Hornwood Fell – Damno Lumina Nocte

Quarta opera per la band laziale, formata dai fratelli Basili, i quali portano a compimento un percorso molto personale con il loro Black Metal sperimentale, abrasivo, disturbante e dissonante.

Fino dalla copertina della nuova opera dei gemelli Basili, Marco e Andrea, ci si immerge in un mondo non confortante, anzi assolutamente claustrofobico e soffocante.

L’evoluzione sonora degli Hornwood Fell giunge a compimento con l’ultimo nato Damno Lumina Nocte uscito per l’etichetta Third I Rex, da sempre attenta alle band che percorrono strade non usuali e spesso molto personali. Attivi dal 2014 con l’omonimo disco, i due fratelli hanno sviluppato una personale idea di black metal moderno, deviato e dalla forte identità spinta sull’esplorazione di territori selvaggi, visionari e estremamente affascinanti. Sette brani, tutti nominati Vulnera, distinti solo da numerazione romana, che indagano nel profondo le “vulnera\wounds” della società in cui noi vegetiamo. Non ci sono momenti di luce, tutto è denso, abrasivo, ogni brano ci scaglia contro dissonanze ritmiche forsennate, bagliori di un universo diverso e multidimensionale, dove ci si inabissa lentamente senza poter avere la possibilità di risalire. Opera di black metal sperimentale, fortemente visionaria e ipnotizzante fino dall’opener I, che con largo uso di synth, ci apre le porte di mondi dove tutto è sinistro e disturbante, prima di immergerci in visioni allucinatorie, in cui il riffing è distruttivo, ma capace di aprire la mente verso “dark landscapes”, dove ritroviamo un black metal mutante e gelido secondo coordinate che non sono usuali. Una coltre dissonante e spessa ricopre tutti i brani che, dopo diversi ascolti, rivelano un universo assolutamente non confortevole ma che ci attrae senza possibilità di poterne uscire. In scarsi quaranta minuti si compie il percorso abrasivo e disturbante della band laziale, che per la grande capacità compositiva e le atmosfere create potrebbe ricordare alcuni suoni dei Blut Aus Nord di Vindsval, da sempre affascinato da una visione “altra “ del black metal. Opera non destinata agli usuali fruitori del genere, perché qui ci sono stimoli e sensazioni che solo persone “open minded” possono cogliere nella sua più pura essenza.

Tracklist
1. Vulnera Pt. I
2. Vulnera Pt. II
3. Vulnera Pt. III
4. Vulnera Pt. IV
5. Vulnera Pt. V
6. Vulnera Pt. VI
7. Vulnera Pt. VII

Line-up
Andrea Basili – Drums, Percussion, Keyboards, Vocals (additional)
Marco Basili – Guitars, Vocals, Bass, Keyboards

HORNWOOD FELL – Facebook

Marc Vanderberg – Phoenix From The Ashes

Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.

Questa volta il musicista e compositore tedesco Marc Vanderberg ha fatto le cose in grande, circondandosi per questo nuovo lavoro di un nutrito gruppo di cantanti che danno il loro contributo su queste dieci nuove canzoni che vanno a comporre Phoenix From The Ashes.

Come nel precedente album (Highway Demon licenziato nel 2017), Vanderberg si prende carico di gran parte della parte strumentale, aiutato dalle chitarre di Michael Schinkel e Dustin Tomsen e da Paulo Cuevas, Philipp Meier, Oliver Monroe, Göran Edman, Raphael Gazal (singer sul precedente album), Chris Divine e Tåve Wanning dietro al microfono.
Phoenix From The Ashes è un grosso passo avanti per il musicista tedesco, essendo un album composto da buone canzoni, melodico ma graffiante e di stampo più hard rock rispetto al passato.
Il tocco neoclassico negli assoli valorizza il sound creato da Vanderberg per questo lavoro come avviene in Odin’s Words, bellissimo brano cantato da Paulo Cuevas che richiama il Malmsteen epico e power di Marching Out.
Il resto dell’album si stabilizza si un buon hard & heavy che l’alternanza dei vocalist rende vario così come una riuscita altalena tra brani che sfiorano melodie AOR ed altri più robuste.
Da segnalare il mid tempo di Bitter Symphony, l’epica Warlord con Rapahael Gazal al microfono e le tastiere AOR della conclusiva You And I, brano che ricorda i rockers melodici Brother Firetribe dell’ultimo lavoro Sunbound.
In conclusione Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.

Tracklist
01.Odin´s Words (Feat. Paulo Cuevas)
02.Warsong (Feat. Philipp Meier)
03.Legalize Crime (Feat. Paulo Cuevas)
04.Phoenix from the Ashes (Feat. Oliver Monroe)
05.You and I (Feat. Goran Edman)
06.This Romance (Feat. Tåve Wanning & Chris Divine)
07.Warlord (Feat. Raphael Gazal)
08.Bad Blood (Feat. Oliver Monroe)
09.Bitter Symphony (Feat. Raphael Gazal)
10.My Darkest Hour (Feat. Paulo Cuevas)

Line-up
Marc Vanderberg – Music, Lyrics, Guitars, Bass Programing, Drum Programing, Orchestra Programing

Paulo Cuevas – Vocals
Philipp Meier – Vocals
Oliver Monroe – Vocals
Göran Edman- Vocals
Raphael Gazal- Vocals
Chris Divine- Vocals
Tåve Wanning- Vocals
Michael Schinkel – Lead Guitar
Dustin Tomsen – Lead Guitar

MARC VANDERBERG – Facebook

Malauriu / Fordomth – Twin Serpent Dawn

Twin Serpent Dawn è un riuscito tentativo con il quale le due band confluiscono verso uno stesso punto d’arrivo, rappresentato da un black metal sulfureo e comunque poco ammiccante.

Ritroviamo Malauriu e Fordomth, due band siciliane delle quali avevamo già avuto modo di parlare poco tempo fa, unite in questo split album la cui pubblicazione è prevista tra qualche giorno in formato mini-cdr a cura della Masked Dead Records, mentre in seguito vedrà la luce anche in vinile 7” per mano della Black Mourning Productions.

