Thanatos è un altro di quei lavori prodotti ad uso e consumo dei fans dello shredder o per musicisti, per noi comuni mortali rimane purtroppo ben poco se non qualche buono spunto estremo in cui la voce è protagonista come la musica.
Thanatos è il progetto solista del polistrumentista e shredder canadese Ian Waye e trova il suo primo sfogo musicale in questo ep omonimo di quattro tracce, per una mezz’oretta di travolgente technical death metal assolutamente mostruoso e ricco di virtuosismi.
Waye è un musicista straordinario, il suo obiettivo è rivolto al costante miglioramento della tecnica strumentale ma, per trovare la perfezione, lascia per strada qualcosa in termini compositivi.
L’album non è strumentale come si potrebbe pensare, perché un growl accompagna le scale difficilissime e gli articolati solos, ed è diviso in quattro brani nati da idee vecchie anche di sei anni, ora tramutate in metal estremo dalla tecnica altisonante. Thanatos è un altro di quei lavori prodotti ad uso e consumo dei fans dello shredder o per musicisti, per noi comuni mortali rimane purtroppo ben poco se non qualche buono spunto estremo in cui la voce è protagonista come la musica. Thanatos-Prelude To The Heretic e la conclusiva Shores Of Six sono i brani migliori di un lavoro da annoverare tra le opere rivolte ai fanatici della tecnica strumentale.
Tracklist
1. Call of the Hellenistic Progeni
2. Among the Throes of Annihilation (ft. guest soloe by Gottfrid Norberg Waxin (Deathbreed))
3. Prelude To The Heretic (ft. guest guitar solo by Chris Feener (Burnt Hill, Qyn, ex-Threat Signal))
4. Shores of Styx
Flectar è una raccolta di musica tutta da ascoltare, progressiva, metallica, a tratti intrisa di poesia come nella migliore tradizione del genere, scaraventando in un angolo la tecnica per esaltare l’ascoltatore con canzoni emozionanti.
Nella scena progressive metal italiana le sorprese sono sempre dietro l’angolo e a noi divoratori di musica non rimane che archiviare a distanza di pochissimo tempo splendide opere provenienti da ogni angolo del nostro troppe volte bistrattato (e non solo parlando di musica) stivale.
Una premessa doverosa, scaturita dopo l’ascolto di Flectar, nuovo album dei torinesi Dayslived, band nata nel 2010 con un album di debutto licenziato nel 2015 (The Black Mouse) e un ep live uscito un apio d’anni fa (Reborn & Lived).
Lanciato sul mercato dalla Rockshots, il nuovo lavoro del quintetto è stato prodotto con la collaborazione di Marco Strega dei magnifici Materdea, mentre per il mastering la band si è affidata a Tony Lindgren nei Fascination Street Studios.
Con queste premesse Flectar non poteva certamente deludere, ed infatti l’album, con i suoi dieci brani, esplora l’universo progressivo partendo dagli anni settanta per arrivare ai giorni nostri, un viaggio musicale affascinante che convincerà anche i più conservatori tra gli amanti dei suoni progressivi.
Preso per mano dalla notevole interpretazione della vocalist Monik Fennelles, davvero personale e molto interpretativa, il sound del gruppo si nutre di tradizione e modernità, alternando ispirazioni che vanno dal prog rock degli Yes, fino a solcare lidi metallici di scuola Dream Theater e persino pulsioni elettroniche, strada che il progressive moderno sta attraversando grazie alle opere di Leprous e Haken.
Ne esce ovviamente una raccolta di musica tutta da ascoltare, progressiva, metallica, a tratti intrisa di poesia come nella migliore tradizione del genere, scaraventando in un angolo la tecnica per esaltare l’ascoltatore con canzoni emozionanti come il singolo Along Your Miles, Triora,Behind My Skin e la conclusiva Mater Musica, brano che in dieci minuti riassume l’intero concept musicale di Flectar, gioiello progressivo da non perdere per alcun motivo
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Tracklist
01.Another Start
02.Flectar
03.Along Your Miles
04.Triora
05.My Angel Said
06.Touching The Clouds
07.Their Violent Game
08.Dark Exile
09.Behind My Skin
10.Non Frangar
11.Mater Musica
Onset of Horrendosity ci presenta due realtà dell’underground estremo che rimangono ad uso e consumo dei fans più accaniti delle sonorità descritte.
La Deformeathing Production licenzia questo split in formato 7” ep/mcd dove per pochi minuti veniamo catapultati nel mondo splatter/gore del brutal death metal suonato dai polacchi Fetor e dai britannici Crepitation.
Un paio di brani sono a disposizione dei Fetor, quartetto attivo in quel di Varsavia da cinque anni e con un full length alle spalle intitolato Abandoned Hope, uscito nel 2016, uno split ed un live.
Brutal death metal tradizionale è quello che ci propone il gruppo, con lo stesso brano (Killing Her Softly) presentato nella versione classica ed in quella live, dimensione più consona al metal estremo dei polacchi.
I britannici Crepitation arrivano da Manchester, suonano devastante brutal/grindcore dal 2005 e hanno una discografia colma di split e demo ma con un solo lavoro sulla lunga distanza, The Violence of the Slams uscito nel 2015.
