I Feral non tradiscono e ci investono con tutta la loro inumana violenza tra ritmiche velocissime, solos, ripartenze, e melodie che fanno capolino tra la forza di un’onda d’urto che si alza inesorabile.
Torna a ruggire una delle band che ultimamente ha convinto di più nel riproporre lo storico sound nato all’alba degli anni novanta nel Nord Europa.
Stiamo parlando di swedish death e dei massacratori seriali chiamati Feral, che licenziano tramite la Transcending Obscurity il loro nuovo mortale lavoro, Flesh For Funerals Eternal.
A tre anni di distanza dall’ultimo bellissimo full length (Where Dead Dreams Dwell) e ad un paio dall’ep From The Mortuary, i cinque orchi svedesi tornano dunque con un altro mostruoso album nel quale lo storico genere viene glorificato da una decina di brani travolgenti.
I capisaldi ci sono tutti, perché i Feral sotto questo punto di vista non fanno mancare niente e aggrediscono mirando dritti alla giugulare, con il sangue che sprizza copioso mentre una cascata di riff vi sepellirà. Flesh For Funerals Eternal non lascia respirare, la band è in piena forma e grazie ad un songwriting sopra la media sferra una serie ganci che stendono al tappeto, veloci, potentissimi ed assolutamente old school.
Questo è death metal scandinavo di origine controllata, valorizzato da un gruppo formidabile e da una raccolta di brani che da Vaults Of Undead Horror e passando per Gathering Their Bones, Of Gods No Longer Invoked e Buried colpiscono al cuore degli amanti del genere.
I Feral non tradiscono e ci investono con tutta la loro inumana violenza tra ritmiche velocissime, solos, ripartenze e melodie che fanno capolino tra la forza di un’onda d’urto che si alza inesorabile al passaggio di questo ennesimo mastodontico esempio di death metal scandinavo.
Tracklist
1.Vaults Of Undead Horror
2.Black Coven Secrets
3.Gathering Their Bones
4.Dormant Disease
5.Of Gods No Longer Onvoked
6.Accursed
7.Horrendous Sight
8. Stygian Void
9.Buried
10. Bled Dry
Line-up
Viktor Kingstedt – Bass
Sebastian Lejon – Guitars
David Nilsson – Vocals
Markus Lindahl – Guitars
Roger Markstrom – Drums
Un album affascinante, pesante e monolitico, che trova nelle malsane atmosfere di antichi rituali le sue più forti ispirazioni.
Una lunga jam liturgica, un rito stoner/doom metal dalle molteplici ispirazioni che dal deserto australiano arriva a noi tramite la Wormholedeath in questo caldo autunno 2018.
I Sumeru danno vita a questa lunga e monolitica danza tra le calde pietre di altari naturali, all’ombra dei quali antiche credenze e usanze continuano a scandire la vita degli uomini, dopo il primo lavoro omonimo in formato ep ed il debutto su lunga distanza uscito quattro anni (Holy Lands). Summon Destroyer è il nuovo capitolo, una nuova danza che si perde nella notte e che si avvale di un sound che unisce drogate parti stoner, lente litanie doom/sludge ed accelerazioni estreme di stampo death.
Il tutto viene ammantato da una spessa coltre evocativa, che per otto brani ci circonda come nebbia che spezza il respiro, entra nel corpo e porta con sé allucinati visioni di rituali dimenticati nel tempo. Inanis Kultus è un sospiro, un rumore in lontananza che sempre più vicino ci prepara per l’entrata in The Temple, che esibisce riff settantiani e lente marce doom, mentre la title track ed Embrace The Cold smuovono l’apparente stallo con ritmiche cadenzate di stampo hard rock pregne di groove malato. Summon Destroyer è un lavoro difficile nel quale la tensione rimane altissima, spezzata da Kala Ratri, sorta di intro che ci porta alla seconda parte dell’opera aperta dal metal estremo di Durga! Durga! seguito dalla diretta Rivers Of Lethe, il brano più veloce dell’intero album. A New Ritual conclude questa nuova fatica targata Sumeru con nove minuti di stoner/doom/sludge che portano allo sfinimento corporale e mentale: le atmosfere pesantissime e pervase da una mistica tensione si fanno ancora più pressanti fino alla conclusione.
Un album affascinante, pesante e monolitico, che trova nelle malsane atmosfere di antichi rituali le sue più forti ispirazioni.
Tracklist
1. Inanis Kultus
2. The Temple
3. Summon Destroyer
4. Embrace The Cold
5. Kala Ratri
6. Durga!Durga!
7. Rivers Of Lethe
8. A New Ritual
Line-up
Matt Power – Vocals
Peter Bursky – Guitar
Chris Wilson – Guitar
Pat Taylor – Bass
Andres Hyde – Drums
Trentacinque band, ognuna alle prese con un pezzo di storia dell’heavy metal dalle tinte horror, ognuna mettendo a disposizione la propria visione al servizio di brani che non avrebbero bisogno di presentazione per qualità e valore, anche simbolico.
A poca distanza dall’uscita di Rock’n’Roll Armageddon, ultimo e bellissimo lavoro della più importante e leggendaria metal band italiana, si torna a parlare di Steve Sylvester e dei suoi Death SScon questo mastodontico tributo organizzato e voluto dalla Black Widow Records, label genovese che già aveva fatto gli onori al gruppo diciotto anni fa con Beyond The Realm Of Death SS, licenziato in cd e in doppio vinile.
Questa volta la storica etichetta, in accordo con Sylvester, è andata oltre coinvolgendo trentacinque band, ognuna alle prese con un pezzo di storia dell’heavy metal dalle tinte horror, ognuna mettendo a disposizione la propria visione al servizio di brani che non avrebbero bisogno di presentazione per qualità e valore, anche simbolico.
La Black Widow ha fatto le cose in grande, mantenendo fede alla sua reputazione di label dalle uscite di altissimo livello, licenziando Terror Tales – A Tribute To Death SS in tre diverse versioni: una in triplo cd, un’altra in quadruplo vinile, oltre a un’edizione limitata a 66 copie con copertina di velluto.
La storia di questo mito musicale viene raccontata attraverso trentacinque ottime cover, suonate per l’occasione da band nazionali ed internazionali: un buon numero di artisti da anni sulla scena underground metal/rock, ma anche giovani e talentuosi gruppi che negli ultimi tempi si sono fatti conoscere con ottimi lavori.
