Postcards From Arkham – Spirit

L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore.

Ritorna l’ottimo gruppo ceco Postcards From Arkham, che offre musica progressiva misteriosa e malinconica ispirandosi a H.P. Lovecreaft, nume immenso e tutelare di chi nelle tenebre vede meglio che nella luce piena.

Spirit è il loro ultimo lavoro ed è come sempre un piccolo grande capolavoro. Partendo dai capisaldi della letteratura lovecraftiana il disco si snoda attraverso una struttura onirica, con musiche progressive che si adattano alle situazioni da raccontare, con una voce che ci sussurra e ci racconta storie che vengono da lontano, o forse dalla foresta più vicina. Ascoltando Spirit si viene pervasi da un senso di ricongiungimento a qualcosa da cui eravamo lontani, prigionieri delle nostre false convinzioni e delle nostre assurde sicurezze. Rispetto agli altri loro dischi, che consigliamo tutti molto caldamente, Spirit è ammantato da bellissime percussioni che punteggiano i momenti più importanti, rinforzando melodie che sono particolari ed originali di questo gruppo, che è una vera gemma nascosta dell’underground europeo. Lo scopo di questo lavoro è quello di far innalzare per qualche tempo la nostra anima ascoltando questi suoni che sono magici, oscuri ma positivi, hanno dentro il post rock e suoni etnici, qualcosa del neofolk e tanto di sognante e mesmerico. Musicalmente sono sempre stati un gruppo molto avanti, ma qui si superano ed innalzano ad un livello superiore la loro musica, raggiungendo vette molto alte, infatti l’ultima bellissima traccia del disco si intitola per l’appunto Elevate. L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore. I Postcard From Arkham finalizzano il loro percorso di maturazione con un’opera molto importante e dai grandi contenuti che si pone al di là dei generi.

Tracklist
1. One world is not enough
2. From the bottom of the ocean
3. Owls not what they seem
4. 2nd of april
5. Thousand years for us
6. Polaris
7. My gift, my curse
8. Elevate

POSTCARDS FROM ARKHAM – Facebook

?Alos – The Chaos Awakening

Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido.

Venti minuti di un antico rituale messo in musica, suggestioni, rumori e suoni che provengono da un’altra dimensione, da un tempo nel quale l’umanità aveva una composizione fisica che si legava direttamente agli elementi naturali e non al silicio o ad una scheda madre.

?Alos è una sciamana che opera e ha operato con OvO e con Allun, e ora sta continuando la sua avventura solista. Parlare di musica è davvero superfluo in questo caso perché si va molto oltre essa, si entra in un portale dove tutto è ciò che sembra solo se si decide di essere altro da sé, come ?Alos, che ha registrato questa performance dal vivo a Valico Terminus a Ramiseto, un’azienda agricola e casa rurale per artisti sita in un crocevia fra Emilia Romagna e Toscana, dove si incontrano molte forze, come ci insegnavano gli antichi.
?Alos dopo aver trattato la Terra e L’Aria, passa ora a descrivere l’Acqua ed il Fuoco, con questa traccia unica che esplora molti tipi di femminino diversi, perché la storia dell’uomo, e soprattutto della donna, non è andata come ce la raccontano, è molto più complessa e conflittuale, e molto probabilmente non la conosceremo mai. Il titolo The Chaos Awakening dice già moltissimo sulla struttura e sulle intenzioni di Stefania Pedretti, perché pur senza adorare il caos lo descrive come unica via possibile di vita, partendo dalla profonda convinzione che non siamo affatto perfetti, ma che dobbiamo saper rapportarci a forze molto più grandi di noi e che abbiamo lasciato sopite per troppo tempo, convinti che la conoscenza scientifica lo avrebbe fatto fuggire. Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido. L’ultimo disco di ?Alos è fortemente catartico perché risveglia qualcosa dentro di noi che è dormiente ma che è innato, e che è stato spezzato da questa supposta superiorità del moderno rispetto all’antico visto e vissuto come un’epoca oscura e disagiata, mentre il domani non è quasi mai esistito per l’uomo; la Signorina Alos è qui per ricordarci che siamo come sopra è sotto, e che il caos è sempre in agguato.

Tracklist
1. The Chaos Awakening

Line-up
?Alos – Vocals, flute, modular synthesizer,
The Chaos Scepter, bells and other vietnamese instruments –

?ALOS – Facebook

Fallen – Tout Est Silencieux

Come sempre l’abilità di Fallen risiede sostanzialmente nel non rendere la sua musica ambient eccessivamente minimale, riuscendo invece a conferirle un senso melodico, prefigurante una calma che viene però spesso screziata da rumori assortiti di sottofondo, quasi a volerci ricordare che proporre questo tipo di sonorità significa anche saper cogliere gli spunti che giungono dalla quotidianità.

Commentare le uscite targate Fallen (al secolo Lorenzo Bracaloni) sta diventando una piacevole consuetudine.

Il musicista toscano, a distanza relativamente breve dall’uscita del bellissimo Glimpses, ritorna con quest’album intitolato Tout Est Silencieux, edito dall’etichetta transalpina Triple Moon Records .
Forse anche per questo sia il titolo del lavoro che quello di tutti i brani è in lingua francese, un aspetto questo che ovviamente ha un valenza del tutto relativa, dato che si parla di musica ambient per sua natura del tutto strumentale.
Rispetto all’album precedente, che era volto all’evocazione di atmosfere e situazioni notturne, gli scostamenti sono minimi ma sufficienti, comunque, a farci sembrare le sonorità più consone a quella copertina in cui un uomo ed un cane paiono in procinto di essere avvolti e resi invisibili dalla nebbia
Come sempre l’abilità di Fallen risiede sostanzialmente nel non rendere la sua musica ambient eccessivamente minimale, riuscendo invece a conferirle un senso melodico, prefigurante una calma che viene però spesso screziata da rumori assortiti di sottofondo, quasi a volerci ricordare che proporre questo tipo di sonorità significa anche saper cogliere gli spunti che giungono dalla quotidianità.
L’intento di considerare ogni impulso colto dal nostro udito un elemento a suo modo musicale, benché non venga prodotto da uno strumento, non è certo una novità ma, a mio avviso, caratterizza non poco questo lavoro che come sempre non delude e anzi, aumenta ancor più le quotazioni di uno dei compositori più brillanti (e anche più prolifici) in circolazione oggi nel nostro paese in questo settore.

