IX-The Hermit – Present Days, Future Days

Dei IX-The Hermit ne sentiremo ancora parlare, nel frattempo si può ascoltare Present Days, Future Days per farsi un’idea sulle buone potenzialità messe in mostra dal gruppo.

Chi è abituato a frequentare l’underground metallico sa che le sorprese sono sempre dietro l’angolo e diventa quasi un’urgenza scovare nuove realtà, sorprendendosi piacevolmente all’ascolto di demo, ep o primi full length che potrebbero diventare l’inizio di qualcosa d’importante.

Ovviamente, quando si parla di underground si intende quello mondiale, lasciando ad altri antipatici confini da proteggere, per abbracciare ogni impulso musicale che riesca ad emozionare.
In questo caso rimaniamo nel nostro paese per presentare questa ottima nuova band, i IX-The Hermit, fondata da musicisti dal diverso background e con l’intento di creare qualcosa di nuovo ed originale, inglobando in unico sound i diversi generi musicali da cui provengono.
Dopo diversi cambi di line up, la formazione si stabilizza lo scorso anno così che, la band si può concentrare sui sei brani che compongono questo primo lavoro, un ep dal titolo Present Days, Future Days.
Sei buoni motivi per dare un ascolto alla proposta dei IX-The Hermit sono racchiusi nel sound di questo album che parte con Party Animal, titolo dai richiami street metal, ma pesante come un macigno seppur devota ad un hard & heavy che non manca di potenza e groove.
Ma già dal secondo brano la band lascia le strade dirette e hard rock del brano di apertura per salire su per tornanti progressivi, alternati da ripartenze pesanti come nella decisa You’re Not Worth e nel crescendo di Boston.
Buona tecnica unita ad una non facile catalogazione, fanno di Your Pain e soprattutto della conclusiva The Hermit, brani che uniscono metal estremo, sfumature alternative ed atmosfere progressive.
Dei IX-The Hermit ne sentiremo ancora parlare, nel frattempo si può ascoltare Present Days, Future Days per farsi un’idea sulle buone potenzialità messe in mostra dal gruppo.
Tracklist
1.Party Animals
2.Beyond All My Days
3.You’Re Not Worth
4.Boston
5.Your Pain
6.The Hermit

Line-up
Fabrizio Vindigni – Vocals
Fabrizio Miceli – Guitars
Luigi Gabriele – Guitars
Matteo De Franco – Bass
Giacomo Marsiglia – Drums

IX THE HERMIT – Facebook

Alexandra Zerner – Opus 1880

Opus 1880 si rivela un lavoro monumentale, consigliato agli amanti delle opere di Lucassen e agli ascoltatori del metal/rock progressivo.

Alexandra Zerner è una chitarrista e polistrumentista di origine bulgara, e questo mastodontica opera progressiva dal titolo Opus 1880 è il suo terzo album di una carriera solista iniziata nel quattro anni fa con il debutto 9 Stories e proseguita con il successivo Aspects.

Conosciuta e rispettata nell’ambiente shred, la Zerner ha collaborato ad una miriade di progetti prima di dedicarsi alla sua musica che arriva con questo lavoro alla consacrazione.
Due ore di musica divisa in due cd seguendo la storia di una donna in cerca dell’amore, un lungo viaggio in una linea temporale parallela iniziato appunto nel 1880.
Sci-Fi e prog metal non sono una novità essendo un connubio già sviluppato ampiamente da Arjen Anthony Lucassen con il suo progetto Ayreon, al quale la musicista di Sofia si ispira non poco, anche se le tante sinfonie orchestrali negli album del folletto olandese sono sostituite dai momenti in cui la chitarra prende il sopravvento e ci investe con parti strumentali dalla tecnica sopraffina.
Considerare Opus 1880 il classico album del talentuoso musicista di turno risulta però una colossale cantonata: i brani, nelle due lunghe ore di musica, si fregiano di splendide aperture progressive, atmosfere pregne di melodie e di raffinato metallo, per cui l’ascolto è consigliato soprattutto agli amanti dei suoni progressivi.
L’enorme mole di musica prodotta dalla Zerner merita sicuramente di non passare inosservata, essendo per di più valorizzata da una manciata di ospiti che aiutano la chitarrista in questa nuova e splendida avventura.
Sul primo cd una menzione particolare la meritano le bellissime Quest Of Light e Pinch Of Time, mentre passando al secondo supporto è The Other Side Of The Sky Part 2 a deliziarci con melodie progressive di stampo settantiano.
Opus 1880 si rivela un lavoro monumentale, consigliato agli amanti delle opere di Lucassen e agli ascoltatori del metal/rock progressivo.

