Reptilicus & Senking – Unison

Reptilicus e Senking scrivono una pagina importante dell’elettronica più oscura e di avanguardia, ma che ha un nucleo molto classico. Sintetizzatori che vibrano formulando sogni per androidi che sono già qui fra noi, e anche musica tribale, la ripetitività di suoni antichi ormai andati persi.

Questo disco è il frutto di un incontro, di una comunione di intenti e di una session in uno studio storico come il Grant Avenue Studio in Hamilton Ontario, usato ai tempi da Brian Eno e Daniel Lanois per la loro serie di dischi ambient.

Anche qui c’è un grandissimo uso di sintetizzatori, e l’atmosfera è davvero particolare, per un’elettronica che ha una traiettoria molto diversa dal normale. Tutto comincia nel novembre 2011, quando Reptilicus, Senking (Raster-Noton), Rúnar Magnússon e Orphx dividono il palco di un concerto organizzato da Praveer Baijal, fondatore dell’etichetta di Toronto Yatra – Arts. Il concerto era stato organizzato per celebrare la prima uscita di Reptilicus dopo anni, il 7” Initial Conditions, che conteneva un remix di Senking sul lato b. Inoltre a loro si aggiunge William Blakeney, produttore esecutivo del documentario sui sintetizzatori modulari Dreams Of Wire, che era in produzione in quel momento. La session prende quindi vita, e vengono messi a disposizione di questi sciamani elettronici vari sintetizzatori modulari di tutte le epoche, come l’ EMS Synthi A, ARP 2600 + sequencer, Moog 15, Minimoog, Roland System 100 + sequencer, e la P-synth, una macchina che fa droni costruita by Guðlaugur Kristinn Óttarsson dei Gopskrit. In mezzo a tutte queste elettroniche bellezze i nostri si sentono come in paradiso, e con Runar Magnusson come terzo membro producono questo Unison, che è una bellissima e straripante esplorazione di ciò che può essere l’elettronica alternativa a quella di massa. I suoni che potete sentire qui vengono da una ricerca musicale profonda e necessaria, che è in continua progressione e non si ferma mai. Le algide e bellissime note che escono fuori da queste macchine dipingono un mondo che è assai diverso da un qualcosa fatto esclusivamente per vendere, mentre qui c’è il cuore pulsante dell’elettronica intessa nel suo senso più ortodosso ed innovatore al tempo stesso. Reptilicus e Senking scrivono una pagina importante dell’elettronica più oscura e di avanguardia, ma che ha un nucleo molto classico. Sintetizzatori che vibrano formulando sogni per androidi che sono già qui fra noi, e anche musica tribale, la ripetitività di suoni antichi ormai andati persi. Un lavoro molto credibile e di grande sostanza, che vede l’importante tocco al mixer di Bob Doidge già con Crash Test Dummies e Cowboy Junkies. Il massimo per chi ama sintetizzatori di una certa età, ed un’elettronica senza compromessi.

Tracklist
1.Steep Turns
2.Delivery
3.Inner Fish
4.Fog Frog
5.For Decades
6.Shiver
7.Independent Access to White Noise

Atlas – Primitive

Il disco funziona molto bene, non ha momenti di stanca e gli Atlas presentano notevoli margini di miglioramento rivelandosi una delle maggior sorprese in campo metalcore degli ultimi tempi.

Potente e melodico album di metalcore dalla Finlandia per il debutto degli Atlas, un gruppo che si inserirà molto bene nel movimento del metal moderno.

Mutuando in linguaggio sportivo, gli Atlas fanno bene entrambe le fasi, sia quella più aggressiva e legata al metal che quella più melodica che è caratteristica del metal moderno. L’album è stato in lavorazione dal 2015 al 2017 e c’è dentro tutta la prima fase della carriera della band e i suoi sforzi notevoli, soprattutto in fase di composizione che è la di sopra della media. La caratteristica migliore del gruppo è il saper incastonare pezzi più duri con ventate melodiche e con inserti di elettronica molto azzeccati e funzionali, con le tastiere che entrano sempre al momento giusto. Gli Atlas sono molto più fisici e reali della maggior parte dei gruppi metalcore che interpreta un canovaccio ormai trito e ritrito: il genere richiede maggior talento di prima, perché tante cose sono state dette e fatte e non rimane granché da aggiungere, se non la volontà di essere originali. Primitive è un disco indirizzato alla platea metalcore, ma che richiede un ascolto più attento rispetto alla maggioranza dei dischi di quel genere. La resa sonora è ottimamente orchestrata da Tuomas Yli-Jaskari alla produzione e da Buster Odeholm alla masterizzazione; il disco funziona molto bene e non ha momenti di stanca, il gruppo presenta notevoli margini di miglioramento rivelandosi, una delle maggior sorprese in campo metalcore degli ultimi tempi. Ascoltando il lavoro si possono trovare anche spunti vicini al post rock, e queste cose le fa solo una band che ha talento, inventiva e voglia di mettersi in gioco, senza fare sempre il solito disco metalcore.

Tracklist
1. Skinwalker
2. Feel
3. Kaamos
4. On Crooked Stones
5. Primitive
6. Pareidolia
7. Pendulum Swing
8. Bloodline (feat. Ben English)
9. Rust

Line-up
Patrik Nuorteva – Vocals
Leevi Luoto – Vocals & Bass
Tuomas Kurikka – Guitar
Aleksi Viinikka – Guitar
Aku Karjalainen – Drums

ATLAS – Facebook

God Of The Basement – God Of The Basement

I God Of The Basement fanno un disco che merita di essere ascoltato molte volte, perché ha una traiettoria che non è affatto usuale in Italia, dove rendiamo tutto o molto difficile o molto rassicurante, il che è molto peggio.

I God Of The Basement vengono da Firenze e fanno un indie rock di difficile classificazione, ma di grande resa.

