NAGAARUM

Il video di “A befalazott”, dall’album “Homo Maleficus” (GrimmDistribution / NGC Prod).

Il video di “A befalazott”, dall’album “Homo Maleficus” (GrimmDistribution / NGC Prod).

“The videoclip was made by myself. The track’s subject is the deformity of the human nature. “A befalazott” means “immured” and I would like to show via this idiom that the mankind slowly turns a dead end. People wall into themselves to a cabin.” (Nagaarum )

The Homo Maleficus album can be listened and ordered here:
https://ngcprod.bandcamp.com/album/homo-maleficus

Lyrics translated to English:

One includes everyone – the skies they shun.
Souls in vessels malformed by desire.
A fetus – born onto this world
succumbs in the blackground in a ruinous tower.

Formed by age, ripen, misshapen,
determined by the road not taken
– and shaken – will then pay,
and play the game ends today – and every day.

Heads in the world of dreams enwrapped in slumber,
heads rolling down the streams in many a number,
sparkling stars in a halo unencumbered.
Is this real, or have I just gone under? I wonder…

Snapshots, human lots – contorted, gone astray…
Vessels heading home – nowhere else to roam…
The advent is black in the tower they dwell, three in a cell…
The master, the whore and the ego in a shell.

Starsoup – Castles Of Sand

Vario e pieno di soprese, Castles In The Sand passa con disinvoltura da un genere all’altro, mantenendo un filo conduttore che attraversa il concept fino alla sua conclusione.

Bellissimo lavoro progressivo, questo nuovo album del progetto Starsoup del chitarrista russo Alexey Markov, in forza ai Distant Sun.

Castles Of Sand segue di quattro anni il primo album (Bazaar Of Wonders) e risulta una vera sorpresa per chi si crogiola nella musica progressive dalle sferzate metalliche.
Cambi di tempo e d’atmosfere, sfumature orientaleggianti (Brother’s Plea) che valorizzano tastiere pompose e chitarre ruvide, sono le virtù principali di questo tuffo nel metal progressivo che guarda ai Dream Theater come ai Pain Of Salvation, ma si veste di un’anima epico sinfonica alla Ayreon.
E Anthony Lucassen è il vero padrino ed ispiratore del collega moscovita, dotato di un gran talento non solo con la sei corde ma pure dietro al microfono, con un’interpretazione varia e sentita, un tono maschio che dà al lavoro quel carisma necessario per non passare inosservato, anche per i non pochi passaggi folk che arricchiscono la proposta musicale degli Starsoup (Your World Is Dead).
Vario e pieno di soprese, Castles In The Sand passa con disinvoltura da un genere all’altro, mantenendo un filo conduttore che attraversa il concept fino alla sua conclusione, tra ballate acustiche, brani progressivi, impennate heavy metal e rude hard rock, in un arcobaleno di note che non mancheranno di sorprendere gli ascoltatori che con il genere hanno sufficiente confidenza.
Non mi rimane che consigliarne l’ascolto, una vera immersione tra le mille sfumature della musica del buon Alexey Markov e dei suoi Starsoup.

Tracklist
1. The Catcher in the Lie
2. Into the Woods
3. Brother’s Plea
4. Your World Is Dead
5. Rumors of Better Love
6. Escapist
7. Winter in Shire
8. Castle
9. The World That Has Moved On
10. Light Up the Stars
11. Moon on the Shore
12. Road to Sunset

Line-up:
Artem Molodtsov – Bass
Mikhail Sorokin – Drums
Alexey Markov – Guitars, Vocals

STARSOUP – Facebook

Ungoliantha – Through The Chaos, Through Time, Through The Death

Un ottimo esempio di black metal sinfonico che possiede la grande dote di non essere il prevedibile scopiazzamento dei Dimmu Borgir e di tutta la successiva genia, mantenendo invece ben salde le radici musicali della propria terra, in quanto le orchestrazioni conservano quell’aura solenne tipica della musica classica dell’est Europa.

E’ sempre più frequente la riedizione di album composti da band dell’estremo est europeo, con il lodevole tentativo di renderli appetibili anche al di fuori dell’area di utilizzo dell’alfabeto cirillico, rivestendoli quantomeno di titoli in inglese, pur mantenendone ovviamente l’impronta della madre lingua a livello lirico.

