Disciples Of The Void – Disciples Of The Void

Un folle assalto alla civiltà nel quale siamo immersi, un escapismo di marca satanica e puramente black metal senza requie, che lascia stupiti e vogliosi di ricominciare per un debutto come non se ne sentivano da tempo.

L’offerta attuale in campo black metal è molto ampia e variegata, questo per parlare della quantità, mentre invece se esaminiamo il lato qualitativo ci si accorge che è non è altissima.

Molti gruppi fanno black metal, nato nella selvaggia Scandinavia degli anni novanta ed arrivato fino a noi e che andrà oltre le nostre esistenze, essendo un genere molto soggettivo ma fino ad un certo punto, perché la nera grandiosità si riconosce subito. Il debutto omonimo del duo finlandese Disciples Of The Void è un gran bel disco potente, maestoso grazie a venture sympho importanti. L’incedere di Disciples Of The Void è quello del grande gruppo black metal, il passo sicuro che rivolta l’ascoltatore, quella voglia di spaccare le ossa a chi si avvicina a questo suono, l’impetuosità e il talento assoluto nel cambiare tempo in men che non si dica, andando ad occupare il gradino superiore dell’aggressione. Il misterioso duo si rifà apertamente alla seconda ondata del genere e certamente quello è il punto di partenza, ma i Disciples Of The Void vanno oltre, confezionando un assalto black e sympho a tutto tondo. Non c’è un momento di tregua o di pace e, come in una caccia infernale, il tutto si svolge in maniera veloce eppure indelebile: il muro sonoro delle chitarre, della batteria, la voce ed il resto si fondono assieme come un assalto di una cavalleria pesante maledettamente diabolica. Per quanto riguarda la musica non ci sono grosse novità od innovazioni, e non sarebbe nemmeno il posto giusto per cercarli, mentre sarebbe auspicabile che ci fosse un maggior numero di album come questo in giro. Mettere assieme impeto, tecnica e forza bruta è cosa da molti gruppi, ma aggiungere a tutto ciò una dose di ottima melodia e un’impronta totalmente personale, questa non è affatto cosa da tutti e i Disciples Of The Void ci riescono benissimo.
Un folle assalto alla civiltà nel quale siamo immersi, un escapismo di marca satanica e puramente black metal senza requie, che lascia stupiti e vogliosi di ricominciare per un debutto come non se ne sentivano da tempo.

Tracklist
01. Ad Gloriam Invictus Satana
02. Dominion
03. The Apocalypse Reign
04. Enter The Void
05. Per Aspera Ad Noctum
06. The Harvest
07. The Heirs Of Wormwood
08. Choronzon
09. Home Of The Once Brave ( Bathory Cover )

DISCIPLES OF THE VOID – Facebook

Spearhead – Pacifism Is Cowardice

Pacifism Is Cowardice è un’opera estrema di buona qualità ed impatto, pur essendo destinata a rimanere confinata nell’underground metallico a uso e consumo degli amanti del genere.

La guerra diviene fonte inesauribile di ispirazione sia per i testi che per la musica, assolutamente estrema e violentissima, un death metal che alleandosi con il black affronta con crudeltà inaudita la battaglia trasformandola in una carneficina.

Stiamo parlando dei britannici Spearhead, band estrema attiva da più di dieci anni e con tre album all’attivo, prima che Pacifism Is Cowardice torni dopo un lungo silenzio a far parlare del gruppo.
Sono passati sette anni infatti dall’ultimo lavoro (Theomachia) ma la band non ha perso nulla dell’impatto che l’ha sempre contraddistinta, in virtù un sound dalla forza soprannaturale, oscuro e violentissimo, a tratti pregno di una solenne epicità estrema che lo rende un macigno di musica guerresca.
Il death metal del quartetto si ispira alla scuola statunitense, con rallentamenti ed atmosfere tipiche del Bay Area Sound per poi colpire senza pietà con tempeste di black metal che non fanno prigionieri.
La bravura del gruppo sta nel non farsi trascinare troppo dal caos sprigionato dalla battaglia, facendo in modo che le tracce abbiano una loro precisa connotazione e le atmosfere siano ben delineate in un ascolto che si fa feroce ma interessante nel seguire la band nei suoi assalti.
Ottimi i solos che nei momenti di potenza oscura e controllata si rivolgono agli amanti del death floridiano, per poi lasciare spazio ad un massacro di matrice black metal in brani come Of Sun and Steel, Degeneration Genocide e Khan.
Pacifism Is Cowardice risulta quindi un’opera estrema di buona qualità ed impatto, pur essendo destinata a rimanere confinata nell’underground metallico a uso e consumo degli amanti del genere.

Tracklist
1. Duellorum
2. Of Sun and Steel
3. Ajativada
4. Wolves of the Krypteia, We
5. Violence Revolt Ruination
6. Hyperanthropos
7. Degeneration Genocide
8. The Elysian Ideal
9. A Monarch to Rats
10. Khan
11. Aion (Two Keys and a Lion’s Face)
12. Aftermath

Line-up
Barghest – Bass, Vocals
Invictus – Guitars
Typhon – Drums
Praetorian – Lead Guitars

SPEARHEAD – Facebook

Ahnengrab – Schattenseiten

Un’opera che parte dal black metal e arriva in molti posti diversi, una rivelazione per chi non li conoscesse ancora, e una grande riconferma per chi li segue da tempo.

I tedeschi Ahnengrab sono al loro terzo disco, la direzione è quella del pagan black metal, con una forte dose di atmospheric e molta melodia.

La miscela musicale di questa band è molto difficile da trovare declinata in questa maniera. Il loro punto di partenza è un black pagano, ma c’è tantissima melodia e soprattutto uno sviluppo assai inusuale delle canzoni, molto al di sopra della media dei gruppi coinvolti nel genere. La questione centrale non è però tanto la qualità quanto la diversità di questo gruppo. I testi in tedesco rendono ancora più corposa ed originale la loro proposta. Ascoltando il disco si viene guidati dal sentimento e non da creazioni musicali artificiose. Ci sono grandi cavalcate che hanno insito il cuore dell’heavy power, momenti di grandioso headbanging, i classici massacri in crescendo del black metal, le stimmate del pagan e anche dei tocchi di folk. Insomma, ci sono moltissime cose per un lavoro che sa emozionare e lascia l’ascoltatore con la voglia di sentirlo ancora. I gruppi come Ahnengrab sono sempre più rari, poiché fluttuano in diversi mondi musicali e si assumono l’alto rischio di non piacere a chi si limita ad un solo genere, privandosi del piacere che può dare un disco come questo. Tutto qui è metal, si usano vari registri per arrivare a narrare storie in una certa maniera, quel modo assai caro a chi legge una webzine come questa, che potrà trovare in Schattenseiten un’autentica rivelazione. Ogni canzone fa genere e storia a sé, poiché racconta una storia diversa e le storie sono come gli uomini, ognuno è differente, è ciò che è. Un’opera che parte dal black metal e arriva in molti posti diversi, una rivelazione per chi non li conoscesse ancora e una grande riconferma per chi li segue da tempo. Sapienza compositiva superiore, grande resa e un suono fuori dal comune.