Il gruppo toscano, nato nel 2016, tratta tematiche molto lontane da quelle in voga nella musica più commerciale ed è uno di quelli che, ad un ascolto distratto e nevrotico tipico del nostro tempo, può essere etichettato come leggerino e senza sostanza, mentre invece se si procede ad un ascolto più attento si riesce a cogliere la capacità di rendere corposo un suono che in mano ad altri sarebbe davvero poca cosa. I God Of The Basement stupiscono in ogni pezzo, perché prendono sempre la direzione meno ovvia, ed hanno un groove che non ti aspetti ma che è davvero magniloquente e molto bello. Prendete gli Spiritual Front ed aggiungete una maggiore ampiezza di vedute e la forza che avevano certi gruppi alternativi anni novanta, ovvero quella di esplorare e di fare musicalmente ciò che volevano, che poi sarebbe la cosa più naturale e giusta per chi fa musica. Il ritmo di questo disco non lascia differenti, perché è in continuo movimento, come un serpente sinuoso che non lascia tempo per stare fermi. Gli elementi in gioco sono molti e tutti molto validi, in quanto il suono dei God Of The Basement incorpora molte istanze, arrivando anche vicino all’hip-hop, come lo usavano i Fun Lovin’ Criminals, ovvero come elemento di un certo tipo di indie rock. Ascoltando questo debutto si possono ritrovare anche alcune istanze del brit rock inglese, anche se è tutto originale e quasi per nulla derivativo. I God Of The Basement fanno un disco che merita di essere ascoltato molte volte, perché ha una traiettoria che non è affatto usuale in Italia, dove rendiamo tutto o molto difficile o molto rassicurante, il che è molto peggio. Un bel pezzo di pop rock, che ci fa girare ad ascoltarlo quando passa.

Tracklist
1 Intro
2 Hell Boar
3 Monday Monkey
4 With The Lights Off
5 Intermission #1
6 We Do Know
7 Beaten Up
8 Kay
9 Bobby Bones
10 Intermission #2
11 Get Loose
12 The Saviour
13 The Sinner

Line-up
Tommaso Tiranno
Rebecca Lena
Enrico Giannini
Stefano Genero

GOD OF THE BASEMENT – Facebook

Dyrnwyn – Sic Transit Gloria Mundi

I Dyrnwyn suonano un viking folk metal molto epico con melodie struggenti, cantato in italiano e molto particolare.

Avevamo lasciato i Dyrnwyn con il loro ep Ad Memoriam del 2015, un disco che li aveva proiettati in alto nella scena viking folk metal, con i loro racconti molto coinvolgenti sull’Antica Roma.

Con questo nuovo lavoro in uscita per SoundAge Productions i nostri avanzano ulteriormente con un’opera molto convincente e curatissima in tutti i particolari. I Dyrnwyn fanno un viking folk metal molto epico, con melodie struggenti, cantato in italiano e molto peculiare. Traggono ispirazione dai grandi del genere, ma poi sviluppano una poetica tutta loro, già ben presente in nuce nei dischi precedenti, ma che arriva al suo culmine in questo Sic Transit Gloria Mundi. Come già scritto per il precedente disco la band ci porta sul campo di battaglia degli antichi romani, che sono stati uno dei popoli più complessi e multiformi della storia. Il fascino di questi conquistatori (anche se noi liguri non li abbiamo mai amati molto, si deve ammettere che ci hanno dato tanto) è narrato alla perfezione grazie all’uso del folk metal dalla forte connotazione epica, con un uso perfetto dei tempi e con aperture melodiche che rendono molto affascinante il tutto. Il viking folk metal annovera fortunatamente molti gruppi e molte tendenze diverse, ma ciò che ci danno i Dyrnwyn non è rintracciabile altrove. Canzone dopo canzone si viene totalmente avviluppati in un vortice che sale fino al cielo dove stanno gli dei, che possono essere sia benevoli che malevoli, comunque ben differenti dalle menzogne cristiane. Potrebbe forse essere inteso come escapismo l’andare a cercare un fortissimo punto di contatto con il mondo dell’Antica Roma come questo disco, e forse è proprio una fuga da questi tempi davvero brutti ed oscuri, ma è comunque bello perdersi in un disco come questo, che va ben oltre la musica. Il cantato in italiano è davvero un valore aggiunto alla musica dei Dyrnwyn, e la stessa musica è di alto livello, essendo una narrazione essa stessa. Sic Transit Gloria Mundi è un disco molto maturo ed appassionante, frutto del lavoro di un gruppo dalle idee molto chiare che si rivela fra le migliori realtà italiane in campo viking folk metal.

Tracklist
1. Sic Transit Gloria Mundi
2. Cerus
3. Parati Ad Impetvm
4. Si Vis Pacem…
5. …Para Bellum
6. L’Addio Del Primo Re
7. Il Sangue Dei Vinti
8. Feralia
9. Assedio Di Veio CCCXCVI

Line-up
Thierry Vaccher: vocals
Alessandro Mancini: guitars
Alberto Marinucci: guitars
Ivan Cenerini: basso
Ivan Coppola: drums
Jenifer Clementi: flute
Michelangelo Iacovella: keyboards

DYRNWYN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=yCh01kLN6Og

The Helio Sequence – Keep Your Eyes Ahead

Keep Your Eyes Ahead è una progressione continua di belle sensazioni, giuste malinconie e un sentore diffuso di piccolo capolavoro musicale, quei dischi che nascono bene dalla prima nota e continuano ancora meglio.

Ristampa deluxe dello storico disco dei The Helio Sequence uscito dieci anni fa e diventato un caposaldo dell’indie americano e nono solo.

Lo stile musicale dei The Helio Sequence è un dream pop molto indie, con ritornelli che stendono l’ascoltatore proiettandolo direttamente in un prato primaverile al tramonto. Keep Your Eyes Ahead è un disco che ha tantissimo al suo interno, ma la cosa che stupisce di più è la facilità di costruire melodie bellissime e mai scontate. Non esiste una canzone brutta in questo disco, non ci sono riempitivi dalle losche intenzioni, ma solo pezzi che escono direttamente dal cuore e dal cervello del duo di Portland, che sono fra i migliori cervelli indie. Giusto per dare un esempio il primo minuto di Broken Afternoon è da antologia della musica per mostrare cosa si può fare con la voce, una chitarra e tastiere soffuse. Keep Your Eyes Ahead è una progressione continua di belle sensazioni, giuste malinconie e un sentore diffuso di piccolo capolavoro musicale, quei dischi che nascono bene dalla prima nota e continuano ancora meglio. Il 2008, anno di uscita del disco, era un anno molto differente per l’indie rispetto al 2018, nel senso che c’era molta più verve creativa in giro, ora invece è per la maggior parte solo muzak per gli ascensori ed i supermercati, o peggio per i festival estivi delle compagnie telefoniche. Se volete passare molto bene poco più di un’ora, questo è il posto giusto.

