SKÁLD – Ep

Un lavoro molto interessante e piacevole, che ha il notevole pregio di farci ascoltare una musica che viene direttamente da un altro tempo ,e che come tutte le musiche antiche va ben oltre il significato che diamo attualmente alla musica.

Nuovo progetto francese di riscoperta filologica della musica degli skald, i cantastorie vichinghi che tramandavano le gesta dei figli di Odino.

Ultimamente i vichinghi sono molto di moda (anche se la cosa sta scemando), soprattutto per il telefilm Vikings che narra in maniera storicamente raccapricciante le gesta di una delle prime ondate di invasioni in Europa ed oltre. Gli Skaldscandinavi erano figure che incrociavano musica, magia e tanto altro, simili ma differenti rispetto ai bardi, e ci sono giunte a noi un pugno di testimonianze realmente chiarificatrici. Una di esse, la più conosciuta a livello mondiale, è l’Edda in prosa, raccolta dell’islandese Snorri Sturluson, e ancora meno sono le pagine sulla musica degli Skald. Non si sa molto, ma è fuori di dubbio che le loro musiche grazie a ritmi serrati e con particolari modulazioni canore gutturali e non, inducevano il pubblico alla trance, poiché la società vichinga ricercava molto l’esperienza fuori da sè stessi, anche con l’uso di funghi allucinogeni e non solo nel caso dei guerrieri berserk. In questo lavoro edito da Decca, la famosa major di musica classica, troviamo questo trio di cantori specializzato in canto Skald, accompagnati da musicisti che suonano strumenti che si rifanno a quell’epoca. La ricerca filologica è notevole, ed è la caratteristica più importante del disco, dato che tutto viene ricostruito nei minimi dettagli, e non è un’operazione fatta con approssimazione o faciloneria. In questi tre pezzi dell’ep abbiamo un assaggio del disco che uscirà il prossimo novembre, e che sarà un’opera molto coinvolgente e straniante rispetto alla musica moderna che siamo abituati ad ascoltare. La bravura dei tre cantori è pari alla loro preparazione specifica, e anche la parte musicale è notevole. I testi in islandese antico si rifanno alla Völuspá e al Gylfaginning, due parti della Edda. I tre brani sono un qualcosa di molto interessante, che fanno capire quale sarà la cifra stilistica del lavoro, la produzione è assai accurata, ed infatti su di loro puntano sia la Decca Records e la Universal, e non è un investimento da poco, visto anche i tre video che hanno tratto dall’ep. Un lavoro molto interessante e piacevole, che ha il notevole pregio di farci ascoltare una musica che viene direttamente da un altro tempo ,e che come tutte le musiche antiche va ben oltre il significato che diamo attualmente alla musica.

Tracklist
1. Gleipnir
2. Ódinn
3. Rún

Line-up
Justine Galmiche
Pierrick Valence
Mattjö Haussy

SKALD – Facebook

Soulfly – Ritual

Come una squadra con un certo palmares le cadute contano doppio, e sebbene la loro carriera sia sempre stata su buoni livelli era il momento di una riscossa, e Ritual è proprio il disco giusto.

Ritual, il nuovo lavoro dei Soulfly, cattura il gruppo capitanato da Max Cavalera nel momento migliore degli ultimi anni.

I Soulfly sono una band che non deve innovare nulla, ma che in compenso hanno il durissimo compito di essere sempre all’altezza del loro blasone e della loro fama. Come una squadra con un certo palmares le cadute contano doppio, e sebbene la loro carriera sia sempre stata su buoni livelli era il momento di una riscossa, e Ritual è proprio il disco giusto. L’aggressività musicale sale di livello e si torna ai Soulfly più veraci, con una produzione che riesce a valorizzare il tutto. Il suono cambia leggermente soprattutto nel maggior respiro delle canzoni, che sono più ampie e con elementi diversi al loro interno, sviluppando maggiormente la composizione rispetto agli episodi precedenti. Una delle maggiori peculiarità è Zyon Cavalera alla batteria: il figlio di Max è davvero un batterista interessante e molto intenso, forse non ancora del livello e della ricchezza musicale dello zio Igor, ma ci stiamo avvicinando.
L’ultima fatica di Max e compagnia ha un suono molto incattivito che attinge pienamente dalle radici metal del gruppo, mentre i temi trattati sono quelli di sempre, ma declinati in maniera maggiormente oscura e marcatamente horror. La scelta del titolo, Ritual, calza a pennello perché come dice lo stesso Max, il metal è un rituale che ha i suoi tempi e i suoi modi, e questo disco è un rituale della famiglia Soulfly, che include chi sta sopra e sotto il palco. Max è in forma come non lo era da tempo, ed il resto del gruppo lo segue molto bene per un risultato che rende Ritual uno degli album migliori dei Soulfly.
Intensità, velocità, cattiveria, incisività, e capacità di far divertire e pensare con il metal, questi sono i Soulfly e tutto ciò è dentro Ritual.

Tracklist
1. “Ritual”
2. “Dead Behind the Eyes” (featuring Randy Blythe)
3. “The Summoning”
4. “Evil Empowered”
5. “Under Rapture” (featuring Ross Dolan)
6. “Demonized”
7. “Blood on the Street”
8. “Bite the Bullet”
9. “Feedback!”
10. “Soulfly XI” (instrumental)

Line-up
Max Cavalera – Vocals and Rhythm Guitar
Marc Rizzo – Lead Guitar
Mike Leon – Bass Guitar
Zyon Cavalera – Drums

SOULFLY – Facebook

Terror – Total Retaliation

Difficilmente in questo genere si raggiungono le altezze dei Terror, che nel loro suono sono profondamente americani e fanno musica per suonare dal vivo, perché ascoltando il disco ti rendi conto di quanto bene funzionerà davanti ad un pubblico che sarà un magma incandescente pronto a bruciare tutto.