Tracklist:
01 la tempête dans le coeur
02 chèrement
03 mémoires du vent
04 la chanson des enfants
05 dans les rêves oublié
06 tout est silencieux

Line-up:
Fallen – piano, electric piano, guitars, synthesizers and field recordings

FALLEN – Facebook

Essenz – Manes Impetus

Gli Essenz non risparmiano sofferenze all’ascoltatore ed in quasi un’ora di furia, rallentamenti asfissianti, ambient e aperture vicine al death più morboso, regalano un’opera a tratti complessa ed ostica, ma dal raro e annichilente potenziale.

Il terzo full length dei tedeschi Essenz, a sei anni dal precedente Mundus Numen, riporta alla ribalta un grippo enigmatico e sfuggente ma di spessore non comune nella sua interpretazione della materia estrema.

Il black metal offerto dalla band berlinese (nella quale confluiscono membri dei Drowned e degli Early Death) è piuttosto lontano dall’ortodossia del genere, se andiamo e vederne la forma, ma molto più vicino al momento di consuntivare il risultato finale, in quanto il carico di misantropica cupezza che i nostri scaricano in Manes Impetus è davvero moto elevato.
Il sound, per certi versi, può essere assimilabile ad una versione avantgarde del black più francese che tedesca (parliamo quindi di sperimentatori estremi come Blut Aus Nord o Deathspell Omega, ma anche dei vicini di casa Darkspace) ma non è difficile rinvenire il tentativo, spesso riuscito, di coinvolgere l’ascoltatore in maniera più diretta, grazie ad un incedere sovente cadenzato che spinge il tutto dalle parti di un doom deviato.
Il mondo prefigurato dagli Essenz è un luogo nel quale l’ossigeno scarseggia, sia quando si corre a perdifiato sia nei momenti in cui il passo rallenta e il sound si dilata; la solennità che contraddistingue il black metal germanico non viene certo meno ma qui viene messo al servizio di un incedere claustrofobico all’ennesima potenza, con quelle cavalcate in doppia cassa che paiono non vedere mai la fine, in particolare nelle lunghissime Peeled & Released e Randlos Gebein, ideali manifesti sonori dell’album.
Gli Essenz non risparmiano sofferenze all’ascoltatore ed in quasi un’ora di furia, rallentamenti asfissianti, ambient e aperture vicine al death più morboso (Ecstatic Sleep, per la parte che arriva dopo l’iniziale prolungamento della sperimentale Sermon To The Ghosts), regalano un’opera a tratti complessa ed ostica, ma dal raro e annichilente potenziale.
Non tragga in inganno il riferimento alle band avanguardiste fatto in precedenza: nonostante un certa contiguità a simili suoni, in realtà Manes Impetus si rivela paradossalmente più scorrevole , a patto di non opporre resistenza alle reiterazioni ritmiche ed al rombo, sovrastato dal ringhio di g.st., che si materializza all’interno di un lavoro che, per i suoi contenuti, non dovrebbe per nessun motivo essere trascurato.

Tracklist:
1. Peeled & Released
2. Unfolding Death
3. Amortal Abstract
4. Randlos Gebein
5. Apparitional Spheres
6. Sermon To The Ghosts
7. Ecstatic Sleep

Line-Up:
g.st. – vocals, lyrics, bass
d.rk – guitar
t.ngl – drums
d.bf – noise

ESSENZ – Facebook

Fallen – Glimpses

Gli scorci di vita, propria o altrui, passata, presente o futura che sia, vengono trasmessi con l’ormai consueta maestria da Fallen, musicista in grado come pochi altri di questi tempi nell’offrirci l’ideale accompagnamento sonoro alle varie fasi della nostra esistenza.

Pochi mesi dopo ást, Lorenzo Bracaloni, alias Fallen, torna a regalarci sprazzi della sua musica ambient che, grazie alla qualità esibita, sta ottenendo consensi da più parti.

Glimpses, come ci dice l’autore, è una raccolta di brani composti durante la notte, un momento della giornata nel quale di norma il corpo si riposa e la mente si colloca in stand by, ma questo non vale per tutti.
La notte per molti è il momento ideale magari per studiare, oppure può essere l’occasione giusta, sfruttando il silenzio ed il buio circostante, per fare il punto rispetto a qualche situazione che ci provoca ansietà o che merita d’essere approfondita con calma; allo stesso tempo, le tenebre fanno indulgere alla malinconia, al ricordo di qualcosa o qualcuno smarrito per sempre, piuttosto che osservare con sguardo distaccato gli scenari notturni come se tutto ciò che accade attorno non ci riguardasse.
Le otto tracce si snodano tra tutte queste sensazioni, spesso di matrice opposta a livello umorale, ma accomunate dal loro acuirsi durante le ore più tarde: ovviamente ne risente anche la struttura musicale che, se per la natura stessa dell’ambient non è soggetta a scostamenti bruschi, diviene ugualmente più minimale e soffusa, sacrificando magari qualche slancio melodico a favore di un approccio più rarefatto.
Gli scorci di vita, propria o altrui, passata, presente o futura che sia, vengono trasmessi con l’ormai consueta maestria da Lorenzo, musicista in grado come pochi altri di questi tempi nell’offrirci l’ideale accompagnamento sonoro alle varie fasi della nostra esistenza.
L’ambient targata Fallen continua quindi a regalare puntualmente sensazioni magnifiche, a maggior ragione in considerazione anche della recentissima uscita di Tout Est Silencieux, lavoro del quale contiamo di parlare prossimamente, anche se come sempre quando si tratta di sonorità simili le parole sono davvero nulla rispetto ad un ascolto diretto.