Questo lavoro, seppure breve, si rivela quanto mai interessante poiché i due brani offerti mostrano qualche scostamento rispetto alle più recenti uscite dei due gruppi.
Per quanto riguarda i Malauriu, per esempio, trovo che il black metal qui esibito sia decisamente più corposo e ben focalizzato rispetto a quello proposto nel recente split con Vultur, Inféren e A Répit, senza che nel contempo ne venga smarrita la carica abrasiva; ciò avviene in parte grazie ad una migliore produzione ma non solo: infatti, Ancient Spirits è una canzone che gode di un certo tiro al quale vengono coniugati interessanti rallentamenti volti a stemperare l’aggressività del sound. Se questo è un indizio della strada che i Malauriu intendono perseguire in futuro non si può che esprimere una certa soddisfazione.
Se la band di Sciacca rallenta l’andatura, i catanesi Fordomth, al contrario, accelerano non poco i ritmi esibiti nel full length d’esordio I.N.D.N.S.L.E. grazie ad un brano che nella sua prima metà si dipana all’insegna di un feroce black metal, lasciando solo uno sporadico spazio al doom metal che rappresentava in toto la linea guida stilistica della band in quell’occasione; se, in effetti, in prima battuta c’era da chiedersi come avrebbero convissuto in uno split album due realtà simili per attitudine ma diverse per l’approccio alla materia estrema, ecco che una traccia come The Chanting Void fornisce la risposta, con le sue sonorità decisamente più sbilanciate verso il black metal.
Di fatto, Twin Serpent Dawn rappresenta un riuscito tentativo con il quale le due band confluiscono verso uno stesso punto d’arrivo, rappresentato da note sulfuree e comunque poco ammiccanti; vedremo se poi questo resterà un caso isolato oppure se, come probabile, sia indicativo di sviluppi futuri, quel che è certo è che questo split album offre a chi vuole sostenere tangibilmente queste due realtà provenienti dall’antica Trinacria la possibilità di godere di una decina di minuti di valido metal estremo.

Tracklist:
1. Malauriu – Ancient Spirits
2. Fordomth – The Chanting Void

MALAURIU – Facebook

FORDOMTH – Facebook

Appalling – Inverted Realm

Inverted Realm gioca tutto sul muro sonoro alzato dagli Appalling lungo la sua durata, cementato dalla mistura inattaccabile di death e black metal.

Un buon lavoro questo secondo album dei deathsters Appalling, realtà in arrivo dall’underground estremo statunitense e per la precisione da Richmond in Virginia.

Il gruppo licenzia il suo secondo lavoro sulla lunga distanza, dal sound macabro ed oscuro e pregno di attitudine black.
Inverted Realm è composto da sette mazzate devastanti, tra potentissimi id tempo di stampo death metal e sfuriate ritmiche di matrice black/thrash.
Cinque musicisti in nero che non le mandano assolutamente e mirano ai punti più bassi e delicati degli ascoltatori, travolti dalla carica metallica che da forma ad un sound dall’impatto estremo senza compromessi.
Inverted Realm gioca tutto sul muro sonoro alzato dagli Appalling lungo la sua durata, cementato dalla mistura inattaccabile di death e black metal: i Morbid Angel vengono posseduti da demoni in arrivo dall’Europa dell’est e dalle terre del nord, dunque alla band di David Vincent e Trey Azagthoth si uniscono i primi Behemoth e Satyricon a formare un sound pregno di spessa coltre estrema, nera come la pece.
Un album da prendere o lasciare, godibile nella sua interezza specialmente per i fans del metal estremo duro e puro.

Tracklist
1.Hot Coals for Branding
2.Shameful Kiss
3.Epileptic Sermon
4.Artifact and Vessel
5.A Mutilator at Large
6.Critical Thinking
7.Templar

Line-up
D. M. – Guitars
B. M. – Vocals
J.A. – Bass
B. – Drums
J. K. – Guitars

APPALLING – Facebook

Dury Dava – Dury Dava

Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion.

Dalla Grecia arriva uno dei gruppi più estremi per quanto riguarda la psichedelia più oscura e generatrice di visioni.

Il nuovo lavoro del gruppo ateniese, che canta in greco, è un rito panico che attraverso l’astrazione e la interdimensionalità conduce in uno spazio fisico molto diverso da quello attuale. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion. Ma si badi bene che questo disco non è un guazzabuglio di suoni, quanto un bellissimo collettore di tanti momenti diversi, e chi ama certe sonorità che sanno essere sia eteree che pesanti in questo album troverà molta gioia. Le canzoni sono costruite in modo da svilupparsi in maniera mai lineare, ma cercando spazio nello spazio, usando quasi tutti gli strumenti presenti nel globo, per andare molto lontano. Si perde la cognizione del tempo, anche perché non esiste nessuna fretta, non ci sono obiettivi o soft skills, si cerca e si trova nutrimento per il nostro cervello stremato da cose ed orpelli inutili, ma che noi consideriamo essenziali. I Dury Dava riportano tutto al suo posto, confezionando un disco che è allo stesso tempo febbrile e curativo. Come quando si assume del peyote, prima qualcosa esce dal nostro corpo e poi si comincia il viaggio, e dopo non si è più come prima. Infatti nelle canzoni che sono contenute in questo disco la forma canzone è davvero obsoleta, e si supera anche quella della jam, per entrare in un altro stato mentale. E proprio la diversione psichica ciò che ricerca questo incredibile gruppo con un disco che pesca anche nella tradizione musicale greca e turca, l’oriente più vicino a noi. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion: un altro sguardo e tanta ottima psichedelia per un gruppo da scoprire.

Tracklist
1. Africa
2. Triptych
3. Come Again to
4. Satana
5. Zoupa
6. Summer
7. 34522
8. Ataxia
9. Tarlabasi
10. Kane Ligo Alithina

DURY DAVA – Facebook

Whitesnake – Flesh & Blood

overdale è riuscito miracolosamente a dare una nuova identità al gruppo, mantenendo le caratteristiche peculiari del sound Whitesnake, ma rinnovandolo di volta in volta, perdendo molto dell’anima blues di una volta e cercando quelle soluzioni, anche a livello di arrangiamenti, capaci di rendere la sua strisciante creatura una band perfettamente in grado di reggere il passare degli anni.

David Coverdale ha battuto tutti, si ripresenta nel 2019 con i suoi Whitesnake, una delle tante versioni in quarant’anni di gloriosa carriera nel mondo del rock e sbaraglia la concorrenza grazie ad un album bellissimo, per nulla nostalgico, moderno e duro come l’acciaio.