Questo avviene anche per gli ottimi Ungoliantha, ucraini dalla storia quanto meno singolare, visto che il qui presente Through The Chaos, Through Time, Through The Death, immesso sul mercato dalla Satanic Art Media nello scorso novembre, è il loro primo full length uscito nel 2015 con il più criptico (per noi) titolo Сквозь хаос, сквозь время, сквозь смерть; questo benché le prime apparizioni della band risalgano addirittura alla fine del scolo scorso, per poi ritornare fugacemente con un demo nel 2006 ed infine rompere il nuovo periodo di oblio discografico con il citato lavoro su lunga distanza,
Perché tutto ciò debba interessare chi legge è presto detto: siamo di fronte ad un ottimo esempio di black metal sinfonico che possiede la grande dote di non essere il prevedibile scopiazzamento dei Dimmu Borgir e di tutta la successiva genia, mantenendo invece ben salde le radici musicali della propria terra, in quanto le orchestrazioni conservano quell’aura solenne tipica della musica classica dell’est Europa, riuscendo a delineare il suono in maniera peculiare.
Il bello è che siamo di fronte ad un’opera persino perfettibile in più di un punto (la voce di Lord Sinned non è il massimo dell espressività, ricordando a tratti quella di Gunther Theys degli Ancient Rites, e forse qualcosa di più a livello di produzione si poteva fare ) eppure, nonostante questo l’impatto dirompente degli Ungoliantha non viene mai meno.
Due delle tracce provengono dallo scorso millennio ma la rielaborazione alla quale sono state sottoposte ne preserva la freschezza: Black Essence of Christ e Black Winds sono tra gli episodi migliori del lavoro e stringono tra le loro grinfie in scaletta la cover di Pressed Down By The Fallen Pivot Of Life dei Lucifugum (storico combo black metal ucraino), altra traccia nella quale il connubio tra il lavoro tastieristico e le ritmiche forsennate fornisce frutti prelibati.
La furiosa Armageddon (dotata di un apporto percussivo molto particolare, almeno per l’ambito black) chiude un lavoro davvero notevole per un’intensità che non viene sminuita dall’approccio un po’ naif della band ucraina; la nuova versione della Satanic Art prevede tre bonus track tutto sommato trascurabili, trattandosi delle versioni originali, decisamente inferiori in tutto e per tutto a quelle attuali, delle già citate Black Essence of Christ e Black Winds, e della cover di Lost Wisdom di Burzum.
Ma quello che interessa maggiormente è il potenziale manifestato da una band di fatto fino ad oggi sconosciuta nella vecchia Europa, il che fa pensare a quante e quali possano essercene di pari livello e pronte a essere portate alla luce nella sterminata area geografica corrispondente all’ex Unione Sovietica.

Tracklist:
1.Intro
2.Following The Black Kindness
3.To The Ultimate Gates
4.Black Essence of Christ
5.Pressed Down By The Fallen Pivot Of Life (Lucifugum cover)
6.Black Winds
7.Reckoning
8.Through The Death
9.Armageddon
10.Black Essence of Christ Demo
11.Black Winds Demo
12.Lost Wisdom (Burzum cover)

Line-up:
Vitaly Karavaev – Guitars
Igor Vershinin – Keyboards
Lord Sinned – Vocals, Bass

AEREN

Il video di Breath Of Air, dall’album Breakthru, in uscita a marzo (Sliptrick Records).

Il video di Breath Of Air, dall’album Breakthru, in uscita a marzo (Sliptrick Records).

Drive By Wire – Spellbound

La maturità compositiva è fuori discussione, il gruppo è già da tempo pronto per essere conosciuto dal grande pubblico e questo disco è un fantastico biglietto da visita.

Tornano gli olandesi Drive By Wire al loro decimo anno di attività, festeggiato con la ristampa su Argonauta Records del loro disco The Whole Shebang.

Il nuovo Spellbound ci mostra il gruppo nel suo massimo splendore, con un suono che è un felice incrocio di desert rock, stoner e molto blues, soprattutto nell’attitudine e nell’incedere. I Drive By Wire fanno molto bene e con più ruvidezza ciò che i Blue Pills hanno portato alla ribalta con il loro suono, e anche gli olandesi hanno una splendida voce femminile a guidarli, quella di Simone Holsbeek, bravissima a coprire una moltitudine di registri, versatile e calda. Il gruppo ci guida nel suo mondo, fatto di mistero, blues e note ruvide, con una voce calda e sognante che ci porta a seguirla sotto la luce della luna, benedicendo il femmineo. Si viene trascinati in questo sabba desertico da una musica che si fonde benissimo con la voce di Simone, e che raggiunge vette che pochi gruppi nel genere hanno saputo toccare. La qualità media del disco è molto alta, le tracce sono legate l’una all’altra non tanto da un concept, quanto da una comune visione che si esplica in una musica fortemente influenzata dal blues. Proprio quest’ultimo è il mojo principale di questo disco e la sua presenza è fortissima, sia nella composizione che nello spirito dell’album. Il coinvolgimento dello spettatore è una delle peculiarità maggiori degli olandesi, riescono a stimolare la tua curiosità e ti portano con un groove ipnotico. I riferimenti ci sono ma è tutto molto personale ed originale. I Drive By Wire riescono inoltre a dare una propria personale versione del desert rock che è una delle migliori in assoluto in giro, e questo disco è da primi dieci ascolti desertici da fare. La maturità compositiva è fuori discussione, il gruppo è già da tempo pronto per essere conosciuto dal grande pubblico e Spellbound è un fantastico biglietto da visita.

