Silenzio – Ep

I Silenzio sono un ottimo gruppo hardcore punk di Vicenza che attinge dalla splendida tradizione italiana del genere e al contempo innova fondendo vari sottogeneri.

I Silenzio sono un ottimo gruppo hardcore punk di Vicenza che attinge dalla splendida tradizione italiana del genere e al contempo innova fondendo vari sottogeneri.

I ragazzi sono di Vicenza e hanno ben chiara la loro missione, ovvero descrivere con la musica ed il sangue ciò che vediamo e viviamo tutti i giorni, con il supporto di una capacità musicale affatto comune. I Silenzio hanno il passo dei grandi gruppi hardcore punk, avendo la grande capacità di cambiare registro musicale a seconda delle emozioni che vogliono descrivere. Ascoltando questo ep si ha la confortevole sensazione di essere tornati vicino a delle ottime vibrazioni hardcore punk, ma il comfort finisce qui, perché oltre quella porta c’è solo dolore e smarrimento. Proprio quest’ultimo è uno dei sentimenti dominanti di questa nostra epoca, avvertiamo nettamente la sensazione di essere fuori posto, sopratutto se cerchiamo di vivere secondo i modelli dominanti, che sono chiaramente fallimentari, ma che più espletano il loro fallimento più ci vengono imposti. Ad esempio la conclusiva Merito è un bellissimo pezzo sulla meritocrazia, una cosa che in Italia non esiste nemmeno di sfuggita, e i Silenzio ne fanno una bellissima canzone mai ovvia. Tutto il disco è bello, è della lunghezza giusta, ci sono atomi che viaggiano velocissimi, e atomi che vanno più lenti, tutto è adeguato e molto ben fatto, e sopratutto è uno di quei dischi che ti fa ragionare e andare oltre le ombre. Musicalmente come composizione ed esecuzione sono molto oltre la media dei gruppi hardcore punk, che è un genere che fa giustamente esprimere anche chi non ha ottime capacità, ma che quando viene fatto da chi sa suonare lo si sente nettamente subito.
Un ottimo ep di esordio per un gruppo che ha tanto da dire e da suonare.

Tracklist:
1 Oro
2 Azione
3 Argento
4 Merito

Line-up
Maksymilian – Voice
Giordano – guitar
Samuele – bass
Francesco – drums

Haram – Questo è Solo Chaos

Un disco che spezza schemi come se fossero steccati sotto un’onda tsunamica, una salutare scarica di adrenalina e di ottima musica fatta caos, un lavoro che ha radici solide e lontane nel tempo ma che è una delle cose più moderne e sincere degli ultimi nell’alternativo italiano.

Gli Haram sono di Torino e hanno un progetto di decostruzione della musica metal e pesante in genere per arrivare sempre più vicini al caos, e ci riescono benissimo.

Questo è il loro debutto, prodotto da una cospirazione diy di ottime e nervose etichette. Dimenticate ciò che avete sentito fino ad ora, qui regna la pesantezza, la velocità quando è necessaria e tutto punta verso il fare male. Gli Haram sono un gruppo maturo che firma un disco notevole, mai ovvio o comune, che attinge alla tradizione italiana per quanto riguarda l’hardcore e lo sludge, ma qui tutti i generi sono meri punti di partenza per esplorare territori ignoti. Il gruppo torinese distilla un groove metallico e caotico, un flusso sonoro senza soluzione di continuità che serve per staccarsi dalla matrice nella quale viviamo. Questo è Solo Chaos è la sublimazione del detto “caos non musica” che imperava nell’hardcore italiano anni ottanta, ma è anche un’importante operazione per provare a scollegarsi dalle gabbie che sono state costruite anche nel genere che in teoria dovrebbe essere più libero, quello alternativo. C’è il post metal, un potentissimo sludge, tracce di grindcore, droni che volano incessantemente sopra le nostre teste, il tutto messo assieme in maniera inedita. Come afferma lo stesso gruppo, qui non c’è nulla di famigliare, e questo è una delle cose più importanti del disco. Troppo spesso, per non dire sempre, ci affidiamo alle comode e conosciute strutture musicali, catalogando il tutto come death, grind, etc.
Qui tutti i parametri vengono sgretolati dalla forza più importante in natura e che ci spaventa maggiormente: il caos. Nulla intimorisce maggiormente l’uomo del non sapere cosa possa succedere nel minuto successivo a quello che stiamo vivendo. E in questo disco è proprio così, l’onda ci travolge e non si può far nulla se non provare a nuotare, o lasciarsi condurre che è la cosa migliore. Canzoni come Post Odio sono semplicemente sublimi pugni in faccia, calci nella tempia… e guardalo un cazzo di tramonto…guardalo !!!
Un disco che spezza schemi come se fossero steccati sotto un’onda tsunamica, una salutare scarica di adrenalina e di ottima musica fatta caos, un lavoro che ha radici solide e lontane nel tempo ma che è una delle cose più moderne e sincere degli ultimi nell’alternativo italiano.
Ma alla fine è un immenso vaffanculo, a tutto.

Tracklist
1. Questo è solo chaos
2. Terra
3. No Boat!
4. Asti
5. Solo
6. Ansia
7. Post odio
8. Hoppressione
9. Hoppressione (presa diretta)

Line-up
Nicola Ambrosino – Basso, Voce
Davide Donvito – Chitarra
Utku Tavil – Batteria

https://www.facebook.com/haramtorino/

This Gift Is A Curse – A Throne Of Ash

I The Gift Is A Curse sono una band che ha creato una propria linea sonora che qui tocca il suo apice, ma è fantastico il tutto, la totalità di un disco superiore che è un vero e proprio rito per aprire porte per altre dimensioni, ma che su questa terra è un magnifico disco di black metal.

I This Gift Is A Curse sono semplicemente uno dei migliori gruppi europei di black metal, e questo album ne è la nera testimonianza.