Quanti avrebbero detto, tra i non pochi rockers imprigionati nelle spire del serpente bianco fin dall’uscita di Trouble nel lontano 1978, che nel nuovo millennio si sarebbe continuato a scrivere di re David e del suo rettile, sinuoso animale hard rock che tante ne ha viste nella jungla del business musicale.
Eppure, al tredicesimo album, gli Whitesnake targati 2019 sono ancora una band in grado di far saltare il banco con questo nuovo album intitolato Flesh & Blood, composto da tredici spettacolari brani di hard rock potente, prodotto benissimo, suonato ancora meglio e cantato se non come ai bei tempi, con quel talento abbinato all’enorme esperienza di cui dispone il singer inglese.
Con un po’ di Italia metallica rappresentata dal nostro Michele Luppi alle tastiere, il nuovo album dimostra che gli Whitesnake possono ancora dire la loro nel panorama hard rock classico internazionale, tenendo ben presente che sia la band del periodo hard blues dei primi album, sia quella più patinata, meno sanguigna ma nettamente più famosa del periodo “americano” coinciso con l’uscita del masterpiece 1987 e di Slip Of The Tongue, non esistono più.
Coverdale è riuscito miracolosamente a dare una nuova identità al gruppo, mantenendo le caratteristiche peculiari del sound Whitesnake, ma rinnovandolo di volta in volta, perdendo molto dell’anima blues di una volta e cercando quelle soluzioni, anche a livello di arrangiamenti, capaci di rendere la sua strisciante creatura una band perfettamente in grado di reggere il passare degli anni.
Flash & Blood, scritto in collaborazione con la coppia di chitarristi Reb Beach e Joel Hoekstra, ha nelle canzoni il proprio punto di forza: d’altronde Coverdale con le sue sessantotto primavere, pur rendendosi protagonista di una prova abbastanza convincente, non può sicuramente toccare i fasti del passato, ed è naturale che aumenti lo spazio dell’aspetto prettamente strumentale grazie anche ad una line up tecnicamente ineccepibile.
La partenza è micidiale, con Good To See You Again, Gonna Be Alright, Shut Up & Kiss Me a far crollare muri con il loro potente e sfavillante hard rock; la ballata When I Think Of You non smentisce il talento di Coverdale per il genere, mentre torna a far parlare di blues Heart Of Stone, uno dei brani più belli dell’album che si chiude con la zeppeliniana Sand of Time.
In mezzo tanto hard rock di classe superiore, certo non una novità nel labirintico mercato del rock odierno, ma assolutamente una garanzia di musica di altissimo livello: d’altronde loro sono gli Whitesnake, lui è re Coverdale e Flesh & Blood è il nuovo splendido album.

Tracklist
01. Good To See You Again
02. Gonna Be Alright
03. Shut Up & Kiss Me
04. Hey You (You Make Me Rock)
05. Always & Forever
06. When I Think Of You (Color Me Blue)
07. Trouble Is Your Middle Name
08. Flesh & Blood
09. Well I Never
10. Heart Of Stone
11. Get Up
12. After All
13. Sands Of Time

Line-up
David Coverdale – Vocals
Tommy Aldridge – Drum
Michele Luppi – Keyboards
Michael Devin – Bass Reb Beach- Guitar
Joel Hoekstra – Guitar

WHITESNAKE – Facebook

No Point in Living – The Cold Night

The Cold Night mostra un notevole equilibrio tra le diverse componenti del sound e, pur non brillando per la sua originalità, merita di ritagliarsi ben più di un ascolto distratto da parte di chi ama il black metal nelle sue sembianze melodico-depressive.

Yusuke Hasebe (in arte solo Yu) è uno di quei musicisti che si possono definire eufemisticamente prolifici: con il suo progetto solista No Point in Living, infatti, dal 2017 ad oggi ha pubblicato la bellezza di 18 full length senza farsi mancare anche qualche altra uscita di minore minutaggio.

A questo punto viene lecito chiedersi per quale motivo la Heathen Tribes si sia presa la briga di ripubblicare il quinto album The Cold Night, uscito originariamente nel novembre del 2017, visto che di materiale inciso dal musicista nipponico in giro ce n’è già a sufficienza.
La risposta è che, francamente, il nostro possiede un talento rimarchevole, benché costantemente a rischio d’essere annacquato dalla sua bulimia compositiva, e The Cold Night è lì a dimostrarlo con i suoi tre quarti d’ora di depressive atmospheric black oltremodo convincente.
Ammetto di non conoscere il resto della discografia di Yu, ma se la qualità di ogni uscita fosse pari a quella di questo lavoro sarebbe un evento quasi miracoloso: dubito, infatti, che si posa pensare di mantenere alta con tale frequenza una tensione emotiva come quella esibita nella lunghissima I Hate Everything o nella poco più breve Path to the End, tanto per fare degli esempi concreti.
The Cold Night mostra, peraltro, un notevole equilibrio tra le diverse componenti del sound e, pur non brillando per la sua originalità, merita di ritagliarsi ben più di un ascolto distratto da parte di chi ama il black metal nelle sue sembianze melodico-depressive.
Nel frattempo lo Stakanov di Sapporo, quando non siamo arrivati neppure a metà giugno, nel corso del 2019 ha già pubblicato tre full length ed un ep per un fatturato complessivo di circa due ore e mezza di musica: insomma, riuscire a seguirne le gesta può essere complicato anche per il fan più incallito, per cui non resta che provare ad intercettarne l’opera di tanto in tanto per verificare quale sia lo stato dell’arte.

Tracklist:
1. Intro
2. Impatience
3. I Hate Everything
4. The Cold Night
5. The Path to the End
6. Ocean of Sorrow

Line-up:
Yu – Everything

NO POINT IN LIVING – Facebook

S.O.T.O. – Origami

Origami è un album che conferma la bontà di questo ennesimo progetto targato Jeff Scott Soto, immancabile nella discografia dei fans dell’hard & heavy d’autore.

Jeff Scott Soto è uno degli artisti e cantanti che più hanno segnato gli ultimi vent’anni di storia dell’hard & heavy, prima con i Talisman e poi passando tra mille collaborazioni, la carriera solista e ultimamente con W.E.T., Sons Of Apollo e S.O.T.O.

