belli e la (mia) sensazione è che abbia fatto il cazzo che ha voluto sino a oggi, facendo anche un bel po’ di soldi. Non tutti i musicisti possono dire lo stesso.

Vuoi raccontarci la vostra storia?

La formazione originale de ‘L’esperimento del Dr.K’ (un trio con me alla voce e batteria) nasce nel 1997 o giù di lì. Non abbiamo mai inciso nulla e fatto un solo, disastroso, concerto. Ma l’idea di cantare i MIsfits in italiano o giù di lì mi è sempre rimasta nel cuore e dopo mille false partenze alla fine del 2017 ho tirato su una formazione nuova. La band oggi è composta da Matteo Pascotto alla chitarra, Stefano Pecchio al basso, Paolo Bottiglieri alla batteria. E da me alla voce, ovvio.

Cosa rappresenta per voi questo disco?

Per me è la concretizzazione di un sogno, realizzatosi grazie all’entusiasmo dei miei compagni di cordata e a quello – importantissimo – dei ragazzi di Flamingo Records che lo hanno co-prodotto e hanno investito tempo, denaro e tanta passione nel realizzarlo.

I tuoi progetti passati e futuri?

Anni fa cantavo nelle Formiche Atomiche (due album e un 7” all’attivo), un gruppo di pop-punk cantato in italiano che si è sciolto nel 2003. Dopo molte incertezze ho intrapreso la dura e difficile strada del blues: ho registrato un paio di dischi e collaboro tuttora con i Big Fat Mama (uno dei più antichi gruppi blues italiani, fondati nel 1979) e ho un mio progetto più vicino al rock’n’roll, gli Snake Oil Ltd (due dischi anche per loro). Mi piacerebbe registrare a breve un full lenght con L’Esperimento del Dr.K e farli suonare dal vivo il più possibile. Contattateci!

Le vostre top ten?

Invece di scriverti una roba noiosissima e dispersiva come i nostri dischi preferiti (4 x 10 = 40. Mi annoia il solo pensarci!) preferisco citarti i dieci dischi che ritengo più importanti per la realizzazione del nostro 7” d’esordio, in rigoroso ordine cronologico.

The Doors: ‘Strange Days’ (1967) – Danzig come Evil Elvis? Evil Morrison, semmai! Avvolto da un’atmosfera cupa e decadente, dalla copertina circense in poi.
Iggy & the Stooges: ‘Raw Power’ (1973) – proto-punk, proto-metal, proto-tutto. Il terzo album degli Stooges è un tale massacro sonoro che si fatica a ricordare l’anno nel quale è stato inciso.
Ramones: ‘Ramones’ (1976) – che dire? Il capolavoro del punk rock e uno degli album più influenti di tutti i tempi. Brutale nella sua primitiva separazione basso/chitarra, perfetto nella sua reinvenzione del pop e molto più ‘artistico’ di quanto comunemente si creda.
Damned: ‘Damned Damned Damned’ (1977) – dirompente esordio del quartetto inglese. Mai più così duri, mai più così efficaci.
The Misfits: ‘Static Age’ (1978) – potevo barare e citare l’opera omnia, invece mi sono trattenuto. Uscito postumo nel 1997 questo rimane il loro capolavoro.
The Cramps: ‘Songs the Lord Taught Us’ (1980) – Voodoobilly? Psychobilly? Imitati da molti ma mai eguagliati condividevano con i Misfits l’immaginario da b-movie anni ’50. Incredibili. Non se ne parla abbastanza.
Bauhaus: ‘In the Flat Field’ (1980) – primo, ossessivo, album per Peter Murphy & co. Anche se nessuno lo dice non così distanti da certi Samhain, ad esempio. Undead! Undead! Undead!
The Fuzztones: ‘Leave your mind at home’ (1984) – mini-album live per gli specialisti del garage-revival. Perfetto nella sua acida dissolutezza.
Samhain: ‘Initium’ (1984) – terminata l’esperienza Misfits Danzig opera un netto cambiamento di rotta e dimentica le accelerazioni in odor di thrash metal di ‘Earth A.D./Wolfsblood’. Non è punk, non è metal. Ma convince lo stesso.
The Mummies: ‘Never Been Caught’ (1992) – i re del lo-fi. Un’idea geniale, un disco perfetto.
a cura di Dazagthot

DODSFALL – Døden skal ikke vente

Ottimo lavoro per i norvegesi capitatati dal messicano Ishtar che, coadiuvato dall’ottimo drummer Telal, ci propongono – dopo ben 5 anni dall’ultimo full length – 9 tracks (più outro) di puro, vero e sacrosanto (si fa per dire…) satanico Black Metal Scandinavo.