Più vicino al grind dei compagni di split, il gruppo di Manchester presenta tre brani nei quali grugniti animaleschi, ritmiche velocissime e mid tempo grondanti sangue formano un sound estremo di notevole impatto, ma nulla più. Onset of Horrendosityci presenta due realtà dell’underground estremo che rimangono ad uso e consumo dei fans più accaniti delle sonorità descritte.
Tracklist
1.Fetor – Killing Her Softly
2.Fetor – Killing Her Softly (live in Chorzów 2018)
3.Crepitation – Archaeological Clacker Valve Array
4.Crepitation – Perpetrators of Pre-Pubescent Porta-Potty Poo Pipe Punishment
5.Crepitation – Antiques Chodeshow
Line-up Fetor:
Jacek Gut – Drums
Jakub Ryt – Guitars, Bass
Ojciec – Vocals
Bishop – Bass
Crepitation:
Mark Pearce – Vocals
Joe Mortimer – Bass
Joe Mawdsley – Drums
Chris Butterworth – Vocals
Trippy Pijin – Drums
Bloody Hands, Clear Conscience è un ep di cinque rocciosi brani con cui la band costruisce muri metallici debordanti: tutto nella proposta dei Granshaw è esagerato, forse troppo, lasciando all’ascoltatore la sensazione di un gruppo che punta essenzialmente sull’impatto.
Notevoli picchiatori questi Granshaw, quartetto del Kentucky che per propria definizione suona brutal metal.
In effetti, la proposta del gruppo statunitense è carica di attitudine violenta, sfogata con un sound che si avvicina al thrash/groove dei Pantera, senza le magie del compianto Dimebag Darrell alla chitarra, ma con un cantante che con il suo urlo animalesco e sguaiato mette in fila più di un aspirante nuovo Phil Anselmo. Bloody Hands, Clear Conscience è un ep di cinque rocciosi brani con cui la band costruisce muri metallici debordanti: tutto nella proposta dei Granshaw è esagerato, forse troppo, lasciando all’ascoltatore la sensazione di un gruppo che punta essenzialmente sull’impatto.
L’opener Force Fed Violence ben si presta come esempio del sound proposto dal gruppo, ricca com’è di groove, chitarre piene e voce che sbraita rabbiosa, il problema è che la formula rimane pressoché inalterata fino alla fine, non riuscendo a coinvolgere più di tanto.
Diventa quindi difficile digerire un futuro full length, magari con il doppio del minutaggio di Bloody Hands, Clear Violence, se non si è davvero predisposti per questo tipo di sonorità.
Tracklist
1.Force Fed Violence
2.The Reckoning
3.White Knuckle Apocalypse
4.Killing Epidemic
5.Raise My Glass In Hell
Line-up
Bo White – Vocals
Travis Furlong – Drums
Josh Puckett – Bass
Corey Arnold – Guitars
Wolf To Man in poche parole è un album bellissimo con il quale i fans del genere possono crogiolarsi in barba alle sperimentazioni di casa In Flames, influenza di primaria importanza nella musica del gruppo greco.
Vent’anni e non sentirli in tutti i sensi, i Nightrage, gruppo greco ma che ha tutto per essere considerato svedese (a parte il passaporto), torna con l’ottavo album in carriera che non cambia le carte in tavola, rimane legato indissolubilmente al death metal melodico di metà anni novanta, assolutamente derivativo ma altresì spettacolare per quanto riguarda il songwriting.
Wolf To Man in poche parole è un album bellissimo con il quale i fans del genere possono crogiolarsi in barba alle sperimentazioni di casa In Flames, band di primaria importanza nella musica del gruppo greco.
Inutile girarci intorno, i primi album del gruppo svedese sono stati e sono ancora il vangelo per la band di Marios Iliopoulos, autrice di una serie di album assolutamente perfetti, ma condizionati dall’assoluta devozione per il Gothenburg sound.
Per molti sarà un difetto, ma va dato atto ai Nightrage un talento melodico sopra la media che gli permette di sfornare una serie di brani che convincono per furia estrema, refrain irresistibili e cascate di note che travolgono senza trovare ostacoli.
La produzione al top permette di godere di tutti i dettagli che vanno a formare un’opera estrema avvincente, con i brani che uno dopo l’altro sono micidiali uno-due di stampo melodic death.
E’ quindi ottimo il ritorno per i Nightrage, con un album che si colloca tranquillamente tra gli ultimi Soilwork e Children Of Bodom, risultando sicuramente tra tutti il più classico, parlando di death metal melodico.
Tracklist
1.Starless Night
2.Wolf to Man
3.Embrace the Nightrage
4.Desensitized
5.God Forbid
6.By Darkness Drawn
7.The Damned
8.Arm Aim Kill
9.Gemini
10.Disconnecting the Dots
11.Escape Route Insertion
12.Lytrosis
Line-up
Marios Iliopoulos – Guitars
Ronnie Nyman – Vocals
Magnus Söderman – Guitars
Francisco Escalona – Bass
Dino George Stamoglou – Drums
Hell Over Salem è consigliato agli amanti dell’horror metal, del gothic rock e dell’hard rock a stelle e strisce, e rappresenta per la band una partenza con il botto, a cui si spera faccia seguito al più presto un nuovo lavoro sulla lunga distanza.
Nel mondo dell’underground metallico la sorpresa è sempre dietro l’angolo ed un ep arrivato in mezzo a tante proposte più importanti, può diventare un piacevole incontro con una nuova band.