I Death SSsono rispettati ed amati aldilà del genere suonato, essendo una band che ha fatto proprie tendenze classiche e nuovi suoni che nel corso degli anni hanno contribuito ad arricchire la musica rock, ed è per questo che in Terror Tales troverete realtà anche distanti tra loro come concezione musicale.
L’opera, monumentale per dimensioni, non ha oggettivamente punti deboli, con le band che a loro modo hanno tutte eseguito uno splendido lavoro, meritando un plauso, da quelle internazionali come Watain, Mortiis (in compagnia dei nostrani Mugshots), Slap Guru e Vampyromorpha, a quelle italiane, con la partecipazione di Dark Quarterer, Doomraiser, Trevor And The Wolves, Il Segno Del Comando, Nibiru,Shadow Of Steel, Varego e Witches Of Doom (tanto per ribadire la varietà di band e di stili che troverete in questo tributo).
Per gli amanti dei Death SS, ma non solo, Terror Tales si rivela la riuscita glorificazione di un gruppo leggendario nonché un modo per tastare il polso ad una scena decisamente in salute come quella del metal/rock odierno.
Tracklist
CD 1
1- SIGH feat. STEVE SYLVESTER – Violet Ouverture
2- DENIAL OF GOD – Terror
3- WATAIN – Chains of Death
4- EVIL SPIRIT – Horrible Eyes
5- ANAEL – Black Mummy
6- DARK QUARTERER- Scarlet Woman
7- VAREGO – Cursed Mama
8- DOOMRAISER – The Night of the Witch
9- THE MUGSHOTS feat. MORTIIS – In the Darkness
10- BULLDOZER – Murder Angel
11- BLEEDING FIST – Black and Violet
12- DEATHLESS LEGACY – Baphomet
CD 2
13- L’IMPERO DELLE OMBRE – Vampire
14- BLACK OATH – The Seventh Seal
15- ALBERT BELL’S SACRO SANCTUS – The Shrine in the Gloom
16- FORGOTTEN TOMB – Where Have You Gone?
17- NOKTURNAL MORTUM – Family Vault
18- NORTHWINDS – Lilith
19- HELL OBELISCO – Death
20- TREVOR AND THE WOLVES – Panic
21- IL SEGNO DEL COMANDO – Another Life
22- VAMPYROMORPHA- Agreement With the Devil
23- BLUE DAWN – Zombie
CD 3
24- HALL OF GLASS – Devil’s Graal
25- NIBIRU – Schizophrenic
26- KALEDON – Let the Sabbath Begin
27- SHADOWS OF STEEL – Heavy Demons
28- PROCESSION – The Darkest Night
29- DAMNATION GALLERY – Cannibal Queen
30- EPITAPH – The Bones and The Grave
31- VOID MOON – Dionysus
32- WITCHES OF DOOM – Kings of Evil
33- MEGATHERIUM – Ogre’s Lullaby
34- SLAP GURU – Profanation
35- SPACE GOD RITUAL – Black Mummy
I GC Project hanno dato vita ad un lavoro affascinante, a tratti raffinato, mai troppo metallico, ma dalle molte influenze che pescano ovviamente nel mondo della musica progressiva degli ultimi quarant’anni.
Giacomo Calabria è un batterista e compositore nostrano che, con il suo progetto solista, arriva con Two Of A Kind al secondo lavoro licenziato dalla Sliptrick Records.
L’album è il successore del debutto uscito targato chiamato GC Project di tre anni fa (Face The Odds), un interessante viaggio musicale attraverso i sentimenti umani descritti tramite un progressive rock/metal dalla tecnica sopraffina e dal buon gusto per gli arrangiamenti e con le melodie sempre in primo piano.
In questo lavoro vivono anime progressive che vanno appunto dal rock al metal, passando per generi ed ispirazioni anche molto lontane tra loro come la fusion.
Una musica totale che vede Giacomo Calabria alle prese con una raccolta di brani che sfuggono ad una precisa identificazione, mostrando un’anima errante nel mondo delle sette note.
Aiutato da una proficua campagna di crowdfunding, il musicista nostrano con la sua band ha dato vita ad un lavoro affascinante, a tratti raffinato, mai troppo metallico, ma dalle molte influenze che pescano ovviamente nel mondo della musica progressiva degli ultimi quarant’anni.
L’apertura è lasciata a Desert In The Sky, brano prog metal di chiara ispirazione Dream Theater, band che rimane una delle maggiori ispirazioni specialmente quando i GC Project induriscono i suoni, per poi come detto viaggiare su un tappeto magico che li porta indietro fino agli anni settanta tra Yes e Genesis, la nostra PFM e qualche accenno all’hard blues dei Led Zeppelin.
Con una follia compositiva che provoca cambi di atmosfera ed impatto ad ogni brano, la band ci regala momenti di musica notevole come The Great Red Spot Of Jupiter, la stupenda ballad Black Rose, i saliscendi sull’ottovolante progressivo di The Genius And The Magician e le note fusion di 5 Seasons Of Sonora.
Two Of A Kind risulta quindi un lavoro assolutamente riuscito e da non perdere se siete amanti della musica progressiva.
Tracklist
1. Desert In The Sky
2. The Land Of Broken Dreams
3. The Great Red Spot Of Jupiter
4. Forget Me Again
5. Black Rose
6. Restlessness
7. It’s All About
8. The Genius And The Magician
9. Through The Wind
10. 5 Seasons Of Sonora
11. The Westland
12. Two Of A Kind
La Francia è sempre più terra di covate metalliche estreme di ottimo livello, sia per quanto riguarda le sonorità death che quelle più diaboliche del black, e gli Armageddon Death Squad con il loro debutto non fanno che confermare questo trend positivo.
Debutto sulla lunga distanza per gli Armageddon Death Squad, ennesima proposta estrema in arrivo dalla Francia, terra che negli ultimi tempi sta regalando soddisfazioni agli amanti del death metal underground.
Necrosmose è il primo parto del quartetto proveniente da Strasburgo, un’opera di death metal classico, molto ben suonato e strutturato su molteplici cambi di ritmo.
La band transalpina scarica dodici mitragliate dal buon tiro, il sound richiama il genere di stampo americano, quindi tra le trame delle tracce troverete influenze e passaggi di scuola Bay Area in un contesto di livello per quanto riguarda la parte più tecnica; una botta di adrenalina lunga cinquanta minuti, pervasa da un’atmosfera estrema moderna, pur rimanendo legata a soluzioni che potremo definire senz’altro old school.