Dal 2002 i losangelini Terror hanno cominciato la loro scala alla montagna dell’hardcore e da qualche anno ne hanno raggiunto la vetta, tenendola molto bene grazie a lavori come questo.

Total Retaliation è la loro nuova uscita su Nuclear Blast Records e ha tutte le caratteristiche che li hanno resi famosi ed amati: hardcore americano violento e ruggente con molte somiglianze con il metal ed il crossover degli anni migliori, una grandissima intensità e tanta cattiveria. Questa volta alla produzione troviamo il chitarrista degli ottimi Fit For An Autopsy, Will Putney, che dà al suono dei Terror una maggiore modernità, rendendo il tutto ancora più potente, a volte ai confini del beatdown. Non ci sono compromessi in questo album, i tempi sono serrati ed incalzanti, e questo loro settimo disco suona benissimo e li proietta ad un livello superiore. Chi ascolta hardcore lo fa perché questo suono ha una violenza positiva, o negativa se la si fraintende, che permette di vivere le brutture del mondo a testa alta, e qui c’è tutto ciò. Non è aggressività fine a se stessa, ma è un qualcosa che lega le persone, porta dei valori attraverso dei suoni rabbiosi ma sempre in veste positiva. Total Retaliation è una classica opera di hardcore americano ma ha effettivamente qualcosa in più sia in termini di suono che di composizione. In un genere così inflazionato non è facile avere la propria impronta ben riconoscibile, i Terror la hanno e hanno addirittura aperto nuove strade nell’hardcore con il loro suono, venendo presto riconosciuti come uno dei migliori gruppi del genere. Difficilmente in questo genere si raggiungono le altezze dei Terror, che nel loro suono sono profondamente americani e fanno musica per suonare dal vivo, perché ascoltando il disco ti rendi conto di quanto bene funzionerà davanti ad un pubblico che sarà un magma incandescente pronto a bruciare tutto. Grande spirito e grande musica per un disco di hardcore di qualità superiore.

Tracklist
1. This World Never Wanted Me
2. Mental Demolition
3. Get Off My Back
4. One More Enemy
5. Break The Lock
6. In Spite Of These Times
7. Total Retaliation
8. Post Armageddon Interlude
9. Spirit of Sacrifice
10. I Don’t Know You
11. Behind The Bars
12. Suffer The Edge Of The Lies
13. Resistant To The Changes

Line-up
Scott Vogel – Vocals
Nick Jett – Drums
Jordan Posner – Guitar
Martin Stewart – Guitar
David Wood – Bass

TERROR – Facebook

Postcards From Arkham – Spirit

L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore.

Ritorna l’ottimo gruppo ceco Postcards From Arkham, che offre musica progressiva misteriosa e malinconica ispirandosi a H.P. Lovecreaft, nume immenso e tutelare di chi nelle tenebre vede meglio che nella luce piena.

Spirit è il loro ultimo lavoro ed è come sempre un piccolo grande capolavoro. Partendo dai capisaldi della letteratura lovecraftiana il disco si snoda attraverso una struttura onirica, con musiche progressive che si adattano alle situazioni da raccontare, con una voce che ci sussurra e ci racconta storie che vengono da lontano, o forse dalla foresta più vicina. Ascoltando Spirit si viene pervasi da un senso di ricongiungimento a qualcosa da cui eravamo lontani, prigionieri delle nostre false convinzioni e delle nostre assurde sicurezze. Rispetto agli altri loro dischi, che consigliamo tutti molto caldamente, Spirit è ammantato da bellissime percussioni che punteggiano i momenti più importanti, rinforzando melodie che sono particolari ed originali di questo gruppo, che è una vera gemma nascosta dell’underground europeo. Lo scopo di questo lavoro è quello di far innalzare per qualche tempo la nostra anima ascoltando questi suoni che sono magici, oscuri ma positivi, hanno dentro il post rock e suoni etnici, qualcosa del neofolk e tanto di sognante e mesmerico. Musicalmente sono sempre stati un gruppo molto avanti, ma qui si superano ed innalzano ad un livello superiore la loro musica, raggiungendo vette molto alte, infatti l’ultima bellissima traccia del disco si intitola per l’appunto Elevate. L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore. I Postcard From Arkham finalizzano il loro percorso di maturazione con un’opera molto importante e dai grandi contenuti che si pone al di là dei generi.

Tracklist
1. One world is not enough
2. From the bottom of the ocean
3. Owls not what they seem
4. 2nd of april
5. Thousand years for us
6. Polaris
7. My gift, my curse
8. Elevate

POSTCARDS FROM ARKHAM – Facebook

Zardonic – Become

La musica di Zardonic è un infuso potente di metal e dance, con un’energia incredibile, e riesce anche ad essere orecchiabile e vendibile anche in altri ambiti.

Torna il più grande fra gli assassini sonori che potrete incontrare sul dancefloor, dal Venezuela Federico Ágreda Álvarez aka Zardonic.