Tracklist
1. Glider
2. Where Have You Been
3. Mammoth
4. Apollo
5. Blood Red Moon
6. Superoverdrive
7. Van Plan
8. Lost Tribes
9. Devil’s Fool
10. Lifted Spirit
11. Spellbound

Line-up
Simone Holsbeek
Alwin Wubben
Jerome Miedendorp de Bie
Marcel Zerb
Rene Rutten

DRIVE BY WIRE – Facebook

Riksha – Five Stages Of Numb

Se amate i suoni moderni nati aldilà dell’oceano in questi ultimi anni e figli del nu metal e dei suoni mainstream, Five Stages Of Numb merita un ascolto.

Nascosto dietro all’etichetta di groove progressivo si muove il sound degli statunitensi Riksha, modern metal band proveniente dallo Utah, attiva dal 2010 e con altri due lavori alle spalle, prima dell’arrivo di Five Stages of Numb fe dei suoi esplosivi ventitré minuti di assalto sonoro.

L’esempio di come l’etichettare troppo frettolosamente il sound porti molte volte fuori tema è ben evidenziato da questo nuovo lavoro targato Riksha, un album di metal moderno, estremo ed attraversato da parti atmosferiche oscure e fortemente dark, ma che con il progressive non hanno nulla a che fare.
Il quartetto si muove con buona disinvoltura tra il groove metal e la potenza del thrash odierno, alimentando la vena dark con qualche accordo pianistico o acustico ma niente di più.
Non fraintendetemi, Five Staged Of Numb non è un brutto album e la sua breve durata aiuta non poco ad assimilarlo tutto d’un fiato, ma le parti atmosferiche smorzano un po’ troppo sonorità che si muovono in un contesto moderno: siamo di fronte quindi al classico album senza grossi picchi e che viaggi sulla sufficienza abbondante, lasciando alla title track la palma del brano più diretto e riuscito del lotto.
Se amate i suoni moderni nati aldilà dell’oceano in questi ultimi anni e figli del nu metal e dei suoni mainstream, Five Stages Of Numb merita un ascolto.

Tracklist
1.Departure Eminent
2.Five Stages of Numb
3.Shovel It
4.Skeleton Rain Dance
5.Banging Danger
6.Repo Man
7.Save Me

Line-up
Palmer – Vox
Kevin Bronson – Bass
Max Dail – Drums
Ian Law – Guitar

RIKSHA – Facebook

Meden Agan – Catharsis

La band produce uno sforzo notevole per quanto riguarda gli arrangiamenti e l’album letteralmente deflagra in un’apoteosi di metal orchestrale, strutturato su ritmiche serrate, ottimi interventi della sei corde del leader Koutsogiannopoulos e fughe sui tasti d’avorio dal retrogusto neoclassico di Tolis Mikroulis.

Primi fuochi d’artificio metallici del 2018 con il nuovo lavoro della symphonic metal band greca Meden Agan.

Il gruppo nasce per volere di Diman Koutsogiannopoulos che negli anni regala una precisa identità alla sua creatura, partendo da un metal sinfonico, dalle prepotenti cavalcate power e dall’eleganza portata da sfumature gotiche ed orchestrali.
Il primo full length è datato 2005 (Illusions), segue un periodo dove la carriera del gruppo rallenta per tornare nel 2011 con il secondo album Erevos Aenaon, seguito dopo tre anni da quello che era l’ultimo parto della band, Lacrima Dei.
L’importante cambio di cantante porta il gruppo all’incontro con la notevole singer Dimitra Panariti e all’uscita, tramite No Remorse Records, di Catharsis, nuova sinfonia metallica targata Meden Agan.
Catharsis è un uno di quei lavori che, mantenendo inalterate le coordinate di un genere che poco di nuovo ha da mostrare agli ascoltatori, se ben suonato e ottimamente cantato sa come produrre emozioni, magari valorizzato da un ottimo songwriting come in questo caso.
La band produce uno sforzo notevole per quanto riguarda gli arrangiamenti e l’album letteralmente deflagra in un’apoteosi di metal orchestrale, strutturato su ritmiche serrate, ottimi interventi della sei corde del leader Koutsogiannopoulos e fughe sui tasti d’avorio dal retrogusto neoclassico di Tolis Mikroulis.
Poi, ovviamente, lo stato di grazia nel songwriting fa il resto, con i Meden Agan protagonisti di una serie di brani che esaltano, entusiasmano e lasciano senza fiato.
Solo all’ottava traccia (Salvation) la band si prende una pausa e noi rifiatiamo, travolti da una tracklist che fino al quel momento non conosce tregua con una serie di brani magniloquenti e che hanno in Cleanse Their Sins, l’arabeggiante Whispers In The Dark e la bombastica Veil Of Faith i principali picchi di questa notevole opera.
Nightwish, Epica, i nostrani Elegy Of Madness sono i gruppi che più si avvicinano alla band ateniese, una delle nuove realtà di una scena sinfonica data per morta troppo presto.