Il singolo A Last Sacrifice è un buon esempio di quello che gli Armageddon Death Squad hanno da offrire agli amanti del death metal, così come Mask Of The Dead Witch e la title track.
La Francia è sempre più terra di covate metalliche estreme di ottimo livello, sia per quanto riguarda le sonorità death che quelle più diaboliche del black, e gli Armageddon Death Squad con il loro debutto non fanno che confermare questo trend positivo.
Tracklist
1.Demons
2.Annihilation
3.Dust and Blood
4.A Last Sacrifice
5.One More Explosion
6.Mask of the Dead Witch
7.Dead Cold Planet
8.Necrosmose
9.Skeleton Satellite
10.Whispers of Supernova
11.Requiem
12.Guttural Romance
A Prelude To Sorrow è un grido di tragico dolore che va ascoltato per intero, lasciando che le note scavino nel vostro cuore e nella vostra anima: un capolavoro da parte di quella che nel genere è oggi la più grande band in circolazione.
Tutto nasce dal dolore, dalla tragedia, dalla perdita; la musica metal diventa in questo nuovo lavoro targato Witherfall il mezzo per comunicare stati d’animo di una profondità disarmante, un’opera bellissima, dura, malinconica, piena di rabbia e sofferenza, che solo Warrel Dane ed i suoi Nevermore erano riusciti a evocare con i due capolavori Dreaming Neon Black e Dead Heart In A Dead World, album e band unici come unici sono i Witherfall ed il loro A Prelude To Sorrow.
La storia del gruppo americano nasce purtroppo nel momento che il compianto batterista Sagan scompare per una grave malattia, non prima di aver contribuito alla realizzazione del bellissimo debutto Nocturnes And Requiems, uscito in regime di autoproduzione e in seguito ristampato dalla Century Media.
E’ da questa tragedia, infatti, che Joseph Michael e Jake Dreyer trovano l’ispirazione per portare la band verso l’olimpo del metal statunitense: un’esperienza che segna in modo rilevante i due musicisti dal talento cristallino che esplode in tutta la sua genialità tra le note di questo immenso lavoro, dal titolo che riprende le iniziali del batterista scomparso per un tributo che non si ferma a questo ma che si può toccare con mano in ogni singolo momento. A Prelude To Sorrowè un capolavoro di metal progressivo, oscuro, e tragico, di una potenza devastante, ma che non manca di passaggi melodici ricchi di una malinconia attanagliante.
Se il primo album era una sorpresa ed uno scrigno di emozionante musica metallica, nella scia di grandi nomi del genere come Nevermore, Iced Earth e Savatage e puntate progressive alla Symphony X, con il nuovo album la band va ancora oltre, personalizzando splendidamente la propria proposta e marchiando a fuoco con il monicker Witherfall quest’ora scarsa di meraviglia sonora.
Dreyer alla chitarra fa sfracelli, Steve Bolognese alla batteria risulta una macchina da guerra e forma con Anthony Crawford una sezione ritmica travolgente, Fili Bibiano asseconda Dreyer con una prova maiuscola, ma è la voce di Michael che tocca vette emotive ed interpretative che solo il miglior Dane poteva raggiungere, risultando più melodico del compianto cantante dei Nevermore ma altrettanto emozionante e dal talento smisurato.
Una track by track credo vi annoierebbe, perché A Prelude To Sorrow è un grido di tragico dolore che va ascoltato per intero, lasciando che le note scavino nel vostro cuore e nella vostra anima: un capolavoro da parte di quella che nel genere è oggi la più grande band in circolazione.
Tracklist
1. A Prelude To Sorrow
2. We Are Nothing
3. Moment Of Silence
4. Communion Of The Wicked
5. Maridian’s Visitation
6. Shadows
7. Ode To Despair
8. The Call
9. Vintage
10. Epilogue
Line-up
Anthony Crawford – Bass
Jake Dreyer – Guitars
Joseph Michael – Vocals/Keyboards
Fili Bibiano – Guitar
Steve Bolognese- Drums
Edward De Rosa dimostra non solo la sua bravura ma anche un talento compositivo di qualità e l’album non tradisce le aspettative, con le sue molteplici sfaccettature ed ispirazioni che vanno dal neoclassicismo malmsteeniano alla tradizione prog/power tricolore.
Anche per il funambolico chitarrista Edward De Rosa è arrivato il momento di pubblicare, tramite l’attivissima Revalve il suo primo album solista.
Il musicista nostrano, già membro dei Soul of Steel e session per i symphonic metallers Elegy Of Madness, accompagnato dal talento di Giacomo Voli al microfono (Teodasia, Rhapsody Of Fire) e dai bravissimi Luca Basile alle tastiere e Francesco Paolo Caputo alla batteria (Elegy Of Madness), ha dato vita ad un ottimo esempio di power metal progressivo e neoclassico, specialmente per quanto riguarda il suono che esce come una cascata di note dalla sua sei corde richiamando a più riprese il sovrano del genere, Yngwie Malmsteen.
Scordatevi però il classico lavoro solista tutto virtuosismo e privo delle emozioni di una forma canzone che, invece, in Zeitgest è ai massimi livelli grazie ad un ottimo songwriting e al valore dei musicisti coinvolti che si ritagliano tutti il loro meritato spazio.
Ovviamente l’attenzione è tutta per quelli che, di fatto, sono i protagonisti indiscussi di questo lavoro, De Rosa e Voli, impegnati in performance sopra le righe in una raccolta di brani che hanno nella varietà di sfumature e generi il loro punto di forza.
Si passa quindi da canzoni più power oriented come The Sleep Of Reason, all’epico incedere di Ghost Of The Ruins, brano più lungo e suggestivo del lotto, dai virtuosismi strumentali di Replicants alle atmosfere folk di Tywysoges, fino alla bellissima Fight For Life, un power/folk/metal che richiama i Rhapsody Of Fire del talentuoso Giacomo Voli.
Impegnato anche al basso, Edward De Rosa dimostra non solo la sua bravura ma anche un talento compositivo di qualità e l’album non tradisce le aspettative, con le sue molteplici sfaccettature ed ispirazioni che vanno dal neoclassicismo malmsteeniano alla tradizione prog/power tricolore (Labyrinth, Vision Divine).
In conclusione, un primo lavoro assolutamente riuscito e consigliato agli amanti del genere, suonato e cantato ad alto livello e formato da un lotto di bellissime canzoni.