Succede con i Lords Of Salem, band tedesca che lancia sul mercato questa bomba di quattro brani intitolata Hell Over Salem, un perfetto ed irresistibile mix tra Danzig, Motley Crue e Rob Zombie.
I quattro brani non risparmiano potenza, attitudine rock’n’roll e sfumature dark alternative, con il vocalist Postel a guidare il quartetto di zombie apocalittici come un novello Glenn Danzig.
L’opener Monster Girl ci invita al sabba consumato sul Sunset Boulevard, la title track è un brano horror metal dal taglio moderno, Zombie Monkey Woman e Rock ‘n’ Roll Machine danno il la alla trasformazione degli astanti in un gruppo di vampiri famelici che faranno incetta di sangue al ritmo di Hell Over Salem, come in un remake di Dal Tramonto all’Alba.
Accompagnato da una bellissima copertina e da una produzione assolutamente professionale, Hell Over Salemè consigliato agli amanti dell’horror metal, del gothic rock e dell’hard rock a stelle e strisce, e rappresenta per la band una partenza con il botto, a cui si spera faccia seguito al più presto un nuovo lavoro sulla lunga distanza.
Tracklist
01. Monster Girl
02. Hell Over Salem
03. Zombie Monkey Woman
04. Rock ‘N’ Roll Machine
Line-up
Postel – Vocals
Arian – Guitars
Marple – Bass
Alex – Drums
La parte progressiva risulta importantissima nell’economia di questo lavoro, i brani si susseguono in tempeste di note mai fini a sè stesse, accumunando death metal melodico, progressive, technical death e power metal.
Attivo dall’alba del nuovo millennio questo combo finlandese licenzia il quarto lavoro su lunga distanza dal titolo Singularity.
La line up attuale vede schierati membri di Abbath e Whispered (il batterista Ukri Suvilehto) ed Omnium Gatherum (il bassista Erkki Silvennoinen), mentre la musica proposta è un technical death metal progressivo e melodico, brutale ma allo stesso tempo pervaso da un’aura tradizionale, specialmente nelle atmosfere neoclassiche di cui è pregno.
La grande tecnica è al servizio di un metal estremo che, oltre agli amanti del genere, non mancherà di soddisfare gli appassionati di shred e di chi ha fatto la storia del virtuosismo chitarristico.
Il growl è profondo, il songwriting vario e l’ascolto ne trae giovamento, mettendo in luce la bravura dei musicisti senza perdere il filo di composizioni a tratti molto ben orchestrate tra fughe chitarristiche, momenti atmosferici e sfumature che vanno da note classiche, a bellissimi refrain che vedono protagonista la voce pulita (Ayatollah).
La parte progressiva risulta importantissima nell’economia di questo lavoro, i brani si susseguono in tempeste di note mai fini a sé stesse, accomunando death metal melodico, progressive, technical death e power metal. The Billion Year Contract, Orion’s Cry e la conclusiva The End Of Time sembrano uscite da una jam che vede impegnati Barren Earth, Omnium Gatherum e Malmsteen, tra grande tecnica ed emozionanti passaggi in cui la musica scorre come un fiume in piena travolgendo senza freni l’ascoltatore: Singularity si rivela quindi un ottimo lavoro, sopra la media sia per quanto riguarda la tecnica che il songwriting.
Tracklist
1.I Have Awakened (Intro)
2.Ayatollah
3.Singularity
4.Surfaced
5.The Billion Year Contract
6.Acoustic Medley
7.Orion’s Cry
8.Piazzola.
9.The End Of Time
Line-up
Kari Olli – Vocals
Juha Kupiainen – Guitars
Vesa Nupponen – Guitars
Erkki Silvennoinen – Bass
Ukri Suvilehto – Drums (guest member)
Black Seagull è un lavoro molto suggestivo e pervaso da un’attenzione particolare per le melodie: un ottimo biglietto da visita per Noemi Terrasi ed un ascolto consigliato agli amanti del progressive metal e delle opere strumentali.
Progressive rock/metal strumentale dall’ottima tecnica, ideale colonna sonora di un concept ispirato ad una catastrofe ambientale, è quanto si trova in Black Seagull, primo lavoro della chitarrista siciliana Noemi Terrasi.
Il gabbiano fatica a prendere il volo, il suo ambiente ancora una volta è messo a dura prova dall’uomo e da quel petrolio, portatore di ricchezza e sofferenza: una storia della quale nostro malgrado siamo stati fin troppe volte testimoni, che raccontata dalla chitarra della giovane musicista e compositrice, davvero brava nel tenere a bada inutili virtuosismi e a puntare sull’emozionalità della propria musica. Black Seagull è composto da quattro brani per quasi mezz’ora di musica strumentale che passa agilmente da atmosfere prog metal a più pacate sfumature ambient rock, piacevole nel suo andamento drammatico e di denuncia, ma con un’aura di speranza che avvolge in particolare la seconda parte di Ice Wind e la conclusiva The Way Home.
Il crescendo di tensione della title track apre la mente al quadro drammatico della storia, e la Terrasi fa iniziare una sorta di countdown prima che la sua chitarra esploda in trame progressive e metalliche, sempre alternate a sfumature pacate disegnando melodie vincenti di scuola Dream Theater. Black Seagullè un lavoro molto suggestivo e pervaso da un’attenzione particolare per le melodie: un ottimo biglietto da visita per Noemi Terrasi ed un ascolto consigliato agli amanti del progressive metal e delle opere strumentali.