Dal 2012 questi svedesi di Stoccolma hanno pubblicato tre dischi incluso questo, la loro maturazione è stata costante e li ha portati ad altri livelli. La loro proposta è un black metal che ha un incedere maestoso, con moltissimi riff delle due chitarre che si incrociano e con un andamento che ricorda quello dell’hardcore caotico, un magma che porta tenebre e pesca moltissimo nella sapienza occulta. Fin dalla copertina di Throne Of Ash si può capire che il gruppo svedese, soprattutto il cantante e fondatore Jonas A. Holmberg, possiede profonde conoscenze occulte e che le riversa tutte nella musica. Nessuna canzone dei loro tre dischi nasce per caso e questa intervista al cantante è illuminante in proposito : https://distortedsoundmag.com/interview-jonas-a-holmberg-this-gift-is-a-curse
Come al solito è la musica a spiegare meglio di tutto ciò che si intende fare, e il loro progetto è assai maestoso, essendo un black metal che va oltre gli steccati del genere per arrivare ad un sound che non comprende solo questa dimensione. Fino ad ora questo ultimo lavoro è la loro frontiera, ma il gruppo della capitale svedese andrà ben oltre. Fra le tante peculiarità c’è quella di sviluppare un’intensità inusitata e molto alta, con canzoni che avviluppano l’ascoltatore e non lo lasciano, grazie anche ad un impasto melodico molto ben costruito. Questo disco è un viaggio nell’oscurità a vari livelli e chi ha una certa conoscenza esoterica coglierà molte cose, ma anche chi è digiuno di occultismo avrà un bel quadro nero da gustarsi. Inoltre il gruppo ha questo approccio hardcore che rende il tutto ancora più violento ed intenso. I This Gift Is A Curse hanno anche il dono della chiarezza, ovvero la musica è prodotta benissimo, il cantato è molto chiaro e ci si gusta ogni singola cosa. A Throne Of Ash cresce ad ogni ascolto, a mano a mano che si sentono le canzoni acquisisce maggior peso e il risultato è che questa opera di splendido black metal non ci lascia le orecchie. I The Gift Is A Curse sono una band che ha creato una propria linea sonora che qui tocca il suo apice, ma è fantastico il tutto, la totalità di un disco superiore che è un vero e proprio rito per aprire porte per altre dimensioni, ma che su questa terra è un magnifico disco di black metal.

Tracklist
1.Haema
2.Blood is my Harvest
3.Thresholds
4.Gate Dweller
5.Monuments for Dead Gods
6.Wolvking
7.I Am Katharsis
8.In Your Black Halo
9.Wormwood Star

Line-up
P. Andersson – guitar, vocals
D. Deravian: guitar, vocals
L. Gunnarsson: bass, vocals
J. A. Holmberg: vocals
J. Nordlund: drums

https://www.facebook.com/thisgiftisacurse/

Imperials – Imperials

Il suono degli Imperials è qualcosa di moderno ma che rimanda ad un antico sentore, quella voglia di coniugare diverse culture underground e cittadine che non abbandonerà mai certi ragazzi.

L’omonimo disco d’esordio degli Imperials è un bellissimo e godibilissimo concentrato di hardcore beatdown, rapcore e testosterone con dj al seguito, il tutto fatto con uno stile ed un’impronta davvero notevole.

Innanzitutto i nostri decidono di cimentarsi in un genere che in Italia non è mai stato amato come nei paesi anglosassoni, ma questo gruppo dimostra di potersela giocar benissimo in tutti i campionati. Il loro suono è un concentrato di potenza, di velocità e di incisività che faranno impazzire chi ama i ritmi malati dell’hardcore beatdown, quegli stop and go che trasudano pesantezza, o i passaggi a bassa quota che si spera non finiscano mai. Il disco degli Imperials arriva abbastanza inaspettato nel panorama undergound dell’hardcore italiano ed è quindi bellissima sorpresa. Ascoltare questi chitarroni con sotto degli scratch è rigenerante e mette in guerra con il mondo intero. La musica degli Imperials parte da riferimenti ben precisi, come i Rise Of The Northstar soprattutto per i cori e l’arroganza positiva, i Drowning e tutto quell’hardcore beatdown a stelle e strisce che spinge impetuoso. I ragazzi usano molto bene la gamma del loro suono, sfruttando in maniera molto adeguata dj Buio, un vero valore aggiunto per il gruppo che porta in dote varietà e maggiore profondità. Ascoltando l’esordio è chiaro che ci sono ancora ampi margini di miglioramento, ci sono alcune cose da migliorare, ma il gruppo è valido e potrà stupire in futuro come ha stupito con questo disco. Qui dentro c’è tantissima energia e tanta voglia di spaccare tutto, ma la violenza non è cieca ci vede benissimo, approntando intelaiature sonore di matrice hardcore con elettronica fatta molto bene, per un risultato pressoché unico in Italia. Il suono degli Imperials è qualcosa di moderno ma che rimanda ad un antico sentore, quella voglia di coniugare diverse culture underground e cittadine che non abbandonerà mai certi ragazzi. Per fortuna.

Tracklist
1.Imperials 2k19
2.Cuntz
3.DJ Buio
4.Worms
5.We Are Imperials
6.Deep Down In My Sleep
7.Stick To The Plan
8.BELLINFERNO
9.Negativity
10.Credits

IMPERIALS – Facebook

Oigres – Psycho

Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Oigres è il nuovo progetto solista che vede all’opera Sergio Vinci, conosciuto nell’ambiente estremo italiano anche per essere stato il leader degli ottimi Lilyum, una delle migliori espressioni nazionali a mio avviso per quanto riguarda il black metal nelle sue vesti più ortodosse.

I brani contenuti in questo lavoro hanno però ben poco a che vedere con quell’esperienza, se non per l’approccio diretto e rabbioso che qui si estrinseca sotto forma di un thrash/groove hardcore cantato prevalentemente in italiano e che, anche per questo, rimanda a livello attitudinale a gruppi come i Negazione e relativa genia di provenienza piemontese.
I testi abrasivi, ma non privi di slanci poetici, sono sorretti da un sound che non si perde in preamboli ma va dritto all’obiettivo lasciando spazio a tempi più diluiti solo nella pregevole traccia ambient di chiusura, Outro – Openclosed.
Come detto, il nome Lilyum vale qui essenzialmente quale sorta di garanzia della bravura e della sincerità di un musicista come Sergio, che qui si disimpegna in maniera lineare ma alquanto efficace anche nelle vesti di cantante.
Brani come Fermo, Lontano Da Me e Stella, in particolare, sono sferzate di energia contenenti un’urgenza espressiva che, probabilmente, all’interno di una band rischiava d’essere in qualche modo mediata o filtrata, mentre lo stesso monicker prescelto testimonia ampiamente come questa nuova avventura sia, per Sergio Vinci, un qualcosa di intimo, al riparo da qualsiasi interferenza esterna dal punto di vista prettamente compositivo.
Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: anche se, come si può intuire dalla mia premessa, non posso considerare la fine dei Lilyum come una buona notizia, la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Tracklist:
1. Intro – Lifog
2. Fermo
3. Lontano Da Me
4. Stella
5. I Am
6. Scivola Via
7. No Fear, No Truth
8. Outro – Openclosed

Line-up:
Sergio Vinci

OIGRES – Facebook

Martyrdöd- Hexhammaren

Nel corso dei vari dischi il suono dei Martyrdöd è cambiato, e questa ultima fatica è la sintesi più completa e compiuta di cosa sia questo gruppo, sicuramente uno dei migliori nel proprio genere.