Tracklist
1.Lately (Remastered)
2.Can’t Say No (Remastered)
3.The Captive Mind (Remastered)
4.You Can Come to Me (Remastered)
5.Shed Your Love (Remastered)
6.Keep Your Eyes Ahead (Remastered)
7.Back to This (Remastered)
8.Hallelujah (Remastered)
9.Broken Afternoon (Remastered)
10.No Regrets (Remastered)
11.Turn the Page
12.Up Against Time
13.Heart Disease
14.No Regrets (Electric)
15.January
16.No Regrets (Keyboards)
17.All of These Things
18.Almost Morning (Demo)
19.Broken Afternoon (Solo)
20.April (Demo)
21.No Regrets (Acoustic)

Line-up
Brandon Summers – Guitar, Vocals –
Benjamin Weikel – Drums, Keyboards –

THE HELIO SEQUENCE – Facebook

Anti-Flag – American Reckoning

Passano gli anni e l’acqua sotto i ponti, ma gli Anti-Flag rimangono uno dei migliori gruppi punk in giro.

Passano gli anni e l’acqua sotto i ponti, ma gli Anti-Flag rimangono uno dei migliori gruppi punk in giro.

Provenienti da Pittsburgh, i nostri vantano una carriera più che ventennale, senza mai uno cedimento od un arretramento, portando avanti sempre un discorso musicale e politico di grande intelligenza e sensibilità.
Questo nuovo episodio è un disco acustico con inediti e reinterpretazioni di canzoni che hanno apprezzato o che li hanno ispirati. Nella poetica musicale degli Anti-Flag è sempre stata presente una buona dose di melodia, che è uno dei loro innegabili punti di forza, e qui la melodia diventa l’elemento principale. L’ossatura acustica e minimale di queste canzoni mostra in maniera ancora maggiore la forza e la versatilità di un gruppo unico nel suo genere, per talento ed inventiva, ma anche per la capacità di interpretare canzoni alla sua maniera, con un impronta ben riconoscibile. Questo disco è davvero ben composto, e anche le tracce scritte da altri si inseriscono molto bene nel contesto. Senza usare una sola volta la parola Trump, gli Anti-Flag riescono a fare musica di protesta utilizzando anche canzoni pop e mainstream, mostrando anche la via ad altri gruppi che sfruttano malamente l’attuale panorama politico. La scelta di fare l’intero disco solo con strumenti acustici dona maggiore potenza al tutto, e anche una grande eleganza, cosa che gli Anti-Flag hanno sempre posseduto senza perdere un’oncia di vis polemica. Come altri gruppi punk di qualità, arrivati ad un certo punto della loro carriera, gli americani hanno sentito il bisogno di fare qualcosa di simile, cosa che comunque avevano già provato a fare sporadicamente all’interno di altri dischi della loro grande discografia. Il risultato è un disco molto piacevole e dalla grande carica emotiva e partecipativa, con delle cover eseguite in maniera molto intelligente e calzante.

Tracklist

1 The Debate Is Over (If You Want It)
2 Trouble Follows Me
3 American Attraction
4 When The Wall Falls
5 Racists
6 Set Yourself On Fire
7 Brandenburg Gate
8 Gimme Some Truth (John Lennon cover)
9 For What It’s Worth (Buffalo Springfield cover)
10 Surrender (Cheap Trick cover)

Line-up
Justin Sane – Guitar/Vocals
Pat Thetic – Drums
Chris #2 – Bass/Vocals
Chris Head – Guitar

ANTI-FLAG – Facebook

Gerda – Black Queer

Black Queer è una descrizione che proviene dall’interno di noi stessi, del cuore che spacca lo stomaco e pompa bile.

I Gerda sono un gruppo italiano fra i più originali e dirompenti degli ultimi tempi.

Detta così potrebbe sembrare la solita frase ad effetto, ma se cercate un effetto vero lo troverete nella loro musica, e soprattutto in questo ultimo disco, Black Queer.
Il gruppo di Jesi arriva al quinto album in un momento creativo eccezionale: questo lavoro è figlio del dolore e della dissonanza, la stessa che ci vibra in petto ogni giorno vissuto in questa società. I Gerda sono un gruppo che non offre dolcezza od un rifugio, ma ti sputa in faccia il disagio, e lo fa in maniera sublime. Tutto ciò nasce da esperienze quotidiane, e anche dalla scelta di Francesco Villotta, il fratello di Roberto chitarrista dei Gerda, e compagno di avventura nei magnifici Vel del bassista Alessio Compagnucci, e non ci sono illusioni ma tanto rumore che viene dalla rabbia e ne genera. La scena marchigiana negli anni ha partorito molte cose notevoli, tutte molto crude e oltre l’hardcore, e questo Black Queer è destinato a diventare una pietra miliare di questo cammino che non porta in nessuna direzione ma è qualcosa in questo preciso momento. Il presente lavoro vuole certamente essere facile ma è, come sempre nei Gerda, estremamente sincero e tremendamente bello. Dentro il disco ci sono tantissime cose, innanzitutto l’urgenza hardcore declinata in tante maniere diverse, e la loro peculiarità più grande, che è quell’impressione di jam continua e pesante. I ragazzi di Jesi hanno un tiro micidiale, riuniscono molte delle migliori cose dell’hc nostrano e le buttano fuori stravolte e bellissime. I due minuti e undici secondi di Figlia sono una delle espressioni più devastanti ed equilibrate che si possano sentire in Italia. Tutto Black Queer è una descrizione che proviene dall’interno di noi stessi, del cuore che spacca lo stomaco e pompa bile. La produzione è molto buona e fa rendere al meglio un gruppo che usa con disinvoltura molti registri diversi e rappresenta un unicum per traiettoria musicale.