Tracklist
01. Aurora
02. Katharsis
03. K-37c
04. Phoenicis
05. Rad der Zeit
06. Herbstbeginn
07. Urknall
08. Des Weltenend’ Melancholie
09. …When Paths Separate
10. Sternenmeer

Line-up
Christoph H. – Guitar
Tom W. – Drums
Tom J. – Bass
Tibor C. – Guitar
Christoph “Fenris” L. – vocals

AHNENGRAB – Facebook

Morte Incandescente – …Somos o Fogo do teu Inferno

…Somos o Fogo do teu Inferno è un altro tassello della lunga storia di una band avulsa da ogni idea di schema commerciale, volta esclusivamente ad offrire il proprio black metal abrasivo e genuino.

I Morte Incandescente sono una delle realtà più longeve della fenomenale scena black metal portoghese.

In questi ultimi anni abbiano parlato di diverse band provenienti dalla terra lusitana, tutte capaci di interpretare il genere con una forza ed una convinzione degna di suoi esordi in terra scandinava.
Il duo della capitale, composto da musicisti attivi in numerose altre band, offre poco più di un quarto d’ora di black primordiale racchiuso nel sempre più diffuso ed apprezzato formato in cassetta a cura della War Arts Productions.
Il suono dei Morte Incandescente è grezzo, diretto, privo sostanzialmente di accenni melodici e di contraffazioni, e l’uso della lingua madre tende ancor più l’idea d’essere al cospetto di una band che trova la sua ragione d’essere nelle radici della sua terra e in quelle del genere.
Ma non è solo furia cieca quella che i nostri riversano sul’ascoltatore, perché nei primi due ottimi brani, Penumbra da Realidade e Abandonado, i ritmi sono parossistici solo a sprazzi e in seguito viene trovato il tempo per un episodio sghembo e grottesco come Poema em Branco e la sfuriata punkeggiante di Canção do Caixão.
…Somos o Fogo do teu Inferno è un altro tassello della lunga storia di una band avulsa da ogni idea di schema commerciale, volta esclusivamente ad offrire il proprio black metal abrasivo e genuino.

01 – Penumbra da Realidade
02 – Abandonado
03 – Poema em Branco
04 – Canção do Caixão

Line-up:
Vulturius – Vocals, Bass, Guitars
Nocturnus Horrendus – Vocals, Guitars, Bass, Drums

MORTE INCANDESCENTE – Facebook

Blurr Thrower – Les avatars du vide

Come primo passo Les avatars du vide si rivela un qualcosa di solido e convincente per i Blurr Thrower, perché il solo fatto di mantenere alto il livello dell’attenzione dell’ascolatore con una formula non troppo usuale è di per sé un indicatore importante del valore di questo gruppo (o one man band che sia).

I Blurr Thrower sono una misteriosa entità parigina all’esordio con questi ep composto da due lunghissimi brani.
Il contenuto del lavoro si dimostra fin da subito tutt’altro che banale nel suo snodarsi in un black metal atmosferico ma decisamente inquieto e ben poco prevedibile, tra pulsioni post e ambient.

Non stupisce del resto il fatto che la band in questione sia transalpina, considerata la costante obliquità dell’approccio al genere da quelle parti: nel caso in questione, però, talvolta i Blurr Thrower paiono trarre linfa anche dalla scuola nordamericana in quota cascadiana.
Tutto questo rende Par-Delà les Aubes e Silences due episodi che, nonostante la considerevole lunghezza (diciotto minuti di media), scorrono in maniera mirabilmente fluida nonostante nulla venga fatto per rendere il sound più ammiccante.
Les avatars du vide è un’opera che mantiene un fondo malinconico, in quanto non tocca gli apici di disperazione del depressive e nemmeno si concede a melodie di agevole fruizione: chi ha composto questo disco ha saputo dosare molto bene le varie componenti, ora amalgamandole ora alternandole creando soprattutto nei momenti più rarefatti la giusta tensione prima di esplodere in prorompenti cavalcate.
I due brani differiscono di poco ma quanto basta per fornire loro una forma più delineata, con Par-Delà les Aubes più complessa e tormentata e Silences invece strutturata in maniera più nervosa e a suo modo aggressiva al netto dei deu minuti e mezzo d break centrale.
Come primo passo Les avatars du vide si rivela un qualcosa di solido e convincente per i Blurr Thrower, perché il solo fatto di mantenere alto il livello dell’attenzione dell’ascolatore con una formula non troppo usuale è di per sé un indicatore importante del valore di questo gruppo (o one man band che sia), il cui nome è bene che venga tenuto in debita considerazione in prospettiva futura.

Tracklist:
1. Par-Delà les Aubes
2. Silences

The Order Of Apollyon – Moriah

Se la base di partenza possono essere i Behemoth dello scorso decennio, il tutto viene pervaso da quell’idea obliqua di metal estremo che è caratteristica delle band francesi: quello che ne scaturisce è un album di grande spessore, forse non particolarmente originale, ma trascinante dalla prima all’ultima nota.

Moriah è il terzo full length per i The Order Of Apollyon, band nata alla fine dello scorso decennio con una configurazione transnazionale ma, oggi, al 100% composta da musicisti francesi guidati dal fondatore BST (Sébastien Tuvi), conosciuto per la sua passata militanza negli Aosoth e quella attuale nei notevoli VI.

Assieme a musicisti gravitanti nell’area di band già abbastanza note nella scena estrema transalpina, come Temple Of Baal, Merrimack e Decline Of The I, BST mette in campo un’interpretazione impeccabile del black death, riuscendo a conferire ad Ogni brano una sua fisionomia melodica pure senza far mai scemare la potenza di fuoco del sound.
Se la base di partenza possono essere i Behemoth dello scorso decennio, il tutto viene pervaso da quell’idea obliqua di metal estremo che è caratteristica delle band francesi: quello che ne scaturisce è un album di grande spessore, forse non particolarmente originale, ma trascinante dalla prima all’ultima nota, in virtù di una fruibilità che sembrerebbe a prima vista cozzare con la ferocia esibita e con l’incessante ringhio del leader.
Moriah trova pace solo a tratti, quando qualche attimo di tregua fa capolino nell’incipit di The Lies Of Moriah e Soldat, ma per la sua totalità i The Order Of Apollyon infliggono all’ascoltatore una gragnuola di colpi mortali che sfiorano il death più tetragono in Rites Of The Immolator, per poi aprirsi alla maggiore penetrazione di un brano magnifico come Grey Father, seguito dall’altrettanto efficace The Cradle, melodicamente irresistibile nella sua seconda parte, e da una The Original Cries Of Jerusalem che richiama i Rotting Christ più corrosivi.
Quello che si perde in varietà stilistica viene riacquistato con gli interessi grazie alla veemenza immessa sul piatto da un gruppo capace di manipolare con naturalezza ed efficacia sonorità che, altrimenti, avrebbero rischiato di trasformarsi un invalicabile muro di riff.
Moriah non ci consegna una band capace di riscrivere la storia del genere ma certo è che l’ascolto di album cosi ben costruiti ed eseguiti non deve mai apparire un qualcosa di scontato e, a tutto questo, va aggiunta una buona capacità di sintesi che spinge il quartetto a perseguire uno stile molto più diretto rispetto a quanto fatto dai singoli musicisti all’interno di alcune delle loro altre band.
Una bella sferzata di ragionata violenza che assunta a intervalli regolari non può che migliorare l’umore.