Tracklist
1.Tempus Fugit
2.Legend The Omega Man
3.The Sleep Of Reason
4.Replicants
5.Ghost Of The Ruins
6.Burning Skies
7.Tywysoges
8.Rebellion
9.Fight For Life
10.Cybersteria
Line-up
Giacomo Voli – Vocals
Edward De Rosa – Lead Guitar, Bass
Luca Basile – Keyboard
Francesco Paolo Caputo – Drums
Un disco ispirato e oscuro ma oltremodo pervaso da melodie classiche, con un gran lavoro chitarristico (l’anima heavy) e ritmico (quella black), The Wheel è sicuramente influenzato dalla scena ottantiana ma risulta abbastanza personale per non sprofondare nelle sabbie mobili del già sentito.
Gli Slaegt propongono un buon ibrido composto da sonorità heavy ed impatto black metal, creando un sound in cui le due anime si scontrano per la supremazia di una sull’altra senza che però ci sia realmente un vincitore.
L’idea è buona, ovviamente il sound appartiene a quel filone old school che si rifà al metal anni ottanta, anche se la band danese lascia ad altri il thrash alla Slayer di tanti colleghi e ci investe con il suo black metal valorizzato da chitarre heavy classiche.
Gli Slaegt sono attivi dal 2011 e questo The Wheel è il terzo lavoro sulla lunga distanza, successore di Domus Mysterium, licenziato lo scorso anno, quindi la band è in una buona fase creativa confermata da questi sette lunghi brani.
Ritmiche black, scream cattivo e chitarre disegnano solos metallici di buona fattura, tracce medio lunghe si rivelano cavalcate epiche come da tradizione hard & heavy, ispirate alla new wave of british heavy metal, mentre il demone black si impossessa dell’anima travagliata del sound di brani come Masician, Citrina e la conclusiva title track.
Un disco ispirato e oscuro ma oltremodo pervaso da melodie classiche, con un gran lavoro chitarristico (l’anima heavy) e ritmico (quella black), The Wheelè sicuramente influenzato dalla scena ottantiana ma risulta abbastanza personale per non sprofondare nelle sabbie mobili del già sentito.
Tracklist
1. Being Born (Is Going Blind)
2. Masician
3. Perfume and Steel
4. Citrinitas
5. V.W.A.
6. Gauntlet of Lovers
7. The Wheel
Line-up
Oskar J. Frederiksen: Lead vocals and rhythm guitar
Anders M. Jørgensen: Lead guitar
Olle Bergholz: Bass guitar and backing vocals
Adam ‘CC’ Nielsen: Drums
Seek! Kill! Burn! è una raccolta di brani travolgenti, grazie ad una forza senza pari in un genere che nell’underground trova in questi anni nuova e potente linfa e in cui i Red Riot, assieme ai finlandesi Tornado, si dimostrano una delle più convincenti realtà.
Il primo ep Fight, uscito un paio di anni fa, la diceva lunga sull’attitudine dei Red Riot e sull’impatto del loro sound, con tre brani di esplosivo street metal dalla forte connotazione glam e dall’impatto di un thrash/punk scagliato sulla scena metal underground.
Il tutto viene confermato da Seek! Kill! Burn!,debutto sulla lunga distanza che miete vittime come un mitragliatore sul campo di battaglia, una raccolta di brani senza respiro, sguaiati come d’ordinanza nel genere, diretti e con quell’anima rock ‘n’ roll che è il motore di ogni band sleazy/street metal che si rispetti.
Se poi, come nel caso di J.J. Riot, Lexy Riot e compagni, aggiungiamo scariche thrash/punk a ribadire che con i Red Riot non si scherza e ci si può fare male, allora va da se che Seek! Kill! Burn! risulta un deflagrante esempio di Thrashin’ Sleaze Metal (come lo chiamano loro). Attitude, oltre che l’opener, è una convincente dichiarazione d’intenti, una partenza che avviene sgommando sullo spartito toccando picchi di indiavolato rock ‘n’ roll che, se continua ad ispirarsi a ormai vecchi capolavori persi nella storia del genere (il primo L.A.Guns su tutti), non manca di quella attuale predisposizione al genere che lascia aperte finestre dalle quali entrano note di Beautiful Creatures e Backyard Babies, il tutto in salsa thrash/punk. Squealers e Who We Are sono i due brani già apparsi sul primo ep e formano con tutti gli altri una raccolta di brani travolgenti, grazie ad una forza senza pari in un genere che nell’underground trova in questi anni nuova e potente linfa e in cui i Red Riot, assieme ai finlandesi Tornado, si dimostrano una delle più convincenti realtà.
Tracklist
1. Attitude
2. H.I.P.S.T.E.R.
3. Rise Or Fall
4. Rippin’ Money
5. Child Of Steel
6. Bang Your Head
7. Squealers
8. BlowTill’ You Drop
9. Sleazy Life
10. Who We Are
Line-up
Fred Riot – Vocals
Max Power – Guitars
J.J. Riot – Guitars
Lexy Riot – Bass
ScaR – Drums
L’album è un diretto in pieno volto composto da quattordici mazzate, per una mezz’ora che induce ad un headbanger selvaggio, ora sviluppato lungo brani hardcore/punk, ora potenziato da violente ripartenze thrash per un sound che trova la sua collocazione naturale in sede live.
Dopo l’ep What Price For Freedom? licenziato lo scorso anno, arrivano al traguardo del primo full length gli E.G.O.C.I.D.E., fautori di un grintoso, diretto e devastante hardcore metal.
Rabbia, sudore, sangue e passione scrive la band sulla sua biografia, e di questi elementi sul nuovo lavoro (Cheap Existentialism And Other Rhetorical Bullshits No One Wants To Hear Anymore) ne troverete a vagonate, caratteristiche di un’attitudine hardcore/punk che ricorda la scena statunitense, ma che trova le sue radici anche sul territorio nazionale.
L’album è un diretto in pieno volto composto da quattordici mazzate, per una mezz’ora che induce ad un headbanging selvaggio, ora sviluppato lungo brani hardcore/punk, ora potenziato da violente ripartenze thrash per un sound che trova la sua collocazione naturale in sede live.
Ottima l’idea di alternare brani in inglese ed altri in lingua madre e perfetto il cantato, un rabbioso urlo di guerra hardcore metal volto a sottolineare ribellione e disagio.