Tracklist
1.Jeg kjorer inn i tunellen
2.Lulea, TX
3.Mare
4.Terzo regno
5.Notte
6.Hafenklang
7.Figlia
8.Theme

GERDA – Facebook

Blasphemy – Blood Upon The Soundspace

La ristampa ci fa vedere i Blasphemy nella loro dimensione migliore, quella della saletta prove, il loro territorio di caccia, con un tipo di registrazione che si può far anche oggi, ma che non avrebbe quella potenza che aveva e che possiamo ascoltare qui.

Ristampa del primo satanico lavoro dei canadesi Blasphemy, vera a propria band di culto del black death metal.

Questo disco raccoglie i primi lavori in sala prove del gruppo nel lontano 1984. La Nuclear War Now ! Productions ha riportato alla luce la devastazione dal vivo in sala prove che i nostri registrarono su nastro in poche copie; una di queste fu inviata nel maggio 1989 dal bassista Black Winds a Metalion di Slayer Magazine, ed è stata poi masterizzata molto bene da James Plotkin. La cassetta si pone tra il demo Blood Upon The Altar e il debutto su lunga distanza Fallen Angel Of Doom, infatti tutte le canzoni ad eccezione di War Command entreranno nel disco, destinato a diventare di culto. Questa ristampa è l’occasione più unica che rara di ascoltare tutta la potenza devastatrice dei Blasphemy praticamente come se fossimo in saletta con loro. Il primo brano, Darkness Prevails, è molto disturbato e saturato, ma poi in seguito l’audio migliora, anche grazie al grande lavoro di Plotkin, ed è così che deve essere, perché forse questo è il documento che attesta al meglio il vero suono di un gruppo che è passato alla storia forse più per gli atteggiamenti che per la sua musica. E quest’ultima è, come ben riprodotto qui, un’orgia di devastazione e velocità, rendendo questa cassetta una testimonianza di come era un certo metal a fine anni ottanta. I Blasphemy indicheranno la via a molti gruppi, ed infatti i canadesi sono indicati come influenza da moltissime band odierne. Blood Upon The Soundspace è un disco che va a mille, con un suono che farà la gioia di chi ama il war metal più selvaggio e a tratti scomposto, esagerato come lo fu la band canadese, e come lo è ancora dato che sono in attività tuttora, ma senza quella verve degli anni che furono. Ascoltando queste registrazioni non si dovrebbe fare il confronto con la loro versione su Fallen Angel Of Doom, perché sono di natura differente. Anche su disco sono valide, sicuramente molto più complete e prodotte meglio, ma qui hanno una carica selvaggia, una potenza primordiale veramente devastante. La ristampa ci fa vedere i Blasphemy nella loro dimensione migliore, quella della saletta prove, il loro territorio di caccia, con un tipo di registrazione che si può far anche oggi, ma che non avrebbe quella potenza che aveva e che possiamo ascoltare qui. Oltre che un documento molto importante, una dimostrazione di cosa possa essere il metal realmente selvatico.

Tracklist
1.Darkness Prevails
2.Hording of Evil Vengeance
3.Desecration
4.Goddess of Perversity
5.War Command

Lantern – Ancòra

Qui troviamo molta sostanza e attenzione per la musica e le parole, descrivendo chi e cosa non è più con noi con molta eleganza e forza.

I Lantern sono uno dei gruppi più bravi e particolari della bella scena screamo italiana che ha regalato ottima musica.

Negli ultimi tempi la suddetta scena è un po’ in ritirata, perché tutto muta e allora si cambia un po’ stile. Non i Lantern, che a tre anni dall’ultima uscita tornano con un disco solido e che lascia il segno. Il loro è un insieme di emo primi anni duemila, screamo e soprattutto tanto pop fatto con gran classe. Infatti uno dei più grandi pregi del gruppo è quello di avere una grande predisposizione a scrivere canzoni molto ritmate e potenti, ma che hanno una grandissima anima pop. La composizione dei brani dei Lantern è molto più stratificata rispetto a quella della maggioranza dei gruppi dello stesso genere. Una canzone come A 14 Blues, per esempio, è notevole sia per originalità che per profondità. Tutto il disco è permeato dalla memoria e dalla perdita, si ricorda e si cerca di non perdersi nelle perdite. Come si può fare altrimenti ? Non regniamo su nessun regno, siamo tutti dei sopravvissuti e si ha l’esigenza di raccontarsi, come fanno benissimo i Lantern. Questo disco, con un rebus in copertina e anche dentro, ha uno spessore molto forte e ridà fiato all’asfittico panorama indie rock italiano. Un lavoro simile, così forte nella sua diversità, serviva come il pane per far vedere che il talento è soprattutto capacità compositiva e non soltanto apparire o fare gli strani. Qui troviamo molta sostanza e attenzione per la musica e le parole, descrivendo chi e cosa non è più con noi con molta eleganza e forza. Un disco che ti fa pensare, rivelandosi una delle migliori tra le ultime uscite alternative italiane.

Tracklist
1 In cambio di una pistola parte 1
2 In cambio di una pistola parte 2
3 Cimitero
4 Nube purpurea
5 Semaforo blu segnale per altre partenze
6 Dalla parte sbagliata di un telescopio
7 E. Fermi tutti!
8 A14 blues

Line-up
Daniele
Sergio
Michael
Marco
Sorbo

LANTERN – Facebook

Mongol – The Return

Il gruppo canadese celebra in maniera possente le gesta dei mongoli e del loro estesissimo impero, con un folk metal molto ben composto ed eseguito con vigore.

Il folk metal è un linguaggio musicale dalla grande varietà e forza, che può essere declinato in molte maniere e lascia molta libertà a chi lo adotta.

I canadesi Mongol lo usano per narrare le gesta degli antichi mongoli e di Dschinghis Khan, il mitico condottiero che li condusse ad avere un impero di grandi dimensioni, ma soprattutto ad entrare nella storia come popolo guerriero, anche se erano molto più di ciò. Le dominazioni mongole arrivarono alla porte dell’Europa, e stupisce vedere quanto conquistarono, specialmente nel medio e nell’estremo Oriente, diventando uno degli imperi più estesi della storia, ma anche uno dei meno conosciuti, almeno in occidente. Il gruppo canadese celebra in maniera possente le loro gesta, con un folk metal molto ben composto ed eseguito con vigore. Le parti migliori delle loro canzoni sono quando avanzano compatti e cantano coralmente, dando vita a momenti molto intensi e di grande presa. Il lavoro è generalmente di buona qualità, confermando e superando quanto fatto in precedenza, mettendo maggiormente l’accento sulla velocità e sulla potenza, sempre ben presenti. Ben strutturato è anche l’uso degli strumenti tipici, ma i Mongol rimangono più metal che folk. Molti pezzi saranno devastanti dal vivo, perché si sente che sono stati studiati per la quella dimensione che è quella naturale per questi barbari. In certi frangenti si è maggiormente vicini al black death che al folk, ma poi si torna sempre all’ovile, dimostrando una non comune versatilità nel cambiare registro. Uno dei gruppi più interessanti del folk metal nordamericano e non solo.