Tracklist
1.Black Seagull
2.Steel Eyes
3.Ice Wind
4.The Way Home
Line-up
Noemi Terrasi
About Life (In The Rubbish) è un lavoro vario e formato da generi diversi, perciò entrare in sintonia con il sound del gruppo non è facilissimo, ma una volta trovatane la chiave di lettura si scoprirà un mondo di note liberate da confini e barriere.
I Pazzi Del Riformatorio sono un gruppo progressive/alternative metal siciliano nato nel 2011 e questo lavoro venne pubblicato la prima volta tre anni dopo.
La band, dopo qualche anno di pausa, ritorna con una line up rivoluzionata e di fatto a tre, con i due membri fondatori, Marco Blandini (voce e chitarra) e Lorenzo Giannì (chitarra e voci) raggiunti da Francesco Zanotti (batteria).
Il primo passo dei “nuovi” I Pazzi Del Riformatorio è la riedizione dell’album d’esordio con l’aggiunta di due brani inediti (Centro Nichilista, Inri) e da uno in versione live (Atracrar). About Life (In The Rubbish) è un lavoro originale che amalgama in modo sorprendente, progressive rock, alternative metal, indie ed attitudine punk rock: la band si supera in quei momenti dove il tutto è perfettamente inglobato in brani che non lasciano letture precise sulla strada intrapresa ma giocano a sorprendere chi ascolta.
La cosa buona è che il tutto riesce in brani e attimi in cui il progressive metal di scuola Dream Theater viene violentato da scariche alternative/indie per poi tornare a trame progressive addirittura di stampo settantiano.
In tutto questo ben di dio musicale il metal è il collante che tiene i generi ben saldi tra loro nell’economia di brani come God Is A Woman, la suite Democracy’s Slave e la thrash/punk Escape The Grave. About Life (In The Rubbish) è un lavoro vario e formato da generi diversi, perciò entrare in sintonia con il sound del gruppo non è facilissimo, ma una volta trovatane la chiave di lettura si scoprirà un mondo di note liberate da confini e barriere.
Tracklist
1.Frankenstein
2.God Is Woman
3.I Pazzi Del Riformatorio
4.Democracy’s Slave
5.Last Chance
6.Green
7.Unforgivable
8.Escape The Game
9.Centro Nichilista (Bonus Track 2019)
10.Inri (Bonus Track 2019)
11.Atracar (Bonus Track 2019 – Live)
Line-up
Marco Blandini – Voci, Chitarre
Lorenzo Giannì – Chitarre, Basso, Tastiere, Voci
Francesco Zanotti – Batteria
Line-up 2014:
Marco Blandini – Voci, Chitarre
Lorenzo Giannì – Chitarre, Voci
Salvo Ilacqua – Basso
Vincenzo Fiorilla – Tastiere
Francesco Zanotti – Batteria
Line-up 2012:
Marco Blandini – Voci, Chitarre
Lorenzo Giannì – Chitarre, Voci
Elena Giudice – Basso
Francesco Zanotti – Batteria
Roberto Ferrara – Tastiere
Un’ora di discesa negli antri più bui, dove il metal estremo di matrice black si impregna di misticismo indiano nel suo discendere negli oscuri antri di un tempio dimenticato in cui leggende e storie si tramandano da millenni.
Duo dedito ad un ferale black metal che non disdegna atmosfere ambient, i Temple Koludra esordiscono sulla lunga distanza con Seven! Sirens! To a Lost Archetype, lavoro che arriva dopo un paio di ep distanti sei anni uno dall’altro.
M:W, polistrumentista, e I.H. alla voce sono i sacerdoti di questo rituale estremo, oscuro e terrificante che trova la sua forza nelle ispirazioni di matrice scandinava nella parte più metallica della propria musica, soggiogata e manipolata in favore di un’aura atmosferica che valorizza gran parte dell’album.
Un’ora di discesa negli antri più bui, dove il metal estremo di matrice black si impregna di misticismo indiano nel suo discendere negli oscuri antri di un tempio dimenticato in cui leggende e storie si tramandano da millenni.
Il sound ha nelle parti atmosferiche il suo punto di forza, ma non manca di cavalcate dal crescendo di maligna brutalità: Vanja, Namarupa e la conclusiva White I Trance sono le tracce che lasciano il segno in questa ora di musica estrema che trova nel black metal mistico ed oscuro la sua massima espressione.
Tracklist
1.Trimurti
2.Vajra
3.Grey Apparition
4.Namapura
5.This Diadem Will Last
6.Vertigo
7.White I Trance
I Nirnaeth con From Shadow To Flesh confermano l’ottima salute della scena estrema francese e regalano un album convincente, a tratti devastante, oscuro e melodico, perfettamente in grado di tenere botta in tutta la sua durata.
Come spesso accade all’ascolto del metal estremo proveniente dalla terra dei cugini francesi siamo al cospetto di un buon lavoro, indubbiamente legato ai cliché del death/black metal, di matrice Behemoth in primis, ma comunque ben orchestrato e dalle maligne atmosfere.
Stiamo parlando di From Shadow To Flesh, ultimo e quarto lavoro dei Nirnaeth; la band di Lille conferma dunque quanto di buono aveva dato in pasto agli amanti del metal estremo in passato e sforna nove inni oscuri, licenziati dalla Malpermesita Records, nove potenti bordate death/black che si fanno apprezzare per impatto, buone melodie incastonate tra la tempesta di ritmiche veloci, mid tempo ed atmosfere di nero colorate.