Una buona prova che conferma le lodi ricevute dalla band bresciana con il precedente lavoro.
Tracklist
1.N.B.M. (Naked Burnt Menace)
2.Neurose
3.Nudo (Tra Le Mine Antiuomo)
4.Grigio
5.-1 = +1 / One Less Is One More
6.Melanchony
7.Steadfast
8.Take Care Of Business
9.Niente Illusioni
10.Discordia
11.Hexed & Gone
12.The Mother Of Tears
13.Endless War
14.Vivisection (Another Kind Of…)
Line-up
Alex – Vocals/Lyrics
Gab – Guitar/Choruses
Andrea – Bass/Choruses
Nico – Drums/Choruses
Il quartetto dà alle stampe un lavoro molto interessante, cercando la giusta via di mezzo tra lo sfoggio tecnico ed il songwriting che, valorizzato da una parte progressiva sempre legata a quella estrema, dà vita ad un’ora di musica di ottimo livello per il genere suonato.
Se pensate di mettervi all’ascolto di questo bellissimo lavoro con la chimera di trovarvi al cospetto di qualcosa di mai sentito prima, allora lasciate perdere, ma se invece il technical death metal è una delle frange del metal estremo che più vi piace, allora i Beyond Creation ed il loro nuovo album intitolato Algorythm diventeranno uno dei vostri acsolti preferiti di questo ultimo scampolo d’anno.
La band canadese licenzia per Season Of Mist quest’opera tecnica e progressiva, assolutamente legata da un sottile quanto indistruttibile filo al death metal classico, ma valorizzato da un’ovvia tecnica sopraffina e da una forma canzone che non perde mai la strada di un’ottima fruibilità.
I Beyond Creation arrivano al terzo full length dopo i buoni riscontri ottenuti con il debutto The Aura e con il secondo album Earthborn Evolution, uscito quattro anni fa.
Il quartetto dà alle stampe un lavoro molto interessante, cercando la giusta via di mezzo tra lo sfoggio tecnico ed il songwriting che, valorizzato da una parte progressiva sempre legata a quella estrema, dà vita ad un’ora di musica di ottimo livello per il genere suonato.
Da Entre Suffrage Et Mirage in poi l’album è un susseguirsi di virtuosismi strumentali in un contesto in cui i brani hanno una loro precisa identità, tra parti ritmiche chirurgiche, accelerazioni, cambi di tempo ed atmosfere perfettamente bilanciate.
La title track risulta un brano da incorniciare: tecnica ed estrema gioca meravigliosamente con la doppia voce (growl e scream) e mantiene un mood progressivo incastonato nel furioso death metal dei Beyond Creation.
Le influenze sono quelle che troverete nella quasi totalità dei gruppi dediti al genere, ma brani come The Inversion sottolineano l’ottima vena del gruppo del Quebec, che ci tempesta di note progressive di matrice death metal.
Tracklist
1. Disenthrall
2. Entre Suffrage Et Mirage
3. Surface’s Echoes
4. Ethereal Kingdom
5. Algorythm
6. À Travers Le Temps Et L’Oubli
7. In Adversity
8. The Inversion
9. Binomial Structures
10. The Afterlife
Bonus tracks
11. Surface’s Echoes (Instr)
12. The Afterlife (Instr)
Line-up
Simon Girard – Vocals & Guitars
Kevin Chartré – Guitars & Back Vocals
Hugo Doyon-Karout – Bass
Philippe Boucher – Drums
Marrow è l’ennesimo capolavoro di un gruppo unico, dotato di una sensibilità fuori dal comune e di un talento compositivo che rende ogni album un’opera oscura e drammaticamente di livello superiore alla media.
Il mondo della musica gioca brutti scherzi, lo sanno bene i Madder Mortem, band norvegese di un certo spessore attiva nella scena metal da oltre vent’anni, eppure poco considerata rispetto ad altri nomi dall’inferiore talento compositivo.
Ma i fratelli Kirkevaag (Agnete M. e BP M.) vanno avanti per la loro strada ed accompagnati dai fidi Richard Wikstrand, Tormod L. Moseng e Mads Solås ci regalano l’ennesima cascata di splendide note malinconiche, dal piglio dark e pregne di magnetica poesia progressiva.
Partiti nel 1997 come band gothic doom, i Madder Mortem si sono trasformati nel tempo e lungo sette album in un’entità che fagocita emozioni per rigettarle sotto forma metal/rock progressivo, nel quale di gotico non rimane nulla se non quell’aura costituita da oscure emozioni interiori che si riflettono ancora una volta in nove splendidi brani. Marrow, settimo album di questa inarrivabile realtà scandinava, è composto da nove brani più intro ed outro, è prodotto da BP M. Kirkevaag e non lascia un solo punto di riferimento, giocando con le atmosfere di cui sopra e travolgendoci tra parti progressive tout court, groove e durissimi sfoghi estremi, per poi tornare a deliziarci con suadenti sfumature valorizzate dalla voce personale e magnetica della cantante.
I musicisti, dotati di tecnica da vendere, assecondano un songwriting sovraumano, quindi va da sé che Marrow finisca per rivelarsi l’ennesimo capolavoro di un gruppo unico, dotato di una sensibilità fuori dal comune e di un talento compositivo che rende ogni album un’opera oscura e drammaticamente di livello superiore alla media.
Il progressive di scuola nordica, che tanto ha donato in termini qualitativi in questi ultimi anni, si esalta in brani come Moonlight Over Silver White,Far From Home, White Snow Red Shadows e Waiting To Fall che vanno a comporre un’altra originale e straordinaria opera firmata Madder Mortem.
Tracklist
01.Untethered
02.Liberator
03.Moonlight Over Silver White
04.Until You Return
05.My Will Be Done
06.Far From Home
07.Marrow
08.White Snow, Red Shadows
09.Stumble On
10.Waiting To Fall
11.Tethered
Line-up
Agnete M. Kirkevaag – Vocals
BP. M. Kirkevaag – Guitar & vocals
Richard Wikstrand – Guitar
Tormod L. Moseng – Bass
Mads Solås – Drums
Accompagnato dal nuovissimo artwork creato per l’occasione da Umberto Stagni, Dad Is Dead si conferma ancora oggi un esempio fulgido del sound di una band che ha fatto la storia del metal tricolore.
I Rain sono una delle band storiche del panorama metal tricolore, essendo attivi dal 1980 con una serie di album di altissimo livello che hanno trovato il loro apice in questo lavoro, uscito originariamente nel 2008.