Origami è il terzo album del gruppo che vede, oltre al singer, Edu Cominato (batteria), BJ (chitarra e tastiere), Jorge Salan (chitarra) e Tony Dickinson (basso), nuovo entrato dopo la scomparsa di Dave Z.
Come d’abitudine, gli album che vedono protagonista il cantante statunitense riescono sempre a sorprendere per la grande versatilità in un sound che, se ovviamente prende vari dettagli dagli altri progetti in cui è coinvolto, mostra una marcata personalità che gli permette di variare atmosfere e sfumature.
Il nuovo lavoro targato S.O.T.O., non manca certo di aggressività e melodia che, a braccetto, portano la tracklist verso l’eccellenza, non solo per la solita, varia e calda prestazione del cantante, ma per un lavoro d’insieme di altissimo livello.
Dall’opener Hypermania veniamo quindi travolti da un hard & heavy melodico e a tratti progressivo, dove si sentono i postumi dell’abbuffata prog metal di Soto con i Sons Of Apollo, ed un uso delle tastiere più accentuato che in passato che dona alle varie tracce un tocco moderno.
Modern melodic hard & heavy, si potrebbe definire così il sound di Origami, che non cala di tensione dalla prima all’ultima traccia, regalando la sua dose massiccia di metal in cui la voce del vocalist americano fa il bello e cattivo tempo, procurando brividi a palate.
Tra le canzoni che compongono la track list di questo ottimo lavoro, escono prepotentemente quelle in cui la band picchia da par suo, potenti e massicce heavy song melodico progressive come BeLie, World Gone Colder, Dance With The Devil e Vanity Lane.
Origami è un album che conferma la bontà di questo ennesimo progetto targato Jeff Scott Soto, immancabile nella discografia dei fans dell’hard & heavy d’autore.

Tracklist
1. HyperMania
2. Origami
3. BeLie
4. World Gone Colder
5. Detonate
6. Torn
7. Dance With The Devil
8. AfterGlow
9. Vanity Lane
10. Give In To Me

Line-up
Jeff Scott Soto – Vocals
Jorge Salan – Guitar
Tony Dickinson – Bass
BJ – Keys/Guitar
Edu Cominato – Drums

SOTO – Facebook

Sins Of The Damned – Striking the Bell of Death

Striking the Bell of Death è un gran bel lavoro, ma ovviamente il genere rimane di nicchia e l’album indicato agli amanti dell’heavy speed metal tradizionale.

La Shadow Kingdom non sbaglia un colpo e le uscite che vedono il suo logo sul retro di copertina regalano sempre gradite sorprese per quanto riguarda i suoni classici.

I cileni Sins Of The Damned per esempio arrivano tramite la label al traguardo del primo full length dopo svariati lavori minori che ne hanno caratterizzato la carriera dal 2013.
Una manciata di demo è servita al gruppo di Santiago per rodarsi, prima di travolgere glia amanti dei suoni old school di matrice heavy/speed metal con Striking the Bell of Death, album composto da sette brani medio lunghi, a metà strada tra l’heavy metal di scuola europea e lo speed thrash.
Un prodotto che più underground di così non si può, ma suonato egregiamente, caratterizzato da convincenti cavalcate strumentali che li avvicinano agli Iron Maiden suonati al doppio della velocità.
La voce cartavetrata ma personale il giusto per non passare nell’anonimato, il gran lavoro delle chitarre e le ritmiche forsennate, aggiungono adrenalina a brani diretti e senza compromessi, sette bombe sonore di matrice old school che non fanno prigionieri e che hanno in They Fall and Never Rise Again e The Lion And The Prey i brani migliori.
Striking the Bell of Death è quindi un gran bel lavoro, ma ovviamente il genere rimane di nicchia e l’album indicato agli amanti dell’heavy speed metal tradizionale.

Tracklist
1.Striking the Bell of Death
2.They Fall and Never Rise Again
3.Take the Weapons
4.The Lion and the Prey
5.The Outcast (Sign of Cain)
6.Victims of Hate
7.Death’s All Around You

Line-up
Maot – Guitars (lead)
Razor – Vocals, Guitars
Noisemaker – Drums, Bass
Tyrant – Drums

SINS OF THE DAMNED – Facebook

VV.AA. – Anabiosis: Injection A

La techno spesso è qualcosa di frivolo e di vuoto, mentre qui il basso conquista uno spazio fisico ben preciso e davvero importante, che regala grandi emozioni all’ascoltatore, qualcosa di molto simile all’ascolto del metal estremo.

Se volete ascoltare una techno molto vicina al metal come struttura sonora, magniloquente, imponente e soprattutto con dei bassi importanti, questa nuova compilation della label techno Korpus 9 fa al caso vostro.

In queste quattro tracce si delinea una delle migliori techno possibili, con bassi e sintetizzatori che provengono sia dal passato che dal futuro. La techno di questa raccolta pesca molto nel mondo dei rave, soprattutto di quelli passati dai quali è derivata una techno oscura pesante e strettamente underground. L’etichetta è molto recente, infatti nasce nel 2018 in Russia, grazie alla passione di Kwazalski, produttore che cura anche l’eccellente radio dell’etichetta. Questa raccolta è il primo tentativo di tracciare un bilancio di ciò che è stato prodotto fino a questo momento, totalmente in positivo. I nomi delle quattro uscite sono tutti bei nomi, da Tom Hades a Dubspeeka, passando per l’ottimo Hans Bouffmyhre. In questa raccolta ci sono produttori che usciranno prossimamente con la label, e la qualità è molto buona, soprattutto per chi ama la techno più oscura ed underground. La techno spesso è qualcosa di frivolo e di vuoto, mentre qui il basso conquista uno spazio fisico ben preciso e davvero importante, che regala grandi emozioni all’ascoltatore, qualcosa di molto simile all’ascolto del metal estremo. Anzi, ascoltando questo ep vi si potrà trovare molte assonanze con il metal. Un assaggio di una giovane etichetta che con entusiasmo e qualità sta diventando qualcosa di importante.

Tracklist
1. Nikola Gala – Order To Chaos (Original Mix)
2. Re:Axis – Core (Original Mix)
3. Hanubis – Shatter Machine (Original Mix)
4. Confluence – Tessellation Resilience (Original Mix)

KORPUS – Facebook

The Damned Things – High Crimes

Non fatevi ingannare dalla presenza del leader degli Anthrax, perché il sound dei The Damned Things non ha nulla a che spartire con la storica band americana, quindi lasciate che punk, alternative, qualche riff stonato qua e là e tanta melodia vi travolgano per una quarantina di minuti scarsi di rock moderno a stelle e strisce.

Quando ormai ci eravamo dimenticati di questa sorta di super gruppo (o progetto parallelo, a seconda dei punti di vista) chiamato The Damned Things, arriva dopo nove anni tramite Nuclear Blast il successore di Ironiclast.