Tracklist
1. Prophecy of the Blind
2. The Return
3. Sacrificial Rites
4. Takhil
5. Amongst the Dead
6. To the Wind
7. Dschingis Khan
8. The Mountain Weeps
9. River Child
10. Warband

Line-up
Tev Tegri – Vocals
Zev – Lead Guitar, Folk Instruments, Clean Vocals
Zelme – Rhythm Guitar, Backup Vocals
Sorkhon Sharr – Bass
Sche-khe – Folk Instruments & Keyboards
Bourchi – Drums

MONGOL – Facebook

The Rambo – The Past Devours Everything

The Past Devours Everything è un lavoro che non da appigli, ma obbliga a nuotar senza salvagente in un caldo mare fatto di lava, e anche arrivati a riva ci si scotta uguale.

Nouvelle vague noise blues totalmente libera ed in pieno spirito Frank Zappa.

Situazionismo musicale fatto in maniera molto intelligente ed interessante e soprattutto spiazzante. La voce è quella di uno sbronzo che gira per gli incroci cercando di stipulare un patto con Baron Samedi, mentre il resto sono giri di chitarra, basso e batteria che vanno nella direzione che vogliono. La cosa bella è che tutto ciò produce un risultato che è una boccata di aria fresca. Si prova gioia a sentire una tastiera che entra senza alcun senso, o forse perfettamente in linea, dipende se considerate il senso un vizio o una virtù, e va a fare la sua cosa. Il fine qui è molto più importante dei perché o del come, infatti il gruppo che nasce come duo diventa spesso un trio o poi torna a duo ma che importa ? La cosa importante è che continuino a fare dischi come questo, che ti incalza e ti viene sotto, per mostrarti un lato diverso del blues rock, o forse è un altro genere, ma soprattutto di qualcosa che non sia già comprensibile dalla copertina, cosa che succede per molti lavori. Certamente il blues qui è una grande fonte di ispirazione, ma non quello canonico, ma un blues totalmente bastardo, che è poi la vera missione del genere. The Past Devours Everything è un lavoro che non da appigli, ma obbliga a nuotare senza salvagente in un caldo mare fatto di lava, e anche arrivati a riva ci si scotta uguale. Ogni angolo delle canzoni è una sorpresa, dalla furia si passa all’estasi e da questa ad un’ansia imperdonabile, per poi bearsi di un godimento quasi oppiaceo. Il disco si inserisce nel Bervismo, il bellissimo movimento musicale che sta tirando su Dischi Bervisti, un’etichetta italiana che non fa solo musica, ma propaganda una visione diversa ed in costante evoluzione della musica alternativa in Italia e non solo, e ci regala dischi come questo che sorprendono come non accadeva da tempo.

Tracklist
1 Anger son
2 Child-conflict
3 Deadline show
4 Napalm
5 Primitive aggression
6 Purification song
7 Rope of sorrow
8 Shining light
9 The devil lurk in the holy house
10 The past returns
11 Wh_t’s th_s s_ckn_ss
12 Wrath lord

Line-up
J. Marsala – chitarra, voce, sampler
Bang L.A. Desh – batteria
Capa de Sangre – chitarra

THE RAMBO – Facebook

Project Silence – Infinity

Ascoltare Infinity sarà molto piacevole per chi ama questa aggressività musicalmente trasversale, ma anche per chi vuole scoprire qualcosa di nuovo in campo metal altro.

Tornano i finlandesi Project Silence, storici fautori di un industrial metal cattivo e ben suonato.

L’idea originale del gruppo nato a Kuopio era quella di fondere insieme aggrotech, metal e industrial, ed in questi dieci anni di vita ci sono riusciti egregiamente, come possiamo ascoltare qui in questo maxi ep. La loro proposta musicale non è inedita ma fa parte di un genere fortemente di nicchia ma dalla scorza durissima, nel senso che può contare su di uno zoccolo di ascoltatori sparsi in tutto il mondo e molto fedeli. Il nuovo disco pubblicato da Sliptrick Records ce li mostra al massimo della forma, con una notevole capacità di creare canzoni ed atmosfere aggressive, con ottimi cambi di tempo ed una tecnica che non si nasconde dietro la potenza, ma che anzi la domina. Le atmosfere sono molto cupe e parlano di un futuro che potrebbe essere già stato il nostro passato, nel quale le macchine dominano e l’uomo è dominato dalle sue creazioni, che replicano la degenerazione dell’essere umano, moltiplicandola all’infinito. Le canzoni sono costruite molto bene ed in maniera incisiva, hanno uno svolgimento che si ritrova raramente in un gruppo di questo genere. Molto forte la presenza del metal che svolge il compito importante di essere la colonna portante di tutto, al quale si aggiungono poi l’aggrotech ed una forte dose di ebm. Ascoltare Infinity sarà molto piacevole per chi ama questa aggressività musicalmente trasversale, ma anche per chi vuole scoprire qualcosa di nuovo in campo metal altro.

Tracklist
01. We Will Rise
02. From Beyond
03. No More
04. Forgotten
05. Pulse
06. Anthropophagite
07. Day Of Reckoning

Line-up
Delacroix – Vocals/Keyboards/Programming
J – Guitar
S – Guitar
Silve_R – Drums
Sturmpanzerjäger – Bass/Backing vocals

PROJECT SILENCE – Facebook

Ian Sweet – Crush Crusher

Non è un disco facile e non vuole esserlo, perché tratta di cose non facili, e ci mostra tutto il talento di una delle migliori menti musicali alternative americane, che darà ancora molto agli ascoltatori che sono in cerca della qualità.