Dad Is Dead ancora oggi è l’album più venduto ed ascoltato del gruppo bolognese, per questo la band, di comune accordo con l’etichetta Aural Music, ha deciso di ristamparlo con una nuova veste composta da due cd: il primo vede la versione rimasterizzata dell’album, con la cover di Rain, famoso brano dei The Cult, registrata dalla band assieme a Steve Sylvester e Freddy Delirio dei Death SS e con la partecipazione di Simone Mularoni dei DGM, mentre il secondo comprende undici tracce dal vivo registrate nel 2010 che vedono la band in perfetta forma, dopo il tour americano di supporto agli W.A.S.P.
Accompagnato dal nuovissimo artwork creato per l’occasione da Umberto Stagni, Dad Is Dead si conferma ancora oggi un esempio fulgido del sound di una band che ha fatto la storia del metal tricolore.
Con l’intreccio ai massimi livelli di NWOBHM ed hard & heavy statunitense, Dad Is Dead non concede tregua: tredici brani che colpiscono al cuore dei defenders, pregni di solos scolpiti nell’acciaio e ritmiche che affondano come coltelli nell’anima metallica di chi ha cuore le sorti del metal classico.
Un album imperdibile ed un sound che alterna brani maideniani ad altri che affondano le loro radici nella Los Angeles metallica di Twisted Sister e Motley Crue, regalando grande musica metal incastonata in tracce divenute storiche come 8 Bar, Mr. 2 Words, The Party e la title track.
Il secondo cd è un’apoteosi del metal in versione live: la band, appena tornata dal tour con Lawless e soci e rodata a dovere, dà letteralmente spettacolo con una prestazione incendiaria ed esaltante facendo sì che il tutto non sia solo un bonus per accontentare il fans, ma un imperdibile esempio delle potenzialità dei Rain.
Per tutti questi motivi la ristampa di Dad Is Dead è un acquisto obbligato non solo per i fans del gruppo, ma per tutti gli amanti dell’heavy metal classico.
Tracklist
CD 1
1. 8 Bar
2. Blind Fury
3. Mr. 2 Words
4. Love In The Back
5. Rain Are Us
6. Red Kiss
7. The Party
8. Last Friday
9. Dad Is Dead
10. Swan Tears
11. The Reason
12. Bang Bus
13. Rain
CD 2
1.Love in the Back (live in Russi 2010)
2.Dad is Dead (Live in Russi 2010)
3.Mr. 2 Words (Live in Russi 2010)
4.Rain (Live in russi 2010 (the Cult cover))
5.Swan Tears (Live in Russi 2010)
6.Rain Are Us (Live in Russi 2010)
7.Red Kiss (Live in Russi 2010)
8.Bang Bus (Live in Russi 2010)
9.Introducing the Band (Live in Russi 2010)
10.Only for the Rain Crew (Live in Russi 2010)
11.Highway to Hell (Live in Russi 2010)
Line-up
Francesco “Il Biondo” Grandi – vocals
Marco “The Master” Rizzi – guitar
Alessio “Amos” Amorati – guitar
Gianni “Gino” Zenari – bass
Andrea “Mario” Baldi – drums
Le influenze del gruppo vanno dai gruppi storici del thrash metal a quelli più moderni del groove ma con una forte impronta personale, e tutto cio contribuisca fare di Vagrant un’opera riuscita.
I Revolutio sono una band bolognese attiva dal 2011, con un primo ep licenziato due anni dopo ed un lungo silenzio prima del buon ritorno intitolato Vagrant.
Ambientazioni da film d’azione in un futuro neanche troppo distante, se continueremo a maltrattare il pianeta, vengono raccontate tramite un thrash/groove power metal che ovviamente risulta pregno di input moderni e di un impatto “nucleare”.
Si corre nel deserto post atomico con questo bolide metallico che non rinuncia a potenza e a soluzioni estreme, ma neanche alla melodia che affiora, ora timida, ora a dettare l’atmosfera che si respira lungo tutto il lavoro con armonie semi acustiche capaci di creare il giusto effetto prima che il sound torni a deflagrare in uno tsunami modern metal.
Dalla loro i guerrieri bolognesi hanno un controllo perfetto del sound, che pur mantenendo un clima di tensione altissima, anche quando le scorribande metalliche si placano non perdono mai la bussola e di questo l’ascolto se ne giova non poco. Vagrant è un’opera di moderno metallo dal clima estremo che diventa sempre più intrigante e riuscita man mano che si entra nel suo cuore, una escalation qualitativa che ha il suo epicentro tra The Oracle e le atmosfere dark della “Metallica” Silver Dawn, ma che continua a crescere in emozioni fino alla sua conclusione, lasciata alle atmosfere evocative e modern/thrash di Daydream e a The Great Silence, che conclude l’album immergendoci nei rumori del deserto nucleare.
Le influenze del gruppo vanno dai gruppi storici del thrash metal a quelli più moderni del groove ma con una forte impronta personale, e tutto ciò contribuisca fare di Vagrant un’opera riuscita.
Tracklist
1. Aftermath
2. Meek and the Bold
3. What Breaks Inside
4. The Oracle
5. Ozymandias
6. Eclipse
7. Silver Dawn
8. Requiem
9. Daydream
10. The Great Silence
Line-up
Maurizio Di Timoteo – Vocals
Luca Barbieri – Lead Guitars
Carlos Reyes Vergara – Rhythm Guitars
Francesco Querzè – Bass
Davide Pulito – Drums
Siamo nel più classico prodotto di genere, molto melodico, contraddistinto dall’uso della doppia voce come da copione e composto da un lotto di brani accattivanti, radiofonici e perfetti per non deludere i pruriti metallici degli adolescenti votati alla dannazione eterna del rock.
Il metalcore non molla la presa sui giovani del nuovo millennio che, oltre alle moltissime proposte underground, possono avvalersi di uscite importanti anche da parte delle più importanti label mondiali, almeno per quanto riguarda il metal e i generi affini.
La Century Media, per esempio, licenzia il nuovo album dei Vitja, giovane band al terzo lavoro dopo il buon successo di Digital Love, precedente lavoro uscito lo scorso anno.
Siamo nel più classico prodotto di genere, molto melodico, contraddistinto dall’uso della doppia voce come da copione e composto da un lotto di brani accattivanti, radiofonici e perfetti per non deludere i pruriti metallici degli adolescenti votati alla dannazione eterna del rock.