Tracklist
Disc 1
1.Overture
2.Chaos of Cards
3.The Oracle
4.Mirrors
5.Quest of Light
6.The Sound of Dreaming
7.Questions
8.Letter to Nowhere
9.Diamind
10.Pinch of Time
11.The Missed Dance

Disc 2
1.Desaturation Point
2.Master of Lightning
3.The Other Side of the Sky, Pt. 1
4.Unfairlytale
5.Cumulonimbi
6.Dolphins
7.Electric Kisses
8.Sensosphere
9.Five Gardens
10.The Other Side of the Sky, Pt. 2
11.Youtopia

Line-up
Alexandra Zerner – Guitars, Bass, Keyboards, Mandolin, Drum programming

ALEXANDRA ZERNER – Facebook

Baro Prog-jets – Lucillo & Giada e Topic Würlenio

Per coloro che amano il prog più classico, contaminato di atmosfere anni Ottanta. L’opportunità di riscoprire i primi passi di un eccellente artista.

Baro è il nome d’arte di Alberto Molesini, bassista, cantante, songwriter e polistrumentista che, alla fine degli anni Settanta, fondò i Sintesi: un interessante tentativo di unire la tradizione prog inglese (Yes e King Crimson in primis) e il pop sinfonico italiano di PFM e Orme.

Nel 1980 fu realizzato al fine di alimentare il repertorio dal vivo del gruppo il concept in più atti Lucillo e Giada, una sorta di ambiziosa opera rock. Tre anni dopo fu la volta di Topic Wurlenio, altra raccolta di materiale live da proporre in concerto. Per il prog non erano, lo si rammenti, anni facili, né da noi, né all’estero. Dopo l’apparizione su una compilation di Radio Studio 24, il progetto entrò in stand-by. Molesini, durante gli anni Novanta, collaborò con gli Hydra e col duo pop metal degli Elam. Nel nuovo millennio, con l’aiuto delle nuove tecnologie, uscì quindi Utopie. Dal 2004 Molesini suona con i Marygold, ottima band progressive di casa nostra, responsabile dell’ottimo One Light Year (2017). Tuttavia, la voglia di concretare i progetti giovanili non deve essersi nel nostro mai spenta: ecco quindi spiegato Baro Prog-jets, un lavoro di rispettoso ricupero del periodo 1980-83, con nuovi apporti ed arrangiamenti. Ci è così possibile ascoltare oggi quei due primi lavori di Baro: un prog rock tradizionale, pieno di idee e di spunti originali. Molti i temi musicali che si intrecciano in Lucillo e Giada. Topic Wurlenio venne scritto in piena epoca new wave e ne conserva giustamente le influenze, un po’ nello stile dei primi Twelfth Night. In definitiva, due bellissimi lavori, che vedono ora finalmente la luce su doppio CD, non senza rimandi anche a BMS e Osanna.

Track list
Lucillo & Giada
1- Scena I
2- Scena II
3- Scena III
4- Scena IV

Topic Würlenio
1- Intro
2- Tracce di un’avventura
3- Ach the Stomach Contraction
4- Dialogo
5- Chiare gocce di pioggia
6- Attesa
7- Topis Wurlenio
8- Variazioni
9- Mosaico d’uomo

Line up
Baro – Vocals / Bass / Guitars / Keyboards
Elena Cipriani – Vocals
Gigi Murari – Drums
Paolo Zanella – Piano
Massimo Basaglia / Titta Donato / Nicola Rotta – Guitars

BARO – Facebook

Steve Hackett – At The Edge Of Light

At The Edge Of Light è probabilmente uno dei migliori album di Hackett da diversi anni a questa parte in virtù di un tocco chitarristico non solo unico, come sempre, ma anche ispirato e capace di evocare in maniera costante quelle emozioni che ogni ascoltatore ricerca.

Non c’è dubbio che tra gli eroi dell’epopea prog settantiana Steve Hackett sia oggi uno dei più amati, non solo per ciò che ha rappresentato ma anche e soprattutto perché è rimasto uno dei pochi che continua ed essere in piena attività, non limitandosi a portare in giro per il modo le immortali sonorità dei Genesis ma offrendo anche con una certa regolarità nuovi album, sempre di ottimo livello e contraddistinti da una classe innata.