Ian Sweet è una donna che ha una musicalità innata, e riesce a trattare in maniera interessante ed originale generi diversi.

Con la sua voce nervosa e calda Ian Sweet ci guida in un mondo non sempre facile e gioioso, dove la luce gioca con le tenebre e spesso perde, dove la letizia si può presto trasformare in tormento, come e peggio che nel mondo reale. Il vero nome di Ian Sweet è Jilian Medford, compositrice e musicista di raro talento ed efficacia. Ascoltando il disco ci si rende conto della cura e della passione con il quale è stato concepito ed eseguito. Il tema centrale del disco, e forse delle nostre vite, sono le relazioni con i nostri amici ed i problemi che ne derivano. La soluzione di questi problemi è impossibile, e quindi Ian ce li descrive mettendoli molto bene in musica con melodie accattivanti, ma anche dissonanze e momenti che esprimono molto il disagio di fronte a certe situazioni. Il disco è un riuscito campionario di ciò che può essere dell’ottimo indie fatto con un talento superiore alla media, e con un gusto particolare per scelte non facili ma necessarie. Una delle peculiarità di Ian Sweet è quella di riuscire ad usare diversi codici musicali per comporre la propria poetica musicale che è sempre originale e valida. Non è un disco facile e non vuole esserlo, perché tratta di cose non facili, e ci mostra tutto il talento di una delle migliori menti musicali alternative americane, che darà ancora molto agli ascoltatori che sono in cerca della qualità.

Tracklist
1.Hiding
2.Spit
3.Holographic Jesus
4.Bug Museum
5.Question It
6.Crush Crusher
7.Falling Fruit
8.Borrowed Body
9.Ugly/Bored
10.Your Arms Are Water

IAN SWEET – Facebook

Holocausto Em Chamas – לָשׁוֹן הַקֹּדֶשׁ

Le composizioni sono di maggiore respiro rispetto alle precedenti, si compie un ulteriore passo in avanti senza mai abbandonare le proprie peculiarità, per un lavoro che è fondamentale per chi ama la scena black metal portoghese e per chi vuole una musica dall’anima realmente nera.

Torna una delle migliori band di una delle migliori (se non la migliore) scene attuali del black metal mondiale: i portoghesi Holocausto Em Chamas.

Ascoltando l’ultimo lavoro intitolato לָשׁוֹן הַקֹּדֶשׁ, si poterebbe definire questo gruppo come oltranzista, invece il loro black metal è totalmente metafisico, nel senso che torna alle origini musica, quando era pressoché inascoltabile, genuinamente occulta e fatta per rompere con tutto ciò che si aveva davanti, dietro ed intorno a sé. Innanzitutto la totale mancanza di notizie su questo gruppo fa puntare i fari interamente sulla musica, e così dovrebbe essere sempre; inoltre il disco, nonostante esca su una fantastica etichetta come la lusitana Signal Rex, non ha una promozione massiva o deve vendere per forza, questa è musica che deve arrivare dove vuole arrivare, non ha altri fini se non quello di essere un nero rituale per pochi. Bisogna subito dire che questo disco è forse il migliore della produzione della band, che non è sterminata essendo un duo di recente formazione, ma tutti dischi sono molto precisi e significativi. Per cominciare la produzione è a bassa fedeltà ma non eccede mai con la materia grezza, quello che ascoltate è la corretta veste sonora per questo gruppo, e il suo black metal è perfetto per chi ama quello delle origini, ma non ci si ferma qui. Il suono degli Holocausto Em Chamas non va ai mille all’ora, ricerca maggiormente il particolare macabro e diabolico, ci sono splendidi ed angoscianti passaggi, con un organo in sottofondo, che sembrano davvero uscire da una cripta. Un’altra ottima caratteristica è che sono totalmente credibili, non scimmiottano nessuno ma, anzi, aprono nuove possibilità per un suono che in altri gruppi a volte ristagna per mancanza di originalità. Il disco non vuole intrattenere o rappresentare qualcosa ma è un medium occulto per qualcosa di diabolico, non c’è il bene qui, né speranza o salvezza, come è poi nella vita reale. Le composizioni sono di maggiore respiro rispetto alle precedenti, si compie un ulteriore passo in avanti senza mai abbandonare le proprie peculiarità, per un lavoro che è fondamentale per chi ama la scena black metal portoghese e per chi vuole una musica dall’anima realmente nera.

Tracklist
1.Coroado em Espinhos
2.Pregador
3.Death Messiah
4.Via Crúcis
5.Sermões da Montanha
6.After the Crucifixion
7.Narcotic Invocation of the Tormentor
8.Agonizing Aura
9.From the Catacombs
10.Claustro dos Mortos
11.The Sombre Disciple

Rise Of The Northstar – The Legacy Of Shi

Un disco che è meravigliosamente devastante dall’inizio alla fine, e che conferma i Rise Of The Northstar come il miglior gruppo di crossover al mondo, sia per originalità che per resa.

I Rise Of The Northstar sono un caso unico nel panorama metal mondiale.