Tracklist:
01 in between days
02 glimpses
03 heart(less)
04 3:05 AM
05 night reveries
06 shape(less)
07 empathetic
08 an overview

Line-Up:
Fallen – piano, celesta, guitars, synthesizers and field recordings (gardens, squares, radios)

FALLEN – Facebook

Nhor – Wildflowers

Nhor compie una sorta di miracolo musicale, proponendo un’ora e venti di musica ambient di stupefacente qualità, tenendosi ampiamente alla larga dal rischio di tediare l’ascoltatore che, anzi, troverà in maniera naturale il modo compenetrarsi con tali sonorità.

Quello di Nhor è un nome che avevamo già incontrato ai tempi di IYE, quando ci fu l’occasione di parlare di un bellissimo lavoro come Within the Darkness Between the Starlight.

All’epoca il musicista britannico riusciva a fondere mirabilmente la musica ambient con pulsioni black metal, andando a creare un ibrido in assoluto non innovativo ma sicuramente carico di rara intensità emotiva.
Con il tempo la parte estrema si è praticamente azzerata, lasciando spazio in maniera tutto sommato naturale alla sola componente ambient, consistente in un delicato e mai stucchevole lavoro pianistico.
Questo Wildflowers non è in realtà un album di inediti ma rappresenta la compattazione in un solo formato dei quattro ep dedicati alle stagioni usciti lo scorso anno tra aprile e dicembre.
Il lavoro viene così offerto dalla Prophecy Productions in versione doppio vinile e fornisce l’occasione di ascoltare in sequenza le quattro parti che, in tal modo, vanno a formare un’opera a sé stante come probabilmente era già inizialmente l’intenzione dell’autore.
Nhor compie una sorta di miracolo musicale, proponendo un’ora e venti di musica ambient di stupefacente qualità, tenendosi ampiamente alla larga dal rischio di tediare l’ascoltatore che, anzi, troverà in maniera naturale il modo compenetrarsi con tali sonorità.
Quello offerto dal compositore inglese è, in fondo, il circolare flusso musicale che accompagna le stagioni della nostra esistenza, ripartendo ogni volta daccapo come se ognuna di esse fosse la prima, o magari l’ultima ad essere vissuta ed assaporata.
Wildflowers è un’opera nella quale l’approccio pianistico essenziale (il modus operandi non è dissimile ovviamente da quello del maestro Eno) è l’antitesi della svolazzante ridondanza dei neoclassici; a Nhor non servono particolari artifici per emozionarci e trasportarci dolcemente in un’altra dimensione spazio temporale: l’ascolto di un brano di rara limpidezza come I Have No Stars Left to Wish Upon è sufficientemente esemplificativo di quanta bellezza sarà possibile rinvenire in questo magnifico doppio album.

Tracklist:
Disc 1
1. Windowpanes
2. Knelt at the Altar that Lays Atop the Stars
3. And So Passes the Glory of Our World
4. There was a Time When I Knew the Way
5. Wildflowers
6. Vernal
7. Let the Rains Knock at My Door
8. In Moonlight

Disc 2
1. Light, Sing to Me
2. Where Morning Breaks Over the Pines
3. I Have No Stars Left to Wish Upon
4. Even in Dreams
5. You Will Never Shine as Bright as the Moon
6. I Remember
7. Sunlit Rest

Disc 3
1. All That Is Sacred to Me
2. Where They Once Were
3. The Trees Knew Not of Me Then
4. Moonfall
5. We Set Their Bodies Free in the Cold River
6. What We Hid in the Night
7. Fire Promises Guidance
8. In Search of Those We Lost
9. Fate

Disc 4
1. Bereft
2. Murmurations Above Me
3. Owls Through Snowfall
4. Wreaths of Hoarfrost
5. The Moon Belongs to All and None
6. They Leave No Trace
7. I Found You There, Beside the Night
8. Mercy

Line-up:
Nhor – Everything

NHOR – Facebook

Faction Senestre – Civilisation

Un rumorismo dronico e industriale fa da tappeto sonoro a testi declamati in lingua madre, invero molto interessanti per la loro feroce quanto esplicita critica della modernità: questo chiaramente rende il tutto affascinante quanto dannatamente ostico.

Faction Senestre è un progetto di nuovo conio formato da membri di band di un certo spicco della scena francese come Still Volk, Rosa Crux, Malhkebre e Sektarism.

Quello che ne scaturisce è un brano sperimentale della durata di oltre 20 minuti, suddiviso in quattro parti, che mette sicuramente a dura prova l’apertura mentale dell’ascoltatore medio.
Un rumorismo dronico e industriale fa da tappeto sonoro a testi declamati in lingua madre, invero molto interessanti per la loro feroce quanto esplicita critica della modernità: questo chiaramente rende il tutto affascinante quanto dannatamente ostico.
Resta il fatto che questi musicisti transalpini sanno il fatto loro e, pur scendendo su un terreno molto scivoloso, riescono a mettere in scena una riproduzione credibile di sonorità avanguardiste per quanto, ovviamente, Civilisation si vada a collocare decisamente al di fuori di quelli che sono i normali ascolti.
Difficile quindi affibbiare all’operato dei Faction Senestre le semplicistiche etichette di bello o brutto: tutto dipende dal tipo di approccio, dalla sensibilità e dal desiderio di farsi scuotere che ciascuno possiede; detto ciò, personalmente trovo Civilisation un’opera di un certo spessore, musicalmente e concettualmente, il che desta quindi una certa curiosità nei confronti di eventuali prossimi sviluppi di questo progetto.
Ta civilisation est en péril, je le prédis et tu t’enfuis

Tracklist:
1. Ta Civilisation

Eidulon – Combustioni

Combustioni è un lavoro di enorme pregio, che merita l’attenzione di un gran numero di appassionati nonostante la naturale ritrosia da parte di qualcuno nel lasciarsi piagare le carni dalle sonorità aspre e profonde messe in campo da Gemelli.