High Crimes torna a far parlare di questa band composta oggi da Scott Ian (Anthrax), Joe Trohman e Andy Hurley (Fall Out Boy) , Keith Buckley (Everytime I Die) e Dan Adriano (Alkaline Trio).
L’album propone dieci brani, melodici, accattivanti e a tratti irresistibili che miscelano in un unico sound, punk rock melodico ed alternative metal con la giusta spinta ed una cura per melodie radiofoniche che non passerà sicuramente inosservata.
Non si tratta solo di nomi importanti della scena rock metal messi insieme a casaccio, ma di una band che sa divertire, bilanciando perfettamente energia punk/metal e melodie dal grande appeal.
D’altronde l’esperienza dei musicisti, il cosiddetto mestiere, non manca di certo e i brani più rappresentativi della tracklist (Something Good’, Invincible, Young Hearts e Keep Crawling) ne sono l’esempio.
Non fatevi ingannare dalla presenza del leader degli Anthrax, perché il sound dei The Damned Things non ha nulla a che spartire con la storica band americana, quindi lasciate che punk, alternative, qualche riff stonato qua e là (Keep Crawling) e tanta melodia vi travolgano per una quarantina di minuti scarsi di rock moderno a stelle e strisce.

Tracklist
1. Cells
2. Something Good
3. Invincible
4. Omen
5. Carry A Brick
6. Storm Charmer
7. Young Hearts
8. Keep Crawling
9. Let Me Be (Your Girl)
10. The Fire Is Cold

Line-up
Scott Ian – Guitar
Joe Trohman – Guitar
Keith Buckley – Vocals
Dan Adriano – Bass
Andy Hurley – Drums

THE DAMNED THINGS – Facebook

Tenebra – Gen Nero

Si prendono le mosse dalla tradizione dei sessanta e dei settanta, ma in mano ai Tenebra diventa qualcosa di nuovo che si rinnova dentro le nostre orecchie.

I Tenebra da Bologna sono composti da Claudio al basso, Emilio alla chitarra e Mesca alla batteria, elementi dalla scena hardcore e post-hardcore cittadina (Settlefish, Ed, Gravesite, Assumption) che gravitava intorno allo spazio Atlantide Occupata, un vero posto per la cultura e tanto altro, chiuso dalla mano bieca del capitalismo.

La cantante Silvia è la più giovane del gruppo e con la sua voce ci porta per mano in una nuova stagione dell’amore occulto. Il loro disco d’esordio è composto da una buona miscela di hard blues, psych e fuzz con momenti molto stoner. La forza della loro proposta sta nel grande vigore musicale e nella bellezza di jam che sono diventate canzoni. Il disco è in download ad offerta libera sul loro sito, e come affermato molto correttamente da loro fotografa la forma che il gruppo aveva nel febbraio 2018, poiché ora è sicuramente altro. In teoria i dischi dovrebbero essere proprio questo, foto di un preciso momento di un gruppo, ma non dovrebbero essere nulla di pienamente caratterizzante, perché già dalla seduta successiva in sala prove potrebbe essere già tutto diverso e mutato radicalmente. Gen Nero è un bella dichiarazione musicale di amore per la musica pesante con l’animo blues, di cui vi sono molti esempi ma pochi possiedono la profondità dei Tenebra, che possono anche vantare una voce davvero adeguata al tutto. Ciò che colpisce è il grande senso del ritmo e della sinuosità che ha questa band, che riesce a rendere interessante ognuna della sei tracce di questo esordio. Si prendono le mosse dalla tradizione dei sessanta e dei settanta, ma in mano ai Tenebra diventa qualcosa di nuovo che si rinnova dentro le nostre orecchie. Molto forte è il lato occulto ed oscuro di un lavoro che si rifà apertamente all’alchimia, in una maniera molto intelligente ed adeguata. Un esordio molto positivo, aspettando la prossima mutazione.

Tracklist
1.In Tenebra
2.Cornered
3.Nostalgia
4.Scarlet Woman
5.Solve Et Coagula
6.Ex Tenebra

Line-up
Silvia: vocals
Emilio: guitar
Claudio: bass
Mesca: drums

TENEBRA – Facebook

METEORE: ALTAR

Un buon combo che offrì scampoli di buon Death nordico; produzioni di medio/basso livello, e capacità strumentali un poco sotto alla norma, non gli permise mai di emergere ed elevarsi sino a garantirsi un posto a fianco di Dismember, Entombed o Unleashed, nell’Olimpo del Death Metal Svedese.

Formatisi nel 1990 da un idea di due ex membri dei Wortox (band Death Metal in cui militò anche Perra Karlsson, noto batterista di diverse band svedesi tra cui In Aeternum, Nominon, Deströyer 666, ma soprattutto famoso come live session member di Benediction, Interment e Nasum), gli Altar, dopo un demo tape del 1991 (No Flesh Shall Be Spared) uscito un po’ in sordina, forse schiacciato dall’imponente concorrenza dell’ondata Death Svedese di quell’epoca (quello stesso anno uscirono Where No Life Dwells degli Unleashed, Clandestine degli Entombed, Nothing But Death Remains degli Edge Of Sanity e Like An Everflowing Stream dei Dismember, solo per citarne alcuni…) riuscirono ad imporsi sulla scena locale solo l’anno successivo, con lo split album, oramai culto, con i finlandesi Cartilage (altra band poco fortunata, ma che seppe donare alle scene di allora, musicisti che finirono per suonare con band del calibro di Vomiturition, Rotten Sound, Swallow The Sun, Enochian Crescent e, nel caso del batterista Kai Hahto, addirittura, seppur in veste di live session member, Nightwish).

In realtà lo stesso split deficitava un po’ sia come produzione, che da un punto di vista di maturità compositiva. Ovviamente i fan dell’epoca, pur non troppo schifiltosi, si stavano già abituando bene e snobbarono un po’ i Nostri; basti pensare solo agli album succitati, che dirompevano sulle scene grazie alle mostruose capacità tecniche dei loro componenti e a produzioni di altissimo livello (per quell’epoca almeno). Competere con Nuclear Blast, Earache o Century Media, apparve si da subito impresa improba per la piccola spagnola Drowned Production del volenteroso Dave Rotten (frontman degli Avulsed), che comunque portò alla ribalta nomi che oggi ridondano ancora (Demigod, Severance, e appunto Avulsed). Poche finanze, pochi strumenti, tanta buona volontà, spesso possono non bastare…Oggi di strada ne ha fatta il buon Dave (prima Repulse Records, poi Xtreem, mica poco…), ma nei primi anni novanta, le sue produzioni rimanevano un po’ relegate nell’anonimato, e i Nostri – purtroppo per loro – non fecero eccezione. Dopo questo split, gli Altar ci provarono ancora con un paio di promo tape, ma senza successo, sino al 1995, anno del definitivo scioglimento. Nel 2012 la Konqueror Records di Singapore fa uscire una loro compilation contenente tutto lo scibile della band di Kumla, abbastanza facilmente reperibile ancora oggi. Ad ogni modo, per i veri cultori dell’Underground è ancora possibile trovare in giro una ristampa dello storico split (cd doppio), uscito nel 2015, grazie a Dave Rotten, ora come Xtreem, (sorpresi?) Buona ricerca!