Tornano gli svedesi Martyrdöd, capostipiti e fra i migliori esponenti del d-beat e crust politicizzato.

I Martyrdöd sono in giro da molto tempo, la loro carriera è di grande valore, e ogni nuovo disco non delude, proprio come questo Hexhammaren, la loro ultima fatica, che sta già incontrando favori di critica e pubblico. La formula offerta è un assalto di furioso crust hardcore, che con il passare degli anni ha assorbito un tipo di melodia che lo rende ancora più doloroso e letale. Rispetto alla media dei gruppi del genere crust, i Martyrdöd possiedono un ben più ampio ventaglio di soluzioni, e in questo disco ce le fanno sentire tutte. Ascoltando Hexhammaren si fa una specie di carrellata sulla carriera di questo gruppo, che rispecchia il meglio della sua scena. Questi svedesi sono molto arrabbiati e ne hanno tutte le ragioni, e mettono tutta la loro rabbia per fare una musica che ha grande carica ma anche molta introspezione, sia nei testi che nella musica stessa. La loro grande esperienza (sono in giro dal 2001) permette loro di costruire canzoni che hanno uno sviluppo molto stratificato e ben strutturato, con cui l’ascoltatore viene portato per mano a vedere la descrizione di un mondo che è in decadenza, prima di tutto morale. Hexhammaren potrebbe essere l’inizio di una presa di coscienza di qualche ragazzo che si avvicina ad una musica arrabbiata ma con grandi valori, e tutto ciò in questo disco è presente. Ad esempio c’è una canzone sulla Siria, paese che è attualmente scomparso dai radar di questa schizofrenica società dell’informazione, dove ci viene dettato cosa dobbiamo sostenere e seguire. I Martyrdöd ci presentano il conto di questo sfacelo e non è un bel vedere, facendolo con una musica che è struggente. Nel corso dei vari dischi il loro suono è cambiato, e questa ultima fatica è la sintesi più completa e compiuta di cosa sia questo gruppo, sicuramente uno dei migliori nel proprio genere. Hexhammaren è una deriva, una discesa consapevole e molto affascinante in quello che è il nostro inferno: le nostre vite.

Tracklist
1. Hexhammaren
2. Rännilar
3. Helveteslarm
4. War on Peace
5. Bait and Switch
6. Nästa Syrien
7. Cashless Society
8. In the Dead of Night
9. Den Sista Striden
10. Pharmacepticon
11. Judgement Day
12. Sthlm Syndrom

Line-up
Tim Rosenqvist – Guitar
Jens Bäckelin – D-beat
Mikael Kjellman – Guitar & Vocals
Daniel Ekeroth – Bass

MARTYRDOD – Facebook

Blueside – Small Town, Good Wine & Sad People

I Blueside mostrano il dito medio in maniera molto intelligente, con testi in italiano ed in inglese: canzoni come Fuori e Notorietà sono geniali, ma tutto il disco è molto al di sopra della media, e soprattutto è un qualcosa finalmente di dissacrante, da parte di un gruppo che non ha pose ma molta sostanza, riuscendo inoltre a fare qualcosa di nuovo di un genere trito e ritrito.

Interessante progetto di punk rock e melodic hardcore da Sonnino, provincia di Latina.

La provenienza è molto importante perché il disco tratta appunto della vita in provincia, fucina di talenti e fornace creatrice di frustrazione e rabbia. Tutto ciò i Blueside lo vivono quotidianamente ma hanno fatto un qualcosa di molto punk, ovvero prendere il tutto con seria ironia. Là fuori onestamente è una merda, ma se almeno lo sottolineiamo pigliandovi e pigliandoci in giro forse ci salviamo. Ancora meglio se lo si fa con un gran bel punk rock che incontra l’hardcore melodico, con quella facilità che solo i gruppi che stanno bene assieme e che hanno uno scopo possiedono. Ai Blueside viene fuori questo disco di poco più di venti minuti in maniera molto naturale e scorrevole. La vita in una cittadina di provincia come la loro Sonnino, o in tutte quelle dove la maggior parte di noi è cresciuta, è descritta molto bene, ed il disco si presenta come un vero e proprio concept diviso in quattro parti, con ognuna dedicata a un qualcosa che abbiamo vissuto e che è dolorosamente vero. La musica supporta benissimo questo vivere, cercando di uscire da quel no future che in troppe parti della nostra penisola i giovani vivono, e non che a quelli più avanti con l’età vada poi meglio. Il disco dei Blueside, Small Town, Good Wine & Sad People, centra in pieno anche uno dei temi portanti del vivere in Italia, ovvero che il vino è buono, le città sono piccole e la gente è triste, perché la vita è mero sostentamento, ma ti frega il fatto che mangi e bevi bene. Di fronte a questo dilemma i Blueside mostrano il dito medio in maniera molto intelligente, con testi in italiano ed in inglese: canzoni come Fuori e Notorietà sono geniali, ma tutto il disco è molto al di sopra della media, e soprattutto è un qualcosa finalmente di dissacrante, da parte di un gruppo che non ha pose ma molta sostanza, riuscendo inoltre a fare qualcosa di nuovo di un genere trito e ritrito. Fare un album così non è da tutti, solo in provincia è possibile, perché tante cose buone vengono da lì dove si vive in una certa maniera, sta a voi dire se meglio o peggio che in città.

Tracklist
1. Project#1_SmallTown
2. Ci vomito su
3. Project#2_GoodWine
4. Il Moralista
5. I’m Paranoid
6. Project#3_SadPeople
7. Fuori
8. Project#4_WTF
9. Notorietà
10. Rain

Line-up
Simone Cecconi – Voices & Bass
Domenico Rufo – Guitar
Daniele Rufo – Guitar
Mario Talocco – Drum

BLUESIDE – Facebook

Aftermath – There Is Something Wrong

Thrash metal e hardcore, progressive e crossover, sono dunque le anime che vivono nel sound degli Aftermath, che continuano la loro denuncia contro politiche dannose ed una società allo sfascio tramite una musica estrema che non manca di sorprendere per l’ottima preparazione strumentale dei protagonisti, che tra Devin Townsend e Voivod ci investono con il loro metal fuori dagli schemi e non poco riottoso.