La sperimentazione ha un senso solo quando non è fine a sé stessa, su questo non ci sono dubbi: solo se vengono rispettate tali condizioni anche le sonorità più ostiche hanno la possibilità di ottenere la giusta attenzione da parte di una fascia di ascoltatori,dotata comunque di un’attitudine all’ascolto non comune.

Il progetto denominato Eidulon possiede tutti questi crismi, forse perché nonostante una lungo silenzio l’ottimo Francesco Gemelli (che molti conosceranno anche per il suo prezioso operato in qualità di grafico) dimostra una padronanza totale della materia, modellandola e piagandola alle proprie esigenze, sfruttando al meglio in tal senso il contributo degli ospiti chiamati a collaborare alla riuscita di Combustioni.
L’album è un contenitore colmo di materia pericolosa ed instabile, sotto forma ora di dark ambient, ora di un industrial dalle sfumature apocalittiche; il tratto comune del lavoro è, però, un incedere talvolta solenne che viene sfregiato dalle prestazioni vocali di ospiti di primo piano come Nordvagr (MZ.412) e Luca Soi, il cui apporto si rivela senz’altro attrattivo anche per gli appassionati di doom, senza dimenticare il significativo apporto fornito da altri nomi di spessore quali Kammarheit, Caul e Naxal Protocol.
Indubbiamente , se il brano che vede all’opera uno dei protagonisti dell’epopea della Cold Meat Industry (A Shimmer In The Void), si rivela una delle massime espressioni possibili che si possano esibire in quest’ambito, non è certo da meno una traccia a dir poco impressionante come Grande Rosso, nella quale Luca Soi abbandona le tonalità evocative utilizzate nel recente capolavoro dei Void Of Silence per ergersi sinistro nel declamare un testo in lingua madre al di sopra di un tappeto sonoro altamente minaccioso.
L’organo che si insinua tra le pieghe The Hierarchy Of The Inner Planes (ancora con Nordvagr e con il fattivo contributo di Naxal Protocol) è qualcosa di destabilizzante, così come l’instabile quiete evocata dai vocalizzi di Soi in Immanence, dove spicca l’apporto di Brett Smith (Caul).
Kammarheit non può che essere chiamato in causa nella traccia più canonicamente dark ambient del lotto, Averni Flammas Transivi, mentre i due brani del tutto appannaggio di Gemelli aprono e chiudono il lavoro in maniera esemplare, con In Igne Revelabitur, dal riferimento nel titolo al quel fuoco che è una sorta di filo conduttore del disco, dedicato all’artista Alberto Burri capace di utilizzare appunto questo elemento come pennello (la magnifica copertina richiama il tutto in maniera eloquente), e con Stratificazione Settima, superbe prove di dark ambient disturbante e allo stesso tempo avvolgente.
Combustioni è un lavoro di enorme pregio, che merita l’attenzione di un gran numero di appassionati nonostante la naturale ritrosia da parte di qualcuno nel lasciarsi piagare le carni dalle sonorità aspre e profonde messe in campo da Gemelli.

Tracklist:
1.In Igne Revelabitur
2.A Shimmer In The Void (feat. Nordvargr)
3.Grande Rosso (feat. Luca Soi)
4.Averni Flammas Transivi (feat. Kammarheit)
5.The Hierarchy Of The Inner Planes (feat. Naxal Protocol & Nordvargr)
6.Immanence (feat. Caul & Luca Soi)
7.Stratificazione Settima

EIDULON – Facebook

Mesarthim – The Density Parameter

L’album è intriso di un immaginario cosmico che i Mesarthim interpretano con grande competenza e buon gusto, affidandosi ad ampie aperture melodiche che rifuggono abilmente il rischio di apparire stucchevoli.

The Density Parameter è il terzo full length per questo progetto atmospheric black australiano, nel quale ci siamo già imbattuti in occasione dei due precedenti lavori su lunga distanza (ai quali si accompagna un nutrito numero di Ep).

La componente black, in effetti, come è naturale che sia per uno stile nel quale è la melodia a prendere il sopravvento, si è via via stemperata rispetto agli esordi sino ad risultare davvero minima in quest’ultimo frangente, andando di fatto a coincidere con le diradate parti vocale in screaming.
L’album è come sempre intriso di un immaginario cosmico che i nostri interpretano con grande competenza e buon gusto, affidandosi ad ampie aperture melodiche che rifuggono abilmente il rischio di apparire stucchevoli; peraltro, sono proprio i passaggio nei quali meglio vengono delineate le atmosfere sognanti quelli in cui l’operato dei Mesarthim tocca il suo apice e trova anche la propria ragione d’essere.
Ω, Transparency e Fragmenting, ovvero i tre brani più lunghi del lotto, sono appunto gli episodi nei quali l’idea musicale del duo australiano viene espressa in manie più compiuta: nei primi due casi grazie a linee melodiche suadenti e ben memorizzabili, nel terzo con un andamento leggermente più vario, alla luce anche di un bell’inserto di elettronica nella parte centrale, prima di un finale piuttosto ricco di variazioni sul tema.
Ovviamente questo versante del black metal, spinto al massimo dal punto di vita atmosferico, difficilmente troverà i favori di chi predilige le sembianze true del genere, rivelandosi invece più adatto a chi ha già una certa familiarità con le sonorità sdoganate in passato dai vari Burzum e Mortiis.