Perfetto in fase di produzione, spettacolare nei suoni ed altrettanto innocuo, Mistaken è l’album che tutti si aspettavano dai ragazzi dei Vitja, i quali non deludono le aspettative e sparano i loro proiettili rigorosamente a salve, facendo tanto rumore per nulla.
E’ lontana chilometri la furia estrema del deathcore e di certo metal moderno, in Mistaken tutto è studiato per arrivare ai cuori dei giovani kids, fagocitati dal web e dalle sue diavolerie, dunque abituati al freddo emozionale di una musica che ripete all’infinito la stessa formula, recitando un copione assolutamente perfetto. Mistaken, Down,Black And Blue, ma potrei nominarveli tutti e nessuno, sono i brani migliori di questo lavoro, perfetto per il suo compito, ma avaro di emozioni.
Se non arrivate ai vent’anni e vi piace il metalcore da classifica, troverete sicuramente ottimi motivi per fare vostro questo lavoro, altrimenti rivolgete la vostra attenzione altrove, i Vitja non fanno per voi.
Tracklist
1. Mistaken
2. Overdose (feat. Andy Dörner)
3. Friends Don’t Lie
4. Down
5. Anxiety
6. Black and Blue
7. High on You
8. To the Moon
9. Sedamine
10. Filthy
11. Kings of Nothing
Line-up
David Beule – Vocals
Mario Metzler – Bass
Vladimir Dontschenko – Guitar
Daniel Pampuch – Drums
Behold The Abyss è una raccolta di brani che ci conducono verso la parte magica, oscura e rituale del metal, un lavoro fuori dal tempo dedicato a chi ascolta la musica in maniera sicuramente non frettolosa.
I Black Oath sono un’entità progressive doom nata nella nostra penisola nel 2006 in quel di Milano.
Il quartetto lombardo, capitanato dal bassista, chitarrista e cantante A.Th, arriva al quarto full length, licenziato dalla High Roller Records, di una discografia che si completa di un buon numero di ep, split e demo. Behold The Abyssè un lavoro che si muove agevolmente nella parte oscura e mistica del metal progressivo, con un composto da atmosfere dark e doom: un’atmosfera occulta e misteriosa avvolge questo splendido album che si ispira ai classici della tradizione tricolore che, per quanto riguarda il genere, rimane una delle più importanti e rispettate a livello mondiale.
I Black Oath la lezione dei maestri (Death SS, Paul Chain e Goblin su tutti) l’hanno imparata a dovere, amalgamandola però con altre e non meno importanti ispirazioni che vanno dai Black Sabbath al metal classico dei Mercyful Fate fino al gothic dark dei Fields Of The Nephilim, creando un’atmosfera mistica ed evocativa di grande effetto. Behold The Abyss, in virtù delle caratteristiche elencate, risulta un ottimo esempio di musica oscura: un alone magico contorna brani che tanto sanno di rituali, come la lunga ed affascinante title track, Lilith Black Moon,Once Death Sang (valorizzata dalla presenza al microfono di Elisabeth, cantante dei Riti Occulti) e la metallica e trascinante Profane Saviour. Behold The Abyssè una raccolta di brani che ci conducono verso la parte magica, oscura e rituale del metal, un lavoro fuori dal tempo dedicato a chi ascolta la musica in maniera sicuramente non frettolosa.
Tracklist
1. Behold the Abyss
2. Chants of Aradia
3. Lilith Black Moon
4. Once Death Sang
5. Profane Saviour
6. Everlasting Darkness
Line-up
A.Th – vocals, bass, guitar
Gabriel – guitar
Bon R. – guitar
Chris Z. – drums
Fuori dai soliti contesti metal ai quali siamo abituati, Oceanography risulta un ottimo lavoro per riappacificarsi con un certo tipo di rock che prende ispirazione dai Muse e dai gruppi mainstream, senza però dimenticare la tradizione pop del secolo scorso.
Il nuovo lavoro del musicista e compositore britannico Charlie Barnes è il classico album del quale qualcuno potrebbe obbiettare sulla sua presenza nelle nostre pagine, eppure la bellezza di Oceanography ci impone di presentarlo ai nostri lettori, almeno quelli più orientati al rock e alle sperimentazioni.
Barnes, al terzo album, centra l’obiettivo di creare musica rock dalle atmosfere liquide ed avvolgenti come appunto suggerisce il titolo: un oceano di note alternative nel quale confluiscono ispirazioni anche lontane tra loro ma perfette nell’economia dei brani che formano l’opera.
L’ex chitarrista e tastierista di Amplifier e Bastille parte da molto lontano, addirittura dagli anni sessanta, per attraversare il tempo che resta ed arrivare ai giorni nostri accompagnato da un raffinato pop inglese, alternative ed accenni alla new wave, coprendo così i vari decenni che lo separano dai giorni nostri.
E’ un rock elegante, dalle melodie dilatate e delicate che la voce del nostro, dal retrogusto lirico, accompagna in questa navigazione nelle acque calme e poetiche di questo oceano di emozioni, risvegliate dalla title track, dalla splendida Bruising e dalle aperture pop/rock di Maria. Fuori dai soliti contesti metal ai quali siamo abituati, Oceanography risulta un ottimo lavoro per riappacificarsi con un certo tipo di rock che prende ispirazione dai Muse e dai gruppi mainstream, senza però dimenticare la tradizione pop del secolo scorso.
Tracklist
01.Intro
02.Oceanography
03.Will & Testament
04.Bruising
05.Ruins
06.One Word Answers
07.The Departure
08.Legacy
09.Former Glories
10.Maria
11.All I Have
12.The Weather
Line-up
Charlie Barnes – vocals, guitar, bass, piano, synthesizers
Steve Durose – guitar, bass, synthesizers, programming
Ste Anderson – drums
Un buon lavoro minore, se così si può considerare questo 7″ che riesce a convincere più di tanti full length ascoltati di recente: quindi se amate Black Sabbath e Crowbar in egual misura, Under The Moonlight è assolutamente consigliato.
Un lento marciare prima di arrivare in una terra arsa dal sole e dalle fiamme che si propagano, mentre il magma si avvicina disintegrando qualsiasi cosa al suo passaggio.
Solo a tratti l’urgenza rabbiosa di chi prova a mettersi in salvo risveglia istinti di sopravvivenza, mentre accelerazioni e mid tempo scandiscono i passaggi di questo monolitico doom/sludge intitolato Under The Moonlight.