Tracklist:
1. The Lies Of Moriah
2. Rites Of The Immolator
3. Grey Father
4. The Cradle
5. The Original Cries Of Jerusalem
6. Trident Of Flesh
7. Soldat
8. A Monument

Line-up:
B.S.T. – Vocals, Guitars
S.K. – Drums
S.R. – Guitars, Vocals
A.K. – Bass, Vocals

THE ORDER OF APOLLYON – Facebook

Dewfall – Hermeticus

Hermeticus è un album riuscito ma che, al contempo, è propedeutico ad un ulteriore salto di qualità, specialmente se l’attività della band dovesse svilupparsi con maggiore frequenza e regolarità, considerato che la base di ripartenza è collocata già piuttosto in alto.

Dopo un silenzio piuttosto lungo tornano i baresi Dewfall con il loro black death davvero ricco di spunti di interesse e tutt’altro che appiattito sulle posizioni più confortevoli del genere.

La band pugliese offre un album che ha il grande pregio di non risentire troppo della sua lunghezza, in virtù di un sound cangiante senza scadere nella dispersività; a tale riguardo si rivela giustamente esemplificativo il brano d’apertura The Abomination Throne, nel corso del quale vengono esibite tutte le armi a disposizione, a partire da un approccio tecnico che concede il giusto spazio a passaggi solisti di grande pregio per finire con ampie aperture melodiche, anche con l’utilizzo di ottime clean vocals, passando per qualche dissonanza che riporta all’evoluzione del sound che ha coinvolto protagonisti iniziali della scena black come Ihsahn o gli Enslaved.
Se la successiva canzone Murex Hermetica conferma appieno le doti esibite nella precedente taccia, Monolithic Dome e Apud Portam Ferream sono decisamente validi episodi ma in qualche modo più canonici e meno penetranti, mentre The Eternal Flame of Athanor gode di un magnifico lavoro chitarristico che fa veleggiare il brano verso un coinvolgente finale intriso di robusta epicità.
Moondagger, The Course to Malkuth e Apostasy of Hopes mantengono il lavoro su livelli analoghi, anche grazie agli spunti della chitarra solista che intervengono a spezzare trame che, in questi ultimi brani, perdono un pizzico di incisività e se proprio si vuole fare un appunto ai Dewfall è proprio quello d’aver proposto una scaletta che vede i suoi picchi nella parte iniziale, anche se non si può certo dire che le tracce conclusive non siano l’altezza della situazione.
Del resto mantenere elevata la tensione per oltre cinquanta minuti non è banale, ma la cosa ai Dewfall riesce con buona continuità, anche perché i musicisti coinvolti si rendono protagonisti di una prova notevole, con menzione d’obbligo per il lavoro di Flavio Paterno alla chitarra, capace di ricavare importanti sbocchi melodici ad un sound spesso molto abrasivo con splendide fiammate soliste.
Hermeticus è un album riuscito ma che, al contempo, è propedeutico ad un ulteriore salto di qualità, specialmente se l’attività della band dovesse svilupparsi con maggiore frequenza e regolarità, considerato che la base di ripartenza è collocata già piuttosto in alto.

Tracklist:
1. The Abomination Throne
2. Murex Hermetica
3. Monolithic Dome
4. Apud Portam Ferream
5. The Eternal Flame of Athanor
6. Moondagger
7. The Course to Malkuth
8. Apostasy of Hopes

Line-up:
Flavio Paterno – Guitars (2003-present)
Saverio Fiore – Bass (2011-present)
Vittorio Bilanzuolo – Vocals (2011-present)
Antonio “Eversor” Lacoppola – Drums (2016-present)

DEWFALL – Facebook

Elegiac – Pagan Storm

Se fossimo al cospetto di una band alle primissime uscite, un disco come Pagan Storm potrebbe essere considerato un’interessante tappa di consolidamento, ma per un progetto solista dalla discografia così ampia permane il dubbio che i margini di miglioramento non siano poi moltissimi, al netto degli inevitabili alti e bassi ai quali sono soggetti i musicisti estremi dalla prolificità ben al si sopra della media.

Elegiac è il monicker di questa one man band statunitense che, negli ultimi cinque anni, ha invaso il mercato con numerosi split album ed ep oltre a cinque full length, dei quali l’ultimo è questo Pagan Storm del quale andremo a parlare.

Nonostante le citate caratteristiche indirizzino verso un progetto piuttosto dispersivo, va detto che l’impatto che il buon Zane Young immette nel suo black metal è tutt’altro che trascurabile.
A parte l’incipit da sanatorio, con colpi di tosse e scatarrate assortite, la prima traccia Rituals of War si dipana in maniera ficcante, ma non abbastanza per lasciare il segno, mentre già la successiva Allegiance and Honor offre un’interpretazione del genere più cupa e non priva di una sua idea melodica, prima di inarcarsi in un tetragono finale di matrice death.
Il meglio del lavoro, in effetti, arriva quando i ritmi di attestano sul mid tempo come avviene in Somber Morning, anche se la furia ottundente di un brano come Golden Fires of Victory ha effetti piuttosto urticanti.
Il buon impatto ritmico della title track e l’interessante discontinuità stilistica, tra accenni doom e folk, che affiora a tratti nella conclusiva Ancient Spirit sono altri elementi che vanno a costruire un quadro non disprezzabile per la convinzione e la ferocia che Zane immette in ogni singola nota.
La mancanza di una certa sintesi, prevedibile in un simile soggetto, peraltro coinvolto come se non bastasse in numerose altre band, impatta comunque sulla fruizione di un album che, scremato di alcuni episodi (uno su tutti lo sconclusionato Through) avrebbe potuto incidere maggiormente.
In certi passaggi dell’album, peraltro, sembra di ascoltare una versione molto più cruda e altrettanto meno curata dei Forgotten Tomb attuali, e questo di per sé non può essere affatto un male anche se rispetto a certi livelli il solco da colmare appare ancora molto profondo.
Se fossimo al cospetto di una band alle primissime uscite, un disco come Pagan Storm potrebbe essere considerato un’interessante tappa di consolidamento, ma per un progetto solista dalla discografia così ampia permane il dubbio che i margini di miglioramento non siano poi moltissimi, al netto degli inevitabili alti e bassi ai quali sono soggetti i musicisti estremi dalla prolificità ben al si sopra della media.

Tracklist:
1. Rituals of War
2. Allegiance and Honor
3. Somber Morning
4. Through Ancient Eyes
5. Purity of Winter
6. Golden Fires of Victory
7. Pagan Storm
8. Ancient Spirit

Line-up:
Zane Young – Everything

ELEGIAC – Facebook

Slugdge – Esoteric Malacology

Cover straniante e titolo misterioso ci fanno scoprire un duo albionico,capace di sfregiare la materia death con mille influenze,per un risultato vibrante e multiforme.

Il circuito underground, lo sappiamo, è infinito e inarrestabile nelle sue uscite e chiaramente è impossibile riuscire a dragarlo sempre con efficacia e piacere; fino a qualche tempo fa non sapevo neanche dell’ esistenza di questo gruppo, ora un duo, che ci propone con il suo quarto album un incendiario death miscelato con sludge, qualcosa di black e mille altre influenze.