Il nostro è in giro da molti anni, ha rotto molte barriere, ha portato il metal nella drum and bass e nell’elettronica in generale, e la dance nel metal, firmando numerosi ottimi remix, oltre che molto materiale suo. Il nuovo disco Become arriva dopo qualche anno di pausa seguita al precedente Antihero del 2015, che era un ottimo disco, ma con Become il venezuelano residente a Colonia si supera con un’opera potentissima e dalla produzione perfetta, come sua consuetudine. Zardonic prende anche una posizione precisa su ciò che sta succedendo in Venezuela: ora il tutto è sparito dalle notizie ma la situazione è tuttora molto difficile, e lo fa soprattutto nel singolo Revelation che è una mazzata incredibile, dance e riff metal, con un pezzo che i Prodigy attuali darebbero milioni di sterline per farlo, e anche il video è molto bello. Become è un potentissimo disco di dance con inserti metal, ma più che nella musica il metal è preso come attitudine, infatti i suoni sono elettronici ma lo spirito è decisamente metal. Gli esordi di Federico in Venezuela furono infatti con un gruppo black che ebbe un discreto successo, i Gorepriest; poi nel 2004 prende il nome di Zardonic e un travestimento con maschera simile all’alieno di Predator e comincia a picchiare durissimo attraverso i computer e i sintetizzatori. La sua musica è un infuso potente di metal e dance, con un’energia incredibile, e riesce anche ad essere orecchiabile e vendibile anche in altri ambiti, ad esempio come con Monster, la traccia di Become che vede ospiti Malek e APE, che nonostante sia un massacro possiede notevoli linee melodiche diventando quasi un pezzo di metalcore dance. Il disco continua nel solco del suono di Zardonic ma ne amplia le possibilità con una produzione pressoché perfetta e una potenza di fuoco devastante; il musicista nasce come testa metallica, ma alla pari nel suo cuore c’è la drum and bass, ed è stato il primo ed unico produttore di fama mondiale venezuelano in questo campo. Nel nuovo disco c’è appunto una collaborazione con uno dei migliori master of ceremonies del genere, Coppa, inevitabilmente inglese perché la drum and bass è un qualcosa di fortemente albionico: il pezzo si chiama Children Of Tomorrow e vi spaccherà le casse, inondando la strada di caos e morte. Become a pochi giorni dalla sua uscita è già balzato ai vertici delle classifiche dance e non solo, soprattutto di quelle digitali, e ciò è dovuto oltre che alla bontà del disco alle tantissime date che Zardonic ha fatto dal vivo in questi anni e ancor più all’immensa passione che questo ragazzo mette dentro i suoi lavori. Inoltre Become possiede diversi generi dentro di sé (troviamo addirittura del free jazz metal in Trashuman) ed è davvero un viaggio interessantissimo. Se andate sul sito di Zardonic, nella sua discografia troverete delle cose in free download: scaricate assolutamente il mix Metal Up Your Bass Revamoed Edition e ascoltate Become.

Tracklist
1 No Más Revolución (Intro)
2 Revelation
3 Black and White (Ft. American Grim)
4 Takeover (Ft. The Qemists)
5 Children of Tomorrow (Ft. Coppa)
6 Before the Dawn (Ft. Celldweller)
7 Follow the Light
8 Transhuman (Ft. Jørgen Munkeby)
9 Army of One
10 Monster (Ft. Ape & Malke)
11 Libertadores (Finale)

ZARDONIC – Facebook

?Alos – The Chaos Awakening

Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido.

Venti minuti di un antico rituale messo in musica, suggestioni, rumori e suoni che provengono da un’altra dimensione, da un tempo nel quale l’umanità aveva una composizione fisica che si legava direttamente agli elementi naturali e non al silicio o ad una scheda madre.

?Alos è una sciamana che opera e ha operato con OvO e con Allun, e ora sta continuando la sua avventura solista. Parlare di musica è davvero superfluo in questo caso perché si va molto oltre essa, si entra in un portale dove tutto è ciò che sembra solo se si decide di essere altro da sé, come ?Alos, che ha registrato questa performance dal vivo a Valico Terminus a Ramiseto, un’azienda agricola e casa rurale per artisti sita in un crocevia fra Emilia Romagna e Toscana, dove si incontrano molte forze, come ci insegnavano gli antichi.
?Alos dopo aver trattato la Terra e L’Aria, passa ora a descrivere l’Acqua ed il Fuoco, con questa traccia unica che esplora molti tipi di femminino diversi, perché la storia dell’uomo, e soprattutto della donna, non è andata come ce la raccontano, è molto più complessa e conflittuale, e molto probabilmente non la conosceremo mai. Il titolo The Chaos Awakening dice già moltissimo sulla struttura e sulle intenzioni di Stefania Pedretti, perché pur senza adorare il caos lo descrive come unica via possibile di vita, partendo dalla profonda convinzione che non siamo affatto perfetti, ma che dobbiamo saper rapportarci a forze molto più grandi di noi e che abbiamo lasciato sopite per troppo tempo, convinti che la conoscenza scientifica lo avrebbe fatto fuggire. Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido. L’ultimo disco di ?Alos è fortemente catartico perché risveglia qualcosa dentro di noi che è dormiente ma che è innato, e che è stato spezzato da questa supposta superiorità del moderno rispetto all’antico visto e vissuto come un’epoca oscura e disagiata, mentre il domani non è quasi mai esistito per l’uomo; la Signorina Alos è qui per ricordarci che siamo come sopra è sotto, e che il caos è sempre in agguato.

Tracklist
1. The Chaos Awakening

Line-up
?Alos – Vocals, flute, modular synthesizer,
The Chaos Scepter, bells and other vietnamese instruments –

?ALOS – Facebook

Venues – Aspire

Molti gruppi dello stesso genere hanno meno talento dei Venues e Aspire è un debutto che li porterà lontano, facendosi apprezzare da chi ama una certa deriva melodica e molto radiofonica del metal moderno, tutto sommato però altrettanto innocua.

Dalla Germania, terra assai feconda per il modern metal ed il post hardcore, arrivano i Venues, carichi di pop e tanto sentimento.