Tracklist
1. Catharsis (Intro)
2. The Purge
3. Cleanse Their Sins
4. No Escape
5. Whispers In The Dark
6. Shrine Of Wisdom
7. Veil Of Faith
8. Salvation
9. A Curse Unfolding
10. Lustful Desires
11. Weaver Of Destiny

Line-up
Dimitra Panariti – Vocals
Diman Koutsogiannopoulos – Guitars
Tolis Mikroulis – Keys
Aris Nikoleris – Bass & Male Vocals
Panos Paplomatas – Drums

MEDEN AGAN – Facebook

Cruentator – Ain’t War In Hell?

Qui si fa metal estremo tripallico, lo si allontana da qualsiasi tipo di contaminazione e lo si lascia libero di portare terrore e distruzione a colpi di feroci ripartenze, sfuriate tempestose e tanta fottuta attitudine.

Un’altra realtà estrema fa la sua devastante apparizione sulla scena thrash metal nostrana ed europea: sono i lombardi Cruentator, nati nel 2015 dalle menti di un paio di membri dei brutal deathsters Bowel Stew.

Riccardo (batteria) ed Omar (chitarra) sono infatti i maggiori responsabili di questa tempesta thrash old school, raggiunti in seguito dal vocalist Ambro (compagno della coppia nel gruppo lombardo), dal chitarrista Massi FD e dal bassista Vanni.
Il loro esordio, intitolato Ain’t War In Hell, esce in questo inizio d’anno per l’attivissima label iberica Xtreem Music, un sodalizio niente male, visto la qualità delle proposte offerte dall’etichetta di Dave Rotten.
E i cinque musicisti ci vanno giù pesante con una mezzora di thrash metal vecchia scuola che non lascia spazio a dubbi sulle loro intenzioni: portare il più alto possibile la bandiera del genere.
Qui si fa metal estremo tripallico, lo si allontana da qualsiasi tipo di contaminazione e lo si lascia libero di portare terrore e distruzione a colpi di feroci ripartenze, sfuriate tempestose e tanta fottuta attitudine.
Gli strumenti seguono l’ugola al vetriolo del vocalist e, come armi, colpiscono con mitragliate devastanti: l’atmosfera si fa sempre più estrema tra i solchi di brani che seguono la via tracciata a suo tempo dagli eserciti di Sodom, Kreator e compagnia di antieroi metallici.
Una devastazione sonora da spararsi senza indugi dall’inizio alla fine, seguendo il rigagnolo di sangue che vi porterà, tramite l’opener Merciless Extermination, Barbaric Violence, The Nightstalker e Cluster Terror, verso il cumulo di corpi lasciato dai Cruentator.

Tracklist
1.Merciless Extermination
2.Tyrants of the Wasteland
3.Barbaric Violence
4.Evil is Prowling Around
5.The Nightstalker
6.Marching Into a Minefield
7.The Shining Hate
8.Cluster Terror

Line-up
Ambro – Vocals
Omar – Guitars
Massi FD – Guitars
Vanni – Bass
Riccardo – Drums

CRUENTATOR – Facebook

Aporya – Dead Men Do Not Suffer

Dead Men Do Not Suffer, grazie al lavoro chitarristico di grande classe fornito da Cristiano Costa, pur essendo catalogabile alla voce death doom potrebbe rivelarsi molto appetibile anche per chi apprezza l’ heavy metal dai tratti più malinconici.

Il Brasile non sembrerebbe essere terreno fertile per il doom come per i generi più estremi o il metal classico, almeno a livello quantitativo; la qualità, invece, non può essere messa in discussione se pensiamo ad una scena capace di offrire nomi già consolidati come HellLight eMythological Cold Tower, o di più recente affermazione come i Jupiterian.