Poco più che trentenni, i due musicisti dimostrano una notevole preparazione tecnica e una ispirazione di livello superiore che copre interamente gli abbondanti cinquanta minuti del nuovo Esoteric Malacology dedito alla celebrazione della malacologia (ramo della zoologia che studia la vita dei molluschi); un lato ironico e divertente è presente anche nei titoli del platter, ma la musica che ne fuoriesce dimostra invece una potenza e fluidità invidiabile. L’attacco killer di War Squids è vibrante, dimostra una notevole tecnica sempre al servizio di un suono che fuoriesce fluido ed entusiasmante, per un brano che rappresenta nel suo sviluppo cangiante un perfetto opener per un disco che svelerà nel corso dei brani di essere abbastanza imprevedibile. Un gusto melodico particolare caratterizza ogni brano, mantenendo sempre alta la tensione, gli intrecci chitarristici sono martellanti e complessi, il “core” è sempre death ma circondato e ampliato da molteplici influenze che si amalgamano senza forzature. Le note di basso insinuanti e ipnotiche di Crop Killer ci ricordano a quanto fatto da Les Claypool con i suoi Primus, le vocals in alternanza con il growl danno un fascino misterioso al brano che si dimostra avventuroso e dal grande impatto. Veramente non si sa cosa aspettarsi di brano in brano, gli ingredienti sono noti ma la grande fluidità con cui sono usati è sempre al servizio di songs compatte, inarrestabili e coinvolgenti. Tecnica ai massimi livelli, riff ora cerebrali ora più viscerali costruiscono brani di tech prog death impattanti come The Spectral Burrows. Fiumi in piena come Slave Goo World ci trascinano in gorghi caotici, dove non si riesce a respirare, mentre la ritmica martellante e precisa si conficca nei nostri gangli neuronali fino a sfibrarli. Otto brani lunghi nei quali la band, di origine albionica, non teme cali di ispirazione e riesce con veemenza e precisione a definire il proprio suono; la splendida e misteriosa Salt Thrower con il suo andamento appena più pacato sublima l’essenza del loro suono, immergendosi in territori sognanti prima di esplodere in intricati passaggi strumentali. Opera notevole e meritevole di attenzione anche recuperando The Cosmic Cornucopia, box contenente le tre precedenti opere.

Tracklist
1. War Squids
2. Crop Killer
3. The Spectral Burrows
4. Slave Goo World
5. Transilvanian Fungus
6. Putrid Fairytale
7. Salt Thrower
8. Limo Vincit Omnia

Line-up
Kev Pearson – Guitars
Matt Moss – Vocals

SLUGDGE – Facebook

Piah Mater – The Wandering Daughter

The Wandering Daughter si specchia nelle marcate influenze del gruppo che però sa come emozionare l’ascoltatore, con cascate di note progressive che passano dal metal estremo di marca death/black a lunghe parti atmosferiche, colorate di quelle oscure sfumature dark che i Piah Mater sanno ricamare.

I progsters brasiliani Piah Mater licenziano il loro secondo lavoro, altro splendido esempio di metal estremo progressivo sulla scia di quanto hanno fatto a suo tempo gli Opeth, specialmente nella prima fase della loro carriera.

Un’influenza scomoda quella della band di Mikael Akerfeldt, anche perché il terzetto verdeoro non fa nulla per nascondere la sua totale devozione per il gruppo svedese, dettaglio che per molti sarà sicuramente un limite, superato comunque dalla bellezza di questi sei brani che compongono The Wandering Daughter.
Il gruppo capitanato dal cantante, bassista e chitarrista Liuz Felipe Netto, con Igor Meira alla chitarra e Kalki Avatara alla batteria, regala un successore a Memories Of Inexistence uscito quattro anni fa, un altro lavoro di death/black metal progressivo e dalle atmosfere post rock, intrise di melanconiche sfumature dark, magari fin troppo dipendente dal sound della storica band scandinava, ma in grado di risvegliare emozioni sopite agli amanti del genere.
L’album nel suo piccolo farà discutere, specialmente chi deciderà di non premiare l’alta qualità delle composizioni a causa di una scarsa originalità che a mio parere non inficia la bellezza dell’opera nel suo insieme.
The Wandering Daughter si specchia nelle marcate influenze del gruppo che però sa come emozionare l’ascoltatore, con cascate di note progressive che passano dal metal estremo di marca death/black a lunghe parti atmosferiche, colorate di quelle oscure sfumature dark che i Piah Mater sanno ricamare.
Sei lunghi brani per quasi un’ora di musica, un ottimo uso della voce pulita (dettaglio non così scontato) e almeno tre brani che risultano delle jam prog/death di assoluto valore (Solace In Oblivion, Earthbound Ruins e la conclusiva The Meek’s Inheritance), fanno di The Wandering Daughter un album imperdibile per i fans degli Opeth e per chi non si ferma davanti al superabilissimo ostacolo della poca originalità.

Tracklist
1.Hyster
2.Solace in Oblivion
3.Sprung From Weakness
4.The Sky is Our Shelter
5.Earthbound Ruins
6.The Meek’s Inheritance

Line-up
Igor Meira – Guitars
Luiz Felipe Netto – Vocals, Guitars, Bass, Programming
Kalki Avatara – Drums

PIAH MATER – Facebook

Dødsferd – Diseased Remnants of a Dying World

Diseased Remnants of a Dying World finisce per risultare in lavoro decisamente gradevole, tra momenti di grande spessore, con intuizioni melodiche non banali, ed altri non disprezzabili ma molto meno incisivi.

I Dødsferd sono una band tra le più esperte nonché prolifiche della scena black ellenica.

Nel corso di una carriera iniziata nei primi anni del secolo, il gruppo, sempre guidato dal fondatore Wrath, ha cercato di esplorare le diverse sfaccettature del genere con risultati alterni e in fondo questi decimo full length è a suo modo l’emblema dell’attuale status dei Dødsferd, in costante bilico tra i canoni del genere e pulsioni post rock e post metal:
la varietà stilistica non sempre paga gli stessi dividendi perché spesso, a fronte di una gradita imprevedibilità, finisce per emergere a tratti un senso di frammentarietà.
Al riguardo, un ottimo brano come la title track sembra quasi essere un episodio a sé stante, pur ricollegabile comunque alla sognante opener My Father, My Wrath! più che al diretto black di An Existence Without Purpose  e agli spunti depressive di Loyal to the Black Oath, per non parlare della disturbante ambient della conclusiva Back to My Homeland… My Last Breath.
Alla luce di tutto questo, Diseased Remnants of a Dying World finisce per risultare in lavoro decisamente gradevole, tra momenti di grande spessore, con intuizioni melodiche non banali, ed altri non disprezzabili ma molto meno incisivi.
Non ci sarebbe niente di male se tutto ciò fosse offerto da una band di conio più recente, ma il fatto che un un gruppo di tale esperienza dia la sensazione d’essere ancora alla ricerca di una fisionomia più definita qualche perplessità finisce per lasciarla.