Con There Is Something Wrong sembra di essere tornati a metà degli anni novanta, quando nel metal imperversavano le sonorità crossover e non era così raro trovarsi al cospetto di band dal sound che univa un deflagrante thrash metal, progressive e hardcore, ad accompagnare testi di denuncia politica e sociale.

Ed infatti gli Aftermath arrivano proprio da quel periodo, essendo attivi addirittura dalla seconda metà degli anni novanta, ma con l’unico album Eyes of Tomorrow licenziato (oltre a vari demo) nel 1994.
Un lungo silenzio nel corso del quale il nome del gruppo di Chicago era accomunato ad un paio di compilation ed ora il ritorno con questo nuovo e fiammante There Is Something Wrong, che con un po’ di ritardo sulla storia del crossover metal torna a far parlare di Kyriakos “Charlie” Tsiolis e compagni.
Thrash metal e hardcore, progressive e crossover, sono dunque le anime che vivono nel sound degli Aftermath, che continuano la loro denuncia contro politiche dannose ed una società allo sfascio tramite una musica estrema che non manca di sorprendere per l’ottima preparazione strumentale dei protagonisti, che tra Devin Townsend e Voivod ci investono con il loro metal fuori dagli schemi e non poco riottoso.
Partenza dallo spirito hardcore con le potenti ma lineari FFF (FalseFlagFlying), Diethanasia, Scientists And Priest e Smash, Reset, Control, poi l’album comincia a solcare lidi progressivi molto vicini ai Voivod di Angel Rat e The Outer Limits con una serie di brani che mantengono un impatto estremamente hardcore come Gaslight, Pseudocide e la title track.
Il nuovo album della storica band statunitense non troverà certo tutti gli estimatori del periodo di uscita del primo album, ma sicuramente non tradirà quei fans che non si sono dimenticati del gruppo e dell’ormai storico Eyes Of Tomorrow.

Tracklist
1.Can You Feel It?
2.False Flag Flying
3.Diethanasia
4.Scientists and Priest
5.Smash Reset Control
6.Gaslight
7.A Handful of Dynamite
8.Temptation Overthrown
9.Pseudocide
10.There Is Something Wrong
11.Expulsion

Line-up
Kyriakos “Charlie” Tsiolis – Vocals
Steve Sacco – Guitar
Ray Schmidt – Drums
George Lagis – Bass

AFTERMATH – Facebook

Bad Religion – Age Of Unreason

Ciò che rimane dipende da voi, sicuramente Age Of Unreason è un buon disco e alla fine questa è la cosa più importante.

Tornano i Bad Religion, gruppo capostipite del punk rock americano che non conosce congedo permanente.

Questo loro nuovo lavoro è il numero diciassette e loro non hanno intenzione di fermarsi. Il disco è molto ben prodotto e mostra quell’incontro tra aggressività e melodia che ha sempre contraddistinto il gruppo californiano. I Bad Religion con Age Of Unreason dimostrano di poter dare ancora tantissimo, ma pongono anche un problema non da poco, anzi una serie di problemi. Ci sono tante domande che vengono a galla durante l’ascolto di questo buon disco, una delle quali è: come mai non esiste un gruppo punk rock successivo ai Bad Religion che abbia lo stesso carisma ed un impatto pressoché simile? Fare punk a cinquanta anni ha senso? Dopo di loro il nulla?
In tutte queste domande è sottintesa la più grande, ovvero cosa sia il punk rock o melodic hardcore. Un genere nato per scalciare che è presto diventato una zona di comfort per molta gente che cerca una ribellione molto semplice e sonora. Forse Age Of Unreason è un disco che diventerà un classico per ragazzi di quarant’anni invidiosi di quando andavano in skate fumando bong. L’album è buono e funziona molto bene, ma se lo prendiamo per quello che è non se ne vede il contorno, che è molto importante. Pochi gruppi attuali suonano come i Bad Religion, che hanno talento e naturalezza, ma che forse possiedono ancora ciò che manca a tanta gente che suona il loro stesso genere: l’incazzatura. Ai Bad Religion rode ancora il culo, Trump o non Trump, perché spiace dirlo ma il presidente americano è un toccasana per molti gruppi e solisti bolliti che lo tirano in mezzo per vendere di più, in quanto fa figo e ci si ritrova dalla parte giusta se lo si insulta. Invece il problema è il capitalismo e lo stato stesso, ma questa è un’altra storia. Ciò che rimane dipende da voi, sicuramente Age Of Unreason è un buon disco e alla fine questa è la cosa più importante.

Tracklist
1. Chaos from Within
2. My Sanity
3. Do the Paranoid Style
4. The Approach
5. Lose Your Head
6. End of History
7. Age of Unreason
8. Candidate
9. Faces of Grief
10. Old Regime
11. Big Black Dog
12. Downfall
13. Since Now
14. What Tomorrow Brings

Line-up
Greg Graffin – vocals
Brett Gurewitz – guitar, background vocals
Jay Bentley – bass, background vocals
Brian Baker – guitar
Jamie Miller – drums
Mike Dimkich – guitar

BAD RELIGION – Facebook

Second Youth – Juvenile

I Second Youth hanno una marcia in più e lo dimostrano con questi quattro pezzi, potenti, melodici e precisi.

Secondo ep per il gruppo italiano di punk rock Second Youth.

Questi ragazzi fanno un punk rock molto melodico e ben prodotto, che guarda alla scuola californiana dei Rancid e dei gruppi Fat Wreck. Dopo il primo ep si sono imposti all’attenzione internazionale, infatti il presente lavoro è una co-proudzione internazionale fra varie etichette, l’italiana Indiebox Music , l’europea Epidemic Records , e l’americana Paper and Plastick Records. Il suono della band si presta molto a farsi conoscere ed apprezzare fuori dai confini nazionali, grazie ad un marcato respiro internazionale che si percepisce molto bene all’ascoltoo. I Second Youth hanno una marcia in più e lo dimostrano con questi quattro pezzi, potenti, melodici e precisi. Certamente nel loro sound è molto presente la componente anni novanta del punk rock, forse quella che ha segnato di più le cose migliori di questo genere negli ultimi anni, e i Second Youth sono fra queste. Questi ragazzi riescono a cogliere il meglio rielaborando molto bene il tutto secondo il loro gusto personale. Melodia che significa cuore, velocità quando serve e passo più cadenzato per cose più intime, ma sempre con il proprio passo e la propria personalità. La produzione è buona e riesce a far risaltare l’operato della band facendole compiere un ulteriore passo in avanti. Juvenile riesce benissimo ad essere ciò che vuole sembrare, un qualcosa che parla al cuore e alla pancia, come sanno fare solo i gruppi punk rock migliori. L’idea migliore ve la farete guardando ed ascoltando il singolo Zero qui sotto.