Definire post hardcore questo disco non è propriamente corretto, perché le coordinate corrette sono pop e un pizzico di metal, con una produzione abbastanza piatta, sbilanciata fortissimamente verso un pubblico di giovanissimi a cui il disco piacerà moltissimo ed è giusto così. La maggior parte degli ascoltatori di questo lavoro saranno ragazzi e ragazze molto giovani ed è a loro che è diretto questo feuilleton, melenso solo per un pubblico più anziano, mentre invece qui c’è molta energia e tantissima melodia, in qualche passaggio fin troppa e forzata. Aspire è un disco nel quale la voce di Nyves regala aggressività femminea e dolcezza e si bilancia benissimo con il cantato maschile. Anche il loro look è molto giovane ed attuale, e tutto ciò ha sicuramente la sua parte, come ha sempre avuto nel metal, dove anche la trascuratezza spesso è calcolata, a seconda del pubblico al quale ci si deve rivolgere. Funziona tutto molto bene in questo debutto del gruppo tedesco, ed è infatti un ottimo prodotto per un pubblico selezionato, rischiando alla fine d’essere solo confezionato molto bene ma senza cuore, almeno l’impressione è appunto questa. Molti gruppi dello stesso genere hanno meno talento dei Venues e Aspire è un debutto che li porterà lontano, facendosi apprezzare da chi ama una certa deriva melodica e molto radiofonica del metal moderno, tutto sommato però altrettanto innocua.

Tracklist
1 – We are one
2 – Lights
3 – The longing
4 – Fading away
5 – The epilogue
6 – Dilemma
7 – My true North
8 – Star children
9 – Nothing less
10 – Shades of memory
11 – Silence
12 – Ignite

Line-up
Nyves – Vocals
Robin – Vocals
Constantin – Guitar
Toni – Guitar
Flo – Bass
Dennis – Drums

https://www.facebook.com/VENUESofficial/

Throne – Consecrates

Pochi gruppi riescono a fare musica come i Throne, conferendole una sensazione di inusitata pesantezza ma riuscendo al contempo ad essere onirici e psichedelici.

Pesantissima mazzata sludge metal per questo gruppo italiano proveniente dai dintorni di Ferrara.

I Throne sono attivi dal 2012, anno nel quale si sono formati e hanno dato alle stampe il loro debutto Avoid Light per Moonlight Records. I nostri sono un concentrato di cattiveria e putridume musicale, nel quale la luce non si vede mai, spostandosi rumorosamente nel tunnel. Il loro suono è un infetto principalmente dallo sludge, ma non mancano momenti di suoni vicini alle cose che si muovono nelle paludi della Lousiana, o passaggi in growl che ci portano in territori marcatamente metal. Il marchio di questo disco del 2017 è il suo continuo ed incessante groove, che continua a muoversi senza mai fermarsi, lento ed inesorabile, che procura più di un sottile brivido di piacere. Fare un disco credibile di sludge non è affatto facile come potrebbe sembrare, perché se non si possiedono talento e abilità compositiva l’affidarsi totalmente alla pesantezza non basta. I Throne hanno tutte le capacità per spiccare nel mucchio, e ce le mostrano con un lavoro che non ha mai un momento di pausa né un calo fisiologico. Consecrates è la colonna sonora dell’ombra che ci avvolge grazie ai nostri peccati, ma anche perché vediamo il mondo per quello che è, rischiando la pazzia per questo. I monolitici riff di chitarra sono le basi sulle quali far confluire da altre dimensioni il resto degli strumenti facenti parte di questa bestia sonica che non vi lascerà scampo. Ascoltando Consecrates perderete il senso del tempo, verrete imbarcati su una una nave che viaggia velocissima verso un nero vortice e vorrete assaporare ancora quelle sensazioni che vi dà questa musica. Pochi gruppi riescono a fare musica come i Throne, conferendole una sensazione di inusitata pesantezza ma riuscendo al contempo ad essere onirici e psichedelici. Un album che fa male.

Tracklist
1.Sister Abigail
2.Lethal Dose (feat. Dorian Bones)
3.Codex Gigas
4.There’s No Murder in Paradise
5.Baba-Jaga
6.V.I.R.
7.Lazarus Taxon

Line-up
Samuele Benna
Riccardo Carrara
Mirko Lavezzini
Enrico Maria Emanuelli
Emanuele Dughetti

THRONE – Facebook

All My Sins – Pra Sila – Vukov Totem

Uno dei migliori dischi di black metal degli ultimi anni, potente, melodico ed affascinante, con una poetica musicale e non che non può lasciare indifferenti.

Arriva dalla Serbia un disco black metal furioso e con grandi melodie che farà la gioia di molti amanti del nero metallo.