Non solo i maestri Behemoth, signori incontrastati del genere, fanno capolino tra il diabolico spartito dei Nirnaeth, ma anche la scuola scandinava è ben rappresentata da melodie che ricordano i Dissection (in molti suoni di chitarra) ed i Naglfar.
Ottimo il cantato, maligno, cattivo ed interpretativo il giusto per non apparire come un lungo monologo in scream, suggestivo quanto basta per aprire squarci infernali tra le note delle efferate The Crater, In Nomine Ego e Once A Shadow.
I Nirnaeth con From Shadow To Fleshconfermano l’ottima salute della scena estrema francese e regalano un album convincente, a tratti devastante, oscuro e melodico, perfettamente in grado di tenere botta in tutta la sua durata.
Tracklist
1. Dying of the Day
2. Been thereBefore
3. The Crater
4. Cursed
5. In Nomine Ego
6. Nihil in Me
7. Once a Shadow
8. Posession
9. Forgotten and Chaines
Progressivo nelle ritmiche mai banali, assolutamente fuori da schemi prestabiliti ed a suo modo originale, Cyberstorm è la dimostrazione di come si possa suonare metal prendendo le distanze dai soliti cliché, rimanendo legati al genere grazie ad una miriade di dettagli
Lo storico bassista e compositore Enio Nicolini torna con un lavoro che porta il suo nome, accompagnato dai The Otron (Ben Spinazzola alle voci, Sergio Ciccoli alla batteria e Former Lee Warner ai suoni elettronici).
Il musicista abruzzese, già protagonista in band di culto come Unreal Terror, The Black, Akron e altre come Sloe Gin, UT e Respiro di Cane, ci immerge in questo caso in un futuro dominato dalle macchine, con la musica che segue il concept futurista del progetto, intitolato Cyberstorm. Enio Nicolini And The Otron danno vita ad un’opera interessantissima, rinunciando alle chitarre e rendendo omaggio alle storie dai temi sci-fi raccontati nei vari brani con un sound pregno di suoni elettronici accompagnati da solo basso e batteria a rappresentare la strumentazione canonica.
Progressivo nelle ritmiche mai banali, assolutamente fuori da schemi prestabiliti ed a suo modo originale, Cyberstorm è la dimostrazione di come si possa suonare metal prendendo le distanze dai soliti cliché, rimanendo legati al genere grazie ad una miriade di dettagli
Fin dalle prime battute della title track, Nicolini manipola i generi suonati per una vita caricandoli su una macchina del tempo e trasportandoli centinaia di anni in avanti: da tutto ciò nascono quindi una serie di tracce che all’interno di trame dalla base elettronica, sono ricche di sfumature heavy, doom, dark e progressive, partendo da Ramses W45, Warp Machine e Night Of The Hunt, in un caleidoscopio di suoni che ricordano a tratti i Voivod di Angel Rat, i Killing Joke e gli Young Gods, il tutto inserito in un’atmosfera di tensione metallica ed oscura. Cyberstorm è un album riuscito e, come detto, a suo modo originale, che va ad aggiungersi alle tante opere di spessore che hanno visto ergersi a protagonista il talento di Enio Nicolini.
Tracklist
1.Cyberstorm
2.Ramses W45
3.Planet X
4.5th Dimension
5.Warp Machine
6.Iss Armada
7.Anthios
8.Nanoids in my Head
9.Night of the Hunt
10.Timeless Love
Line-up
Enio Nicolini – Bass
Ben Spinazzola – Vocals
Sergio Ciccoli – Drums
Former Lee Warner – Electronic Sound
Il quintetto bavarese è protagonista di un ottimo heavy metal dalle ritmiche speed/power strutturato su cavalcate velocissime, melodie dal buon appeal e pregno di ispirazioni ottantiane.
Arrivano all’esordio con questo mini cd di tre brani i tedeschi Invictus.
Il quintetto bavarese è protagonista di un ottimo heavy metal dalle ritmiche speed/power strutturato su cavalcate velocissime, melodie dal buon appeal e pregno di ispirazioni ottantiane.
Se dovessi trovare un esempio di metal old school in grado di non sfigurare con le produzioni odierne, direi che senz’altro gli Invictus sono sulla strada giusta per uscire dall’anonimato e farsi conoscere nell’affollato panorama del metal classico underground. Burst The Curse è composto da un paio di brani rocciosi, melodici e veloci come bolidi, più la classica ballatona che spezza la carica metallica tra la title track e Someone Out There, le due devastanti esplosioni power/speed metal.
Un buon lavoro strumentale, chorus epici e ritmiche mozzafiato sono valorizzate in questo ep da una buona produzione presentando al meglio la band ai metal defenders.
Primi Helloween e Blind Guardian con un tocco di new wave of british heavy metal e via verso la gloria metallica, questa è la strada intrapresa dagli Invictus, gruppo decisamente da seguire.
Tracklist
1.Burst the Curse
2.Gaia
3.Someone Out There
Culś è un mostro malvagio e millenario che fagocita terrore e lo rigetta sotto forma di metal estremo, la sua forza si rigenera nelle atmosfere soffocanti e morbose di luoghi dimenticati dal tempo: il sound che ne deriva è maligno e pesante, opprimente e soffocante come la polvere delle catacombe.
Debuttano sulla lunga distanza i romani Sangue con Culś, full length che mette ancora in evidenza l’ottima scena estrema capitolina.