Discography:
No Flesh Shall Be Spared – Demo – 1991
Rehearsal Tape – Demo – 1992
Ex Oblivione / The Fragile Concept of Affection – Split – 1992
Promo 1993 – Demo – 1993
Promo 1994 – Demo – 1994
Dark Domains – Compilation – 2012

Line-up
Magnus Carlsson – Bass, Vocals
Fredrik Johansson – Drums
Jimmy Lundmark – Guitars
Johan Bülow – Guitars

Stellar Master Elite – Hologram Temple

Hologram Temple è una prova matura e al contempo ricca degli slanci compositivi necessari per portare le sonorità estreme su un piano differente e più elevato, senza snaturarne l’abrasiva essenza

Gli Stellar Master Elite sono un band tedesca che, in questo decennio, si è messa in luce grazie ad una davvero interessante trilogia basata su un black doom di elevata qualità.

Hologram Temple è quindi il quarto full length che alza ulteriormente l’asticella qualitativa per questo gruppo che ha ben tre elementi in comune con un’altra intrigante realtà del black metal germanico come i Der Rote Milan.
Fin dalle prime note si intuisce che qui il tutto viene trattato in maniera tutt’altro che manieristica o derivativa, perché gli Stellar Master Elite riescono a creare un black doom/death nell’accezione più autentica del termine, nel senso che i generi vengono perfettamente amalgamati per un risultato finale che soddisfa il palato sia in senso melodico che per intensità.
Il gruppo di Trier (città che in Italia conosciamo meglio come Treviri) vi aggiunge poi anche un pizzico di avanguardia ed un ricorso sapiente a sampler o spunti ambient atmosferici senza far scemare mai la tensione.
L’aspetto che maggiormente colpisce è che, nonostante le premesse ed una profondità compositiva rilevante, gran parte dei brani godono di un andamento tutt’altro che ostico all’ascolto, testimonia ampiamente una traccia formidabile quale l’opener Null, senza dimenticare che i nostri sanno anche toccare corde più profonde come in Ad Infinitum oppure spingersi verso territori più avanguardistici senza perdere in incisività come in Black Hole Dementia.
Hologram Temple è una prova matura e al contempo ricca degli slanci compositivi necessari per portare le sonorità estreme su un piano differente e più elevato, senza snaturarne l’abrasiva essenza; nonostante questi musicisti, per forza di cose, attingano ad un background ben definito non ci sono mai momenti in cui si palesa in maniera fragorosa ed evidente l’influenza di una specifica band. Tutto ciò depone a favore di un sound personale, ricco e in costante evoluzione senza sconfinare in un arido sperimentalismo, come neppure avviene nel quarto d’ora ambient di Tetragon, minaccioso episodio opportunamente collocato in conclusione del lavoro e sorta di appendice volta a rinsaldare ancor più il forte legame tra il concept fantascientifico ed il contenuto musicale.

Tracklist:
1. Null
2. Freewheel Decrypted
3. Apocalypsis
4. Ad Infinitum
5. The Beast We Have Created
6. Agitation – Consent – War
7. Black Hole Dementia
8. The Secret of Neverending Chaos
9. Tetragon

Line-up:
M.S. – Drums, Vocals
D.F. – Guitars, Bass, Programming
T.N. – Bass
E.K. – Vocals
S.K. – Vocals

STELLAR MASTER ELITE – Facebook

Death Angel – Humanicide

I Death Angel hanno composto e suonato un’opera di metallo esaltante, potente, veloce, diretto ma a tratti progressivo, prodotto impeccabilmente e moderno senza smarrire l’attitudine old school.

Lasciando da parte Metallica e Megadeth, ormai lontani dallo spirito thrash metal dei bei tempi, l’alter ego della sacra triade teutonica (Sodom- Kreator- Destruction) negli Stati Uniti è ormai formato da Testament, Overkill e Death Angel.

La band di San Francisco che originariamente era formata da giovanissimi musicisti originari delle Filippine e che, negli anni ottanta, mise a ferro e fuoco la Bay Area con album eccezionali come The Ultra-Violence e Frolic Through the Park, torna con un nuovo lavoro, l’ennesima spettacolare prova di forza della seconda parte di carriera, quella iniziata dopo il lungo stop degli anni novanta con The Art Of Dying e proseguita con una serie di prove che l’hanno riportata sul podio dei gruppi dediti al caro vecchio thrash metal.
Humanicide, nuovo album uscito per Nuclear Blast, conferma tutto ciò, aumenta anzi le quotazioni di un combo che ad oggi non trova limiti, sia a livello tecnico che di songwriting, pubblicando il degno successore dei due capolavori che lo hanno preceduto (The Dream Calls for Blood e The Evil Divide).
A noi non piace il noioso track by track, ma la scaletta di Humanicide andrebbe nominata tutta, una traccia per volta per non lasciare indietro nulla di quello che il quintetto californiano ha composto e suonato, creando un’opera di metallo esaltante, potente, veloce, diretto ma a tratti (come da tradizione), progressivo, prodotto impeccabilmente e moderno senza smarrire l’attitudine old school.
Registrato e mixato da Jason Suecof (Deicide, Trivium) e masterizzato da Ted Jensen (Slipknot, Pantera), accompagnato dalla spettacolare copertina creata da Brent Elliott White (Lamb Of God, Megadeth), Humanicide non fa prigionieri e, lanciato come un missile verso Marte, spara undici cannonate ad altezza d’uomo, valorizzate da una prestazione fuori categoria del quintetto guidato da quei monumenti al thrash metal che sono Rob Cavestany e Mark Osegueda.
Dovendo citare qualche brano, quindi, si può partire dalla title track e farsi piacevolmente torturare i padiglioni auricolari dalle devastanti Divine Defector e Aggressor, dallo spettacolo assicurato dalla lunga Immortal Behated e dall’heavy metal della splendida Revelation Song.
I Death Angel sono tornati e per quest’ anno con il thrash metal direi che siamo giunti al massimo del livello raggiungibile, perché fare di meglio è davvero difficile, se non impossibile.