Tracklist
1. ZERO
2. JUVENILE
3. MORONS
4. BLUE

SECOND YOUTH – Facebook

Anna Havoc – Anna Havoc

Gli Anna Havoc sono una band di San Pietroburgo che suona un buon hardcore caotico, magmatico e molto duro.

Gli Anna Havoc sono una band di San Pietroburgo che suona un buon hardcore caotico, magmatico e molto duro.

Il loro primo ep è un buon esempio di cosa possa offrire un giovane gruppo di talento e in grado di ottenere ottimi ascolti. Certamente i numi tutelari sono i Converge e tutta quella scena che ha cambiato l’hardcore negli ultimi anni che è tuttora è un’onda che avanza. I riff sono molto precisi e colpiscono nel segno, le canzoni sono costruite e sono sviluppate bene. La furia di questi ragazzi non è cieca, è incanalata nella via giusta e viene espressa al meglio, attraverso questo hardcore pesante ed incalzante. La tensione rimane alta per tutto il disco, il minutaggio è adeguato ad esprimere quello che vogliono questi russi, ovvero la descrizione di una società che sta morendo e questo è il suono del coltello che la seziona. Gli Anna Havoc riescono a non essere derivativi perché hanno un’alta qualità nel loro sound e l’esprimersi in lingua madre è segno di forte personalità e di voglia di non farsi omologare, il messaggio lo si capisce benissimo. Ci sono momenti intensi e molto coinvolgenti, ma tutto il disco si attesta su buoni livelli: anche nei pezzi più lenti e sofferti gli Anna Havoc si esprimono molto bene e riescono sempre a costruire cose interessanti. E’ sempre piacevole ascoltare dell’hardcore nuova scuola suonato in questa maniera, peraltro il disco è in offerta libera sul loro bandcamp e ne vale davvero la pena.

Tracklist
1.Тишина
2.Вольта
3.Птица
4.Очаг
5.Весна

Wrong Way To Die – Wild And Lost

Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene.

I Wrong Way To Die sono un gruppo padovano di hardcore melodico ma c’è molto di più.

Nati nel 2011, hanno debuttato sulla lunga distanza nel 2014 con Ingrates, per Redfield Digital, e hanno condiviso il palco con gruppi dal grande seguito come Texas In July e Being As An Ocean. La band si autodefinisce melodic hardcore, ma la sua musica va ben oltre questo genere , regalando molte emozioni che è poi la cosa più importante. I Wrong Way To Die sono un gruppo di talento e passione, all’interno di ogni canzone riescono sempre a trovare le soluzioni adeguate, e soprattutto allargano l’orizzonte di questo suono, rompendo i soffitti e facendoci intravedere il cielo. Nella loro musica si può sentire una linea melodica in comune con gruppi come i Deftones, quelle scalate melodiche che rimettono a posto il cervello e lo stomaco di chi ascolta. Ci sono tantissimi stop and go, tutti bellissimi e coerenti, e anche le parti maggiormente post hardcore sono molto belle. Se si volesse dare una definizione del loro suono, definizione per forza riduttiva perché è sempre la musica ed il gusto personale a comandare, si potrebbe azzardare un post hardcore progressive, perché ci sono cose in questo gruppo che vanno oltre le definizioni esistenti. I Wrong Way To Die non inventano nulla, ma lo fanno in maniera molto originale e coinvolgente, con un disco che ha una grande freschezza e al contempo un grande calore che ti avvolge e ti fa stare bene, senza contare che la resa dal vivo deve essere devastante. Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene. Si sente molto chiaramente che il gruppo ha ascoltato e studiato molto e, mi spiace dirlo, ma se fossimo ad altre latitudini avrebbe ben altro seguito. Un disco che cerca dentro e fuori di noi alcune risposte, che sono già messe in musica proprio qui.

Tracklist
1. Orbit
2. Aimless
3. Reformed
4. Eternal
5. Fall Apart
6. The Most You Can Lose
7. The End / To Begin
8. The Glass I

Line-up
Federico Mozzo – Guitars
Vittorio Rispo – Bass
Marco Violato – Drums
Pham The Cosma Hai – Vocals

WRONG WAY TO DIE – Facebook

Zebrahead – Brain Invaders

Un album molto piacevole, uno dei migliori episodi della discografia di un gruppo dato per morto tante volte ma che spinge sempre.

Certe cose non cambiano mai, metti l’ultimo disco dei Zebrahead e non riesci a stare fermo, e ciò succede dal 1995 quando furono fondati in California nella Orange County. Con questo fanno tredici dischi e non si vede il motivo per smettere, anzi.

La loro mistura di pop punk, un nu metal leggero ed hardcore melodico continua a far divertire molte persone in giro per il globo, ora come venti anni fa. Il segreto dei Zebrahead è fare musica veloce e da cantare a squarciagola, prendendo la velocità dell’hardcore melodico, la melodicità del pop punk e passaggi di numetal e rapcore che permettono di fare un suono originale. Brain Invaders è la conferma che la formula è vincente, anche perché questa opera è decisamente la migliore dell’ultimo periodo della loro discografia, se non addirittura sul podio. Questo è un suono decisamente americano, in apparenza facile, ma invece racconta cose non semplici da dire, come il gran bel messaggio del singolo All My Friends Are Nobodies, ovvero stare vicino a chi vuoi bene anche se non sei tu stesso in un bel periodo, inoltre il singolo è una bellissima traccia che racchiude tutto ciò che sono i Zebrahead: velocità, messaggio e divertimento. Questo gruppo è pressoché indistruttibile, ha avuto vari cambi di formazione, ha pubblicato con major per arrivarsi ad autoprodursi come ora. Inoltre sono uno dei gruppi rock metal fra i più amati dai giapponesi, infatti il disco uscirà prima in Giappone che nel resto del mondo, dato che da quelle parti hanno sempre avuto buon gusto per il rapcore ed affini. Alcuni diranno che è il segno dei tempi, invece la normalità è ora, mentre venti anni fa era una bolla di pazza megalomania che doveva scoppiare ed è scoppiata. Ora gli Zebrahead hanno il controllo totale ed i risultati sono eccellenti, come testimonia questo disco che non è assolutamente fuori tempo massimo e, anzi, dimostra che certi suoni se fatti con passione e cura sono molto attuali. I riempitivi in questo lavoro sono al massimo uno o due, il resto sono tutti potenziali singoli, con una manciata di episodi che valgono l’intero disco. Chi era già in giro venti anni fa potrà riscoprire fragranze e suoni che sembravano essere andati persi, invece per i più giovani sarà una scoperta non da poco. I Zebrahead sono in gran forma e il tutto viene messo in risalto da una produzione davvero potente, che confeziona un suono fresco ed immediato. Un album molto piacevole, uno dei migliori episodi della discografia di un gruppo dato per morto tante volte ma che spinge sempre.