Loro sono i brasiliani Erasy, quartetto attivo dal 2012 con un full length alle spalle intitolato The Valley Of Dying Stars, una devastante macchina doom metal, impressionante per potenza e rabbiosa attitudine estrema, con un sound che alterna lenti movimenti che si avvolgono tra loro come enormi serpenti in una grottesca danza, per poi trasformarsi in mid tempo di una pesantezza disarmante.
Compongono questo 7″ rigorosamente in vinile due brani, la title track e The Deal, che si muovono sulle stesse imperturbabili coordinate, formando una jam compatta.
Lo scream rabbioso completa il quadro estremo del sound degli Erasy, e soltanto gli assoli lasciano filtrare dal muro sonoro innalzato dal gruppo brasiliano luci melodiche all’interno dell’oscura e malata atmosfera dell’opera.
Un buon lavoro minore, se così si può considerare questo 7″ che riesce a convincere più di tanti full length ascoltati di recente: quindi se amate Black Sabbath e Crowbar in egual misura, Under The Moonlight è assolutamente consigliato.
Furia, velocità violenza, ritmiche indiavolate, scream e growl direttamente dal buco più profondo dell’inferno creano un sound personalissimo e di una brutalità stordente, confermando i Benighted come un mostro metallico abominevole.
La Francia estrema non manca di stupire con band e album notevoli, sempre all’insegna di una qualità che stupisce sia per quanto riguarda i suoni death che quelli black metal.
I Benighted sono da considerarsi dei veterani della scena transalpina, essendo nati nel 1998 dall’unione di un manipolo di musicisti provenienti da band death e black come Dishumanized, Darkness Fire e Osgiliath: tali forze, unite, provocano una serie di terremoti brutal death che invadono il mercato dall’alba del nuovo millennio con il primo devastante lavoro omonimo per continuare la loro micidiale missione con altri sette full length, di cui Necrobreed risulta l’ultimo malefico parto dello scorso anno.
I cinque brutal deathsters transalpini tornano con questo nuovo macello sonoro composto da tre tracce inedite, la cover della storica Slaughter Of The Soul degli At The Gates e sei brani live, per un totale di trentatré minuti di brutal/grind/black/death metal entusiasmante.
Furia, velocità violenza, ritmiche indiavolate, scream e growl direttamente dal buco più profondo dell’inferno creano un sound personalissimo e di una brutalità stordente, confermando i Benighted come un mostro metallico abominevole.
Le sei tracce live, poi, confermano la bravura del gruppo in quel contesto, tanto che la voglia di vederli in un concerto, magari in qualche locale del nord Italia, aumenta man mano che la musica deflagra dalle casse dello stereo ormai allo stremo.
I Benighted sono una delle più convincenti realtà underground del metal estremo, non solo transalpino, fate vostro questo lavoro e non potrete fare a meno di recuperare anche gli album precedenti.
Tracklist
1.Teeth and Hatred
2.Martyr
3.Dogs Always Bite Harder than Their Master
4.Slaughter of the Soul (At the Gates cover)
5.Reptilian (live)
6.Cum with Disgust (live)
7.Spit (live)
8.Necrobreed (live)
9.Unborn Infected Children (live)
10.Foetus (live)
Album emozionante, intenso, oscuro e sinfonico, The Magic Park Of Dark Roses è un viaggio affascinante nella migliore tradizione della musica rock progressiva: per gli amanti del genere un ascolto obbligato.
L’universo del rock progressivo continua a meravigliare i suoi ascoltatori, specialmente quelli che non si sono rinchiusi nello spazio temporale del decennio settantiano, ma hanno continuato il viaggio alla scoperta di chi ha fatto tesoro della lezione impartita dai grandi gruppi del passato per creare qualcosa di personale.
L’Italia è sempre stata una culla per il genere continuando a sfornare realtà di spessore anche nel nuovo millennio, dai suoni progressivi classici alle varie contaminazioni che il genere ha subito in questi anni.
Gli umbri Old Rock City Orchestra sono uno degli esempi più fulgidi di tutto questo, tenendosi lontani dai suoni moderni e metallici tanto di moda e restando più vicini ad un approccio tradizionale, pregno di sfumature ed atmosfere dark. The Magic Park Of Dark Rosesè il loro terzo full length, dopo Once Upon A Time, album di debutto licenziato dalla band nel 2012, ed il bellissimo Back To Earth, uscito tre anni fa.
Il trio proveniente da Orvieto si ripresenta con questo nuovo e notevole lavoro, prodotto dalla band in collaborazione con Avanguardia Convention: un viaggio progressivo nei meandri di un rock che si nutre di hard rock come di sonorità sinfoniche, blues e psichedelia, ma questa volta con l’aggiunta di atmosfere dark e a tratti folk, in un arcobaleno di suoni dai tenui colori che tendono al nero, ma sempre eleganti, emozionanti e raffinati. The Magic Park Of Dark Roses è una raccolta di brani a tratti spettacolari, con una prestazione da incorniciare per i tre musicisti, in particolare della tastierista Cinzia Catalucci con la sua splendida e personale voce.
Il concept oscuro e magico dell’album allontana la band dal precedente lavoro, facendole vestire i panni della progressive dark band a tutti gli effetti e regalare attimi di musica straordinaria come la notevole title track, la seguente Abraxas, che ricorda nel refrain gli Uriah Heep di Salisbury (Bird Of Prey), l’oscura The Fall (nella quale la singer offre un’interpretazione degna di Kate Bush), le armonie folk di Visions, la magica A Night In The Forest, cantata dal chitarrista e bassista Raffaele Spanetta, le sinfonie progressive di A Spell Of Heart And Soul Entwined, il ritorno alle sonorità di Back To Earth con il rhythm and blues di Soul Blues e il maestoso finale progressivo lasciato alla strumentale Golden Dawn.
Album emozionante, intenso, oscuro e sinfonico, The Magic Park Of Dark Roses è un viaggio affascinante nella migliore tradizione della musica rock progressiva: per gli amanti del genere un ascolto obbligato.
Tracklist
1.The Magic Park Of Dark Roses
2. Abraxas
3. The Fall
4. Visions
5. A Night In The Forest
6. The Coachman
7. A Spell Of Heart And Soul Entwined
8. Thinkin’ ‘bout Fantasy
9. Soul Blues
10. Golden Dawn