I serbi All My Sins sono un gruppo con un talento compositivo molto particolare, con un timbro che si impone subito all’attenzione dell’ascoltatore. La loro storia è particolare, perché dopo due demo fra il 2002 ed il 2004 si va direttamente ad un ep del 2017. Dovendo semplificare la spiegazione del tipo di black metal che offrono si potrebbe affermare che facciano un qualcosa di classico, ma vanno oltre perché c’è anche quel ritorno alla natura ed il recupero delle proprie tradizioni che è uno degli effetti del genere. Le tradizioni degli slavi del sud sono molto presenti in questo disco, che ha un significato recondito molto profondo e si sposa inevitabilmente con ciò che noi chiamiamo occulto, ma che ai nostri antichi era molto ben chiaro e quotidiano. Il lavoro si basa soprattutto, oltre che su un robusto e bellissimo black metal della seconda ondata norvegese, sul concetto del lupo come essere lunare e sulla sua presenza nella cultura slava. Da lì si arriva alla similitudini fra questo animale e l’uomo moderno, il tutto senza preconcetti ed illustrando molto bene i passaggi. Le liriche sono in tutte in serbo, ma se si traducono con i mezzi moderni riservano più di una sorpresa. In questo caso il black metal viene usato come codice per indagare e spiegare la natura ancestrale e fortemente pagana della propria gente e delle proprie tradizioni, sopravvissute in qualche maniera al flagello chiamato cristianesimo che ha spianato in breve tempo culture millenarie. Il lavoro dei serbi ha una produzione grandiosa ed estremamente fedele, dovuta al fatto che un componente del gruppo, V, ha uno studio di registrazione e produzione di metal estremo, il Wormhole Studio di Pančevo e ha le idee molto chiare ed un bel talento dietro al controller. Il risultato è uno dei migliori dischi di black metal degli ultimi anni: potente, melodico ed affascinante, con una poetica musicale e non che non può lasciare indifferenti. Il black metal degli All My Sins è una cosa bellissima.

Tracklist
1.Vukov Totem
2.Zov iz Magle
3.Vetrovo Kolo
4.U Mlazevima Krvi
5.Opsena
6.Mesecu u Oko
7.Konačna Ravnodnevica (Čin Prvi)
8.Konačna Ravnodnevica (Čin Drugi)

Line-up
Nav Cosmos – Vocals / Bass / Vrg
V – Guitars / Keys
Nemir – Drums (Session)

ALL MY SINS – Facebook

Tritonica – Disforia

Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso.

I Tritonica sono un gruppo romano fondato nel 2016 e fautore di un noise post sludge math che è davvero una delizia ed una preghiera al dio dei tritoni, la più empia e blasfema figura musicale della storia.

Il gruppo è composto da tre studenti universitari, o da tre laureati, tre disoccupati, tre precari, la ripetizione del numero magico, accomunati dall’amore per la musica prog nel senso più esteso del termine, ovvero un qualcosa che vada oltre e non si fermi alle apparenze. La loro musica è felicemente inclassificabile e non per tutti anzi, chi si vuole avvicinare lo fa a suo rischio e pericolo. Disforia è un disco che esprime molto meglio il disagio e le fratture che viviamo. Un disco di musica totale che si dimena di fronte a noi, senza avere alcuna voglia di piacere, anzi si accetta meglio il dispiacere che il suo contrario. L’atmosfera qui perde le coordinate spazio temporali, e ci si immerge in un turbolento mare oppiaceo, con la tragedia che incombe ma che è al contempo una liberazione, il tutto con i modi di un Les Claypool più vario e meno cervellotico. I registri musicali del lavoro sono molteplici e non si viaggia in un’unica direzione, se non quella di essere distorti, e si canta o si suona e basta, ma sempre con un’identità ben precisa e soprattutto ben strutturata, che fa di Disforia un continuum con un senso solo se ascoltato tutto assieme o lasciandosi portare da lui. Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso. I continui campi di tempo e di registro rendono questo disco un’esperienza che rientra in quella bellissima nouvelle vague noise ed altro che in Italia abbiamo sempre avuto e che offre tanti e succosi frutti underground. Disforia è corposo, vero e contundente là dove si vorrebbe che tutto andasse bene: ascoltatelo mentre vi cola l’ansia dentro il corpo.

Tracklist
1 al-Ghazali
2 Manjala
3 Zags in Bb
4 Alchimia del fato
5 Cronotopica
6 Coagula
7 Jimi
8 Semiramis
9Semiramide
10 Solve
11 Mimonesis

Line-up
Andrea El Khaloufi – Chitarra e Voce
Alfredo Rossi – Basso e Voce
Nicola Di Lisa – Batteria e Voce

TRITONICA – Facebook

AstorVoltaires – La Quintaesencia de Júpiter

Ascoltando La Quintaesencia de Júpiter si viene rapiti e il nostro cuore si apre insieme alle nostre sinapsi, rimanendo sospesi sopra una piccola grande opera d’arte, fatta da un uomo come noi ma con uno smisurato talento musicale e narrativo.

AstorVoltaires è il progetto solista di uno dei membri degli splendidi Mar De Grises cileni, un gruppo che meravigliò e migliorò la vita di molti di noi dal 2000 al 2013, con bellissimi dischi di doom/post rock sognanti e melanconici.

L’unico membro del gruppo è il cileno, ora trapiantato in Repubblica Ceca, Juan Escobar, appunto ex appartenente ai Mer De Grises e poi in moltissimi altri gruppi come Aphonic Threnody, Lapsus Dei, Arrant Sudade e altri. La sua straripante personalità musicale trova in questo progetto il suo definitivo compimento, dipingendo bellissimi affreschi di pace ed inquietudine, di sogni e di terribili incubi, con una fortissima luce bianca che abbaglia e scalda facendo stare bene, come in un’esperienza di premorte. Il quarto lavoro sulla lunga distanza di una carriera iniziata nel 2009, quando i Mar De Grises erano ancora attivi, è forse quello più completo e melanconico. Forte è l’impronta di gruppi come gli Anathema o i Katatonia, ed è anche presente il doom ed il post rock, il tutto miscelato attraverso la forza della neo classicità. Questo disco in un’epoca diversa dalla nostra sarebbe stato un dipinto, forse meglio una scultura marmorea da vedere attraverso le sue rifrazioni di luci, in un gioco di rimandi che porta lontano, lo stesso gioco che domina questo bellissimo lavoro, che ti bacia e ti accoltella allo stesso tempo, pensato e suonato con canoni assolutamente al di fuori di quelli normali del mercato e dell’intrattenimento. Vivere la poesia parlando di ciò che sta sopra e dentro di noi, così in alto come in basso, e attraverso una musica talmente bella e struggente da non sembrare vera ricongiungersi all’universo là fuori, e che è già dentro di noi. Ascoltando La Quintaesencia de Júpiter si viene rapiti e il nostro cuore si apre insieme alle nostre sinapsi, rimanendo sospesi sopra una piccola grande opera d’arte, fatta da un uomo come noi ma con uno smisurato talento musicale e narrativo. Il disco va sentito come preferite voi, ma regalategli del tempo, non ascoltando le tracce saltando da una all’altra, ma assaporate ciò che vi regala, il cosmo, il corpo umano, la gioia, la morte o il tenero bacio di un fantasma.