Tracklist:
1. My Father, My Wrath!
2. An Existence Without Purpose
3. Diseased Remnants of a Dying World
4. Loyal to the Black Oath
5. Back to My Homeland… My Last Breath

Line-up:
Wrath – All vocals, rhythm and lead guitars
Neptunus – Bass
Setesh – Rhythm and lead guitars, solos, acoustic guitar

DODSFERD – Facebook

Vetrarnott – Scion

Scion è una prova molto convincente per una band che ha operato una scelta importante in maniera consapevole e ci riserverà ancora black metal di ottima fattura sui miti italici, per cui speriamo presto di avere un nuovo disco sulla lunga distanza dei Vetrarnott.

Black metal classico e molto ben suonato per gli italiani Vetrarnott.

Questo ep è stato concepito come omaggio alla scena black metal del nord Europa, sia della prima che della seconda ondata. Inoltre il disco è anche una descrizione musicale della storia mitica dei tre figli di Loki e Angrboða. Quest’ultima era una gigantessa, il cui nome significa colei che porta tristezza, che si unì con Loki, nato dall’unione di un gigante e di una gigantessa: dalla loro unione nacque il lupo Fenrir, che avrà un ruolo importante nel Ragnarok, il dies irae nordico. Scion, tra le altre cose, significa anche discendente di una nobile stirpe. Infatti i Vetrarnott sono tre musicisti che hanno inciso tre canzoni di black metal come altrettanti omaggi al black metal e alla cultura nordica perché, come dice il fondatore Gar Ulfr, questo ep segna un passaggio molto importante nella storia del gruppo in quanto segna il distacco dai temi nordici per arrivare a cantare dei miti italici, come nella quarta canzone, la bonus track La Voce Degli Dei. Questa canzone è è un ottimo inizio per la nuova fase del gruppo e il cantato nella nostra lingua valorizza ulteriormente il valido black metal del gruppo pugliese. L’ep Scion è un’ottima prova per una band che ci propone musica di ottima fattura, con dichiarata preferenza per il black scandinavo, specialmente quello della seconda ondata. Tutto è molto intelligibile e fatto con ottime scelte, troviamo anche momenti meno veloci che sono utili per rafforzare ulteriormente una struttura già buona. I Vetrarnott sono uno di quei non comunissimi gruppi che hanno compenetrato alla perfezione la materia, ovvero sono riusciti a cogliere il lato più musicale e creativo del black, e ne hanno tratto una versione tutta loro e molto originale, che qui giunge al massimo compimento. Anche con l’uso dell’inglese il risultato è ovviamente molto buono. Una delle peculiarità del gruppo è un incedere sì violento e deciso, che è però al contempo anche sognante ed arioso. Scion è una prova molto convincente per una band che ha operato una scelta importante in maniera consapevole e ci riserverà ancora black metal di ottima fattura sui miti italici, per cui speriamo presto di avere un nuovo disco sulla lunga distanza dei Vetrarnott.

Tracklist
1.The Tide
2.Unbound
3.Helvegr
4. La Voce Degli Dei (bonus track)

Line-up
Gar Ulf – Vocals, Bass, Keys, Programming
Valar – Lead & Solo Guitars
Osculum – Rhythm & Acoustic Guitars
Ambrogio L – Live Drums

VETRARNOTT – Facebook

Xibalba Itzaes – Ah Tza Xibalba Itzaes

Se si ama il black metal non si potrà che essere contenti di questo ritorno e di questo disco che farà la gioia di chi ama quel ramo del genere che potrà anche essere definito semplice, ma che è ugualmente di grande bellezza.

Si sono fatti attendere ventiquattro e sono una delle prime band di black metal che fa riferimento alla natia cultura Maya: sì sono tornati i Xibalba Itzaes.

Loro sono messicani di passaporto, ma sono Maya nel cuore e nei fatti, dato che tutti loro testi vertono sulla quella grande cultura. Questo è appena il loro secondo disco sulla lunga distanza , dopo quello pubblicato nel 1994, chiamato Ah Dzam Poop Ek, che li aveva imposti all’attenzione della scena black mondiale. I nostri furono fra i propugnatori della scena black aztec maya metal in Messico e non solo: ora vi sono diversi gruppi in giro che si rifanno a quell’immaginario ed alcune si sono anche alleate fra di loro, ma nel 1994 anche in Europa il black metal muoveva i primi passi, tanto per far capire l’importanza di questo gruppo. Questo disco inedito segue la ristampa del debutto e di altro materiale da parte della Nuclear War Now! Productions che ha avuto il grande merito di rimetterlo in pista. Valeva davvero la pena attendere il ritorno di questo gruppo e del suo black metal molto vicino a quello degli esordi, dai suoni molto ortodossi ed influenzati in maniera importante dallo speed. Il cantato è abbastanza pulito, non ci sono growl, le chitarre viaggiano spedite senza essere pesantemente distorte, la batteria è molto vecchia scuola come il basso. Il risultato è un disco black metal molto bello e assai godibile, che riporta indietro negli anni, per una formula che è abbastanza ovvia ma mai facile da riproporre. Ah Tza Xibalba Itzaes è un lavoro ben fatto e suonato da persone che credono fermamente in ciò che fanno, ha un grandioso suono vecchia scuola ed indugiano sulla giusta narrazione, dando spazio ad un certo immaginario di sangue interessante e ben costruito. Se si ama il black metal non si potrà che essere contenti di questo ritorno e di questo disco che farà la gioia di chi ama quel ramo del genere che potrà anche essere definito semplice, ma che è ugualmente di grande bellezza.

Tracklist
01 Ah Tza!
02 Intro All Hail Chaac
03 All Hail Chaac
04 Rituals in the Sun
05 Throughout the Equinox
06 The Storm of Giaia
07 Nine Steps Below
08 Dawn of Endless Horrors
09 Ekab
10 The Owl
11 Ah Tza Xibalba Itzaes
12 Katun II (The First Chronicle)

Line-up
Marco Ek-Balam – Guitar & Vocals
Vic EkXibChac – Bass Guitar
Jorge Ah-Ektenel – Drums

XIBALBA ITZAES – Facebook

ACHERONTE – SON OF NO GOD

Con questo secondo album, uscito per l’etichetta ucraina Grimm Distribution, il quartetto marchigiano conferma quanto di buono già espresso con le produzioni precedenti. Un ottimo lavoro, completo, maturo e mai banale.

La mitologia greca o romana, da sempre, ha influenzato il Black Metal della Fascia Mediterranea. Non fanno eccezione i marchigiani Acheronte (un nome, una garanzia) che, attraverso questo loro ultimo sforzo (il secondo full-length dopo già un demo, un mini cd e due split all’attivo) ci traghettano, quasi impersonificando Caronte stesso, nell’Ade del Black Metal.