Tracklist
1. When Both Sides Suck, We’re All Winners
2. I Won’t Let You Down
3. All My Friends are Nobodies
4. We’re Not Alright
5. You Don’t Know Anything About Me
6. Chasing the Sun
7. Party on the Dancefloor
8. Do Your Worst
9. All Die Young
10. Up in Smoke
11. Ichi, Ni, San, Shi
12. Take A Deep Breath (And Go Fuck Yourself)
13. Better Living Through Chemistry
14. Bullet on the Brain

Line-up
Ali Tabatabaee – vocals
Dan Palmer -guitar
Ben Osmundson -bass
Ed Udhus – drums/beer
Matty Lewis – vocals/guitar

ZEBRAHEAD – Facebook

Not Yet Fallen – Homebound ep

Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico.

Energia positiva, passione e melodia per la nuova fatica in formato ep dei padovani Not Yet Fallen.

I ragazzi hanno distillato il meglio dai loro ascolti e hanno tratto il meglio dal metalcore e dall’hardcore per farne una miscela originale e che funziona bene. I Not Yet Fallen sono in giro dal 2008 e sono uno dei gruppi migliori che abbiamo in Italia. Nel mare magnum del metalcore con inclinazioni hardcore ci sono miriadi di dischi anche piacevoli, alcuni notevoli, ma se volete risparmiarvi ascolti inutili puntate dritto su Homebound ep perché vi lascerà di sicuro soddisfatti. La produzione è molto accurata e fa rendere il tutto al meglio, poi il gruppo ci mette del suo con questo suono molto caldo, melodico al punto giusto che fa sembrare che i Not Yet Fallen siano proprio quello che volevate ascoltare. Melodie, cori da dito puntato in alto, voli giù dal palco, musica suonata da appassionati per altri appassionati, perché da questo non si ricava la sussistenza ma tante emozioni, voglia di sudare sotto il peso dei decibel, e quella solidarietà ed amicizia che i n altri generi se la sognano di notte. Per esempio la canzone Survivalist è una manifestazione di ciò che sanno fare questi ragazzi, ma Homebound è alla fine una canzone unica, un corpus musicale da ascoltare tutto assieme, perché è uno sguardo composto da tanti battiti di ciglia. Spesso si ha bisogno di essere avvolti da un certo tipo di musica che provochi in noi determinate emozioni, e questo è proprio il posto giusto. Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico. Il formato ep è sicuramente giusto, però il giramento di coglioni quando termina il disco è elevato, un po’ come lo svegliarsi da un bel sogno. Bel disco, senza se e senza ma, uno di quei rari momenti di allineamento totale fra il metalcore, te stesso e l’universo circostante.

Tracklist
1.Lone Walker (Foreword)
2.The Lesser Evil (With Regard To Anxiety)
3.Survivalist (About A Wreck)
4.Countless Steps (Concerning Change)
5.A Catharsis pt. I (Detachment)
6.A Catharsis pt. II (The Comeback Chronicles)

Line-up
Francesco – vocals
Luigi – guitar
Emmanuel – guitar
Andrea – bass
Davide – drums

NOT YET FALLEN – Facebook

Eddie Bunker – Diffidia

Il debutto degli Eddie Bunker è scaricabile ad offerta libera sul loro bandcamp ed è un’opera notevole, che li pone sulla mappa e apre nuove prospettive all’hc italiano che non vuole morire e che scorre sempre sotterraneo.

Hardcore in quota mathcore e blackened da Vicenza: gli Eddie Bunker sono in giro da poco, ma con questo debutto si fanno notare molto bene.

Il loro incedere ricorda gruppi che in Italia hanno dato molto, come i La Crisi e tutto quell’hc anni novanta e primi duemila che sembrava dovesse diventare devastanti e invece ha poi balbettato. Colmano questo vuoto questi giovani ragazzi che hanno molte idee e tutte chiare, su cosa si deve fare per incendiare un palco o le nostre orecchie. Il cantato in italiano rende molto bene, con testi che sono importanti e che danno l’idea di cosa sia questo gruppo, in primis una gran bella sorpresa. Scorrendo il disco non ci sono solo assalti all’arma bianca, anzi, i ragazzi preferiscono ricamare belle melodie pesanti, dando la precedenza all’intensità ma anche importanza ad una certa ricerca sia musicale che tecnica. Il disco inizia con il botto, con un pezzo come Il Gioco Perfetto, che è una traccia paradigmatica per conoscere gli Eddie Bunker. Era da tempo che non si sentiva un gruppo hardcore così completo cantare in italiano. Le trame musicali sono sinuose e non lasciano tregua all’ascoltatore, sono credibili e non diventano mai noiose. Certamente l’esempio portato da gruppi come Converge e tutta quella genia hardcore tinta di nero è stata fondamentale per i vicentini, ma quel suono ha radici profonde nel loro territorio con gruppi come gli Strange Corner, che uscirono su Vacation House nel 1998 con Schism, un disco che può essere considerato come uno dei parenti di Diffidia, anche se quest’ultimo è differente, più maturo e ben strutturato. Alienazione, difficoltà di comprendere questa società assetata di sangue, voglia di pensare in maniera diversa e capire le cose a fondo, grazie ad un mezzo formidabile come l’hardcore, che è molto più di una valvola di sfogo, un genere iperrealista che dipinge cose importanti in mano di chi lo sa fare. Il debutto degli Eddie Bunker è scaricabile ad offerta libera sul loro bandcamp ed è un’opera notevole, che li pone sulla mappa e apre nuove prospettive all’hc italiano che non vuole morire e che scorre sempre sotterraneo.

Tracklist
1.Il Gioco Perfetto
2.Trauma
3.Polonia
4.Interlude
5.Pandora
6.Tarantola

Line-up
Michele – vocals
Alberto – guitar
Jacopo – guitar
francesco – bass
Marco – drums

EDDIE BUNKER – Facebook

Stalker – Vertebre

Piccolo capolavoro al crocevia di tanti generi ed emozioni, un sentire qualcosa che è stato declinato in molte maniere, un sentimento che parte da lontano e arriva dove siamo noi, che pensavamo potesse andare meglio, ma non è una sconfitta perché ne possiamo parlare.