Nati nel 2008 nell’area di Parigi, i Rise Of The Northstar hanno sviluppato una poetica totalmente legata al crossover e alla cultura giapponese anni ottanta e novanta.
Unicamente con le loro forze hanno promosso i due ep autoprodotti come il primo disco su lunga distanza Welcame, che verrà poi ristampato dalla Warner Bros. I francesi hanno dimostrato di avere una visione molto precisa di come sarebbe stata la loro carriera, rifiutando qualche contratto e continuando ad autopromuoversi, soprattutto con i loro devastanti concerti. Alla fine è riuscita ad accaparrarseli la Nuclear Blast, una delle poche major metal rimaste. Il loro stile musicale è un crossover furioso e assolutamente originale, con una grande dose di hip hop, soprattutto nel cantato. Il precedente Welcame era un disco che aveva mostrato molto bene chi erano i Rise Of The Northstar, ovvero uno dei gruppi più clamorosi del nuovo metal. Quando erano usciti i primi singoli del nuovo album, ovvero Boom e This Is Crossover, era stata la netta sensazione che si sarebbero superati con il nuovo disco, e così è stato. Legacy Of Shi è un’opera devastante con tantissime cose dentro. La maturazione dal già ottimo Welcame è stata notevole, essendosi giovati anche della grande produzione di Joe Duplantier (Goijra)
Poi ci sono molti motivi che rendono unico questo disco. Innanzitutto l’unione tra Giappone e occidente, con la cultura del Sol Levante che domina ancora i testi, con le storie dei Furyos e dei Bosozoku, i teppisti di strada che hanno grossa importanza per i Rise Of The Northstar. Musicalmente il disco è più maturo e composto in maniera più fine rispetto a Welcame, ma la potenza è rimasta intatta, anzi forse è maggiore. Questo gruppo ha un tiro micidiale, come impatto si può paragonare alle prime cose degli Slipknot, perché sono una ventata di aria freschissima. Pochi gruppi hanno il controllo totale del suono e dello sviluppo della canzone come i Rise Of The Northstar. In questo nuovo disco sono maggiori i riferimenti musicali agli anni ottanta, soprattutto per quanto riguarda le chitarre, mentre il cantato compie un ulteriore passo in avanti. Tutte le canzoni sono di ottimo livello, non ci sono riempitivi o cose fatte con minore convinzione. Ce n’è per tutti i gusti, da chi ama il crossover anno novanta a chi apprezza il nu metal più virato al rap. Legacy Of Shi racconta una storia che l’ascoltatore dovrà scoprire, ovviamente in pieno stile giapponese. Un disco che è meravigliosamente devastante dall’inizio alla fine e che conferma i Rise Of The Northstar come il miglior gruppo di crossover al mondo, sia per originalità che per resa. Saranno a breve in tour con gli olandesi Dope D.O.D. uno dei gruppi hip hop migliori degli ultimi tempi, anche loro abituati a saltare fra i generi come i Rise Of The Northstar.

Tracklist
1 – The Awakening
2 – Here Comes The Boom
3 – Nekketsu
4 – Kozo
5 – Teenage Rage
6 – Step By Step
7 – This Is Crossover
8 – Cold Truth
9 – All For One
10 – Furyo’s Day
11 – The Legacy Of Shi

Line-up
VITHIA – Vocals
EVANGELION-B – Lead Guitar
AIR ONE – Guitar
FABULOUS FAB – Bass
PHANTOM – Drums

RISE OF THE NORTHSTAR – Facebook

Komatsu – A New Horizon

Fin dalle prime note del disco si sente che A New Horizon è un’opera molto bella ed affascinante, con un groove incredibile che macina tutto e tutti.

Terzo disco per gli olandesi Komatsu, uno dei gruppi europei che coniuga meglio pesantezza e melodia, per un risultato stupefacente.

Fin dalle prime note del disco si sente che A New Horizon è un’opera molto bella ed affascinante, con un groove incredibile che macina tutto e tutti. Nel corso delle canzoni le chitarre distorte si fondono con la voce per cambiare registro più volte all’interno della stessa traccia, per una mutazione continua che si evolve in melodie molto belle. Ascoltare i Komatsu è come salire su un vinile che gira, con il movimento che ti fa perdere le coordinate e vivi il momento. Le soluzioni sonore del gruppo di Eindhoven sono molte e non sono alla portata della maggior parte dei gruppi stoner o sludge, perché i Komatsu sono differenti e lo si può notare subito. Non è un fatto esclusivamente di talento ma soprattutto di gusto e di capacità compositiva, perché le loro canzoni hanno un retrogusto psichedelico che le valorizza maggiormente. Ci si perde nel turbine sonoro del disco, che è davvero una chicca per gli amanti dei suoni stoner sludge ma non solo, perché c’è anche una forte impronta psych e fuzz. Sinceramente è difficile assegnare un genere ben preciso ad un disco del genere, certamente al suo interno si possono ravvisare gli stilemi dei grandi classici come i Black Sabbath, Queens Of The Stone Age e Kyuss, ma il tutto è rielaborato in maniera davvero molto originale e particolare. Nel panorama mastodontico dei gruppi stoner e similari, i Komatsu spiccano per bellezza e compattezza della loro musica: certo, bisogna andare a scoprirli, ma se date loro una possibilità ne verrete ampiamente ripagati.

Tracklist
1. I Got Drive
2. Prophecy
3.10-4
4. Surfing A Landslide
5. Love Screams Cruelty
6. Komatsu
7. Infected
8. A New Horizon
9. Walk A Mile
10. This Ship Has Sailed

Line-up
Mo Truijens – Guitar + Lead vocals
Mathijs Bodt – Guitar + vocals
Martijn Mansvelders – Bass + vocals
Joris Lindner – Drums + vocals

KOMATSU – Facebook

Noise Trail Immersion – Symbology Of Shelter

La musica dei Noise Trail Immersion è narrazione essa stessa, e il disco ha le bellissime stimmate del lavoro disperato e quasi perfetto, uno specchio sonico nel quale tuffarci per raggiungere un qualcosa che altrimenti è irraggiungibile.

L’intento dei Noise Trail Immersion per questo disco è assai ambizioso, infatti il gruppo italiano ha affermato che intende unire il black metal con il mathcore ed aggiungere qualcosa del post metal.

Obiettivo non da poco, ma che viene raggiunto pienamente con Symbology Of Shelter. Ascoltando questo disco si riverserà su di voi un fiume magmatico di lava incandescente, un nero incendio che tutto devasta, e dopo il suo passaggio nulla sarà come prima. La profondità del successore del bellissimo Womb del 2016, che aveva posto il gruppo sulla mappa, è molto vasta e il risultato va ben oltre rispetto agli intendimenti del gruppo. Come ogni processo portato avanti da un insieme di persone appassionate e competenti, la materia si impossessa dei creatori e prende vita propria crescendo: il risultato è una canzone di 43 minuti divisa in sette tracce, che tratta del processo interiore che è in ognuno di noi, una dura lotta che non finisce mai, ma che è anche quella che ci permette di non soccombere a noi stessi. Infatti il disco uscirà non a caso il due novembre, data altamente simbolica. Il gruppo torinese vi conduce per mano in un vortice fatto di violenza e disperazione, assenza totale di speranza, la luce c’è ma viene inghiottita dalle tenebre. Una delle tante notevoli peculiarità del gruppo torinese è la capacità di creare la tempesta perfetta della musica pesante, con momenti simili a quelli dei Converge ma andando oltre, in una sospensione spazio temporale con gli strumenti che impazziscono e noi non loro. La musica dei Noise Trail Immersion è narrazione essa stessa, e il disco ha le bellissime stimmate del lavoro disperato e quasi perfetto, uno specchio sonico nel quale tuffarci per raggiungere un qualcosa che altrimenti è irraggiungibile. Symbology Of Shelter è un album dalla grande potenza, un’evocazione del nero che è dentro di noi, ma del quale non possiamo fare a meno. La maturazione del gruppo piemontese è continua e lo sta portando a vette molto alte, dove vengono raggiunti momenti di disperata gioia e saturazione del suono.