Il quinto lavoro del duo originario di Bergen è decisamente da considerarsi l’album più riuscito, grazie anche ad una produzione pressoché perfetta, curata da Tore Stjerna (Mayhem, Behexen, e Watain). Rispetto al passato, cresce la padronanza degli strumenti dei Nostri e, soprattutto la chitarra di Ishtar, diviene parte fondamentale di un lavoro di grande impatto, mai alienato a schemi prefissati, mai stereotipato, né troppo scontato e né oltre misura convenzionale.

Ciò che ne emerge, è un sound decisamente personalizzato, arricchito da forti accenti melodici (ma mai troppo ruffiani), e momenti di vero e puro Thrash (come in “Svarta Drömmar” e nella successiva “Grå Himlar”), soprattutto nei mid-tempo, che inframezzano velocità, tipiche del genere, sempre guidate sapientemente da Mr.Israel (così pare essere il suo nome da “umano”). Dopo “Kaosmakt”, già si percepiva che il processo di maturazione avrebbe ben presto (si fa per dire, ci sono voluti 5 anni per vederli nuovamente approdare sulle scene con un nuovo album..) portato al lavoro definitivo. “Døden Skal Ikke Vente” è quanto di meglio un fan di Immortal, Urgehal, Tsjuder (ma non così violenti), Carpathian Forest (sebbene leggermente meno atmosferici della band di Nattefrost) possa chiedere; se poi aggiungiamo un pizzico di Taake e diamo una rapida occhiata agli svedesi Rimfrost…il gioco è fatto! Il sound sostenuto e profondamente marziale di un brano come “Kampsalmer”, pare provenire direttamente da “Northern Chaos Gods” (mi si conceda un piccolo paragone al capolavoro del 2018…). I ritmi dettati dal drummer Telal (Astaroth, Kvalvaag, Troll) sono perfetti, mai improvvisati, ed in alcuni pezzi, come detto, fanno l’occhiolino al Thrash Metal, nel medesimo istante in cui i riff di Ishtar graffiano i nostri padiglioni auricolari, tentandoci ad un headbanging, in puro stile ottantiano (ma decisamente più moderno e “fresco”). La voce di Ishtar è perfetta per il genere; va a sostituire in primis quella dei primi album, di Vassago Rex (fondatore ed unico membro ufficiale dei blacksters Arvas) ed in secundis quella di Adramelech (Svarthaueg) presente su “Djevelens Evangelie” e “Kaosmakt”. Il risultato, è decisamente più suggestivo e, con tutto il rispetto per i precedenti “screamers”, Ishtar è un gradino superiore (forse due).Una curiosità proprio su Ishtar. Le sue fortune giunsero solo quando poco più di dieci anni fa, decise che il Messico (si, perché Is – come spesso si fa chiamare – è nato a León, popolosa città situata nell’epicentro dell’immenso stato Centro-Americano) non poteva garantirgli le risorse necessarie per la lunga scalata verso il successo musicale; d’altronde, per una band Black Metal, quale altra nazione, potrebbe competere con la patria del Metallo Nero? E’ anche interessante sapere che alcuni progetti “messicani” (nonostante la distanza siderale tra la sua attuale residenza, la Svezia, e la sua terra natia) proseguono tranquillamente (i deathsters Deformate e i doom deathsters Sorrowful, ad esempio). Testi rigorosamente in norvegese (mi chiedo come potrà essere la pronuncia, viste le differenze abissali tra le due lingue) e ovviamente, unicamente improntati sui rigidi schemi del satanismo e della misantropia, fanno da cornice ad un lavoro classico nel suo genere, ma non per questo evitabile; anzi, una collezione Black che si rispetti, non può certo essere deficitaria di “Døden Skal Ikke Vente”. Che altro aggiungere? Buon acquisto!

1. Hemlig vrede
2. Tåkefjell
3. Svarta drömmar
4. Grå himlar
5. Kampsalmer
6. I de dødens øyne
7. Ødemarkens mørkedal
8. För alltid i min sjæl
9. Ondskapelse
10. Skogstrollet

Ishtar – Vocals, Guitars, Bass
Telal – Drums

DODSFALL – Facebook

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