Rumori che vengono da dentro, esplosioni attese da anni che scoppiano in faccia, giri di chitarra che sembrano abitare nel nostro cervello, un attendere che sembra infinito per poi planare su corpi che non hanno bisogno di te ma che sono gli unici che possono capirti.

Apnea che fortifica l’orgasmo di sapere che non c’è godimento, finire sopra a dei nastri che ti tranciano le vertebre. Parlare di musica con alcuni dischi è davvero senza senso, bisogna solo sentire quelle note, quelle canzoni che ti fanno nascere vortici dentro, quei rari slanci musicali come questo Vertebre degli Stalker, in apparenza quattro pezzi di musica che spazia dall’hardcore al post hardcore, dal punk all’emo, dal post metal all’oltre tutto. Dentro questo ep ci sono tantissime cose, ci sono varie vite, prima di tutto di quelli che lo hanno fatto, e poi le nostre che lo stiamo ascoltando ed infine quelle che ci passano davanti. Il ritorno degli Stalker è un qualcosa che aspettavamo in tanti e loro stessi sono un qualcosa che assume mille mutazioni diverse: da una possibile evoluzione degli immensi Kafka, al gruppo dopo gli Ex Otago del cantante Alberto, ma in realtà l’unica cosa che sono è il loro nome e questa musica che suona come suonavano certi dischi anni fa. Forse nel passato le cose andavano meglio anche per la musica, ma un disco come questo in quella supposta età dell’oro non sarebbe potuto nascere, perché in quei giorni la speranza c’era ancora. Qui no, qui sta andando tutto a puttane, e Vertebre non è affatto un disco consolatorio, ma è un disco che grida e noi con lui. Hardcore, post, prima o durante metal, i generi non sono affatto importanti, perché qui è la totalità ad emergere, a picchiarti contro, musica come un’onda che tutto travolge. Siamo cambiati, gli Stalker con noi, e dopo il meraviglioso debutto omonimo del 2008, che conteneva già in nuce Vertebre, hanno fatto un capolavoro, la perfetta descrizione del naufragio di pirati che hanno provato a conquistare qualcosa di troppo difficile per loro. Quei pirati che forse siamo noi, ora sono naufragati e si sono rotti le ossa, forse anche le Vertebre, e non rimane loro altro che gridare. Sequenze di vita, immagini di momenti che portano tutti alle sconfitte, e quello forse è il nostro destino. Però nel buio le Vertebre risplendono come nessun’altra cosa, e le grida che salgono insieme al rumore sono splendide. Oceani aperti che ci inghiottiscono e allora ricompariremo da altre parti, dove forse affonderemo nuovamente. Piccolo capolavoro al crocevia di tanti generi ed emozioni, un sentire qualcosa che è stato declinato in molte maniere, un sentimento che parte da lontano e arriva dove siamo noi, che pensavamo potesse andare meglio, ma non è una sconfitta perché ne possiamo parlare.

Tracklist
1. Tornado
2. Vertebre
3. Masonic Youth
4. Mai più

Line-up
Mauro – Guitar
Michele – Drums
Luca V. – Bass
Alberto – Vocals
Matteo – Gui

STALKER – Facebook

Khali – Tones Of The Self Destroyer

Tones Of The Self Destroyer è composto da nove brani all’insegna di un potente thrash/hardcore in cui vengono immessi elementi death e di metal moderno, valorizzando il tutto con azzeccate parti rock dai rimandi progressivi.

Altra ottima proposta dalla nostrana Ghost Label Record, etichetta con un roster vario e dal buon spessore artistico.

La band in questione, i Khali, è un trio attivo nella capitale dal 2015 composto da Cristian Marchese (basso e voce), Paolo Nadissi (chitarra e voce) e Vincenzo Agovino (batteria), giunto al traguardo del debutto discografico con questo massiccio Tones Of The Self Destroyer, con i suoi nove brani all’insegna di un potente thrash/hardcore in cui vengono immessi elementi death e di metal moderno, valorizzando il tutto con azzeccate parti rock dai rimandi progressivi.
L’uso della doppia voce assolutamente perfetto è la ciliegina sulla torta di un debutto interessante e ben costruito: la band mantiene un livello di potenza estrema senza risultare monocorde e variando l’approccio aggressivo con un’innata predisposizione a sfumature post rock.
Il grande lavoro della parte ritmica (in Hypo Crisis sembra di ascoltare una versione death metal dei Primus), un muro ritmico impressionante, taglienti solos di scuola thrash nelle parti chitarristiche e, come scritto in precedenza, l’uso della doppia voce sono i tratti distintivi di questo lavoro che non conosce cedimenti e scorre aggressivo e maturo fino alla sua conclusione.
Dark Matter, Life, Vulture Gods e la conclusiva The Core sono i brani cardine di questo Tones Of The Self Destroyer, una vera sorpresa per gli amanti del metal dai rimandi hardcore e thrash.

Tracklist
1.Ordinary empty earth
2.Ashes of none
3.Dark Matter
4.Rage
5.Hypo crisis
6.Life
7.Vulture God
8.Marching ants won’t stop
9.The Core

Line-up
Cristian Marchese – Bass, Vocal
Paolo Nadissi – Guitar, Vocal
Vincenzo Agovino – Drums

KHALI – Facebook

Morso – Lo Zen e L’Arte del Rigetto

In Italia ci sono già stati gruppi di questo tipo, ma l’agilità e l’incisività dei Morso è cosa rara, quasi come se fossero un distillato delle migliori esperienze nel genere, una mutazione genetica che parla del nostro quotidiano.

Incisivo noise math con fortissime influenze hardcore punk in italiano per il debutto dei Morso.

Il gruppo nasce fra Milano e Varese nella Lombardia che scalcia, dal desiderio del chitarrista Davide e del cantante Guido di fare musica senza canovacci prestabiliti, riportandola alla sua origine di mezzo espressivo libero. Raggiungono pienamente il loro scopo e vanno anche oltre, dato che gettano un ponte fra un qualcosa di moderno e una particolare declinazione dell’hardcore che era in voga nei primi duemila, sulla scia dei La Crisi tanto per capirci. Come radici abbiamo la furia e l’urgenza dell’hardcore punk, unito ad un noise che aumenta la carica distruttiva. I Morso sono un gruppo che picchia pesante e viaggia veloce, ma la musica è sempre ben suonata e prodotta con attenzione, i testi sono particolari e si capiscono molto bene, anzi sono al centro della scena. Si parla di questa realtà dopata, della scomparsa della stessa, di questa gran confusione che ci picchia in testa e fa male, maledettamente male. Ciò che stava su ora è giù, e ciò che stava giù e salito e tutto ci appare normale. I Morso sono come la pillola rossa di Matrix, sarai catapultato più vicino alla verità a tuo rischio e pericolo, il tutto attraverso una musica incessante ed incalzante, assolutamente originale. In Italia ci sono già stati gruppi di questo tipo, ma l’agilità e l’incisività dei Morso è cosa rara, quasi come se fossero un distillato delle migliori esperienze nel genere, una mutazione genetica che parla del nostro quotidiano. I Morso non ti lasciano quiete, non c’è più aria e bisogna andare veloci. Un disco veloce ma che si insinuerà in profondità dentro di voi.