Tracklist:
1. Ω
2. Collapse
3. Transparency
4. 74%
5. Recombination
6. Fragmenting

Line up:
. – Other
. – Vocals

MESARTHIM – Facebook

Canaan – Images From A Broken Self

I Canaan producono un altro disco bellissimo e terribile, nel quale l’elettronica regna sovrana e dalla freddezza del silicio nasce un calore che avvolge tutto e tutti, e si proiettano verso uno spazio che è differente da quello nel quale viviamo.

I Canaan sono dei moderni sciamani che ci fanno vedere la realtà squarciando il velo che la avvolge e che ce la fa sembrare sostenibile.

La loro ultima opera è incentrata sul rendere in musica le immagini delle nostre anime spezzate dalle vite che facciamo e le lacerazioni che procurano. Ascoltare i Canaan è come fare terapia psicologica iniettandoci il virus che vogliamo sconfiggere, è lottare senza stare comodi, andare avanti senza sapere dove potremmo arrivare, ma continuare. La parabola musicale di questo gruppo è una delle più interessanti e preziose della musica underground italiana, ed è cominciata tanto tempo con il gruppo doom death dei Ras Algethi, per poi continuare nei Canaan con due terzi del gruppo capitanati da Mauro Berchi, una delle figure più importanti che abbiamo nella musica in Italia. I Canaan non suonano un genere musicale ben preciso, essendo uno di quei pochi gruppi che non è circoscrivibile in uno specifico ambito, esibendo uno stile del tutto proprio. Se gli esordi erano molto darkwave e gothic, con gli ultimi dischi il suono si sta rarefacendo, portandolo più in alto, ma il tutto appare ancora più soffocante e claustrofobico. Come detto prima, i Canaan ci fanno vedere con le loro sensazioni in musica che la nostra vita è abbastanza inutile, che il nulla ci avvolge e che i nostri sforzi, oltre che vani, sono controproducenti. Tutto ciò sarebbe spaventoso, anche se nell’arte abbiamo tantissimi esempi, o forse l’arte serve proprio a farci vedere il nulla, ma il gruppo milanese riesce a rendere sublime tutto ciò. Dopo il meraviglioso il Giorno Dei Campanelli del 2016, i Canaan producono un altro disco bellissimo e terribile, nel quale l’elettronica regna sovrana e dalla freddezza del silicio nasce un calore che avvolge tutto e tutti, e si proiettano verso uno spazio che è differente da quello nel quale viviamo: forse è sogno, perché la musica dei milanesi è un qualcosa di meravigliosamente indefinito, un sogno con la febbre, una febbre che ci fa capire, il nulla che parla. Ogni canzone è molto curata, come sempre ogni nota e ogni respiro elettronico ha un senso per un gruppo che va davvero oltre la musica e ti porta in un luogo tutto suo. Per chi li ascolta da anni non è facile descrivere l’esperienza che viene vissuta, perché i Canaan non sono un gruppo che si possa ascoltare con le cuffie mentre si va a lavorare, ma devono essere assimilati come un rito, perché aprono una dimensione nuova nella quale il dolore prende vita e forma, e il nulla si può rivelare liberamente.

Tracklist
1.My Deserted Place
2.The Story Of A Simple Man
3.Words On Glass
4.Hint On The Cruelty Of Time
5.I Stand And Stare
6.Of Sickness And Rejection
7.The Dust Of Time
8.Adversaries
9.That Day
10.A Tired Sentry
11.Worms
12.Through Forging Lines

Line-up
Alberto
Mauro
Nico

CANAAN – Facebook

Autumnwind – Endless Fear

Endless Fear è un lavoro interessante, che mette in evidenza le buone potenzialità di un progetto ancora in divenire.

Suonare metal nei paesi mediorientali non è mai una passeggiata di salute, visto che in molti di essi l’egemonia culturale strettamente connessa alla religione comporta persino rischi a livello penale per chi ci prova; non credo che questo sia di norma lo stato delle cose in Siria, dove però purtroppo le difficoltà non devono essere certo da meno, a causa della guerra civile che attanaglia da anni una terra che è stata una delle più antiche culle della civiltà.

GaaRa “Abdulrahman Abu Lail”, con il suo progetto denominato Autumnwind, propone in Endless Fear un black metal atmosferico che tutto sommato lascia uno spazio molto limitato alle pulsioni estreme, rinvenibile in rare accelerazioni, affidando il tutto al lavoro delle tastiere, con le quali vengono tessute buone melodie.
Il riferimento più logico per il sound proposto dal musicista asiatico sono i Lustre, per cui c’è da attendersi fondamentalmente un sound piuttosto lieve, dalla marcata impronta melodica e con diversi elementi ambient.
GaaRa cerca di comunicare, con Endless Fear,  le sensazioni derivanti dagli attacchi di panico dei quali è stato vittima in tempi relativamente recenti: non solo per tale motivo, in questa mezz’ora di musica l’impressione è quella d’avere a che fare con un artista di indubbia sensibilità e con le doti necessarie per potersi ritagliare uno spazio in questa nicchia stilistica.
A mio avviso però, per riuscirci, dovrebbe forse focalizzarsi con maggiore decisione sul lato più evocativo del proprio sound, che emerge con prepotenza in bellissime tracce come The Hallucination e nella title track, mentre quando è l’anima più ruvidamente black a prendere il sopravvento (Forever Insomnia) gli esiti non sembrano altrettanto soddisfacenti.
Endless Fear è comunque un lavoro interessante, che mette in evidenza le buone potenzialità di un progetto ancora in divenire.

Tracklist:
1.The Panic Attack
2.The Hallucination
3.Lost And Alone
4.Forever Insomnia
5.Endless Fear

Line up:
GaaRa “Abdulrahman Abu Lail”

AUTUMNWIND – Facebook

Empty Chalice – Ondine’s Curse

Per circa tre quarti d’ora Empty Chalice offre quella che si dimostra, ancora una volta, un’interpretazione peculiare e sopra la media della materia, riuscendo davvero a far vivere all’ascoltatore la terribile battaglia che si combatte all’interno di un organismo colpito dalla sindrome di Ondine.