Tracklist
1. Humanicide
2. Divine Defector
3. Aggressor
4. I Came for Blood
5. Immortal Behated
6. Alive and Screaming
7. The Pack
8. Ghost of Me
9. Revelation Song
10. On Rats and Men
11. The Day I Walked Away

Line-up
Rob Cavestany – Guitars
Mark Osegueda – Vocals
Ted Aguilar – Guitars
Damien Sisson – Bass
Will Carrol – Drums

DEATH ANGEL – Facebook

Goodbye Kings – A Moon Daguerreotype

Goodbye Kings ci lasciano un disco che parla di sogni e di verità, di lune e di sfumature in bianco e nero, ed un suono elegante che rilascia endorfine.

I Goodbye Kings sono un gruppo milanese che costruisce la propria musica attraverso le immagini, come se dovessero musicare un film od un romanzo.

Tutto ciò lo fanno attraverso un ottimo post rock che si congiunge con l’ambient e dalla narrazione di ampio respiro. Il progetto dietro il loro terzo disco è di svelare come la fotografia abbia permesso all’uomo di indagare sé stesso e la natura in maniera differente. Il loro post rock di ampie vedute è qualcosa che lascia un bellissimo gusto retrò, uno struggimento languido e caldo, un essere preso a braccetto da qualcosa di antico e che ti vuole bene. Ascoltando i Goodbye Kings si ha l’impressione di entrare in una bolla dove si è protetti dai mali del mondo esterno. In prima battuta perché i battiti al minuto si abbassano di molto, e si dà attenzione ai piccoli momenti musicali, ai particolari che si riescono a cogliere anche grazie alla sapiente masterizzazione di James Plotkin, che mise mano a lavori di Isis e Sunn O))). Non c’è solo dolcezza, ci sono anche le asperità che si esprimono con ripartenze rabbiose e diversi momenti di maggiore pathos. Il sound dei precedenti due dischi aveva indicato la rotta, e con A Moon Daguerreotype si perfeziona la traiettoria, che è una delle più interessanti in Italia, dato che un post rock dai risvolti jazz è molto difficile da proporre e ancora di più da trovare. Un’altra particolarità del gruppo è anche l’immaginario in bianco e nero, un’indagine sulle origini della nostra modernità e sulle cose che possiamo ancora essere. Un ottimo bilanciamento fra quiete e tempesta, con momenti che lasciano lo stampo sul cuore di un’era che vede troppo ma sente molto poco. I Goodbye Kings ci lasciano un disco che parla di sogni e di verità, di lune e di sfumature in bianco e nero, ed un suono elegante che rilascia endorfine.

Tracklist
1.Camera Obscura
2.Méliés, The Magician
3.Drawing With Light
4.Phantasma
5.Giphantie
6.Space Frame Natives
7.The Ancient Camera Of Mo Zi
8.A Moon Daguerreotype

Line-up
Davide Romagnoli – electric & acoustic guitars
Matteo Ravelli – drums, fx, percussions
Luca S. Allocca – guitars, synths
Luca Sguera – keyboards, synths, percussions
Riccardo Balzarin – guitars
Francesco Panconesi – sax
Alessandro Mazzieri – bass

GOODBYE KINGS – Facebook

Son Of The Morning – Son Of The Morning

Son Of The Morning scorre lento, solo ravvivato da mid tempo che lasciano spazio a parti atmosferiche dark , in cui la band viene ispirata dall’occult rock che ricorda anche la scena italiana.

Uscito originariamente lo scorso anno in vinile per la DHU Records, Son Of The Morning è il debutto dell’omonima band statunitense guidato dalla magica ed eterea voce di Lady Helena.

La band, oltre alla sacerdotessa dietro al microfono è composta da Lee Allen al basso, H.W. Applewhite alla batteria e Levi Mendes alla sei corde, macchina macina riff sabbathiani, in un contesto stoner e psichedelico.
La nostrana BloodRock Records ha curato la versione cd di questo bellissimo debutto, composto da otto brani ispirati dall’occult rock di matrice settantiana, in cui riti pagani, atmosfere messianiche e culti antichi creano un’affascinate esempio di musica del destino.
Desertiche visioni si fanno spazio nella nostra mente, mentre le ritmiche monolitiche iniziano a dettare tempi drogati di magia; la chitarra produce riff pesantissimi e il canto etereo ed ipnotico di Lady Helena attira verso la collina dove i muri della vecchia casa parlano di sacrifici e riti fuori dal tempo.
Adoranti lasciamo che lentamente la musica ci accompagni in questo sabba, tra le note venate di una psichedelia lasciva incastonata nei rituali della varie The Rule Of Three, The Wild Hunt e Left Hand Path.
Son Of The Morning scorre lento, solo ravvivato da mid tempo che lasciano spazio a parti atmosferiche dark , in cui la band viene ispirata dall’occult rock che ricorda anche la scena italiana, creando un sound che accoglie tra il suo spartito, i vari generi descritti che si manifestano come antichi spiriti evocati dal gruppo tra le trame dell’album.

Tracklist
1.Introduction
2.The Rule of Three
3.The Midwife
4.The Wild Hunt
5.Release
6.Left Hand Path
7.House of our Enemy
8.Eyes Sewn Closed

Line-up
Lady Helena – Vocals, Organ
Lee Allen – Electric Bass Guitar
H.W. Applewhite – Trap Kit
Levi Mendes – Electric Guitar

SON OF THE MORNING – Facebook

2 Wolves – ….Our Fault

Tra Swallow The Sun e The 69 Eyes, la band finlandese ci consegna un bellissimo esempio di musica dark/gothic valorizzata da melodie che entrano nell’anima come lame nel burro, dimostrandosi un nome da segnare sul taccuino alla voce imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

Questo bellissimo lavoro in arrivo dalla Finlandia è la quarta opera gotica dei 2 Wolves, quintetto di Lappeenranta attivo dal 2011.