Tracklist
1.Manifiesto
2.Hoy
3.Un Gran Océano
4.Thrinakia: El Reino del Silencio
5.Un Nuevo Sol Naciente
6.Arrebol
7.La Quintaesencia de Júpiter
8.Más allá del Hiperboreo

Line-up
J:EscobarC

ASTORVOLTAIRES- Facebook

Iron Void – Excalibur

Ascoltare gli Iron Void è come tornare in un luogo che è profondamente nostro ma che è stato seppellito e dimenticato dalla foga moderna, un ritorno al bello ed antico.

Dire Iron Void in campo doom metal è sinonimo di grande musica ed epici racconti, un medioevo altro, duro pesante e con riff di chitarra che spazzano via tutto.

Il gruppo inglese è qui alla terza prova:il disco uscirà a breve, dopo aver subito diverse posticipazioni. Il risultato degli sforzi del trio è notevole come i due dischi precedenti, anzi superiore. Chi ha ascoltato le opere prima di Excalibur sa già cosa aspettarsi, ovvero un doom metal molto canonico e fatto alla perfezione, con quel gusto che solo certi gruppi inglesi ci mettono dentro. Classicità gestita molto bene grazie ad un talento che è al di sopra della media, e che consente di trovare soluzioni adeguate sempre all’altezza e molto interessanti. Il respiro delle composizioni degli Iron Void è ampio e possente, con giri di chitarra sontuosi ai quali si va ad aggiungere una voce che è perfetta per il genere, ed una sezione ritmica pressoché inappuntabile. Il suono deve molto a mostri sacri quali St. Vitus, Pentagram e gruppi metal anni ottanta, ma la classe di questa band porta tutto ad un livello superiore. Le storie narrate sono epiche, cappa e spada che ci porta al medioevo del Graal e di Lancillotto, in quella che è poi una ricerca ed una lotta interiore, fra noi e i nostri demoni. La bellezza che sta in un disco come Excalibur è quella del doom classico, che è un genere che regala davvero grande soddisfazione a chi lo ama e lo segue fedelmente, perché è difficile che un disco come questo venga apprezzato da chi non ama certe sonorità lente, ma più impetuose, di molta musica assai più veloce. Ascoltare gli Iron Void è come tornare in un luogo che è profondamente nostro ma che è stato seppellito e dimenticato dalla foga moderna, un ritorno al bello ed antico. Grande prova che li imporrà all’attenzione mondiale.

Tracklist
1. Dragon’s Breath
2.The Coming of a King
3.Lancelot of the Lake
4.Forbidden Love
5.Enemy Within
6.The Grail Quest
7.A Dream to Some, A Nightmare to Others
8.The Death of Arthur
9.Avalon

Line-up
Jonathan ‘Sealey’ Seale – Bass/Vocals
Steve Wilson – Guitars/Vocals
Richard Maw – Drums

IRON VOID – Facebook

Toy Called God – Socialvangelism

Il gruppo riesce a mettere assieme l’heavy metal, momenti di hard rock molto piacevoli ed durezze più vicine al groove, il tutto senza fare confusione e perdere la propria identità.

Viviamo in un’epoca in cui si è smarrito il senso delle cose e in cui la vita si svolge più sui social che in strada o in famiglia.

Attraverso i social noi vendiamo una visione di noi stessi appetibile e spendibile con altre uguali a noi: tutto ciò si potrebbe chiamare Socialvangelism, come l’ultimo disco dei californiani Toy Called God. Questi americani fanno un groove metal tendente all’heavy metal con testi molto intelligenti e mai ovvi. Non cambieranno la storia della musica e non saranno mai delle stelle che faranno interminabili tour di addio alle scene, ma possono cambiarvi in meglio la giornata e far capir qualcosa in più di questo mondo, o semplicemente regalarvi qualche bel momento di metallico piacere. Il gruppo riesce a mettere assieme l’heavy metal, momenti di hard rock molto piacevoli ed durezze più vicine al groove, il tutto senza fare confusione e perdere la propria identità. Il suono è solido e ben prodotto, e loro incarnano il meglio che possa avere un gruppo underground, ovvero talento, dedizione e cose da dire. I testi sono taglienti e non fanno sconti a nessuno, soprattutto a noi stessi, nel senso che ci buttano addosso le nostri croci, specialmente quelle che seminiamo nelle nostre penosità sui social. La musica è varia e riesce a tenere vivo l’interesse e l’ascolto, con un timbro molto americano che ben si sposa con il loro suono. In definitiva Socialvangelism è un disco da ascoltare come quelli precedenti dei Toy Called God, che si confermano un gruppo valido che produce sempre dischi divertenti ed interessanti, con testi che spiccano e sono duri ed ironici al contempo. Se darete loro una possibilità non ne rimarrete certamente delusi.