Il nuovo lavoro di Antonio Airoldi (Antonine A.), nella sua incarnazione denominata Empty Chalice, è la quarta di una serie di uscite targate Ho.Gravi.Malattie, etichetta dal nome indubbiamente bizzarro ma del tutto attinente al catalogo proposto, visto che ogni disco è dedicato ad una delle molte patologie che affliggono l’umanità.

Con Empty Chalice viene affrontata la Sindrome di Ondine, disturbo assai raro ma fortemente invalidante visto che, di fatto, l’organismo “dimentica” di respirare durante il sonno: tale scelta appare fin da subito azzeccata, visto che il musicista trentino ci ha abituato da tempo all’esibizione di una forma di ambient claustrofobica ma allo stesso tempo sempre inquieta e in divenire.
Se rispetto ai generi, per cosi dire, canonici l’ambient può essere definita a buon titolo una sorta di flusso sonoro, in Ondine’s Curse il suo scorrere appare quanto mai disturbato, quasi ad fotografare la discrasia provocata da un cervello che si rifiuta di fornire i comandi atti a garantire la sua stessa sopravvivenza .
Per circa tre quarti d’ora Airoldi offre quella che si dimostra, ancora una volta, un’interpretazione peculiare e sopra la media della materia, riuscendo davvero a far vivere all’ascoltatore la terribile battaglia che si combatte all’interno di un organismo colpito dalla sindrome, lacerato dalla necessità fisiologica di dormire, da un lato, e dall’impossibilità di cedere al sonno pena la cessazione delle funzioni vitali, dall’altra.
L’ambient targata Empty Chalice di certo non scorre senza lasciare tracce: sul terreno restano tracce di paure ancestrali e conflitti interiori irrisolti, con suoni che se, in The Awake, possiedono una recondita parvenza melodica, in II esibiscono un substrato di canti gregoriani, e  da III in poi si tramutano nella trasposizione musicale di una elettroencefalogramma imbizzarrito: tutto ciò senza che nessuna nota o rumore possa apparire superfluo o fuori luogo.
Ondine’s Curse conferma una volta di più lo status acquisito da Antonio Airoldi, avviato a diventare (ammesso che già non lo sia) uno dei nomi di punta del nostro avanguardismo musicale.

Tracklist:
1. The Awake
2. II
3. III
4. IV
5. The Sleep

Line-up:
Antonine A.

EMPTY CHALICE – Facebook

In Tenebriz – Winternight Poetry

Wolfir offre un’interpretazione del death doom melodica e convincente, denotando una certa abilità nell’alternare ampie aperture atmosferiche a passaggi di natura ambient e a riff robusti e decisi.

Non è una novità imbattersi in one man band eufemisticamente definibili prolifiche, specialmente quando ad essere esplorato è lo sterminato territorio russo.

Gli In Tenebriz appartengono a questo novero e se, come sempre, in simili casi ci si chiede se tali caratteristiche non vadano a detrimento della qualità delle uscite, è anche vero che il più delle volte questi workaholic del metal sorprendono per l’ottimo livello medio espresso.
Con questo Winternight Poetry, Wolfir (al decimo full length in poco più di un decennio di attività, oltre ad un nugolo di ep e split album) offre un’interpretazione del death doom melodica e convincente, seppure a tratti un po’ minimale a livello di soluzioni tastieristiche.
Il tutto non penalizza più di tanto la resa finale, dato che il musicista moscovita è abile nell’alternare ampie aperture atmosferiche a passaggi di natura ambient e a riff robusti e decisi.
Winternight Poetry si esaurisce in poco meno di quaranta minuti lasciando buone sensazioni e qualche rimpianto relativo al fatto che, se il buon Wolfir si avvalesse di qualche aiuto ai vari strumenti, il risultato sarebbe potuto essere ancora più soddisfacente, come testimoniano ampiamente tracce come III e IV, le più emblematiche di doti compositive nient’affatto trascurabili.

Tracklist:
1. Winternight Poetry I
2. Winternight Poetry II
3. Winternight Poetry III
4. Winternight Poetry IV
5. Winternight Poetry V
6. Winternight Poetry VI
7. Winternight Poetry VII

Line up:
Wolfir – Guitars, Bass, Vocals, Synth

IN TENEBRIZ – Facebook

2018

Urfaust – The Constellatory Practice

Un viaggio, un rituale, un flusso di coscienza … l’opera conclusiva della trilogia dimostra appieno la personalità unica del duo olandese.

A soli due anni da Empty Space Meditation il duo olandese completa la trilogia e il lungo viaggio iniziato con Apparitions, EP del 2015.

Edito senza particolare preavviso, The Constellatory Practice offre, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’ennesima dimostrazione di come gli Urfaust siano una band senza pari, dotata di ispirazione, personalità, di un mood peculiare capace di creare sempre musica stimolante e affascinante; ogni loro opera, a partire da Geist ist teufel del 2004, ha sempre avuto alti motivi di interesse offrendo un suono black intenso, viscerale, ricco di derive ambient e doom. L’opener esprime un black doom trascendente, con le sue vocals invocative, a iniziare un viaggio verso luoghi inesplorati; il continuo interagire tra la parte strumentale e i reiterati vocalizzi creano un effetto ipnotico straniante e intossicante. Le idee non mancano ai due musicisti (VRDRBR alla batteria e IX alle voci e alla chitarra, da sempre alla guida della band olandese) e ci permettono di assaporare suoni ambient screziati di aromi orientali in Behind the veil of trance sleep, portandoci con la mente in lunghi rituali dal sapore magico. Un forte afflato cosmico e spirituale penetra nelle nostre sinapsi e gangli neuronali con A course in cosmic meditation, prima che il suono di False sensorial impressions ci riporti in claustrofobici abissi , dove rimaniamo attoniti di fronte a minacce imperscrutabili. Colpisce nel suono della band la profonda competenza, la capacità di saper dove colpire per poter lasciare ferite lacere e sanguinanti. Trail of the conscience of the dead ammalia con cadenza blackdoom sopraffina, mentre il particolare vibrato di IX dona un aura mistica e il lavoro chitarristico si insinua lentamente nella nostra sostanza grigia, scavando e lacerando con precisione, stimolando la nostra psiche verso dimensioni acide e visionarie. La parte finale del brano, sommersa di archi e synth, meraviglia e lascia desiderosi di mandare in un loop continuo i dodici minuti di questo brano magnifico. Suggestioni orrorifiche marchiano a fuoco l’ultimo brano con un uso pesante e reiterato di organo e litanie che spaziano in un cosmo profondo e desolato. L’opera cresce in modo smisurato con gli ascolti, non deve essere ascoltata in modo superficiale ma sentita nel profondo. Gli Urfaust lasciano sempre, con la loro arte, sensazioni molto peculiari e come al solito la loro personalità e l’ispirazione sono un unicum nel mondo dell’arte nera.