Il viaggio dura poco più di 45 minuti, attraverso 6 tracce di puro odio antico, avviluppandoci tra le fiamme dell’Inferno, in un viaggio musicale devastante. Non stiamo navigando per quel ramo del Lago di Como, ma percorriamo il fiume del dolore (come lo definivano gli antichi greci), il ramo del fiume Stige, unica via verso gli Inferi più profondi. Il viaggio sul fiume che dissetò i Titani (scatenandone l’ira di Zeus, che lo maledì), non poteva che avere una colonna sonora tetra, nera, oscura, stigia appunto.
Immersi nel Chaos abissale, gorgogliante oscenità e blasfemie, per via del messaggero (nonché cantante…) Lord Baal (all’anagrafe Mario Sgattoni, abile orditore di parti vocali e maestro nell’arte alchemica del miscellaneo scream/growl), percorriamo in sei lunghe tappe il nostro pellegrinaggio, verso la destinazione che segnerà la fine della vita per come la intendiamo noi, attraversando il confine tra il mondo dei vivi e il mondo e gli Inferi, verso il nostro destino di dannazione eterna.
Il nostro viaggio verso l’Oltretomba non sarà silenzioso. Come nei migliori film horror, il soundtrack dovrà esserne all’altezza, e pertanto quanto proposto dai Nostri dovrà, per forza di cose, prepararci agli eterni dolori e alle infinite sofferenze, che ci riserveranno gli Inferi. Il desolante Black Metal degli Acheronte pertanto, rende ancor più angosciante il nostro conosciuto destino, consapevoli che la musica qui, non vuole allietarne il viaggio, bensì renderlo ancor più disperato e ricolmo di afflizione e tormento.
Ma noi ne siamo coscienti. Anzi, è proprio quanto ci donano i quattro ragazzi di San Benedetto del Tronto, a darci forza, attraverso un Black Metal ottimamente suonato, sì classico, ma mai assolutamente monotono e scontato. Molti cambi di tempo denotano, fin da subito, buone capacità tecniche e non indifferenti attitudini creative. Brani come Heralds of Antichrist e Babylon Unholy Hammer sono un inno all’anti-cristianità e a malvagi Dei Antichi; brani ben studiati, capaci di irrompere nei nostri padiglioni auricolari, grazie ad un blast beat ciclico, tipico del genere, ma mai caotico od improvvisato. Accelerazioni improvvise, travolgenti, grazie alla furia cieca (ma non sorda…) di Bestia, ossia Marco Del Pastro, che ha scelto un monicker adatto alle sue belluine attitudini musicali; come in Trascendental Will e nella title track, dove un drumming feroce, ma incapace di avvilupparsi su se stesso, ed invece sapientemente abile a dettare i ritmi ai pezzi, dialogando meravigliosamente con Phobos (Luigi Biondi, abile manipolatore della sei corde) e con A.T. La Morte (bass player – alias Adamo Tirabassi), riesce a rendere ogni traccia differente, meravigliosamente discorde, una dall’altra. E così, l’album piacevolmente scivola via, verso l’ultima traccia, Fall of Perfection. Dodici minuti (e venticinque secondi) di cadenzati ritmi, velocità sostenute, ossessive ciclicità, in una delle più classiche forme di traditional blast, che ci coinvolgono totalmente, dimentichi che allo scoccare del ventiseiesimo secondo, saremo giunti infine, alle porte degli Inferi. D’altronde Caronte ci aveva avvertiti : “Non sperate mai più di rivedere il cielo. Io vi porto sull’altra riva nel buio eterno, nel fuoco o nel gelo“.

Tracklist
1. Heralds of Antichrist
2. Four Beasts
3. Babylon Unholy Hammer
4. Trascendental Will
5. Son of No God
6. Fall of Perfection

Line-up
Phobos – Guitars
Lord Baal – Vocals
A. T. La Morte – Bass
Bestia – Drums

ACHERONTE – Facebook

Svartidauði – Revelations of the Red Sword

Gli Svartidauði, con il loro secondo disco, ci portano in oscuri regni dove la dissonanza si incontra con morbose e visionarie melodie offrendoci un superbo ed evocativo affresco del suono islandese.

Era molto attesa, dopo sei anni da Flesh Cathedral, la seconda prova sulla lunga distanza per gli islandesi Svartidauði i quali avevano il compito, ove mai ce ne fosse stato bisogno, di dimostrare la cristallina purezza del black espresso nell’isola medio atlantica.

A quelle latitudini prospera una scena molto viva e ricca di fermento anche nel 2018, con il nuovo e splendido disco dei Carpe Noctem, a cui si aggiunge Revelations of the Red Sword, titolo assai evocativo, con marcati riferimenti alla potenza del Sole, inteso come la maggior forza creativa e distruttiva al di sopra del mondo. Sei brani con i quali la band esplora vividamente reconditi angoli oscuri del suono black, distillando note dissonanti all’interno di episodi perfettamente compiuti, tesi, vibranti, articolati e spesso asfissianti; rispetto al disco d’esordio del 2012 i musicisti hanno allargato le maglie sonore dei loro brani, miscelando un gusto melodico fortemente visionario, mantenendo comunque una carnalità data dalla forza interpretativa e sonora. In Flesh Cathedral i suoni erano più monolitici e ripetitivi, creando un’ atmosfera angosciante e opprimente, mentre nella nuova opera il percorso musicale offre una maggiore varietà, non tralasciando comunque gli ingredienti primari del loro suono, una texture chitarristica densa e impenetrabile ma con una anima melodica matura e visionaria. Lo splendido lavoro di mixaggio ad opera di un altro grande musicista Stephen Lockhart (nel 2017 rilasciò come Rebirth of Nefast il fantasmagorico Tabernaculum) rappresenta un ulteriore valore aggiunto ad un opera che penetra lentamente sottopelle; l’intro strumentale di Wolves of a Red Sun lascia stupefatti per intensità e atmosfera, con il suo dilaniante chitarrismo prima di esplodere in un feroce suono black dissonante e “caotico”. Sono passati sei anni dal debutto e la band ha continuato a maturare il proprio suono, attraverso tre EP che li ha portati a un risultato veramente magnifico, in cui il suono dissonante, tipico di un certo black, è sviscerato ed è capace di creare brani affascinanti e morbosi, come la commovente Reveries of Conflagration (…I’m the the flame that burns in the heart of every man…) o Aureum Lux, undici minuti lenti, meditativi, che inesorabilmente si liquefano a contatto dei raggi solari. Ultimo grande lascito di un 2018 ricco di ottime uscite.

Tracklist
1. Sol Ascending
2. Burning Worlds of Excrement
3. The Howling Cynocephali
4. Wolves of a Red Sun
5. Reveries of Conflagration
6. Aureum Lux

Line-up
Magnús – Drums
Þórir – Guitars
Sturla Viðar – Vocals, Bass

SVARTIDAUDI – Facebook

Duirvir – Endless Graves, Endless Memories

Il disco è una puntata notevole dell’eterno raccontare della vita e della morte, di come siamo cenere portata via dal vento, mentre viviamo per un ricordo, per un attimo che brucia in fretta.

I Duirvir sono di Udine, e sono nati nell’estate del 2011 da un’idea dei due chitarristi Iskhathron e Ithydvea.