Il quintetto, dopo un primo ep uscito un paio d’anni fa, torna dunque sul mercato con questo terrificante e devastante lavoro sulla lunga distanza a base di un death metal old school immerso nell’antica Etruria che dà vita ad una miscela esplosiva di metal estremo.
Con una produzione in linea con il sound catacombale, sfumature black si trascinano tra i corpi lasciati a marcire da millenni tra maledizioni e sacrifici, atmosfere soffocanti che avvolgono un impatto che non dà tregua, mentre a tratti mid tempo pesantissimi e dall’attitudine doom/black lasciano poco spazio alla luce (They Do Not Rest, Her Cold Breath). Culś è un mostro malvagio e millenario che fagocita terrore e lo rigetta sotto forma di metal estremo, la sua forza si rigenera nelle atmosfere soffocanti e morbose di luoghi dimenticati dal tempo: il sound che ne deriva è maligno e pesante, opprimente e soffocante come la polvere delle catacombe.
Un debutto affascinante ed assolutamente fuori dai soliti cliché, anche se rivolto soprattutto agli amanti delle sonorità old school.
Tracklist
1.In the Church
2.They Do Not Rest (Clock of the Giants)
3.Eerie Murmuring / Infinity Abysmal
4.Interlude / Call of the Gorgon
5.Shifting into Necrocosmos
6.Her Cold Breath
7.Interlude / Tuchulcha
8.The Rite of Cosmic Void
9.When the Magus Whispers to the Skies
Line-up
Valerio Scissor – Guitars
Welt – Guitars
MeTa – Bass
Rector Stench – Drums
Mirko “Offender” Scarpa – Vocals
Il look ispirato dalla scena black metal accentua l’impressione di essere al cospetto di un gruppo che ha fatto dell’estremo la sua principale forma d’arte, mentre come scritto il sound si muove su coordinate deathcore, un’accoppiata interessante per un risultato sicuramente devastante.
Con un po’ di ritardo sull’uscita vi presentiamo l’ultimo album dei The Convalescence, sestetto statunitense fondato nel 2011 ed arrivato al quarto lavoro sulla lunga distanza.
This Is Hell si compone di dieci esplosioni di deathcore, animato da una potentissima carica estrema e valorizzato da alcuni passaggi in cui sinfonie canti femminei cercano di dare un tocco particolare al sound violentissimo e brutale creato dal gruppo.
Niente di originale, ma diciamo subito che la band si danna l’anima per risultare più estrema possibile e ci riesce grazie ad un approccio violento e senza compromessi.
La parte classica è meno invadente di quello che si può pensare, ricamando alcuni passaggi, timidi di fronte a cotanto impatto estremo, mentre la voce della tastierista Katie McCrimmon è una raffinata visione di morte nell’inferno di brani come Burn e There Will Be Blood.
Il look ispirato dalla scena black metal accentua l’impressione di essere al cospetto di un gruppo che ha fatto dell’estremo la sua principale forma d’arte, mentre come scritto il sound si muove su coordinate deathcore, un’accoppiata interessante per un risultato sicuramente devastante, provare per credere.
Tracklist
1. Scum
2. No Way Out
3. I Won’t Survive
4. Murder Machine
5. Burn
6. There Will Be Blood
7. Alone
8. This Is Hell
9. With No Hope
10. The World Infested
Line-up
Keith Wampler – Vocals
Brandon Davis – Guitar
Zac Lunsford – Guitar
Ron Buckley – Bass
Charles Webber – Drums
Katie McCrimmon – Keyboards, Vocals
La band, in questo nuovo lavoro, torna alle sonorità che avevano caratterizzato il debutto, lasciando in parte lo spirito garage che aveva animato lo splendido Cape Yawn per un viaggio che dal deserto porta la band ancora una volta nelle strade della piovosa Seattle.
Sono passati cinque anni dal bellissimo debutto Cloud Eye e tre dal capolavoro Cape Yawn e il viaggio degli Elevators To The Grateful Sky nel rock degli ultimi trent’anni del secolo scorso continua con questo terzo album intitolato Nude.
Con un contratto nuovo di zecca con la label greca Sound-Effects Records, ed accompagnato dallo splendido artwork realizzato come sempre dal frontman Sandro di Girolamo, i rockers parlermitani tornano con un questi nuovi undici brani che confermano il loro status di spicco nella scena underground in ambito stoner/psych rock.
D’altronde i componenti della band hanno sempre dedicato il loro talento a più di un genere, passando con disinvoltura dal metal estremo al rock ed alle sue tante sfaccettature dimostrando di saper convincere sia come Elevators To The Grateful Sky che nelle altre incarnazioni Sergeant Hamster, Haemophagus, Undead Creep e Cavernicular, tanto per nominare quelle di cui nel tempo ci siamo occupati e che puntellano una delle scene più interessanti del nostro paese.
La band, in questo nuovo lavoro, torna alle sonorità che avevano caratterizzato il debutto, lasciando in parte lo spirito garage che aveva animato lo splendido Cape Yawn per un viaggio che dal deserto porta la band ancora una volta nelle strade della piovosa Seattle.
Ovviamente la parte psichedelica e stoner è ben presente nei vari brani che compongono Nude, con l’opener Addaura che come un trip sale, stonata e psichedelica e di matrice settantiana.