Tracklist
1. Doctrine of Spirit Obsession
2. Behind the Veil of the Trance Sleep
3. A Course in Cosmic Meditation
4. False Sensorial Impressions
5. Trail of the Conscience of the Dead
6. Eradication Through Hypnotic Suggestion

Line-up
VRDRBR – Drums
IX – Guitars, Vocals

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Reverorum Ib Malacht – Im Ra Distare Summum Soveris Seris Vas innoble

I Reverorum Ib Malacht destrutturano il black metal rendendolo un coacervo di suoni minacciosi, con linee strumentali, rumori di fondo e urla sconnesse che si sovrappongono e si fondono quasi senza soluzione di continuità, valicando sovente il sottile confine tra la sperimentazione e la cacofonia.

Parlare di black metal cattolico potrebbe sembrare una contraddizione in termini, viste le finalità della nascita del genere e le modalità con cui esso si è sviluppato negli anni.

Del resto, la stessa frangia cristiana rinvenibile in ambiti rock e metal si muove in una direzione opposta rispetto a movimenti musicali nati con connotazioni ribellistiche e, in quanto tali, teoricamente estranei agli schemi rigidi imposti da una religione.
Gli svedesi Reverorum Ib Malacht costituiscono quindi un’anomalia piuttosto marcata, ancor di più se si pensa che l’operazione non si compie con il semplice rimpiazzo delle tematiche sataniste /pagane all’interno di una struttura musicale canonica: in realtà qui si va ben oltre, trattandosi di un’evoluzione sonora che porta il black a fondersi con sperimentalismi di scuola Cold Meat Industry, per un risultato finale inquietante e spiazzante assieme.
Il sound cupo e soffocante in fondo fa pensare ad una religione il cui fulcro risiede nell’espiazione e nella sofferenza rispetto alla misericordia e alla pace, come sarebbe normale ed auspicabile, rispetto a qualcosa di ultraterreno.
Misterium fidei, quindi. Chi la fede non ce l’ha può comunque apprezzare il tentativo di questi musicisti, invero coraggiosi, di destrutturare il black metal rendendolo un coacervo di suoni minacciosi, con linee strumentali, rumori di fondo e urla sconnesse che si sovrappongono e si fondono quasi senza soluzione di continuità, valicando sovente il sottile confine tra la sperimentazione e la cacofonia.
Im Ra Distare Summum Soveris Seris Vas innoble, per tutta questa serie di motivi, è un lavoro rivolto a pochi eletti i quali, al netto delle finalità della band, potranno trovare diversi motivi di interesse purché adusi ad un impatto non convenzionale.
L’unico brano contenente un linea melodica intelligibile è (Natten inuti) en tagg som sticke, che di fatto chiude il lavoro prima dell’outro: una piccola parentesi di respiro la cui collocazione potrebbe avere un significato, difficilmente rinvenibile all’interno di un concetto musicale decisamente criptico, per cui, in ossequio al credo promulgato da Im Ra Distare Summum Soveris Seris Vas innoble, ogni ascoltatore deve accettarlo come un dogma, senza discuterlo né provare ad comprenderlo fino ad esserne compenetrato.
Di per sé il lavoro è affascinante dal punto di vista strettamente musicale, mentre probabilmente sono troppo vecchio o non abbastanza acuto per riuscire a coglierne le reali finalità.

Tracklist:
1. Intro
2. Where Escapism Ends
3. Incompatible Molokh
4. Cloud of Unknowing
5. E va um da
6. Etia si omnes, ego non
7. Skin Without Skin
8. (Natten inuti) en tagg som sticke
9. Outro

Line-up:
Karl Hieronymus Emil Lundin
Karl Axel Mikael Mårtensson

REVERORUM IB MALACHT – Facebook

Bodies On Everest – A National Day Of Mourning

un frutto sanguinolento ed ipnotizzante che respingerà al primo ascolto, non piacerà decisamente al secondo, lascerà perplessi al terzo, e che al quarto diverrà un qualcosa di cui non si potrà fare più a meno, simile ad un veleno mortalmente lento ed assuefacente.

Talvolta la musica cessa d’avere la forma che conosciamo e che in qualche modo ci rassicura, per quanto possa essere pesante in ambito metal, per assumere sembianze che difficilmente possono essere definibili o quanto meno descritte con dovizia di particolari.