A provare ad inserirsi in tale novero provano gli Aporya, band nata solo scorso anno per l’impulso del chitarrista Cristiano Costa che ha poi trovato il suo ideale completamento nel vocalist Tiago Monteiro: Dead Men Do Not Suffer è il titolo del loro interessante esordio, all’insegna di un death doom melodico che a tratti ricorda i Tiamat epoca Clouds, specialmente in un brano come One More Day, forse anche a di un’impostazione vocale a tratti simile a quella utilizzata ai tempi da Edlund, con un growl non troppo profondo e a tratti quasi sussurrato.
Al di là di questo, si capisce che gli Aporya sono un progetto nato dalla mente di un chitarrista proveniente dal metal classico, visto l’abbondante quanto appropriato ricorso ad assoli dolenti e melodici che prendono piede, soprattutto, nella seconda metà dell’album, invero ingannevole al suo avvio con un brano death tout court (ma notevolissimo) come Cry of the Butterfly, che va a spezzare l’iniziale incantesimo creato dalla tenue intro Blood Rain.
Da The Sad Tragedy (I’m Crushed Down) in poi il lavoro comincia ad assumere le coordinate promesse, ovvero quelle di un death doom melodico, elegante ma dall’impatto emotivo che si mantiene sempre apprezzabile, grazie al connubio tra le linee chitarristiche, il soffuso supporto delle tastiere ed un’interpretazione vocale che non va a sovrapporsi in maniera eccessiva alle tessiture strumentali.
Dead Men Do Not Suffer prende quota ancora più nella sua parte finale, in coincidenza con quei brani nei quali Costa sfoga tutto il suo sentire melodico abbinato ad un tocco chitarristico di grande classe; anche per questo l’album, pur essendo catalogabile alla voce death doom, potrebbe rivelarsi molto appetibile anche per chi apprezza l’ heavy metal dai tratti più malinconici.
In definitiva gli Aporya si rivelano una gradita sorpresa e l’approdo alla configurazione di band vera propria, finalizzata alla riproposizione dal vivo dei brani contenuti nell’album, non potrà che rivelarsi un valore aggiunto nell’ambito di un percorso iniziato nel migliore dei modi.

Tracklist:
1. Blood Rain
2. Cry of the Butterfly
3. The Sad Tragedy (I’m Crushed Down)
4. Little Child in the Grave
5. One More Day
6. Pain and Loneliness
7. Dead Men Do Not Suffer

Line-up:
Cristiano Costa – Guitars (lead), Songwriting
Tiago Monteiro – Vocals, Lyrics

APORYA – Facebook

Elegiac – Black Clouds of War

Quando il troppo non stroppia. Nonostante le tante produzioni in poco tempo, Elegiac ha sempre più idee e qualità da vendere

Per chi non vi si fosse già imbattuto, Elegiac è una one-man band che ci scarica addosso i suoi decibel e il suo odio tutto black metal direttamente da San Diego, California.

A quanto pare ne aveva un bel po’ in serbo, perché in soli tre anni di attività, questa band ha già al suo attivo un’enorme quantità di lavori, tra cui ben otto split (tre solo nel 2017).
Black Clouds of War è un album che spazza via qualsiasi preconcetto sulla quantità che va a discapito della qualità, così come tutta la storia di questa band, che ha sempre sfornato contenuti di buonissimo livello.
Anche questo disco, quindi, è corposo ma soprattutto denso. Si ha sempre l’idea di una convivenza perfetta tra l’ondata di black aggressivo e senza presentazioni di cui ogni cultore del genere ha uno smisurato bisogno, e una componente melodica di altissima qualità che ci trascina dentro l’atmosfera creata da Elegiac. Ne è già un’ottima prova la title track Black Clouds of War, che apre il disco.
Altri brani rappresentativi sono certamente The Hanging Head of Death, dove lo stile più melodico e riflessivo non stona nemmeno per un secondo con l’odio e la dissacrazione di cui Elegiac fa la sua ragion d’essere, e Ashwind, intermezzo inaspettato nella parte finale del disco, quasi orientaleggiante, ma che non risulta forzato o fuori luogo per l’ascoltatore.
Ultima nota di merito spetta alla voce, capace di potenza, vero odio e distruzione ma anche di pura agonia, la quale potrebbe tranquillamente ricordare il DSBM, ma che in realtà qui ha ben poco in comune con esso.
È un album che, nel proprio modo di essere, ha già dei precedenti tra i molti lavori di Elegiac, soprattutto perché ci riporta alla mente un altro suo masterpiece, ovvero Spiritual Turmoil del 2016. Questo artista ha però la capacità di essere multiforme, e di lasciare sempre stupito anche l’ascoltatore più assiduo.

Tracklist
1. Black Clouds of War
2. Cosmic Holocaust
3. Beyond the Physical Realm
4. Transcendence (Interlude)
5. Heathen Supremacy
6. The Hanging Head of Death
7. Symbols of Power
8. Ashwind (Interlude)
9. Creatures of Night
10. Visions

Line-up
Zane Young: All instruments, Vocals

ELEGIAC – Facebook

RISE OF AVERNUS

Il lyrics video di “Forged in Eidolon”, dall’album “Eigengrau”, in uscita a gennaio (code666).