Il gruppo nacque inizialmente come progetto di melodic death meta sulla scia di gruppi come gli Amon Amarth, e in seguito il progetto è evoluto in maniera costante, fino ad arrivare ad un post black metal, che è la punta dell’iceberg, perché sotto ci sono molte meraviglie. Come tanti musicisti di talento ed evoluti, i Duirvir hanno intrapreso un sentiero sconosciuto che passo dopo passo è mutato ed è arrivato ad essere ciò che ci presentano in questo bel debutto sulla lunga distanza. Il cambio avviene con il primo demo Duir del 2013, dove le istanze post black, atmospheric black e doom vedono la luce in maniera compiuta per poi realizzarsi nell’ep Idho del 2014, che permette loro di suonare anche in festival prestigiosi. Una domanda lecita che potrebbe essere fatta da un ascoltatore attento è la seguente: cosa hanno i Duirvir di diverso rispetto ai tanti gruppi atmospheric e post black? Una breve risposta potrebbe essere che la musica della band udinese ha un sapore diverso, un incedere molto più black nel tipo di composizione e nella resa. La risposta più lunga e molto più compiuta sono le cinque tracce e i quasi trenta minuti di Endless Graves, Endless Memories, un disco che va assaporato lentamente, come una giornata di neve lenta, dove si guarda fuori dalla finestra o camminando sulla neve fresca, in quel silenzio carico di rumori soffusi. L’atmosfera creata dai Duirvir è notevole e molto ben strutturata, si sente subito che il gruppo ha qualcosa in più, e lo sviluppo del disco è pieno di episodi notevoli, di momenti malinconici e dolci, di carezze struggenti e graffi rabbiosi, di slanci e di momenti di isolamento, ma tutto è caduco eppure eterno proprio come dice il titolo. Il disco è una puntata notevole dell’infinito raccontare della vita e della morte, di come siamo cenere portata via dal vento, mentre viviamo per un ricordo, per un attimo che brucia in fretta. Il cantato in growl si alterna a quello in chiaro e le voci giostrano benissimo, come tutto il resto del gruppo. Un’opera che colpisce al cuore chi sa che dentro al black ci sono infiniti universi, un premio per persone che godono di piccole grandi gioie: il gran debutto di un gruppo che ha ancora enormi margini e tanto da dire.
Scaricabile con offerta libera dal loro sito.

Tracklist
1.Autumnal Lethargy
2.Blooming the Rose
3.Storm’s Chant
4.Drop from the Woods
5.Haggard Sin

Line-up
Marjan – Voice, Guitar
Ivan – Guitar
Luca – Bass
Fabiano – Drums

DUIRVIR – Facebook

Sacrificium Carmen / Sarkrista / Malum – Trinity of Luciferian Illumination

Trinity of Luciferian Illumination è un ottima uscita rivolta essenzialmente ad appassionati puri e duri del genere, visto che le tre band coinvolte confermano in pieno il loro valore senza offrire però particolari spunti dai quali poter trarre indizi, anche parziali, di cambiamenti nel prossimo futuro: ma a chi ama il black metal tutto ciò di norma basta ed avanza.

La sempre attiva Purity Through Fire, etichetta tedesca specializzata in black metal, propone questo interessante split album che ci presenta tre realtà invero dai tratti piuttosto simili, ma tutte indubbiamente di buon livello.

Dei finlandesi Sacrificium Carmen non si può che ripetere quanto detto di buono in occasione del loro recente album Hermetica: il fatto che sia lo split che il full length siano stati pubblicati a distanza molto ravvicinata non fa che rendere questi tre brani inediti del tutto conformi a quanto già ascoltato, il tutto però con un accezione positiva, visto che la band di Tampere continua sempre più a convincere con il proprio melodico ed incessante incedere; Kuolonkerjäläinen e Soihdunkantaja esibiscono ritmi intensi ed accattivanti, mentre Ikiliekki si rivela una traccia relativamente più ragionata e rallentata, almeno nella parte iniziale, prima di esplodere nel finale.
I tedeschi Sarkrista sono una delle band che più ha impressionato nell’ultimo decennio in virtù di due ottimi album, l’ultimo dei quali, Summoners of the Serpents Wrath, uscito lo scorso anno: musicalmente la band proveniente dall’estremo nord della Germania fa proprio l’insegnamento soprattutto del black svedese, con i migliori Arckanum che paiono essere uno dei maggiori riferimenti; Distant Blazing Battle Horns e Staring with Fiery Eyes sono due notevoli brani, con il secondo che si fa preferire per intensità e cattiveria
Le ultime tre tracce sono appannaggio dei Malum, anch’essi esponenti dell’emergente scena finnica; anche per la band di Turku l’ultimo album risale al 2017 Night of the Luciferian Light ed in effetti bisogna dire che i tre gruppi che partecipano allo split album sono abbastanza omogenei anche a livello di curriculum, visti che tutti hanno due full length all’attivo, oltre a svariate uscite minori, in un arco temporale compreso dal 2013 in poi.
I Malum appaiono solo un po’ più ruvidi rispetto ai compagni d’avventura, forse anche a causa di una produzione più sporca, ma sostanzialmente le coordinate non cambiano, tramite l’offerta di una traccia lunga ma convincente come Opening the Gates of Cursed Dimension, una più breve Possessed votata al black’n’rpoll, con la sola conclusiva Desecrating the False Temples che assume toni più algidi e cadenzati, offrendo un gradito spunto di discontinuità rispetto a quanto ascoltato in precedenza.
In sostanza Trinity of Luciferian Illumination è un ottima uscita rivolta essenzialmente ad appassionati puri e duri del genere, visto che le tre band coinvolte confermano in pieno il loro valore senza offrire però particolari spunti dai quali poter trarre indizi, anche parziali, di cambiamenti nel prossimo futuro: ma a chi ama il genere tutto ciò di norma basta ed avanza.

Tracklist:
1. Sacrificium Carmen – Kuolonkerjäläinen
2. Sacrificium Carmen – Soihdunkantaja
3. Sacrificium Carmen – Ikiliekki
4. Sarkrista – Distant Blazing Battle Horns
5. Sarkrista – Staring with Fiery Eyes
6. Malum – Opening the Gates of Cursed Dimension
7. Malum – Possessed
8. Malum – Desecrating the False Temples

Line-up:
Sacrificum Carmen
Hypnos – Bass
Advorsvs – Guitars
Profostus – Guitars
Hoath Cambion – Vocals
Xeth – Drums

Sarkrista
Exesor – Drums
Farbauti – Guitars
Revenant – Vocals
VT – Guitars

Malum
KK – Bass
HH – Drums
Valtteri Tuovinen – Guitars
EV – Guitars
Tyrant – Vocals, Guitars, Bass

SACRIFICIUM CARMEN – Facebook

SARKRISTA – Facebook

MALUM – Facebook

Evilfeast – Mysteries Of The Nocturnal Forest

Mysteries Of The Nocturnal Forest si rivela l’ideale base di partenza per scoprire o riassaporare il valore di un musicista come Grzywacz, capace di dare alle stampe negli anni a seguire altri quattro full length di pari livello.

Mai come nel caso dei generi e delle realtà più underground si rivelano utili le ristampe. In questo caso l’operazione riguarda il full length d’esordio degli Evilfeast, a cura della sempre puntuale etichetta tedesca Eisenwald.