Licenziato dalla Inverse Records, ….Our Fault è composto da nove bellissimi brani che uniscono dark/gothic e melodic death metal in un sound oscuro, melanconico ed accattivante senza rinunciare all’anima estrema che potenzia tracce dalle bellissime melodie crepuscolari.
Growl e voce dal taglio dark/gothic si danno il cambio tra le atmosfere create da un sound in cui molta importanza hanno i tasti d’avorio, protagonisti di tappeti melanconici sui quali il gruppo appoggia chitarre di stampo melodic death, quindi dal taglio classico in un contesto death metal che a tratti rallenta in cadenzate marce doom.
Un sound che fin dall’opener Unwritten Names si mette in luce per un talento melodico straordinario, che rimane di altissimo livello per tutta la durata del disco.
Splendido il doom/death di Of Storm And Stars, uno dei brani più riusciti di questo quarto lavoro targato 2 Wolves che offre il meglio man mano che passano i minuti, con il quintetto che, quando indurisce il suono, mette in mostra tutto il talento dei gruppi nordici per queste sonorità.
Ancora Departures And Arrivals sugli scudi, mentre con le conclusive Tuhat Kertaa e The Fault Is Ours si torna al gothic/dark dei primi brani, alternando potenza ed appeal melodico in un’atmosfera splendidamente melanconica.
Tra Swallow The Sun e The 69 Eyes, la band finlandese ci consegna un bellissimo esempio di musica dark/gothic valorizzata da melodie che entrano nell’anima come lame nel burro, dimostrandosi un nome da segnare sul taccuino alla voce imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
1. Unwritten Names
2. Strange Patterns
3. Of Storm and Stars
4. Regret
5. Dreaming Beneath
6. Departures and Arrivals
7. Blame
8. Tuhat Kertaa
9. The Fault is Ours

Line-up
Ilkka Valkonen – Vocals
Jere Pennanen – Guitar
Petri Määttä – Guitar
Sami Simpanen – Bass
Niko Pennanen – Drums, Programming

2 WOLVES – Facebook


Descrizione Breve

Fear Not – For The Wounded Heart

I Fear Not si ripresentano dopo ventisei anni con For The Wounded Heart, ep composto da una manciata di brani che tornano al rock di Seattle e all’hard rock pregno di groove del dopo Kurt Cobain.

Era il 2017 quando dalla Roxx Records, label statunitense specializzata in metal e rock cristiano, ci arrivava la ristampa del bellissimo ed unico lavoro dei Fear Not, combo che in piena era grunge licenziava un album dalla spiccata vena hard rock tradizionale ma spogliato dagli estremismi estetici degli anni ottanta.

La band era composta da 3/4 dei Love Life, altro gruppo sconosciuto se non ai più attenti consumatori del genere: i quattro musicisti diedero alle stampe un album bellissimo, incentrato su tematiche cristiane ma dal forte impatto rock’n’roll, una serie di brani adrenalinici, dai riff taglienti, i chorus dall’appeal melodico spiccato che non mollavano la presa dall’inizio alla fine.
Tale ristampa di spessore trova oggi un seguito in questo nuovo ep di cinque brani per quello che si spera possa essere un nuovo inizio per i Fear Not.
Larry Worley, alla chitarra e ai cori, Chris Howell alla chitarra solista, Rod Romero al basso e Gary Hansen alla batteria son i quattro membri originali che, con l’aggiunta del cantante Eddie Green, formano la nuova line up dei Fear Not che si ripresentano dopo ventisei anni con For The Wounded Heart, ep composto da una manciata di brani che tornano al rock di Seattle e all’hard rock pregno di groove del dopo Kurt Cobain.
Don’t Want None (Come Get Some), Shadows Fade e gli altri tre brani che formano questo nuovo ep sanno di post grunge come di hard rock, un sound che porta tatuato sulla pelle la targa dello stato di Washington, non andando molto lontano da quello fatto a suo tempo dai Creed e dai Nickelback, ma con un appeal straordinario, tanto che possiamo sicuramente affermare che la nuova strada intrapresa dal gruppo risulta sicuramente quella giusta.
Cinque bellissime radio songs che avrebbero fatto il botto a cavallo del nuovo millennio, mentre non resta che aspettare un probabile full length che sicuramente non sfuggirà ad ogni fan del rock americano degli ultimi venticinque anni.

Tracklist
1. Don’t Want None (Come Get Some)
2. Shadows Fade
3. Carry Me
4. Love Is Alright
5. Shipwrecked Hypocrite

Line-up
Eddie Green – Vocals
Larry Worley – Guitars
Chris Howell – Guitars
Gary Hansen – Drums
Rod Romero – Bass

FEAR NOT – Facebook

Odious – Mirror Of Vibrations

La riedizione di questo primo full length degli Odious ci mostra un notevole spaccato di ciò che può diventare il black/death metal quando si va ad intersecare, in maniera competente e non forzata, con le sonorità etniche di matrice mediorientale, eseguite per di più utilizzando strumenti tradizionali come l’oud e la tabla.

Anche se Mirror Of Vibrations è un album vecchio di dodici anni, essendo stato pubblicato per la prima volta dagli egiziani Odious nel 2007, vale davvero la pena di parlarne sfruttando l’occasione fornita dalla sua riedizione in vinile curata dall’etichetta canadese Shaytan Productions, che peraltro fa capo ad altri coraggiosi musicisti metal dell’area islamica come i sauditi Al-Namrood.

Infatti questo primo full length degli Odious ci mostra un notevole spaccato di ciò che può diventare il black/death metal quando si va ad intersecare, in maniera competente e non forzata, con le sonorità etniche di matrice mediorientale, eseguite per di più utilizzando strumenti tradizionali come l’oud e la tabla.
Sono innumerevoli i tentativi di far convivere sonorità che, per lo più, finiscono per entrare in collisione con il risultato di offrire in pratica momenti ben distinti, in cui prevalgono l’una o l’altra componente senza mai intrecciarsi sinuosamente come, invece, avviene magistralmente in quest’album.
L’ascolto di brani come For the Unknown Is Horrid o Smile In Vacuum Warnings fornisce più di una buona ragione per innamorarsi di questa band ed approfittare di una versione in vinile nella quale, forse, diviene un po’ meno penalizzante la produzione che è francamente l’unico aspetto rivedibile di un’opera, al contrario, inattaccabile su ogni fronte, inclusa una nuova copertina davvero dal grande fascino.
Chi ama il black sinfonico e non disdegna ascolti di matrice ethnic folk, da un album come Mirror Of Vibrations potrà trarre enormi soddisfazioni in attesa che gli Odious, oggi ridotti a duo con il solo membro fondatore Bassem Fakhri affiancato dal batterista greco George Boulos, diano seguito al secondo album Skin Age, ultima testimonianza discografica risalente al 2015.

Tracklist:
1. Poems Hidden On Black Walls
2. Deaf and Blind Witness
3. For The Unknown Is Horrid
4. Split Punishment
5. Invitation To Chaotic Revelation
6. Smile In Vacuum Warnings
7. Upon The Broken Wings

Line-up:
Rami Magdi – Drums, Percussion
Bassem Fakhri – Vocals, Keyboards, Programming
Alfi Hayati – Bass
Mohamed Hassen – Guitars (lead), Oud
Mohamed Lameen – Guitars (rhythm)

ODIOUS – Facebook

childthemewp.com