Il lyrics video di “Forged in Eidolon”, dall’album “Eigengrau”, in uscita a gennaio (code666).

Druid Lord – Grotesque Offerings

Un lavoro che saggiamente mantiene la sua natura underground, rendendo i Druid Lord un gruppo da seguire, almeno per chi ama il genere ed il death metal rallentato e appesantito da cascate di watt che si trasformano in magma infernale.

Quando si avvicina la fine dell’anno succede spesso di ritrovarsi al cospetto di band notevoli, che in Zona Cesarini (come si dice in gergo calcistico), piazzano i loro splendidi lavori come un goal all’ultimo secondo di un’avvincente partita.

Quest’anno, parlando di death metal dalle chiare influenze doom, la plastica rovesciata che vale un campionato la fanno gli statunitensi Druid Lord con questo Grotesque Offerings, monumentale esempio di musica del destino potenziata da sua maestà il death e resa ancora più estrema ed affascinante da un concept horror preso in prestito dalla cultura cinematografica e fumettistica degli anni settanta.
Il quartetto nasce in Florida nel 2010 e di quell’anno è l’esordio sulla lunga distanza Hymns for the Wicked, seguito da una serie di ep e split che accompagnano la band fino al mastodontico Grotesque Offerings, che nasce e prende forma in qualche profondità infernale e torna in superficie a trasformare questo fine 2017 in una marcia inesorabile verso la perdizione ed il puro terrore.
Il lavoro saggiamente mantiene la sua natura underground, rendendo i Druid Lord un gruppo da seguire, almeno per chi ama il genere ed il death metal rallentato e appesantito da cascate di watt che si trasformano in magma infernale.
Composto da una serie di brani atmosfericamente perfetti per notti da incubi (l’opener House Of Dripping Gore, Night Gallery, il capolavoro doom/horror Evil That Haunts This Ground e la discesa nel pozzo delle anime dannate intitolata Last Drop Of Blood) l’album è una notevole opera estrema, lenta ed inesorabile e composta da attimi davvero suggestivi.
Immaginate gli Asphyx, i primi Cathedral e i primi Paradise Lost amalgamati con il doom classico di Pentagram e Candlemass, ed ispirati dai film della Hammer (la nota casa di produzione britannica, molto attiva negli anni settanta): ecco gli ingredienti che rendono Grotesque Offerings imperdibile.

Tracklist
1.House of Dripping Gore
2.Night Gallery
3.Spells of the Necromancer
4.Evil That Haunts This Ground
5.Black Candle Seance
6.Creature Feature
7.Into the Crypts
8.Murderous Mr. Hyde
9.Last Drop of Blood
10.Final Resting Place

Line-up
Pete Slate- Lead & Rhythm Guitar
Tony Blakk- Vocals & Bass
Ben Ross- Rhythm & Lead Guitar
Elden Santos – Drums

DRUIUD LORD – Facebook

Imperialist – Cipher

Cipher è un album con molta più lode che infamia, ma la sensazione è che questa band abbia nelle corde la possibilità di fare ancora molto meglio, benché la prima prova si lunga distanza si dimostri una base di partenza già abbastanza solida.

Gli Imperialist sono una band californiana a trazione integralmente ispanica.

Un aspetto, questo, che a mio avviso influisce sulla forma di black offerto dalla band, visto che il dna di una band seminale come i Terrorizer, formata in gran parte da musicisti centroamericani per origini o nazionalità, non può non aver influito sulla crescita musicale di questi ragazzi.
E, infatti, seppure di black metal si possa parlare a pieno titolo., il sound contenuto in Cipher non riporta immediatamente alle lande scandinave ma si contamina sovente con il death e con il thrash, trovando una sua strada, sicuramente già battuta da molti altri, ma tutto sommato neppure così scontata.
L’album, che è il full length d’esordio per gli Imperialist dopo l’ep del 2015 Quantum Annexation, conserva a livello concettuale l’immaginario fantascientifico degli esordi e si rivela senza dubbio un lavoro privo di sbavature e sufficientemente coinvolgente, anche se gli manca il colpo decisivo sotto forma di quei due o tre brani capaci di agganciare con decisione i potenziali ascoltatori.
Tutto scorre molto linearmente, senza annoiare ma neppure provocando sobbalzi, con qualche episodio sopra la media della tracklist (Umbra Tempest), ma nel complesso è una certa uniformità che nel bene e nel male caratterizza l’incedere di Cipher.
Il meglio gli Imperialist lo riservano con la traccia conclusiva Mercurian Dusk, dove si evidenzia appunto quell’intensità capace di catturare l’attenzione, grazie a linee melodiche più incisive ed il ricorso a buone variazioni ritmiche senza ricorrere a passaggi interlocutori,
Cipher è un album con molta più lode che infamia, ma la sensazione è che questa band abbia nelle corde la possibilità di fare ancora molto meglio, benché la prima prova si lunga distanza si dimostri una base di partenza già abbastanza solida.