Mysteries of the Nocturnal Forest, prima testimonianza discografica del progetto solista del musicista polacco Jakub Grzywacz, in arte GrimSpirit, era stato originariamente pubblicato nel 2004 dall’etichetta locale Old Legend, da qualche anno non più attiva, e anche se c’erano già state in passato riedizioni sia in cassetta che in vinile, arriva opportunamente quella che consente di riappropriarsi in cd di questo frammento di storia del black polacco.
Il genere, nell’interpretazione degli Evilfeast, è quanto mai tradizionale e rimanda ai primordi in terra norvegese, in particolare ai primi passi degli imprescindibili Emperor; il sound, infatti, presenta quell’alone atmosferico che verrà in seguito esasperato da altri nella sua versione sinfonica ma che, nelle mani di Ihsahn e Samoth, diventava lo sfondo ideale sul quale rappresentare tutta la forza blasfema e misantropica del black metal.
GrimSpirit quindici anni fa dimostrava d’aver appreso alla perfezione quella lezione, riversando sull’ascoltatore un’ora di musica gelida, solenne, prodotta in maniera più che soddisfacente in relazione alla tipologia della proposta e quindi con tutte le carte in regola per attrarre l’attenzione di chi era rimasto fedele a quelle sonorità.
Per constatare la veridicità di queste affermazioni consiglio di passare direttamente alla traccia numero 6, la claustrofobica Descending Winds of Holocaust, brano che rappresenta in qualche modo equivalente d quello che fu per gli Emperor Into The Infinity Of Thought, fatte ovviamente tutte le distinzioni del caso.
Nel sound degli Evilfeast confluiscono anche pulsioni derivanti da nomi di minor fama ma ugualmente seminali come furono i Limbonic Art di Moon In Scorpio: parliamo quindi di quelle realtà che introdussero i suoni di tastiera nel genere al solo fine di accentuarne il potenziale evocativo, senza snaturane il senso e la filosofia di base.
Mysteries Of The Nocturnal Forest si rivela cosi l’ideale base di partenza per scoprire o riassaporare il valore di un musicista come Grzywacz, capace di dare alle stampe negli anni a seguire altri quattro full length di pari livello, ultimo dei quali Elegies of the Stellar Wind nel 2017.

Tracklist:
1. Ode to a Rising Fullmoon (Intro)
2. Immerse into Cold Mist
3. Thy Woods Are Sacred
4. Towards the Funeral Winternight Landscape
5. Solitude Apotheosis
6. Descending Winds of Holocaust
7. The Black Heavens Open
8. Morbid Rejoice
9. Desolate Fields Left (Outro)

Line-up:
GrimSpirit – All instruments, Vocals

EVILFEAST – Facebook

Ellende – Rückzug in die Innerlichkeit

Se proprio post black deve essere, questo ristampa del primo ep degli Ellende è il volto migliore che vorremmo sempre attribuirgli.

La label tedesca Art Of Propaganda ha da poco ristampato l’ep di debutto degli Ellende, progetto solista del musicista austriaco Lukas Gosch.

Rückzug in die Innerlichkeit risale al 2012 e rappresenta un buon esempio di come si dovrebbe suonare ed interpretare il black metal nella sua versione più atmosferica ed intimista (mi piace definirlo così perché post black rischia di voler dire tutto e niente).
Il bravo L.G., infatti, già al suo primo passo cercava di differenziarsi da tutte le altre one man band conferendo una particolare cura ai suoni sia al livello di produzione che di varietà degli stessi, affidando per esempio un parte importante agli strumenti ad archi affidati all’ospite Anne; tale notevole commistione diede i sui frutti regalando quattro brani che alternavano con grande gusto ed abilità le sfuriate ritmiche del black alle aperture melodiche contrassegnate dall’uso di strumenti classici.
Una traccia magnifica e dal grande tasso evocativo come Der letzte Marsch, con le ossessive note del pianoforte che accompagnano lo sviluppo del brano nella sua seconda metà, è solo un esempio dell’elevata qualità che il bravo musicista di Graz era stato in grado di esibire, ma il resto della tracklist non era affatto da meno, riservando sorprese in più frangenti senza che il sound ne risentisse minimamente a livello di omogeneità.
Comunque, tornando a quanto detto qualche riga sopra, se proprio post black deve essere questo è il volto migliore che vorremmo sempre attribuirgli; negli anni successivi gli Ellende (che in sede live diventano comunque una band vera e propria) hanno pubblicato due full length molto ben accolti a livello di critica, mentre nel prossimo marzo è prevista l’uscita del terzo lavoro su lunga distanza che sarà intitolato Lebensnehmer, per il quale quale l’ascolto di questa ristampa potrebbe risultare un’ideale introduzione.

Tracklist:
1. Rückzug in die Innerlichkeit
2. Pfad der Endlichkeit
3. Der letzte Marsch
4. Von Vergänglichkeit und Trost

Line-up:
L.G. – everything
P.F. – drums

ELLENDE – Facebook

WHOREDOM RIFE – NID – Hymner Av Hat

L’unica maniera per superare l’ostacolo ingombrante della derivatività è quella di riuscire ad imprimere ad ogni singola nota una convinzione ed un’intensità superiore alla media: ciò è quanto avviene con questa band.

Il secondo full length dei norvegesi Whoredom Rife conferma e rafforza quanto mostrato con l’ep d’esordio ed il primo lavoro su lunga distanza, uscite tutte racchiuse nell’arco degli ultimi due anni.

Il duo di Trondheim esibisce una forma quanto mai tradizionale di quel black metal che nella loro patria ha preso vita e quindi, sgombrato subito il campo da possibili curiosità o variazioni sul tema, ciò che resta per fare la differenza è la maniera in cui tutto ciò viene proposto.
L’unica maniera per superare l’ostacolo ingombrante della derivatività è quella di riuscire ad imprimere ad ogni singola nota una convinzione ed un’intensità superiore alla media: ciò è quanto avviene con questa band il cui motore è V. Einride, il quale si occupa di tutti gli strumenti lasciando al suo compare K.R. l’onere di dedicarsi alle parti vocali.
Il black metal, quando viene suonato senza tralasciare nessuno dei necessari crismi, diviene un genere capace di superare qualsiasi obiezione relativa alla sua ripetitività o addirittura obsolescenza: l’impatto brutale e allo steso tempo atmosferico, sorretto da ritmiche forsennate e da una vice improntata ad un feroce harsh piuttosto che al più consueto screaming, inchioda l’ascoltatore inducendolo che lo voglia o meno ad assimilare quest ennesima rappresentazione di oscurità musicale.
Satyricon, Immortal, poi un po’ tutte le band storiche che si vogliono inserire in elenco costituiscono la fonte alla quale i Whoredom Rife si abbeverano riuscendo a ritrasmettere queste sonorità in maniera fedele e allo stesso tempo confacenti alla contemporaneità.
L’equilibrio raggiunto con naturalezza da Einride in brani come Verdi Oeydest e Crown Of Deceit non può lasciare indifferenti e anche quando, a fine corsa, con Ceremonial Incantation si prova a prendere una leggera variante rallentando leggermente i ritmi e lasciando qualche attimo di respiro in più, il tutto avviene senza che la retta via venga minimamente smarrita fornendo un risultato invero magnifico.
In antitesi al titolo (Hymner Av Hat, ovvero inni di odio) questi sette brani spingeranno semmai gli appassionati ad amare ancor di più queste sonorità.

Tracklist:
1. Summoning The Ravens
2. Verdi Oeydest
3. Where The Shadows Dwell
4. Hyllest
5. Crown Of Deceit
6. New Hate Dawns
7. Ceremonial Incantation

Line-up:
V. Einride – All instruments
K.R – Vocals

WHOREDOM RIFE – Facebook