Il quartetto prepara il campo per quello che sarà l’album più vario scritto fino ad oggi, con una serie di ispirazioni ed atmosfere che vanno dagli anni sessanta ai novanta, trent’anni di rock e hard rock catapultati in un’opera che affascina e tiene incollati alle cuffie dalla prima all’ultima nota. Beggars Can’t Be Choosers, Insects In Amber, lo stoner/doom di Flowerian,Song For July, In Your Hands (che ricorda non poco gli Alice In Chains), mostrano un gruppo dall’approccio più diretto rispetto al passato.
Manca in questo lavoro il brano da jam session come poteva essere la title track dell’album precedente, ma il suo fagocitare ispirazioni che vanno dai The Beatles agli Alice In Chains, dai Kyuss ai Nirvana, dai Black Sabbath ai Cathedral per restituirle sotto forma di un sound personale ed ormai riconoscibilissimo, contribuisce a rendere Nude un altro straordinario lavoro targato Elevators To The Grateful Sky.
Tracklist
1.Addaura
2.Beggars Can’t Be Choosers
3.Like A Seashell
4.Nude
5.Insects In Amber
6.Night’s Out
7.Flowerian
8.Drowned Dragness
9.Song For July
10.In Your Hands
11.The Trembling Watermoon
Line-up
Sandro di Girolamo – vocals and percussion
Giorgio Trombino – guitars, bass, alto saxophone, congas, keyboards, alternate lead vocals
Giuseppe Ferrara – rhythm guitars
Giulio Scavuzzo – drums, darbouka, tambourine, percussion and alternate lead vocals
Ottima iniziativa della label Black Doomba Records che con questo split in edizione limitata in vinile ci propone due realtà della scena doom metal underground statunitense, provenienti da Atlanta, i Dayglo Mourning e i Bludy Gyres.
Ottima iniziativa della label Black Doomba Records che con questo split in edizione limitata in vinile ci propone due realtà della scena doom metal underground statunitense, provenienti da Atlanta, i Dayglo Mourning e i Bludy Gyres.
Musica del destino di buon livello è quello che ci offrono i due gruppi in questione, più orientati verso sonorità stoner i primi e più classici i secondi.
I Dayglo Mourning sono un terzetto attivo da solo un anno ma con già un primo full length omonimo licenziato e su Rope Enough for Twopresentano tre brani dal lento incedere doom e drogati da atmosfere stoner che hanno nella pesantissima Dark Ritual il miglior esempio.
Il loro approccio è pesantissimo, la voce evoca viaggi stordenti in terre desertiche dove tra miraggi provocati da sostanze illegali si muovono ispirazioni classiche ed influenze che vanno dagli Sleep agli Orange Goblin.
Anche per i concittadini Bludy Gyres c’è un full length all’attivo (Echoes from a Distant Scream) ma con qualche anno in più di attività: nel loro caso la proposta è quella di un solo brano lungo diciassette minuti: Behold! Your World Now Burns (Blunderbore Suite), una lunga litania sabbathiana, una jam doom che nasconde ispirazioni heavy rock tra le sue trame, rimanendo più legata al sound classico.
In sostanza un ottimo acquisto per gli amanti di questi prodotti ed un buon modo per conoscere due realtà di valore della scena doom statunitense.
Tracklist
Side A
1.Dayglo Mourning – Weedcreeper
2.Dayglo Mourning – Wizard in White
3.Dayglo Mourning – Dark Ritual
Side B
4.Bludy Gyres – Behold! Your World Now Burns (Blunderbore Suite)
Line-up
Bludy Gyres :
Tommy Stewart – Bass, Vocals
Dennis Reid – Drums
Chris Abbamonte – Guitars
Isidore Herman – Guitars
Dayglo Mourning :
Ray Miner – Drums
Joe Mills – Guitars, Vocals
Matt Rayborn – Vocals, Bass
Se questo sarà stato davvero l’ultimo urlo estremo di Michel Jonker con il monicker Entrapment si vedrà con il tempo, per ora resta da godersi questo insano e morboso Imminent Violent Death.
Per i fans del death metal old school il nuovo album degli olandesi Entrapment è sicuramente un appuntamento da non perdere in questa primavera 2019.
La band olandese di fatto è il progetto solista del musicista di Groningen Michel Jonker, che con questo lavoro mette fine alla carriera degli Entrapment che culminerà con un ultimo concerto al Graveland Open Air l’11 maggio, giorno di uscita del disco.
E’ durata nove anni l’avventura Entrapment, con un numero di pubblicazioni importante e quattro full length, con questo ultimo lavoro che ribadisce la proposta estrema del musicista orange.
Il death metal old school, morboso e sferragliante nei suoi momenti estremi richiama a tratti lo swedish death degli albori, e si unisce a rallentamenti doom, cari proprio alla scena olandese con a capo i seminali Asphyx.
Si continua così a produrre death metal come il diavolo comanda, brutale, d’impatto e assolutamente perfetto per gli amanti del metal estremo senza compromessi: non ci sono battute a vuoto, l’album si fa ascoltare che è un piacere, tra i liquami dei cadaveri in decomposizione e brani come Sanctifying Putrescent, Sacrilegious Congregation e Process Of Dehumanization a fare da colonna sonora al succulento banchetto preparato dagli Entrapment.
Se questo sarà stato davvero l’ultimo urlo estremo di Michel Jonker con il monicker Entrapment si vedrà con il tempo, per ora resta da godersi questo insano e morboso Imminent Violent Death.