Sono sempre più i dischi sottoposti alla nostra attenzione che sono collocabili nel calderone ambient, ma anche qui le differenze possono essere davvero sensibili perché si può trovare la raccolta di note delicate, atte a descrivere od auspicare una ritrovata armonia con l’universo e, in primis, con noi stessi, oppure, come in quest’opera dei Bodies On Everest, il rumore di fondo di ciò che accade su un pianeta che, probabilmente, ha esaurito la propria capacità di contenere un’umanità che ha pochissima voglia di condivisione.
Sono diverse miliardi di isole quelle che si muovono lungo i continenti e le nazioni, esseri che vivono in comunità ma soli come i corpi che periodicamente vengono restituiti dai ghiacci eterni sulle pendici della montagna più alta del mondo, come richiama il monicker di questa notevole band inglese.
A National Day Of Mourning è un’opera che riscrive ed espande i confini dello sludge, provando ad indurre terrore invece che anestetizzare con un andamento penoso e strascinato: l’operazione riesce al meglio perché , nonostante i Bodies On Everest non facciano nulla per risultare accessibili, l’opera tiene realmente avvinghiati facendoci sentire attori protagonisti di un thriller/horror all’interno del quale si viene sballottati tra scenari di violenza, ora fisica ora psicologica, ora individuale ora di massa, il tutto inserito all’interno di sonorità varie e distinguibili nonostante la loro forte propensione sperimentale.
Il giro di basso della seconda metà di Tally Of Sevens continua a pulsare nelle orecchia anche qualche ora dopo aver terminato l’ascolto, e questo è uno degli agganci per così dire normali in un lavoro che di normale ha quasi nulla: psichedelia, drone, sludge, ambient, elettronica, il tutto viene frullato assieme a qualche residua forma di vita, offrendo un frutto sanguinolento ed ipnotizzante che respingerà al primo ascolto, non piacerà decisamente al secondo, lascerà perplessi al terzo, e che al quarto diverrà un qualcosa di cui non si potrà fare più a meno, simile ad un veleno mortalmente lento ed assuefacente.

Tracklist:
1.unreleaseddeathvideo.flac
2.Tally Of Sevens
3.Gold Fangs In Enemy Territory
4.Shotgun Or Sidearm
5.Suspicious Canoe
6.Who Killed Yale Gracey?

Line-up:
Baynes – Bass, Electronics, Vocals
Wàrs – Bass, Electronics, Vocals
Gold – Drums, Electronics, Vocals

BODIES ON EVEREST – Facebook

Fallen – ást

Fallen veicola sentimenti che, valutati con i parametri della modernità, appartengono a tempi in cui la semplicità era una virtù e non sinonimo di banalità o di sciatteria: anche per questo ást è un’opera preziosa, da cullare e coltivare con la stessa cura ed attenzione che il musicista ha riversato nel comporla, rendendola una testimonianza musicale fulgida e a suo modo rara.

Torna nuovamente a farsi sentire Fallen, ovvero il musicista toscano Lorenzo Bracaloni, con la sua musica ambient di limpida qualità.

Come già scritto in occasione dell’ultima opera intitolata No Love Is Sorrow, il flusso musicale continua a trarre linfa dagli insegnamenti settantiani del caposcuola Brian Eno e di tutti i numerosi discepoli di uno dei maggiori compositori contemporanei.
L’ambient, nelle mani di Lorenzo, riprende la sua forma originaria, ovvero quella di musica che trovava la sua naturale collocazione nell’accompagnamento di installazioni visive, quindi ben lontana dalle forme droniche e disturbanti che, pur validissime, si rivelano alla fine più impattanti e meno neutre, andando un po’ in contrasto con le finalità iniziali immaginate dal maestro britannico.
ást non è però solo carezzevole e la sua bellezza risiede in una ricerca di suoni non sempre convenzionali, capaci di increspare splendidamente il placido moto ondoso, come avviene in ást III, o con un impatto melodico più definito ed accentuato, come nella magnifica ást V.
E’ anche vero che, in presenza di una continuità compositiva, la proposta di Bracaloni si fa sempre più ricca e composita, colma di sfumature che si possono cogliere, sotto forma di voci e rumori opportunamente processati che non appaiono mai fuori luogo, in quanto facenti parte di una quotidianità dalla quale Fallen non vuole farci evadere ma, semmai, spingerci ad apprezzarne gli aspetti più puri; anche le più piccole cose, persino quelle apparentemente insignificanti, grazie all’ást (amore in islandese) divengono tasselli utili a completare un quadro esistenziale.
Fallen veicola sentimenti che, valutati con i parametri della modernità, appartengono a tempi in cui la semplicità era una virtù e non sinonimo di banalità o di sciatteria: anche per questo ást è un’opera preziosa, da cullare e coltivare con la stessa cura ed attenzione che il musicista ha riversato nel comporla, rendendola una testimonianza musicale fulgida e a suo modo rara.

Tracklist:
1. ást I
2. ást II
3. ást III
4. ást IV
5. ást V
6. ást VI
7. ást VII
8. ást VIII

Line-up:
Fallen

FALLEN – Facebook

Death.Void.Terror. – To the Great Monolith I

To the Great Monolith I si rivela un’esperienza sonica spiazzante o devastante, a seconda di quale sia il grado di compenetrazione di ciascuno verso questo impietoso approccio musicale.

To the Great Monolith I è la prima uscita per questo misterioso progetto musicale di provenienza probabilmente elvetica denominato Death.Void.Terror.

Siamo alle prese con un lavoro che lascia ben poco spazio ad orpelli stilistici o gradevolezze assortite: quello offerto in questo frangente è un maelstrom sonoro che si dipana in forma sperimentale partendo da una base black.
Il risultato che ne scaturisce è composto da due tracce lunghissime, per un totale di circa quaranta minuti, che devono essere affrontate con il giusto spirito per poterne cogliere quanto di valido vi è contenuto.
To the Great Monolith I si rivela infatti un’esperienza sonica spiazzante o devastante, a seconda di quale sia il grado di compenetrazione di ciascuno verso questo impietoso approccio musicale.
In buona sostanza, quella offerta dai Death.Void.Terror. è la colonna sonora di un apocalisse che, probabilmente, è già in corso dal un bel pezzo mentre noi continuiamo a suonare come l’orchestrina del Titanic mentre stiamo colando definitivamente a picco.

Tracklist:
1 (——–)
2 (—-)