Tracklist
1.Mirroring
2.Repulsion and Escapism I
3.Repulsion and Escapism II
4.Acrimonious
5.The Empty Earth I
6.The Empty Earth II
7.Symbology of Shelter

Line-up
Fabio – vox
Nebil – guitar
Daniele – guitar
Lorenzo – bass
Paolo – drums

NOISE TRAIL IMMERSION – Facebook

Vanishing Kids – Vanishing Kids

La poetica musicale dei Vanishing Kids è composta da una psichedelia che ha la forza sognante dello shoegaze, ma va oltre, creando un muro di suono che non è fatto da distorsioni bensì da un gruppo odi strumenti e voce che punta tutto sul creare uno stato alterato di coscienza nell’ascoltatore.

I Vanishing Kids sono americani e fanno un doom metal molto psichedelico e sognante, che può facilmente indurre un dolce stato di trance.

Fondato da Jason Hartman (Jex Thoth) e Nikki Drohomyreky alla voce nei primi anni duemila, il gruppo ha fortemente risentito degli ascolti che i due hanno fatto in giovinezza, probabilmente tutti di grande valore visto il risultato finale.
Ascoltando questo nuovo lavoro, il primo da cinque anni a questa parte, si viene subito introdotti in una dimensione che non è quella quotidiana, bensì un qualcosa che muta sempre tenendo come sottofondo un sogno che si dipana lentamente, senza fretta, per spiegare le sue ali e volare. Dal 2013 è poi entrato nel gruppo Jerry Sofran, uno degli eroi dell’undeground del Midwest degli States con gruppi come Lethal Heathen e Mirrored Image, che ha dato un importante arricchimento al gruppo. Con questa formazione i Vanishing Kids sono al loro massimo, e questo disco ne è la bellissima dimostrazione. La loro poetica musicale è composta da una psichedelia che ha la forza sognante dello shoegaze, ma va oltre, creando un muro di suono che non è fatto da distorsioni bensì da un gruppo odi strumenti e voce che punta tutto sul creare uno stato alterato di coscienza nell’ascoltatore. Questa operazione non ha però nulla di violento o di coercitivo, mettere questo disco è come entrare nella tana del Bianconiglio, dove la realtà è felicemente distorta, non è paradisiaca ma è sicuramente lisergica. Il cantato è di rara bellezza, e tutto il resto del gruppo ha le idee molto chiare, sa sempre cosa fare e lo mette in pratica benissimo. Il suono è molto particolare, di una grandissima forza evocativa dai tratti immediatamente riconoscibili. I Vanishing Kids sono uno dei migliori gruppi di psichedelia altra che potete incontrare ed ascoltare, in quanto hanno anche una piccola percentuale di grunge che spiazza piacevolmente rendendo ogni canzone bellissima. Un disco prezioso per provare a sognare ancora attraverso la musica.

Tracklist
1 Creation
2 Heavy Dreamer
3 Without A Sun
4 Mockingbird
5 Eyes of Secrets
6 Reaper
7 Rainbows
8 Magnetic Magenta Blue

Line-up
Nikki Drohomyreky- Vocals, Organ, Synths, Percussion
Jason Hartman- Guitar
Jerry Sofran- Bass
Hart Allan Miller- Drums

VANISHING KIDS – Facebook

Asylum – 3-3-88

Oltre ad essere un documento storico, questa raccolta inedita, che ha girato per anni in forma di mp3 fra i collezionisti più accaniti, è un ottimo disco e soprattutto una validissima introduzione a ciò che poi saranno gli Unorthodox.

Ritorna uno dei dischi fondamentali della storia del doom metal del Maryland, una delle scene più feconde ed influenti per questo lento e devastante sottogenere del metal.

Gli Asylum nacquero negli anni ottanta, e da questo gruppo nacquero poi gli Unorthodox, un altro grande gruppo di quello stato, ed infatti l’ultima traccia di questo lavoro ha proprio quel nome. Questo lavoro non vide mai la luce, ed è composto da canzoni e demo mai pubblicati. Lo stile è quello del doom del Maryland in fase di formazione, nel senso che è ancora forte l’influenza dell’heavy metal sul gruppo, e si potrebbe affermare che sia un metal non ancora doom, ma con al suo interno un nucleo di composizione differente dall’heavy canonico, che risente fortemente anche della tradizione americana. Colpisce anche la bravura tecnica della band, di molto superiore alla media di quel periodo, e ciò si riflette anche sulla composizione dei pezzi. Ascoltando il disco si può percepire molto bene il cambiamento stilistico degli Asylum, che avanza sempre di più verso una forma maggiormente dilatata del suono, acquistando anche maggiore pesantezza, e valicando spesso i confini della psichedelia, con un suono davvero in stile Maryland. Oltre ad essere un documento storico, questa raccolta inedita, che ha girato per anni in forma di mp3 fra i collezionisti più accaniti, è un ottimo disco e soprattutto una validissima introduzione a ciò che poi saranno gli Unorthodox, un gruppo fondamentale per una certa scena doom, che intitolerà il suo disco di esordio proprio Asylum. Il loro talento qui esce con prepotenza, senza lasciare nulla di intentato, e ci troviamo di fronte ad una notevole opera recuperata con grande merito dalla Shadow Kingdom Records.

Tracklist
1. World In Trouble
2. Mystified
3. Time Bomb
4. Road To Ruin
5. Psyche World
6. Forgotten Image
7. Nowhere
8. Funk 69
9. Indecision
10. Unorthodox