Tracklist
1 . Liberaci Dal Male
2. Nessuno e Centomila
3. Pieno di Istanti
4.Non Si Muore Ogni Dicembre
5. Sempre meglio di niente
6. Incline
7. Glamour Suicide
8. Il Fine Giustifica i Mezzi
9. Cmc
10. Ex
11. Sognavo Di Essere Bukowski

MORSO – Facebook

CardiaC – Mañana No Será Otro Día Igual

Dischi come questo sono sempre i benvenuti perché riportano la musica ad un divertimento semplice ma non scontato, inserendosi in un genere le cui uscite sono rare ma di una qualità migliore rispetto al passato, forse a causa di una selezione naturale.

A chi piace l’hardcore punk selvaggio e molto vicino al metal, con un importante tocco di anni novanta, eccovi servito il disco degli svizzeri CardiaC.

Giunti al settimo disco, i CardiaC si confermano come uno dei pochi gruppi che portano avanti la bandiera dell’hardcore punk anni novanta, quello più aperto alle influenze esterne, tanto da ospitare nel disco nientemeno che Sen Dog dei Cypress Hill. Mañana No Será Otro Día Igual non è però un disco di mera nostalgia, un cercare di riprodurre tempi ormai irrimediabilmente andati, ma è anzi la riproposizione moderna di un suono che ha mietuto molte vittime negli anni passati e che continua ad esistere grazie a band come i CardiaC. Questi ultimi hanno le idee molto chiare, non si discostano molto dal loro canovaccio, ma questo è ciò che ci aspetta. Chitarre veloci al limite del thrash metal, che rimane comunque uno dei loro riferimenti stilistici, sezione ritmica che non arretra di un centimetro e ben distorta, la voce di Ricardo Chimichanga che canta in spagnolo dando un qualcosa in più di molto particolare e che rende unico il suono. La missione dei CardiaC è quella di divertirsi e di far divertire il proprio pubblico, tramite una poderosa distribuzione di adrenalina e potenza. L’immaginario di questo suono vive di tuffi dal palco, headbanging casalingo e tanto testosterone, e qui dentro c’è tutto ciò e anche di più. Dischi come questo sono sempre i benvenuti perché riportano la musica ad un divertimento semplice ma non scontato, inserendosi in un genere le cui uscite sono rare ma di una qualità migliore rispetto al passato, forse a causa di una selezione naturale. Ottimi gli ospiti presenti, sia il suddetto Sen Dog dei Cypress Hill, sia Billy Graziadei dei mammasantissima Biohazard, gli alfieri di questo genere, e dai Samael Drop. Un disco davvero divertente e che vi farà volare spalla contro spalla contro il muro di casa vostra o contro qualcun’altro come voi.

Tracklist
1.La Vanguardia
2.Diapositivas y negativos
3.La Resurrección del Antihéroe
4.Imparable (feat. Billy Graziadei)
5.M.O.J.I.T.O
6.Al filo de lo Imposible (feat. Scott Middleton)
7.En L.A. de me decían (feat. Sen Dog)
8.Nadie nace odiando
9.Una vida extraordinaria

Line-up
Julien – Electric & acoustic guitar
Mariano – Electric guitar
Ricardo – Voice & screams
Bastien – Drums
Cedric – Bass
Joelle – Cello
Fabien – Acoustic guitar
Quentin- Bass
Cesar- Harmonica

CARDIAC – Facebook

Spleen Flipper – Myndbreyting

L’aggressività è notevole, i testi sono interessanti e personali, mai banali o scontati, il risultato è un graditissimo ritorno di un gruppo che scalcia tantissimo e non ti lascia tregua, e che insegna che l’attitudine non scompare, ma anzi è maggiore quando si fa qualcosa di originale e non di derivativo.

Dopo l’ultimo disco del 2013 The Will To Kill, tornano gli Spleen Flipper da Crema.

Il loro esordio uscì nel 2003 per la gloriosa Vacation House di Rudi Medea, lo storico cantante degli Indigesti. E’ passato molto tempo da allora, e giunti ai nostri cupi giorni il gruppo non ha perso nulla, anzi è tornato più aggressivo e carico di prima, con un ottimo ep. Il suono è un hardcore metal, con venature newyorchesi e non solo, eseguito con passione e credibilità. In questi quattro pezzi gli Spleen Flipper fanno ben presto capire che l’hardcore per loro è una cosa seria e fa parte della loro vita, non è un passatempo temporaneo o una moda. I nostri hanno il cuore dalla parte giusta, e dimostrano di essere un gruppo al di sopra della media, fin dai primi momenti dell’iniziale The Mirror Room, un pezzo che rende subito chiare le coordinate entro le quali si muovono i lombardi. Le radici sono nel terreno hardcore punk, il metal è molto presente, perché si arriva a contaminarsi con death e anche alcuni sprazzi di black. Il discorso musicale intavolato dal gruppo è molto ampio e verte su argomenti musicali che è bello veder veicolati ora, in un momento nel quale si era perso un certo tipo di hardcore metal, specialmente in Italia con la dipartita di alcuni gruppi storici. La lunghezza dei brani permette al gruppo di avere una struttura complessa che ne mostra la bravura compositiva. L’aggressività è notevole, i testi sono interessanti e personali, mai banali o scontati. Il risultato è un graditissimo ritorno di una band che scalcia tantissimo e non ti lascia tregua, e che insegna che l’attitudine non scompare, ma anzi è maggiore quando si fa qualcosa di originale e non di derivativo. Come suono ci sono momenti che rimandano direttamente all’epoca della suddetta Vacation House, e se avete voglia andate a riprendervi il loro catalogo, che oltre agli Spleen Flipper annoverava cosa davvero notevoli.

Tracklist
1.The mirror room
2.No escape
3.I have a dream
4.Falling

Line-up
Katta – chitarra
Nico – basso
Charlie – batteria
Catta – chitarra
Topper – voce

SPLEEN FLIPPER – Facebook