Tracklist:
1. Continuum
2. The Singularity
3. Advent Anathema
4. Splendor Beneath an Ancient Permafrost
5. Umbra Tempest
6. Chronochasm
7. Binary Coalescenc
8. The Dark Below
9. Mercurian Dusk

Line-up:
Sergio Soto – Guitar and Vocals
Rod Quinones – Drums
Bryant Quinones – Guitar
Adrian Castaneda – Bass

IMPERIAL – Facebook

Disaffected – The Trinity Threshold

Prodotto benissimo, così da poter apprezzare in pieno il gran lavoro dei musicisti coinvolti, The Trinity Threshold vive di chiaroscuri in un’altalena sorprendente tra ariose parti progressive, tempeste metalliche ed atmosfere gotiche, mentre come teste di serpenti dalla sabbia spuntano divagazioni black metal e post rock.

Un piccolo gioiellino underground questo terzo album dei portoghesi Disaffected, attivi dal lontano 1991, con un passato da death/thrash metal band e ora trasformatisi in un gruppo estremo dal taglio progressivo.

The Trinity Threshold è dunque il terzo album in più di venticinque anni di una carriera che ha visto la band fermarsi dopo il debutto (Vast) fino al 2012, anno di uscita della seconda opera (Rebirth).
Il quintetto lusitano torna dopo cinque anni con questo bellissimo lavoro, estremo, progressivo e dalle atmosfere dark, dove non mancano digressioni e tuffi in generi lontani dal metal estremo: ne esce un lavoro altamente vario, difficile da catalogare e quindi ancora più affascinante.
Progressive death metal, tecnicamente inattaccabile composto da una serie di brani tutti con la propria anima, ora più orientati su di un death/thrash tecnicamente sopra le righe, ora atmosfericamente oscuri e gotici, ora volubili e sorprendenti nel cambiare repentinamente atmosfere e strutture.
Prodotto benissimo, così da poter apprezzare in pieno il gran lavoro dei musicisti coinvolti, The Trinity Threshold vive di chiaroscuri in un’altalena sorprendente tra ariose parti progressive, tempeste metalliche ed atmosfere gotiche, mentre come teste di serpenti dalla sabbia spuntano divagazioni black metal e post rock.
Un album tutto da vivere nel suo saper cambiare pelle, camaleontico ed affascinante, che ha nella qualità altissima della sua clamorosa track list il proprio punto di forza, con Glossolaia, Pi Alpha Centurian e The Moon The Eagle And The Golden Apple a risultare i punti più alti del lavoro.
Immaginate una jam tra Devin Townsend, Moonspell e Opeth ed avrete un’idea di che cosa sono capaci i cinque musicisti portoghesi.

Tracklist
1.Waters Of Saleph
2.Glossolalia
3.Apocrypha
4.Pi Alpha Centurian
5.The Antropos
6.Per Saecula Saeculorum
7.Conquer By This
8.The Moon, The Eagle And The Golden Apple
9.Dreaming IV (Infinite)
10.Hermitic Hours
11.Portico

Line-up
Bruno Vicente – Guitars
António Gião – Bass
Filipa Alçada – Keyboards
Manuel Teles – Drums
Octávio Custódio – Vocals

DISAFFECTED – Facebook

Anima Damnata – Nefarious Seed Grows to Bring Forth Supremacy of the Beast

Un assalto sonoro senza soluzione di continuità, penetrante ed oscuro, dannato e affascinante come è il male quando a domarlo e ritorcerlo contro di noi è Lucifero in persona tramite i suoi quattro adepti celato sotto il monicker Anima Damnata.

Con gli Anima Damnata, la Polonia estrema torna a far parlare di sé con l’ultimo lavoro di questo blasfemo quartetto al terzo full length, dieci anni dopo Atrocious Disfigurement of the Redeemer’s Corpse at the Graveyard of Humanity, ultimo parto malefico del gruppo.

Nefarious Seed Grows to Bring Forth Supremacy of the Beast continua a portare alla superficie le terrorizzanti e lascive blasfemie provenienti dall’antro più buio dell’inferno: non ci sono melodie, non c’è pietà ne umanità nello spartito di questo demoniaco quartetto e l’album, come e più delle le precedenti uscite, propone un sound che acquista forza direttamente dalla mente luciferina della band, autrice di un blackened death metal di chiara ispirazione est europea ma reso ancora più violento dal caos primordiale che viene evocato per soggiogare un’umanità alla deriva.
Un assalto sonoro senza soluzione di continuità, penetrante ed oscuro, dannato e affascinante come è il male quando a domarlo e ritorcerlo contro di noi è Lucifero in persona tramite i suoi quattro adepti celato sotto il monicker Anima Damnata.