Non fa eccezione questo ultimo At The Edge Of Light, quello che viene considerato ufficialmente il venticinquesimo full length di inediti della serie, che anzi è probabilmente uno dei migliori da diversi anni a questa parte in virtù di un tocco chitarristico non solo unico, come sempre, ma anche ispirato e capace di evocare in maniera costante quelle emozioni che ogni ascoltatore ricerca.
Infatti Steve, pur non rinunciando alle parti cantate, delle quali si occupa in prima persona, almeno per quanto riguarda la voce maschile, si lascia andare senza particolari remore ad una serie di brani in cui vengono spesso rievocati i fatti del passato asservendo le composizioni allo strumento principe e sfruttando, come sempre, la tecnica sopraffina dei  compagni di viaggio di turno.
Non mancano neppure qui, in ogni caso, quegli accenni etnici alla cui fascinazione Hackett non si sottrae, esibendoli specialmente in un brano come Shadow And Flame, ai quali vengono in altri frangenti associate sfumature tra il gospel ed il country/blues che vengono racchiuse in Underground Railroad, a dimostrazione di quanto questo magnifico musicista non rinunci a ricercare diverse soluzioni espressive, nonostante un’età ed uno status che gli potrebbero consentire di viaggiare agevolmente con il pilota automatico inserito, all’interno del genere che ha contribuito a portare al successo.
La musica per questo grande artista è anche il veicolo ideale per diffondere un messaggio di pace e fratellanza, un qualcosa del quale mai come di questi tempi si sente un forte bisogno, specialmente quando giunge da una voce così autorevole e, in effetti, nelle sonorità contenute in At The Edge Of Light non è difficile cogliere un senso di ecumenismo che va oltre i già citati richiami etnici.
Non è quindi solo un sentore nostalgico quello che spinge a farsi cullare senza troppe remore dal tocco unico di Steve, messo al servizio di brani più lineari e sognanti come Hungry Years (con la voce di Amanda Lehmann) oppure dall’incedere solenne di Descent (nella quale si colgono accenni dell’intro di Watcher Of The Sky), o da quello più drammatico di Conflict, che va a formare con quella precedente una magistrale coppia di tracce strumentali.
Se a questo quadro aggiungiamo altre canzoni splendide come Beasts In Our Time, Under The Eye of the Sun (brano che sembra quasi omaggiare gli Yes, e conseguentemente l’amico scomparso Chris Squire) e Those Golden Wings, a livello di consuntivo non resta altro che ringraziare il chitarrista inglese per averci donato ancora un’altra prova del suo smisurato talento artistico, e pazienza se poi, durante la sua incessante attività dal vivo, il nostro alla fine cede alla tentazione di offrire al pubblico ciò che più vuole ascoltare, ovvero i cavalli di battaglia dei Genesis: le leggende si possono solo amare, e per quanto mi concerne la libertà di critica in casi simili andrebbe abolita per decreto …

Tracklist:
1 Fallen Walls and Pedestals
2 Beasts In Our Time
3 Under The Eye of the Sun
4 Underground Railroad
5 Those Golden Wings
6 Shadow and Flame
7 Hungry Years
8 Descent
9 Conflict
10 Peace

Line-up:
Steve Hackett – chitarre elettriche e acustiche, dobro, basso, armonica, voce
Gulli Briem – batteria, percussioni
Dick Driver – contrabbasso
Benedict Fenner – tastiere e programmazione
John Hackett – flauto
Roger King – tastiere, programmazione e arrangiamenti orchestrali
Amanda Lehmann – voce
Durga McBroom – voce
Lorelei McBroom – voce
Malik Mansurov – tar
Sheema Mukherjee – sitar
Gary O’Toole – batteria
Simon Phillips – batteria
Jonas Reingold – basso
Paul Stillwell – didgeridoo
Christine Townsend – violino, viola
Rob Townsend – sax tenore, flauto, duduk, clarinetto
Nick D’Virgilio – batteria

STEVE HACKETT – Facebook

Gandalf’s Owl – Who’s The Dreamer?

Con questa prova il musicista siciliano dà riprova del suo eclettismo, dote assolutamente dai connotati positivi ma che in futuro andrebbe maggiormente incanalata per evitare di disperdere in qualche rivolo di troppo un sound decisamente pregevole.

Dopo l’esordio di qualche anno fa ritroviamo Gandolfo Ferro, vocalist degli Heimdall, alle prese con il suo progetto solista Gandalf’s Owl.