Tracklist
1 United Corporations of America
2 Just You and Me
3 Punch Life in the Face
4 Nothing but a Lie
5 Stain of Mind
6 She
7 Pretend
8 Miss Me
9 Take a Bullet Not a Selfie
10 Eleanor Rigby
11 #Socialvangelism

Line-up
Marcus Lance – Vox
Jacob Baptista- drums
Damian Lewin – bass
Patrick Donovan – guitar

TOY CALLED GOD – Facebook

ACOD – The Divine Triumph

La carriera degli ACOD fino a qui era già soddisfacente, ma questo disco è molto al di sopra della media e dovrebbe essere il definitivo trampolino per una formazione musicale che, in questo frangente, ha prodotto davvero una grande uscita, potentissima e molto coinvolgente.

Con un incondizionato assalto black death metal con forti accenni sinfonici, i francesi ACOD puntano tutto sulla notevole potenza di fuoco e su una composizione molto precisa e funzionale.

Il gruppo viene da Marsiglia e si inserisce nel solco della tradizione metal francese che stupisce sempre per la notevole varietà di soluzioni. Qui i generi si fondono e i codici musicali dei sottogeneri vengono usati per arrivare al risultato finale che è notevole. Lo stile potrebbe ricordare quello dei Behemoth di qualche anno fa, ma il loro tiro è maggiore di quello del gruppo polacco in alcuni frangenti. Le orchestrazioni sono composte benissimo dal gruppo e da Richard Fixhead, ex Tantrum. Spesso nel metal le parti orchestrali sono eseguite in maniera tale da risultare avulse dal contesto, o peggio, quasi sgradevoli all’orecchio, ma in questo caso invece sono un ulteriore valorizzazione del lavoro del gruppo e sono quindi molto piacevoli. L’incedere del quarto disco del trio marsigliese è incessante e lascia una scia di sangue dietro di sé, con l’ascoltatore che rimane pienamente soddisfatto da quanto sta ascoltando. La carriera degli ACOD fino a qui era già soddisfacente, ma questo disco è molto al di sopra della media e dovrebbe essere il definitivo trampolino per una formazione musicale che, in questo frangente, ha prodotto davvero una grande uscita, potentissima e molto coinvolgente. Non c’è un secondo di noia o di riempitivo, è tutto furia e devastazione, antiche storie e nuovi demoni, e il gruppo dimostra di possedere un marchio immediatamente riconoscibile, che è forse la cosa più difficile oggi, in ambito metal e non.

Tracklist
01. L’ascension des abysses
02. Omnes Tenebrae
03. Road To Nowhere
04. Broken Eyes
05. Between Worlds
06. Tristis Unda
07. Sanity Falls
08. The Divine Triumph
09. Fleshcell
10. Beyond Depths
11. Sleeping Shores

Line-up
Fred – Vocals
Jerome – Guitars/Bass
Raph – Drums

ACOD – Facebook

R.A.I.V.A. – R.A.I.V.A.

Il disco si inserisce nella tradizione hardcore punk della penisola iberica, ed infatti il gruppo lusitano in qualche passaggio ricorda i Soziedad Alkoholika, con quella chitarra distorta che si accompagna ad una sezione ritmica ben cadenzata e con la voce bella ruvida e potente.

Esordio discografico per questo gruppo hardcore punk dalla sfumature metal che si chiama R.A.I.V.A. e di cui non si sa granché.

Il disco si inserisce nella tradizione hardcore punk della penisola iberica, ed infatti il gruppo lusitano in qualche passaggio ricorda i Soziedad Alkoholika, con quella chitarra distorta che si accompagna ad una sezione ritmica ben cadenzata e con la voce bella ruvida e potente. Le liriche sono di rabbia piena, infatti in portoghese Raiva vuol dire rabbia e qui ce n’è davvero tanta. Il Portogallo è un paese che è stato colpito duramente dalla crisi scatenata da lor signori ma, a differenza dell’Italia e della Grecia, è forse quello che si è ripreso meglio, soprattutto a livello politico, riprendendo a lottare invece di odiare il più debole. Tutto ciò si riflette nella musica e nelle parole del gruppo, che riesce a caricare molto l’ascoltatore, e a proporre una musica dura e con buoni contenuti. Ci sono stacchi, stop and go, sfuriate e momenti di maggiore melodia, e tutto è bene bilanciato con una grande fedeltà alla scuola portoghese, che non lascia molto spazio ai fronzoli e dà molta importanza alla sostanza. Raiva non è forse un disco originale, ma era da tempo che non si ascoltava un qualcosa che va nel passato musicale per attualizzarlo e proporre una nuova formula. Il disco si fa ascoltare molto bene e ha anche dei momenti prettamente metal, ora con un pizzico di Iron Maiden, ora con assoli come i gruppi metal iberici che sono ben bilanciati in questo aspetto. Un lavoro che viene da persone giustamente rabbiose per altre che li sanno ascoltare: musicalmente è una sorpresa e soprattutto non è scontato.

Tracklist
1. O Bom Aluno
2. A Vida é dos Que Acreditam
3. Eu Não Vivo, Eu Sobrevivo
4. Sou o Resultado Desse Mal Profundo
5. Filho da Maldade
6. Partidos & Quebrados
7. Ponham as Cartas na Mesa
8. Medo de Falhar
9. Pago Impostos com a Vida
10. A Revolta do Mundo
11. O Mais FRaco Não Tem Nada
12. Raiva Dessa Raiva
13. O Herdeiro da Parada

Line-up
Ricardo Mendonça – Guitar
Renato Lourenço – Bass
Ricardo Pinto – Drums
Fernando Girão – Vocals

ETHEREAL SOUND WORKS – Facebook

Sherpa – Tigris & Euphrates

Sei brani di post folk rock e psichedelia occulta per la seconda fatica discografica degli abruzzesi Sherpa.

Sei brani di post folk rock e psichedelia occulta per la seconda fatica discografica dei Sherpa.

In origine, con la stessa formazione, gli abruzzesi si chiamavano Edith A.u.f.n. e facevano un folk rock a tinte americane, mentre ora è cambiato tutto. Il primo disco con la nuova denominazione è Tanzlide, che riceve un buon riscontro, e vengono invitati da Crisitna Donà a rifare la sua Tregua in Tregua 1997-2017 Stelle buone, disco per il ventennale dell’uscita. Gli Sherpa colpiscono subito l’ascoltatore con il loro suono mellifluo e minimale, eppure ricchissimo, che parte dal folk per abbracciare il post rock più visionario, riprendendo poi la psichedelia e facendola diventare un soffio occulto che parla la nostro cuore. Ciò che creano i pescaresi è un’atmosfera intima e calda, dove il tempo e lo spazio sono altre cose rispetto a quelli che viviamo normalmente. Come si può evincere dai titoli, la loro poetica abbraccia anche l’occulto, e specialmente per questo disco si è provato a tracciare la parabola dell’evoluzione del linguaggio e di come esso sia servito a cambiare i rapporti umani. Il linguaggio è la prima e forse più grande ricchezza che abbiamo e, nonostante ora sia svilito a favore di altri mezzi, è il respiro che ci porta a creare il nostro mondo, e qui gli Sherpa lo sottolineano molto bene. La produzione di Giuseppe Sericola e Fabio Cardone è adeguata, pulita e cristallina, perché non è un suono facile da catturare; etereo e bilanciato, dionisiaco e lascivo, quello degli Sherpa si adatta sempre molto bene a ciò che vogliono esprimere, per un disco che alle nostre latitudini non si è ascoltato spesso essendo un qualcosa maggiormente appannaggio di gruppi scandinavi o nordici. Un lavoro che cresce a poco nel nostro cervello e trova il suo meritato posto.

Tracklist
1. Kim (((o)))
2. Creatures from Ur
3. Equiseto
4.Abscent to the Mother of Language
5.Overwhelmed
6.Descent of Inanna to the Underworld

Line-up
Matteo Dossena – voce, chitarra, synth, cori-Pierluca Michetti – batteria, percussioni
Axel DiLorenzo – chitarre-drone
Franz Cardone – basso, synth, cori

SHERPA – Facebook

Die Sonne Satans – Metaphora

Ci si perde in questo tempo dilatato, in questi suoni altri, in questo austero tempo che non è il nostro, ed il tutto sarebbe immensamente piaciuto all’inquisitore Eymerich, a parte il monicker ovviamente.

Dopo 25 anni dalla sua uscita torna il disco Metaphora del progetto dark ambient italiano Die Sonne Satans, manovrato dalle tenebre da Paolo Beltrame, deus ex machina del gruppo.

Metaphora era originariamente uscito nel 1993 come metà dello spilt con i Runes Order, per i tipi della mitica Old Europa Cafè, un’etichetta di ambient e industrial che ha tracciato una strada ancora molto futuristica tuttora. Su Die Sonne Satanas non si sa granché, solo che dietro al nom de plume c’è Paolo Beltrame, ma va benissimo così, perché ci sono le sue opere a parlare di e per lui. Il disco ha avuto un ottimo restauro sonoro da parte di Maurizio Pustinaz, il tutto avvallato da Beltrame stesso. L’opera in questione non è prettamente musica, né si avvicina minimamente alla sua concezione tradizionale ma va ben oltre: è un insieme di ambient e di spunti che hanno per oggetto il simbolismo religioso, come se si lavorasse sulla materia religiosa e la si facesse uscire in un’altra maniera. Centrale è il concetto espresso dal breve titolo Metaphora, che in greco significa trasportare oltre, per cui un termine viene usato per significare qualcosa di diverso dalla sua origine. Qui è esattamente così, nel senso che si prende un significato e lo si usa in contesti diversi, facendolo diventare altro. Ciò che stupisce maggiormente in un disco come questo è la capacità di penetrare dentro l’ascoltatore, e come fosse un rito sciamanico portarlo lontano, in un ambiente diverso dal suo. Alcuni stilemi della religione cristiana vengono qui lavorati a tal punto che diventano un qualcosa ora di liquido, ora di monolitico, come se fossero salmi che minimali salgono al cielo accompagnati da droni e loop. Metaphora era un disco gigantesco già all’epoca dell’uscita, in un momento magico per il movimento ambient industrial occultistico italiano. Ascoltare questo album è una vera esperienza sonora, e ognuno ci sentirà ciò che preferisce, non ci sono limitazioni qui od intrattenimento. In quei fantastici anni novanta in Italia si producevano autentiche chicche di questo genere, musica che era ben oltre la musica, poi è arrivata la risacca e si è affievolito tutto, anche se rimane qualcosa. L’etichetta Annapurna di Firenze, una delle migliori in Italia con un catalogo notevolissimo, ci dà la possibilità di ascoltare un disco che è bellissimo e che è meraviglioso nel senso che produce autentica meraviglia e bellezza. Ci si perde in questo tempo dilatato, in questi suoni altri, in questo austero tempo che non è il nostro, ed il tutto sarebbe immensamente piaciuto all’inquisitore Eymerich, a parte il monicker ovviamente.

Tracklist
1.The garden of Hydra
2.Body snatcher
3.Spiritwook (revised)
4.Source
5.Orbis
6.The Venerable
7.Advent
8.Pleurotomaria (revised)
9.Cheopys

ANNAPURNA – Facebook