Tracklist
1.Mortality Unleashed
2.Incantation of the Grotesque
3.Sanctifying Putrescent
4.Malicious Predominance
5.Sacrilegious Congregation
6.Imminent Violent Death
7.Morbid Habitation
8.Process of Dehumanization
Curse Of Life è composto da undici brani suonato e prodotto benissimo, ai quali dove non manca un pizzico di groove e un gran lavoro chitarristico, seguendo strade tracciate dai gruppi storici del genere senza perdere quella personalità che nei debutti può fare la differenza.
Nati dalle ceneri dei No Way Out un paio d’anni fa, debuttano per Revalve Records i modenesi Aether Void con Curse Of Life, album che si colloca in ambito heavy/power tra ispirazioni classiche ed input più moderni.
Curse Of Life è composto da undici brani suonato e prodotto benissimo, ai quali dove non manca un pizzico di groove e un gran lavoro chitarristico, seguendo strade tracciate dai gruppi storici del genere senza perdere quella personalità che nei debutti può fare la differenza.
Ed infatti gli Aether Void manipolano la materia con buona padronanza di mezzi, accostando l’heavy classico di matrice Iron Maiden era Blaze Bayley al power e al metal di scuola statunitense (Iced Earth, ultimi Metal Church) per un risultato più che positivo.
La band nostrana ha una marcia in più quando lascia libere le sei corde, sul pezzo quando partono per cavalcate metalliche tagliando l’aria con fendenti potenti e melodici (Twisted Maze).
L’atmosfera di tensione palpabile che accomuna le opere del genere rimane in primo piano anche quando gli Aether Void depotenziano l’impatto di quel tanto per consentire alla parte melodica del sound di uscire in tutta le sue sfumature drammatiche ed in crescendo suggestivi (One Last Dawn).
Bellissima Misleading Promises, brano maideniano che offre un sunto del credo musicale del gruppo risultando il picco di Curse Of Life, album consigliatissimo a chi ama il metal classico del nuovo millennio.
Tracklist
1.Walking Down The Path (Intro)
2.Golden Blood
3.What You Reap And Deserve
4.Twisted Maze
5.One Last Down
6.Hoax
7.Faithless Crusade
8.Misleading Promises
9.Death Wish
10.The Eternal City
11.Angels Die Too
Line-up
Thore – Vocals
Bond – Lead Guitar
Erik – Rhythm Guitar
Bruso – Bass
Albi – Drum
Rock’n’roll melodico, graffiante a tratti emozionante nel far rivivere atmosfere che si erano perse davanti ai palchi del Whiskey a Go Go, del Viper Room, o del Rainbow in un’escalation di puro divertimento che non fa prigionieri, questo è Vain Vipers e quello che trasmettono le dieci tracce suonate da Mick, Wild, Scott e Aaron.
L’uscita in questo periodo del biopic sui leggendari Motley Crue ha riacceso qualche luce sul Sunset Boulevard e sulla scena glam/hair/street metal di Los Angeles, balzata gli onori della cronaca musicale a metà anni ottanta e diventata una delle scene più influenti della storia del metal/rock mondiale.
Siamo lontani anni luce dalle esagerazioni di una generazione di musicisti votati al rock’n’roll style, ma è pur vero che la fiamma ha continuato in questi anni a bruciare nell’underground e per i fans più attenti le sorprese non sono certo mancate.
I Vain Vipers per esempio sono una band italiana al debutto per la Volcano Records con questo buon album omonimo, ispirato dalle leggende della scena losangelina, composto da un lotto di belle canzoni e in grado di risvegliare antichi pruriti in chi ha vissuto da testimone lo spettacolo pirotecnico e non solo musicale offerto dagli eroi del Sunset.
Rock’n’roll melodico, graffiante a tratti emozionante nel far rivivere atmosfere che si erano perse davanti ai palchi del Whiskey a Go Go, del Viper Room, o del Rainbow in un’escalation di puro divertimento che non fa prigionieri, questo è Vain Vipers e quello che trasmettono le dieci tracce suonate da Mick, Wild, Scott e Aaron.
L’album ci mette un po’ ad ingranare, l’opener I Hate You risulta un crescendo di tensione che arriva ad esplodere lasciando che la musica ci travolga e non trovi più ostacoli.
E dalla successiva Bitch (Please Shot Up) si entra in un vortice creato dal rock’n’roll selvaggio, irriverente ed irresistibile delle varie Kissy Doll, Let’s Party, 80’s Whore e Rock’n’Roll, brani che saranno derivativi quanto si vuole, ma il piedino non smette di battere il tempo e i chorus entrano in testa al primo colpo.
Un buon lavoro per una band che sa come far divertire gli amanti del genere: i gruppi a cui sono legati i Vain Vipers mi sembra inutile nominarli, basta premere il tasto play e si torna idealmente a bere una birra sul Sunset Boulevard.
Tracklist
1. I Hate You
2. Bitch Please (Shut Up)
3. Kissy Doll |
4. Lost In Your Eyes
5. Let’s Party
6. Reach Me In The Dark Side |
7. 80’s Whore
8. Devil Is Waiting |
9. Rock‘n’Roll
10. Weeping
Line-up
Mick – Vocals
Wild – Guitars / Back Vocals
Scott – Bass Guitar/ Back Vocals
Aaron – Drums
VAIN VIPERS – Facebook Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)