Rispetto a quell’ep, dal quale vengono riprese comunque due tracce (Winterfell e White Arbour (…The North Remembers), c’è di sicuro un elemento nuovo che è l’utilizzo della voce in alcuni brani, cosa in effetti desueta per opere di matrice ambient. Ferro ovviamente non utilizza per lo più i toni stentorei esibiti in ambito power (fa parzialmente eccezione solo A Dwarf In The Lodge Pt2) ma offre uno stile più soffuso ed adeguato al contesto.
Il lavoro oscilla tra tracce ambient tout court ai confini del rumorismo (Garmonbozia) o altre che evocano scenari naturalistici, tra voli di gabbiani e sciabordio delle onde (White Arbour), ed episodi in cui si evince un’anima più spiccatamente prog, grazie soprattutto ad un elegante e gilmouriano lavoro chitarristico senza che vengano tralasciate incursioni elettroniche.
Discorso a parte merita la cover del capolavoro de Le Orme, Il Vento, La Notte, Il Cielo, molto ben eseguita e a mio avviso opportunamente arrangiata in modo da non apparire pedissequamente uguale all’originale, a rimarcare l’impronta progressive fornita al disco in più frangenti.
Spingendosi su una distanza più probante, Ferro lascia fluire in manie ancor più libera la propria naturale ispirazione e questo lo porta talvolta a sconfinare, nel senso che arrivati al termine di un album comunque decisamente ben riuscito, non si capisce però se sia ascoltato un lavoro di matrice ambient dalla spiccata indole progressive, o viceversa; ammesso che tutto ciò sia un difetto, resta il fatto che l’unico problema di Who’s The Dreamer? È la sua difficile catalogazione anche se, considerando il comune bacino di utenza a cui il lavoro è rivolto, tutto sommato i suoi contenuti dovrebbero mettere d’accordo più persone.
Con questa prova il musicista siciliano dà riprova del suo eclettismo, dote assolutamente dai connotati positivi ma che in futuro, a mio avviso, andrebbe maggiormente incanalata per evitare di disperdere in qualche rivolo di troppo un sound decisamente pregevole.

Tracklist:
1. Winterfell
2. A Dwarf In The Lodge Pt1
3. A Dwarf In The Lodge Pt2
4. Garmonbozia
5. Between Two Worlds
6. White Arbour (…The North Remembers)
7. Sunset By The Moon
8. Coming Home
9. Il Vento, La Notte, Il Cielo (cover LE ORME)

Line Up:
Gandolfo Ferro: all instruments
Guests:
Gaetano Fontanazza:
Guitar Ambient, Keys & Tibetan Bells on tracks 1-2-3-7
Tony Colina: Keys & Organs on tracks 5-7-9

GANDALF’S OWL – Facebook

 

Ring Van Moebius – Past the Evening Sun

Dark prog vandergraafiano per questo terzetto norvegese, che dimostra una volta di più quanto resti particolare e creativo l’approccio musicale di chi viene da Nord.

Tra gli dei immortali del progressive, i Van den Graaf Generator sono stati sempre i meno imitati (al riguardo ci vengono in mente, di primo acchito, giusto gli Islands svizzeri, i Netherworld americani, i TNR ed Egoband italiani, gli Uberfall tedeschi).

Del resto, non è mai stato, né è, facile accostarsi alla sepolcrale energia della creatura di Peter Hammill. Ci riescono, oggi, questi norvegesi Ring Van Moebius, amici dei connazionali e crimsoniani Arabs in Aspic, trio (con la fondamentale aggiunta di un sassofonista, davvero molto alla David Jackson) che rinuncia intenzionalmente alla chitarra, per esplorare, con tastiere-basso-batteria, atmosfere nel medesimo tempo melodiche e oscure, pregne di umori nordici e brumosi, non privi comunque di un certo calore, o quantomeno della ricerca di esso attraverso la ricerca compositiva. Con i tre brani di questo lavoro – la suite di 22 minuti che apre il disco, un più conciso interludio ed un’altra mini-suite a chiudere l’album (ad ogni modo, di quasi 12 minuti) – siamo a livelli assai alti: tanta magia si spigiona da questi solchi, pieni di fantasia, di belle aperture ed accelerazioni, con uno sviluppo interno della trama sonora che non perde mai di vista il suo filo logico e la coerente identità artistica di questi tre hippies, innamorati di suggestioni a tratti lovecraftiane. Molto bella anche la copertina che riecheggia Can e Harmonia.

Track list
1- Past the Evening Sun
2- End of Greatness
3- Racing the Horizon

Line up
Thor Erik Helgesen – Vocals / Keyboards / Moog / MS20
Havard Rasmussen – Bass / Effects
Dag Olav Husas – