Gli Inanimate Existence migliorano quanto già espresso sul precedente Underneath a Melting Sky, confermando la loro sagacia nel saper esprimere la propria tecnica, rimanendo confinati in una forma canzone che vede il death metal nato nella storica area, pregno di spunti progressivi.
Nuovo lavoro per gli Inanimate Existence, trio californiano arrivato con Clockwork al quinto lavoro sulla lunga distanza.
Death metal tecnico e progressivo dunque, niente di nuovo ma assolutamente in grado di dire la sua nel panorama underground estremo grazie ad un buon talento per il songwriting che, pur tra le cascate di note dalla difficoltà sovrumana rimane leggibile per chi ascolta.
Violento ed estremo, il sound del gruppo della bay Area si sviluppa su scale iperboliche e progressive, la bravura strumentale dei musicisti alle prese con un death metal senza compromessi non lascia scampo tra le trame di brani come Voyager o Diagnosis, ispirati dai capisaldi del genere.
Gli Inanimate Existence migliorano quanto già espresso sul precedente Underneath a Melting Sky, confermando la loro sagacia nel saper esprimere la propria tecnica, rimanendo confinati in una forma canzone che vede il death metal nato nella storica area, pregno di spunti progressivi.
Il sound del trio ha molto del gruppo del compianto Chuck Schuldiner, portato ad una dimensione ancor più progressiva come nella conclusiva e spettacolare Liberation.
Una band che conferma quanto di buono fatto in passato, consigliata a ai fans del death metal tecnico e progressivo.
Lo straordinario ritorno di una band che ha fatto la storia, non solo del death floridiano e mondiale, con un album che definire strepitoso e magistrale è dire poco.
Il ritorno dei Maestri. Non ci sono altre parole.
I Nocturnus solcarono i cieli del death metal durante gli anni Ottanta (due demo storici e pionieristici) e Novanta (la trilogia costituita da The Key del ’91, Thresholds del 1992 e dal mini omonimo del ’93, senza dimenticare Ethereal Tomb, uscito nel ’99 su Season of Mist). Il loro approccio all’estremo era personale, e particolarissimo: abbinavano infatti ai classici e più puri canoni del death made in Florida tastiere e sintetizzatori, con un taglio – anche in sede di liriche, coltissime ed ispirate a Asimov e Crowley, tra gli altri – fantascientifico e dalla resa sonora tanto splendida, quanto maestosa. Nel corso del decennio successivo, la band fu ribattezzata After Death: di nuovo altri demo, ri-registrati poi nel 2007 in occasione del lovecraftiano e stupendo Retronomicon, pubblicato dalla benemerita Iron Pegasus, un capolavoro di articolata magnificenza, il cui messaggio trova, ora, perfetto compimento con questo The Paradox, uscito a nome Nocturnus AD. Le nove composizioni del disco – definirle canzoni sarebbe sia ingiusto sia riduttivo, così come sceglierne alcune – materializzano un discorso compositivo ed esecutivo di impressionante maturità artistico-musicale, con trame che risultano varie e concettuali, senza perdere un’oncia dell’essenza di matrice tradizionalmente death. L’interplay chitarre-tastiere, supportate da una sezione ritmica alla Atheist-Cynic, trascina l’ascoltatore in un vortice siderale di evoluzioni strabilianti: l’ideale punto di incontro fra techno-death e progressive. I Voivod del death – ma, anche qui, la definizione ci appare un po’ semplicistica e non rende piena giustizia al quintetto americano – continuano pertanto la loro originalissima e creativa esplorazione di territori sonori rimasti troppo a lungo vergini: riff di marca Dark Angel-Slayer vengono implementati da soluzioni virtuosistiche e magniloquenti che riprendono il discorso dello space rock per estremizzarlo in una chiave futuristica e iper-tecnologica, elettronica e sinfonica nel medesimo tempo. Scale minori, cambi di tempo, complessità armonica, precisione e violenza, costruzione di architetture labirintiche e complesse (eppure fruibili, sia pure con la dovuta attenzione e ripetuti ascolti), rimandi alla narrativa orrorifica del grande Howard Phillips Lovecraft (Aeon of the Ancient Ones), richiami al passato (Paleolithic,The Return of the Lost Key), poliritmi crimsoniani e scrittura stratificata: sono questi i gioielli della corona, che i Nocturnus AD meritano di cingere sul capo. Precession of the Equinoxes è dedicata all’astronomia, segnamente al fenomeno celeste definito anticamente aberrazione delle stelle fisse e studiato scientificamente dal newtoniano James Bradley, nel primo Settecento inglese. Un’ulteriore conferma della superiore, raffinata statura intellettuale dei cinque di Tampa. Per chi scrive – e, si badi bene, al di là di generi e stili – uno dei più grandi dischi degli ultimi quindici anni almeno. Arte oscura per anime nere, veramente. O, il che è lo stesso, fantascienza esoterico-occulta resa con i segreti alchemici del pentagramma.
Tracklist
1- Seizing the Throne
2- The Bandar Sign
3- Paleolithic
4- Precession of the Equinoxes
5- The Antechamber
6- The Return of the Lost Key
7- Apotheosis
8- Aeon of the Ancient Ones
9- Number 9
Accursed regala momenti esaltanti, non si contorce in inutili e stucchevoli perizie tecniche fini a se stesse, ma si destreggia tra il bombardamento a tappeto di note con una disinvoltura che ha del sorprendente.
Tornano gli statunitensi Vale Of Pnath, quintetto del Colorado che con Accursed, nuovo ep licenziato dalla Willowtip Records, mostra il lato più melodico del technical death metal.
La band di Denver, infatti, accomuna la bravura strumentale con un talento melodico ed una sagacia compositiva davvero sopra le righe e queste sei tracce ne confermano tutta la bravura.
Ventotto minuti, durata che per molti vuol dire full length, dove i Vale Of Pnath ci investono con ondate di death metal tecnico e melodico, suonato a velocità proibitiva ma perfettamente leggibile nel suo sali e scendi tra appeal melodico e devastanti parti ultra tecniche.
Growl che si pazza perfettamente nel campo del melodic death metal, ed un lavoro ritmico e chitarristico di categoria superiore fanno di The Darkest Gate e degli altri brani (splendidamente devastante Obsidian Realm) gemme estreme di assoluto valore. Accursed regala momenti esaltanti, non si contorce in inutili e stucchevoli perizie tecniche fini a se stesse, ma si destreggia tra il bombardamento a tappeto di note con una disinvoltura che ha del sorprendente.Un ep che non lascia scampo, perfetto per saggiare la forma del gruppo in attesa di nuovi sviluppi.
Tracklist
1.Shadow and Agony
2.The Darkest Gate
3.Skin Turned Soil
4.Accursed
5.Audient Void
6.Obsidian Realm
7.Spectre of Bone
Line-up
Vance Valenzuela – Guitars
Harrison Patuto – Guitars
Reece Deeter – Vocals
Andy Torres – Bass
The Deep vive di un’insieme di ispirazioni e dettagli che fanno di questa tracklist uno degli esempi migliori del genere, sbaragliando i lavori precedenti e confermando i Soulline come gruppo di notevole levatura tra quelli di seconda fascia, in un genere ancora in grado di regalare grosse soddisfazioni.
Con qualche mese di ritardo sull’uscita parliamo dell’ultimo album degli svizzeri Soulline, già apparsi sulla nostra webzine in occasione dell’uscita di Welcome My Sun, precedente lavoro del gruppo che vedeva Dan Swanö alla produzione, così come Peter Tägtgren, altro guru del metal estremo scandinavo, si era occupato di quella di We Curse, We Trust, terza fatica licenziata nel 2012.
Il melodic death metal, genere che offre ormai poco in termini di originalità, ma come tutti i generi che gravitano nel mondo metal, sa regalare opere di spessore quando il songwriting è di altissimo livello come in questo caso.
La band svizzera, d’altronde, ha l’esperienza necessaria per sapere quali corde toccare per non passare inosservata agli amanti di queste sonorità: grandi melodie, cascate di note metalliche, appeal al massimo per la musica prodotta che rimane legata a doppia mandata con il Gothenburg sound e ali gruppi che ne hanno decretato il successo.
Grazie all’ottima tecnica e a belle canzoni ci si dimentica che gli anni novanta sono passati da un pezzo, con gli In Flames che hanno cambiato la loro carta d’identità svedese con quella americana e a difendere l’onore del death metal melodico scandinavo sono rimasti i soli Soilwork ed At The Gates. The Deep vive di un’insieme di ispirazioni e dettagli che fanno di questa tracklist uno degli esempi migliori del genere, sbaragliando i lavori precedenti e confermando i Soulline come gruppo di notevole levatura tra quelli di seconda fascia, in un genere ancora in grado di regalare grosse soddisfazioni.
Tracklist
01.Leviathan
02.Cool Breeze
03.Nightmare
04.The Fall
05.Filthy Reality
06.Into Life
07.The Game
08.Deepest Me
09.The Deep End
10.Still Mind
Line-up
Ghebro – Vocals
Lore – Guitars
Marco – Guitars
Miles – Bass
Matt – Drums
…But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.
Dal più oscuro underground estremo tricolore arrivano i Polymorphia, band proveniente da Lecco al debutto con questo ep di cinque brani intitolato …But Secretly We Thirst.
Il gruppo, nato nel 2017, è composto attualmente dai tre membri fondatori Matteo Tagliaferri alla batteria, Davide Maglia alla chitarra, Silvio Bergamaschi al basso, ai quali si è aggiunto il cantante Luca Beloli.
L’ep mostra una band con buone potenzialità, il cui sound è un oscuro death metal con richiami al thrash di matrice statunitense, valorizzato da un buon lavoro chitarristico e brutalizzato dal possente e profondo growl di cui è capace il vocalist.
L’atmosfera che si respira tra il solchi di questi primi cinque brani segue le tematiche ispirate ad autori come H.P. Lovecraft, Hermann Hesse, Dickens e Lautréamont e all’analisi sulla mente umana ed i suoi misteri, con la musica che, tra Morbid Angel e Slayer, imprime il suo marchio metallico su brani dall’ottimo tiro come l’opener Ode To The Ocean, la title track e Madness Dream, traccia molto interessante conclusa da un lento passaggio dai rimandi doom/death.
Prodotto dalla Vomit Arcanus Production, …But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.
Tracklist
1.Ode To The Ocean
2….But Secretly We Thirst
3.Fog
4.Madness Dream
5.Censer
La ristampa limitata a cinquecento copie mantiene inalterata l’atmosfera catacombale che il combo americano creò per questo putrido lavoro, rivestito da un maligno drappo nero, di matrice Morbid Angel, anche se, all’interno del mondo Crucifixion si agitano demoni ancora più temibili di quelli che accompagnavano i primi passi dell’angelo morboso.
L’etichetta colombiana La Caverna Records ristampa il secondo lavoro dei deathsters statunitensi Crucifixion, l’ormai storico ed introvabile Paths Less Taken, uscito originariamente nel 1998 con l’aggiunta del demo Raising The Dead licenziato dalla band nel 1996.
I Crucifixion nacquero ad Houston nel 1990, la loro avventura musicale si fermò nel 1998 all’indomani dell’uscita di questo lavoro, successore del debutto Desert of Shattered Hopes, full length uscito nel 1993.
Il gruppo texano proponeva un metal estremo di stampo death, pregno di sfumature black/doom, abissale e marcio come da tradizione nelle opere estreme di quel periodo.
La ristampa limitata a cinquecento copie mantiene inalterata l’atmosfera catacombale che il combo americano creò per questo putrido lavoro, rivestito da un maligno drappo nero, di matrice Morbid Angel, anche se, all’interno del mondo Crucifixion si agitano demoni ancora più temibili di quelli che accompagnavano i primi passi dell’angelo morboso.
Rallentamenti doom ed accelerazioni si arricchiscono di atmosfere nere come la pece e malatissime, il growl abissale di Danny Martinez risulta un rantolo blasfemo che vomita malignità tra le note di di Pass Less Taken (il brano), dieci minuti di death metal orrido e maligno di grande spessore.
Ottima iniziativa della label colombiana che dà nuova vita (o morte, fate voi) ad un nera gemma underground consigliata agli appassionati del genere.
Tracklist
1.Ejercito de Malandros (Army of Thugs)
2.Sweating Buckets
3.Last Haunted Scriptures
4.Cell Block 8
5.Catholicos Diabolicos (Diabolic Catholics)
6.Tecato´s Field
7.Resurrections of the Flesh
8.Damned
9.Stealing from the Dead
10.Paths Less Taken
11.Catholicos Diabolicos (Diabolic Catholics)
12.Paths Less Taken
13.Damned
14.Weird Resurrections of the Flesh
Line-up
Puppet Cavazos – Drums
Mark Vargas – Guitars (rhythm)
Armando Mata – Guitars, Piano
Danny Martinez – Vocals, Bass
Noe Diaz – Guitars
Cease To Exit spazza via tutto in poco tempo, ma alla fine ci sarà molto da ricostruire perché, dopo un simile micidiale terremoto sonoro, rimarranno solo le macerie a ricordarci del passaggio dei Noisem.
Death, thrash, grindcore, punk, il tutto mescolato in un folle cocktail estremo chiamato Cease To Exist, nuovo album degli statunitensi Noisem, ex Necropsy arrivati al terzo full length.
Il trio di Baltimora ritorna sul mercato tramite la 20 Buck Spin con questo dinamitardo lavoro composto da dieci brani per appena ventuno minuti di massacro sonoro, nel quale i generi descritti formano una devastante esplosione che forma un fungo atomico di proporzioni bibliche.
Diretto e perfetto nella sua aggressività misurata, nella durata ma non negli effetti, Cease To Exittorna a rinverdire i fasti del grindcore di matrice Terrorizer/Repulsion/primi Napalm Death, con una carica esplosiva che non lascia spazio ad altro che non sia un sound riottoso e belligerante.
Si sale sulle barricate con Constricted Cognition e Deplorable per non scendere più fino alla conclusiva Ode To Absolution, guidati da Harley Phillips, Sebastian Phillips e Ben Anft , mentre le ossa si accumulano tra blast beat, vocals al vetriolo ed una ben delineata attitudine punk/hardcore. Cease To Exit spazza via tutto in poco tempo, ma alla fine ci sarà molto da ricostruire perché, dopo un simile micidiale terremoto sonoro, rimarranno solo le macerie a ricordarci del passaggio dei Noisem.
Tracklist
1.Constricted Cognition
2.Deplorable
3.Penance for the Solipsist
4.Putrid Decadence
5.Filth and Stye
6.Eyes Pried Open
7.Sensory Overload
8.Downer Hound
9.So Below
10.Ode to Absolution
Line-up
Harley Phillips – Drums
Sebastian Phillips – Guitars
Ben Anft – Vocals, Bass
In Splendor Below è senza dubbio un disco che merita d’essere ascoltato e che, probabilmente, convincerà pienamente più di un ascoltatore ma per quanto mi riguarda l’appuntamento con un nuovo capolavoro, se non all’altezza almeno vicino a Rain Without End, è nuovamente rimandato alla prossima occasione.
Riguardo agli October Tide ho sempre avuto la sensazione di essere al cospetto di una bella incompiuta, almeno prendendo in considerazione gli album pubblicati dopo la reunion del 2010, considerando i due lavori del secolo scorso (in particolare il magnifico Rain Without End) un qualcosa a sé stante.
La band dei fratelli Norrman si è sbarazzata piuttosto in fretta, in questo decennio, del potenziale fardello emotivo del death doom più cupo spingendo il sound verso un death melodico, comunque oscuro, che finisce per restare a metà strada tra le due vie maestre senza optare in maniera decisa per una di esse.
Il risultato non può certo definirsi insoddisfacente perché la risaputa maestria di questi musicisti garantisce appieno riguardo la qualità sonora espressa, però quel che resta alla fine dell’ascolto di In Splendor Belowè quella di un album roccioso, ineccepibile a livello formale ma privo sia dei segnanti spunti emotivi del doom sia delle inarrestabili cavalcate tipiche del melodic death. Stars Starve Me, per esempio, è un brano potente e accattivante ma che, a un certo punto, si avvita invece di proseguire con decisione sulla strada inizialmente intrapresa con quello che è forse il chorus più catchy dell’intero lavoro. Meglio, quindi, una traccia più cupa come We Died in October, il cui diritto di cittadinanza in abito death doom non viene mai messo in discussione grazie a un lavoro chitarristico più dolente e al notevole growl di Alexander Högbom, oppure Our Famine, dai ritmi ben più rallentati che riportano l’album in ambiti più prossimi al passato degli October Tide, o ancora la più dissonante e conclusiva Envy the Moon.
Poi è innegabile che canzoni come I, the Polluter e Guide My Pulse esibiscano quell’impatto tipico del death melodico che non è nelle corde di una band qualsiasi, per cui a livello di consuntivo In Splendor Below non può che essere considerato un lavoro più che mai riuscito e privo di particolari pecche.
L’unico vero appunto che mi permetto di fare a musicisti inattaccabili come i fratelli Norrman è che, ascoltando questo lavoro, non emerge un forte tratto distintivo tale da rendere immediatamente riconoscibile il sound, nonostante si parli di una band che ha raggiunto quasi un quarto di secolo di attività.
Per il resto, In Splendor Below è senza dubbio un disco che merita d’essere ascoltato e che, probabilmente, convincerà pienamente più di un ascoltatore ma per quanto mi riguarda l’appuntamento con un nuovo capolavoro, se non all’altezza almeno vicino a Rain Without End, è nuovamente rimandato alla prossima occasione.
Tracklist:
1. I, the Polluter
2. We Died in October
3. Ögonblick av nåd
4. Stars Starve Me
5. Our Famine
6. Guide My Pulse
7. Seconds
8. Envy the Moon
Line-up:
Fredrik “North” Norrman – Guitars
Mattias “Kryptan” Norrman – Guitars
Alexander Högbom – Vocals
Johan Jönsegård – Bass
Jonas Sköld – Drums
Addictivities (Pt. 1) risulta un buon lavoro nella sua interezza, mancano solo quel paio di brani a farsi carico qualitativamente dell’intera tracklist ma sono dettagli, perché la band dà vita ad un’opera oscura e dalle atmosfere dark progressive che trovano nella musica di Opeth, Eternal Tears Of Sorrow e Diabolical Masquerade le loro più convincenti ispirazioni.
Provenienti dalla vicina Austria ed attivi da una quindicina d’anni, tornano sul mercato underground metallico i Relinquished con il terzo full length intitolato Addictivities (Pt. 1).
Il quintetto tirolese offre uno spaccato convincente di progressive metal estremo, dalle atmosfere dark che si scambiano la scena con un death metal melodico ben calibrato ed ispirato dalla scena scandinava di primi anni novanta.
Niente di moderno quindi, ma un sound che dà molto spazio alle parti atmosferiche, per poi ripartire potente e melodico, lasciando che il growl ci guidi tra ritmiche veloci, oscuri intermezzi dark rock e attimi dove la chitarra crea soluzioni melodiche di stampo classico. Addictivities (Pt. 1) risulta un buon lavoro nella sua interezza, mancano solo quel paio di brani a farsi carico qualitativamente dell’intera tracklist ma sono dettagli, perché il cantante Sebastian Bramböck e compagni danno vita ad un’opera oscura e dalle atmosfere dark progressive che trovano nella musica di Opeth, Eternal Tears Of Sorrow e Diabolical Masquerade le loro più convincenti ispirazioni. Avalanche Of Impressions è il brano che riassume tutto il lavoro del gruppo in otto minuti, anche se Addictivities (Pt. 1)è opera da ascoltare per intero per essere maggiormente apprezzata.
Tracklist
1.Expectations
2.Bundle of Nerves
3.Avalanche of Impressions
4.Pulse
5.Damaged for Good
6.Syringe
7.Zero
8.Into the Black
9.Void of My Ashen Soul
Line-up
Sebastian Bramböck – Vocals
Anton Keuschnick – Guitars, Clarinet
Simon Dettendorfer – Guitars, Vocals
Dominik Steffan – Bass
Richard Marx – Drums
Il disco maggiormente metal della loro collezione, un esempio molto vicino all’optimum di ciò che può essere il metal.
Nuovo episodio nella discografia di uno dei migliori gruppi italiani di metal, i Fleshgod Apocalypse.
Il loro quinto album si intitolo Veleno e sarà uno spartiacque decisivo nella carriera di questa band che tende sempre a raggiungere non tanto la perfezione, quanto una totale onestà musicale. I Fleshgod Apocalypse nei loro precedenti dischi hanno proposto una singolare sintesi di gran valore fra la tradizione della musica classica europea ed italiana con il metal, in particolare con il death metal. Il gruppo perugino è diventato una delle cose più fresche ed innovative della musica estrema degli ultimi anni, producendo dischi sempre all’altezza della situazione. Il precedente King, del 2016, aveva iniziato una rivoluzione nel loro suono che con Veleno continua in maniera ancora più marcata. Innanzitutto il nuovo lavoro è stato composto partendo dalla chitarra e non dall’orchestra come usuale per il gruppo, ed è infatti maggiormente centrato sul metal e meno sull’orchestrazione, comunque presente in maniera eccellente. Inoltre è il primo disco con la nuova formazione. dato che Cristiano Trionfera e Tommaso Riccardi hanno lasciato il gruppo nel 2017 per motivi personali, così il batterista Francesco Paoli è passato alla chitarra e al canto, e sono subentrati David Folchitto degli Stormlord alla batteria e Fabio Bartoletti dei The Deceptionist alla chitarra. Ciò che colpisce sempre dei Fleshgod Apocalypse è la qualità della loro musica, frutto di un lavoro immenso, in cui ogni nota è studiata e calibrata, per una musica che è davvero oltre la nostra dimensione. Veleno è la loro opera più aggressiva ed è il manifesto perfetto, un’aggressione sonora di molti elementi che sarebbero discordanti ma che il gruppo umbro maneggia e miscela alla perfezione. L’album ha la magnificenza dei suoi predecessori, la solita potenza sonora, ma si sente chiaramente fin dalla prima nota che qui la questione è diversa, e che i Fleshgod Apocalypse hanno molto in più da offrire. Veleno è la fusione di molti mondi, di un modo di fare metal che è estremo e genuino, ma che non può e non vuole prescindere da un’immensa preparazione tecnica, mai fine a sé stessa. Se possibile il suono della band qui migliora, arrivando a vette più aggressive e quasi perfette. Il disco maggiormente metal della loro collezione, un esempio molto vicino all’optimum di ciò che può essere il metal.
Tracklist
01. Fury
02. Carnivorous Lamb
03. Sugar
04. The Praying Mantis’ Strategy
05. Monnalisa
06. Worship and Forget
07. Absinthe
08. Pissing On The Score
09. The Day We’ll Be Gone
10. Embrace The Oblivion
11. Veleno
Line-up
Francesco Paoli – Vocals, Guitars, Drums (studio)
Paolo Rossi – Vocals, Bass
Francesco Ferrini – Piano, Orchestrations
LIVE:
Veronica Bordacchini – Soprano vocals
Fabio Bartoletti – Lead guitar
David Folchitto – Drums
Il musicista di Singapore, come sovente avviene nelle lande asiatiche, offre un black metal che non attinge del tutto a quello di matrice scandinava, ma lo sporca con un’attitudine death avvicinandosi piuttosto al versante old school del genere in questa sua commistione.
Dopo alcune uscite d’assaggio e con una configurazione a due, i Funeral Hearse giungono al full length d’esordio risultando di fatto una one man band gestita da Azrael.
Il musicista di Singapore, come sovente avviene nelle lande asiatiche, offre un black metal che non attinge del tutto a quello di matrice scandinava, ma lo sporca con un’attitudine death avvicinandosi piuttosto al versante old school del genere in questa sua commistione.
Il risultato è decisamente buono, al netto di una produzione che, per scelta o necessità che sia, si rivela non del tutto adeguata a sostenere le buone trame offerte dal nostro, le quali si intrecciano con le interessanti tematiche volte ad esplorare un particolare culto religioso come quello della setta indù degli Aghori Sadhus.
Basta effettivamente ascoltare un brano come In Worship of the Divine per rendersi conto dell’impatto dirompente che avrebbe potuto avere un così valido e competente omaggio alle band autrici del proto black metal negli anni ottanta con una registrazione migliore.
Detto ciò, In Devotion Of… dimostra ampiamente che l’attenzione per questo tipo di proposta reclamata dai Funeral Hearse non è affatto immeritato, grazie ad un lavoro compositivo sempre efficace pur nella sua essenzialità, arricchito sporadicamente da qualche intermezzo etnico o interventi di strumenti tradizionali posizionati tra una traccia e l’altra.
In definitiva, questo primo passo su lunga distanza si lascia ascoltare con notevole piacere per la sua genuina ferocia e fa presagire sviluppi interessanti anche per il futuro
Tracklist:
1. Into the Eye of the Serpent
2. Burning Ambers from the Funeral Pyre
3. In Worship of the Divine
4. Under the Eclipse of a Pale Moon
5. Cleansing a Damned Soul
6. Alternate State of Consciousness
Venticinque minuti di ottimo death metal old school sotto forma di macigni sonori che non deluderanno gli appassionati dai gusti classici.
Old School death metal di grande impatto quello degli olandesi Burial Remains, al debutto con questo massacro sonoro composta da sette brani ed intitolato Trinity Of Deception.
Attivo dal 2006, il quartetto di Drachten, composto da membri di Boal, Grim Fate, Fleshcrawl e Disintegrate, licenzia tramite la Transcending Obscurity una bomba old school, mixata e masterizzata da Jonny Pettersson, già alle prese con band del calibro di Wombbath, Heads For The Dead, Nattravnen ed Henry Kane, praticamente il meglio offerto dal death metal underground lo scorso anno.
E Trinity Od Deceptionnon tradisce le aspettative degli amanti di queste sonorità, tradizionali e poco originali quanto si vuole, ma dannatamente coinvolgenti, almeno per chi ama il metal estremo.
I Burial Remains di loro ci mettono una buona dose di impatto e quel mescolare il classico sound swedish con elementi provenienti dal death europeo, per semplificare si pensi ad una jam tra Dismember e Benediction da cui escono sette bestiali e devastanti tracce.
Venticinque minuti di ottimo death metal old school dunque, sotto forma di macigni sonori che non deluderanno gli appassionati dai gusti classici.
Tracklist
1.Crucifixion of the Vanquished
2.They Crawl
3.Trinity of Deception
4.March of the Undead
5.Burn With Me
6.Days of Dread
7.Tormentor
Line-up
Sven – Vocals
Wim – Guitar
Philippus – Guitar and bass
Danny – Drums
The Grand Antiquation è un album che nulla toglie e nulla aggiunge alla carriera del gruppo svedese, ma di fatto conferma la buona proposta che da anni lo contraddistingue, continuando la tradizione dei Meadows End nel death metal melodico dall’anima epico sinfonica.
Tornano sul mercato i Meadows End, gruppo svedese arrivato al quarto full length in ormai vent’anni di attività.
Poco conosciuta rispetto ad altre realtà della scena estrema melodica scandinava, la band ha sempre rilasciato buoni lavori incentrati su un melodic death metal valorizzato dalla parte sinfonica, molto presente ed importante nell’economia del sound. The Grand Antiquationsegue di tre anni l’ultimo Sojourn e di cinque il notevole The Sufferwell, del quale vi parlammo all’epoca e le novità in parte non mancano in un sound ormai consolidato.
Il gruppo vira leggermente verso un approccio più moderno e groove, mantenendo quel tocco epico che tanto sa di primi Amorphis come di Amon Amarth, scandito da riff creati nel profondo delle foreste scandinave, sinfonie suggestive ed a tratti magniloquenti e, specialmente, nei primi brani (Devilution,Storm Of Perdition), potenziati da ritmiche terremotanti.
Nel corso dell’ascolto si torna pian piano al solito sound di marca Meadows End che accoglie tra le sue note melodic death metal svedese ed un approccio epico sinfonico proveniente dalla terra dei mille laghi.
Mats Helli, Jan Dahberg e compagni sanno come catturare l’attenzione degli amanti del genere, tra potenti sciabolate estreme e raffinati passaggi orchestrali, dando vita a cavalcate metalliche dalle melodie a cui difficilmente si resiste, otto sinfonie d’acciao sempre in bilico tra la raffinata anima orchestrale e la potenza del metal estremo (Non-Dreaming Eye). The Grand Antiquation è un album che nulla toglie e nulla aggiunge alla carriera del gruppo svedese, ma di fatto conferma la buona proposta che da anni lo contraddistingue, continuando la tradizione dei Meadows End nel death metal melodico dall’anima epico sinfonica.
Tracklist
1.Devilution
2.Storm Of Perdition
3.Svept In Sorgeplad
4.Night’s bane
5.Non-Dreaming Eye
6.Her Last Sigh Goodbye
7.The Insignificance Of Man
8.I Stilla Vemod Vandra
Line-up
Mats Helli – Bass
Jan Dahlberg – Guitars
Robin Mattsson – Keyboards
Johan Brandberg – Vocals
Daniel Tiger – Drums
Quello di Andrey Tollock è un talento sfaccettato che merita d’essere tenuto sotto osservazione, anche in occasione di ulteriori uscite afferenti altri generi.
Andrey Tollock è un musicista ucraino piuttosto attivo in questo decennio con diversi progetti solisti come Sunset Forsaken, più orientato al death doom, e Haissem, dichiarato invece come dedito al black metal melodico.
È proprio Demonotone, l’ultima uscita (la terza) con questo monicker, che viene sottoposta alla nostra attenzione, e va detto subito che di black metal qui non se ne vede traccia, e men che meno di melodia, perché siamo invece al cospetto di un death a tratti brutale, dal buon impatto ed infiorettato dall’ottimo lavoro chitarristico del musicista di Donetsk.
Tollock si avvale di due ospiti alla voce, entrambi appartenenti alla scena estrema del Donbass, i quali si alternano efficacemente, l’uno con un growl rantolante l’altro con un aspro screaming; il risultato non è affatto male perché chi apprezza il genere potrà ascoltarne un’interpretazione senz’altro efficace e soprattutto credibile.
Dopo l’intro di prammatica le quattro tracce successive non lasciano alcuno spazio alla melodia, fatta eccezione per gli appropriati assoli offerti da Andrey, ma è in The Shadowhunt che il muro sonoro fino a quel momento eretto si incrina, grazie ad un incedere più ragionato e vario, mentre la title track è un outro delicata che mette nuovamente in evidenza l’eccellente tocco del nostro.
Se Demonotone non è un lavoro che fa sobbalzare sulla sedia per i propri contenuti, indubbiamente ha il pregio di portare all’attenzione degli appassionati di metal estremo un altro di quegli ottimi artigiani musicali, che si muovono nel sottobosco del metal underground offrendo con buona continuità album dal valore tutt’altro che trascurabile. Nello specifico quello di Andrey Tollock è un talento sfaccettato che merita d’essere tenuto sotto osservazione, anche in occasione di ulteriori uscite afferenti altri generi.
Tracklist:
1.Hornography
2.Recursion
3.Internal Void.
4.H.A.T.E. (Humans Are The Epigones)
5.Through Insomnia
6.The Shadowhunt
7.Demonotone
Accompagnato da un bellissimo ed alquanto evocativo artwork, Solipsis risulta un’altra opera di spettacolare metal estremo all’interno della quale vivono in perfetta armonia death melodico, gothic/dark, symphonic black, doom/death e power creando un assalto sonoro, maestoso ed epico.
Tornano gli svizzeri Xaon con il successore del già bellissimo debutto licenziato un paio di anni fa ed intitolato The Drift.
Nel frattempo la band è diventata un duo formato da Vincent Zermatten alle chitarre e Rob Carson alle orchestrazioni e al microfono (poi raggiunti dl vivo da altri cinque musicisti) e rilascia per la Mighty Music questo monumentale lavoro intitolato Solipsis.
Accompagnato da un bellissimo ed alquanto evocativo artwork, Solipsis risulta un’altra opera di spettacolare metal estremo all’interno della quale vivono in perfetta armonia death melodico, gothic/dark, symphonic black, doom/death e power creando un assalto sonoro, maestoso ed epico.
Su tutta questa tempesta di suoni ed atmosfere si staglia il vocione del singer, che alterna vari toni in una performance sugli scudi, rabbiosa, epica ed evocativa.
Dall’opener Monolith si entra nell’armageddon sonoro creato dai Xaon, una battaglia di note apocalittiche dove le orchestrazioni fanno il bello e cattivo tempo, in un sound che cambia ritmiche e sfumature, cangiante come un camaleonte ma fortemente evocativo in ogni passaggio.
Le melodie che sono la linfa di brani capolavoro come Eros o Cipher non placano la furia estrema con cui il gruppo affronta la materia in un’apoteosi di suoni che creano un sound belligerante, epico e bombastico.
Pensate a cosa potrebbero creare Emperor, Bal Sagoth, Paradise Lost, Dark Tranquillity e Septic Flesh chiusi in una stanza a jammare ed avrete un’idea di come suona questo monumentale e imperdibile lavoro.
Tracklist
1. Monolith
2. Carillon
3. Solipsis
4. Mobius
5. Eros
6. Cipher
7. Beast
8. River
9. Mask
Line-up:
Vincent Zermatten – Guitars
Rob Carson – Vocals/Orchestrations
Live Members
John Six – Bass
Jordan Kiefer – Drums
Onbra Oscouŗa – Guitars
Klin HC – Guitars
Julien Racine – Drums
The Fallen Entities è un bombardamento death/thrash metal che non concede tregua, ruvido, diretto e old school, dal lavoro ritmico più vario rispetto a quello di molte altre band, ma sempre legato ad un genere che ha come base un muro sonoro massiccio e potente.
Tornano gli storici Opprobrium, band di New Orleans nata a metà anni ottanta come Incubus e trasformatasi nella devastante realtà odierna nel 1999 per volere del batterista Moyses M. Howard e del chitarrista/cantante Francis M. Howard.
The Fallen Entities è il sesto lavoro sulla lunga distanza, un bombardamento death/thrash metal che non concede tregua, ruvido, diretto e old school, dal lavoro ritmico più vario rispetto a quello di molte altre band, ma sempre legato ad un genere che fa del muro sonoro massiccio e potente la base per brani che pescano a pari misura dal thrash anni ottanta (Slayer) e dal death metal di scuola statunitense dei primi anni del decennio successivo.
Niente di nuovo rispetto a quanto fatto in passato dal duo dunque, ma è indubbio che l’impatto di brani come le telluriche Creation That Affect o la title track, brano top dell’album con la lunga e a suo modo progressiva Throughout The Centuries.
Lavoro rivolto ai fans del death/thrash più ignorante e violento, The Fallen Entitiesè un macigno estremo potentissimo e senza compromessi.
Tracklist
1. Dark Days, Dark Times
2. Creations That Affect
3. Wicked Mysterious Events
4. The Fallen Entities
5. Throughout The Centuries
6. Turmoil Under The Sun
7. In Danger
8. Obstructive Behaviour
Line-up
Moyses M. Howard – Drums
Francis M. Howard – Guitars, Vocals
Gli Embrional manipolano la materia a loro piacimento, creando una valanga di riff forgiati negli oscuri abissi dell’inferno, tra tempi veloci ed altri più rallentati, maligni come demoni intenti a portare il verbo oscuro sulla terra.
Sono passati quattro anni da quando gli Embrional fecero la loro maligna apparizione su quelle che erano pagine metal di Iyezine con quell’oscuro massacro sonoro dal titolo The Devil Inside, e il diavolo pare proprio che continui ad ispirare alla band polacca musica estrema malefica e putrescente.
Il gruppo torna con questo ottimo lavoro intitolato Evil Dead, composto da otto brani di death metal oscuro e diabolico, dai tratti black ed accostabile ai soliti Behemoth.
Gli Embrional manipolano la materia a loro piacimento, creando una valanga di riff forgiati negli oscuri abissi dell’inferno, tra tempi veloci ed altri più rallentati, maligni come demoni intenti a portare il verbo oscuro sulla terra.
Dall’opener Ending Up On The Gallows in poi è un susseguirsi di atmosfere oscure e possessive, un crescendo di odio e malvagità che trova nell’oppressiva Lords Of Skull, nella violenta e veloce Day Of Damnation e nella conclusiva Damned By Dogmas il culmine di tensione di questo nuovo lavoro degli Embrional, altro ordigno sonoro appannaggio degli amanti del death metal di scuola est europea.
Tracklist
1.Ending up on the Gallow
2.Vileness…
3.Inhuman Lusts
4.Lord of Skulls
5.Day of Damnation
6.Endless Curse
7.Abomination
8.Damned by Dogmas
In virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal.
La Volcano Records ci sorprende ancora una volta, licenziando il debutto dei Legacy Of Silence, band folk/death metal di Torino.
Il gruppo, attivo dal 2014, dopo vari cambi nella line up, un ep ed una manciata di singoli pubblicati arriva all’esordio su lunga distanza, un’opera curata nei minimi dettagli intitolata Our Forests Sing.
Ispirato dai luoghi montani della loro terra, il concept dell’album ruota intorno alla natura, alla sua forza e all’influenza che ha su chi ancora riesce a viverci in simbiosi, ed il sound non può che essere un death metal melodico, di matrice nord europea e dalla forte componente folk.
Ormai il genere non fa più notizia, ma in virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal. Our Forests Sing, le foreste cantano, intonando note d’altri tempi e con Witchwood si entra nel mondo dei Legacy Of Silence, fatto di rispettoso silenzio davanti alla maestosità dei luoghi dove le varie Bloodhunt o Misfortune ci accompagnano, mentre le ritmiche salgono, il growl si inspessisce e l’atmosfera si contorna di un’aura austera ed epica nello spartito di Heresy e Nightfall.
Le band di riferimento sono quelle ormai classiche del genere, con la componente estrema di matrice Amon Amarth ad irrobustire il suono dell’epico silenzio di cui si fanno portavoce i Legacy of Silence.
Line-up
Alberto Ferreri – Batteria
Luca Capurso – Flauto
Gianluca Mondo – Chitarra Main e Voce
Mark Greyowl – Voce Leader
Simone Macchia – Chitarra Leader
Alberto Ferrero – Basso
Within The Depths Of Oblivion non ha nulla di originale, ma a forza di spallate potentissime sfonda le nostre resistenze, ci travolge con un quel sound diventato leggenda e ci regala cinquanta minuti di melodie incastonate tra devastanti ripartenze e mid tempo, atmosfere oscure e una raccolta di tracce praticamente perfette.
Difficile non essere d’accordo con le note biografiche presenti nel promo kit riguardante il debutto degli Ontborg, band nata nel 2017 dalle ceneri dei Voices Of Decay, ed ora pronta ad entrare con Within The Depths Of Oblivion nei cuori degli amanti del death metal old school di scuola scandinava.
Con base a Merano, trasformata in una piccola Göteborg dal quartetto, gli Ontborg si incuneano nell’ underground estremo tricolore con un lavoro decisamente riuscito, un tributo al genere con le carte in regola per accasarsi nei lettori cd di chi, ancora oggi, ad ogni uscita che riguarda il death metal nord europeo festeggia come fosse Natale. Within The Depths Of Oblivion non ha nulla di originale, ma a forza di spallate potentissime sfonda le nostre resistenze, ci travolge con un quel sound diventato leggenda e ci regala cinquanta minuti di melodie incastonate tra devastanti ripartenze e mid tempo, atmosfere oscure e una raccolta di tracce praticamente perfette.
Dall’opener Living Is A Torture, passando per la title track, è un susseguirsi di brani di altissimo livello che, come scritto non muovono un passo fuori dal periodo 90′-95 ma che stendono al primo colpo, grazie a spettacolari mid tempo come Entwined In Darkness o alla clamorosa This Time, per poi accelerare i tempi fino al confine con il black metal e sfornare autentici gioielli come Die To Be Alive, facendo infine confluire il tutto in Snow Of Lethe.
L’artwork di Juanjo Castellano, artista conosciutissimo nella scena death metal, in linea con le leggendarie copertine di quel periodo, e con Dismember, Necrophobic, Entombed e primi Edge Of Sanity a fornire l’imprimatur al tutto, Within The Depths Of Oblivion si candida come una delle più belle sorprese dell’ultimo periodo per quanto riguarda lo swedish death.
Tracklist
1. Living Is A Torture
2. Within The Depths Of Oblivion
3. Entwined In Darkness
4. A Storm Breaks The Silence
5. This Time
6. Die To Be Alive
7. Snow Of Lethe
8. No Memories Beyond
9. The Long Awaited Winter
10. Black Garden
Line-up
Lukas Flarer – vocals, guitars
Florian Reiner – guitars
Harald Klenk – bass
Christoph Flarer – drums
Una ventata di aria malefica, un disco black death dalle tante sfumature che regala molte emozioni e lascia stupiti.
I Belzebubs sono dei cartoni animati che suonano un ottimo black metal dai forti legami con il death e arrivano fino al numero uno della classifica dei dischi fisici in Finlandia.
Se ciò doveva accadere, sarebbe stato per forza in Finlandia, il paese dove c’è un incredibile e genuino amore per il metal tutto, meglio se estremo. Dopo l’esordio su Century Media con il sette pollici Blackened Call, i nostri arrivano al loro debutto su lunga distanza, ed è un gran bel sentire. Il disco è potente e ben calibrato, è black metal nella sua essenza, ma ci sono tanti altri elementi che concorrono alla sua creazione per farne un disco di metal totale, un vero e proprio atto d’amore verso questa musica. Ad esempio non pochi sono i momenti sinfonici, che vanno ad accrescere il pathos dell’opera. I Belzebubs sono un gruppo vero, i loro membri rilasciano interviste e sono molto presenti, anzi sono molto meglio di certi gruppi in carne ed ossa. Non si sa chi ci sia veramente dietro ai personaggi disegnati dall’ottimo cartoonist finlandese Jp Ahonen, che ha avuto questa idea montata, poi, fino a diventare un grande successo e un grandissimo spot per il metal. Pensate infatti se, fin da bambini o da adolescenti, aveste auto la possibilità di vedere dei cartoni animati di black e death metal, fatti con passione e competenza. Il disco è davvero buono, c’è anche tanto humour ma non si scherza, i Belzebubs sono un vero gruppo e lo si sente soprattutto quando fanno canzoni di oltre otto minuti dalla grande struttura. Basta vedere il video di Cathedrals Of Mourning per capire le immense potenzialità di questo progetto: una ventata di aria malefica, un disco black death dalle tante sfumature che regala molte emozioni e lascia stupiti. Solo gioie dalla Finlandia.
Tracklist
1. Cathedrals Of Mourning
2. The Faustian Alchemist
3. Blackened Call
4. Acheron
5. Nam Gloria Lucifer
6. The Crowned Daughters
7. Dark Mother
8. The Werewolf Bride
9. Pantheon Of The Nightside Gods