Tracklist
01. The Promethean Blood
02. Praise the Fall of God
03. Uprising Lucifer
04. Through Abomination ‘Till Ecstasy
05. I Hail His Name
06. Your Life Is Cursed
07. Numinous Ascension into a Black Hole
08. His Light Shines Upon Me
09. Blend into Satan
10. Void of the Abyss

Line-up
Master of depraved dreaming and Emperor of the Black Abyss the Great Lord Hziulquoigmzhah Cxaxukluth – drums and electronics
Archangel of Evil Spells, Morbid Priest of Arcane Perfection vel Necrosodom – guitars and vocals
Apocalyptic Profanator of the Holy Laws, The Supreme Ruler of Abominations – guitars
The Mighty Initiatior of Barbarous Rituals, Herald of Heathen Firevel Killer – bass

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WE SELL THE DEAD

Il video di Echoes Of An Ugly Past, dall’album “Heaven Doesn’t Want You And Hell Is Full”, in uscita a febbraio (earMUSIC).

Il video di Echoes Of An Ugly Past, dall’album “Heaven Doesn’t Want You And Hell Is Full”, in uscita a febbraio (earMUSIC).

Quicksand – Interiors

Fa molto piacere ascoltare qualche inedito dei Quicksand, perché sono un gruppo molto al di sopra della media; il materiale anche se datato è molto buono, sicuramente i nostri non hanno mai fatto un’uscita di scadente livello qualitativo, ed in questo avrebbero da insegnare a molti gruppi.

In questa epoca oscura piena di tenebre, ogni tanto arriva un fulmine a rischiarare il tutto, e questo è ciò che fa il nuovo disco dei Quicksand.

Essi sono una specie di segreto di Fatima musicale, Interiors è il loro primo disco dopo Manic Compression del 1996, e quello era un capolavoro che ha influenzato moltissimi gruppi ,cialmente hardcore, nell’andare oltre i canoni del genere. Provenienti da quel laboratorio hardcore che era la New York degli anni novanta, dopo un ep omonimo diedero alle stampe due dischi sulla lunga distanza, Split del 1993 e Manic Compression del 1995, entrando con merito nella storia, grazie alla loro capacità di emozionare attraverso una musica solo in apparenza fredda e scontrosa. Il cantante Walter Schreifels, prima di militare nei Quicksand, ebbe l’onore di stare ed è ancora nei Gorilla Biscuits e ha fondato i Rival Schools, e il bassista Sergio Vega è ora nei Deftones, uno dei gruppi che maggiormente si sono ispirati ai Quicksand. Infatti nel 1997 i Quicksand si riformarono per partecipare ad un tour proprio con i Deftones, ma poi si sciolsero di nuovo. Non si conoscono bene i motivi della separazione, o forse si conoscono fin troppo bene, essendo i soliti di ogni altro gruppo. Sia quel che sia, arriviamo ad Interiors che è il frutto di sessioni di registrazione durante quella reunion temporanea per girare con i Deftones. Ascoltando il disco si ha la netta percezione che il tutto sia ancora da sgrezzare e abbia bisogno di ulteriore lavoro, ma basta già così per tornare a sognare come si faceva con i dischi precedenti. I Quicksand costruiscono cattedrali sonore piene di attesa e di lascivo piacere. La voce sussurra e le chitarre tagliano i nostri tendini emotivi, tanto da farci cadere in ginocchio ed ascoltare, volendone ancora. I brano sono stati prodotti da Will Yip, produttore fra gli altri di Lauryn Hill e Keane, che dà quel tocco di lucentezza che forse prima mancava. Interiors da l’esatta misura di quanti gruppi siano stati influenzati dai Quicksand, soprattutto nel modo di intendere la canzone, svolgendola in maniera quasi progressive, cosa che diventerà ancora più onirica nei Deftones. Hardcore che rimane come punto di partenza perché si va molto oltre, in territori sonori pieni di possibilità, con ancora molto da dire. Fa molto piacere ascoltare qualche inedito dei Quicksand, perché sono un gruppo molto al di sopra della media; il materiale anche se datato è molto buono, sicuramente i nostri non hanno mai fatto un’uscita di scadente livello qualitativo, ed in questo avrebbero da insegnare a molti gruppi.

Tracklist
1.Illuminant
2.Under The Screw
3.Warm And Low
4.>
5.Cosmonauts
6.Interiors
7.Hyperion
8.Fire This Time
9.Feels Like A Weight Has Been Lifted
10.>>
11.Sick Mind
12.Normal Love

Line-up
Walter Schreifels – Vocals/Guitar
Sergio Vega – Bass
Alan Cage – Drums

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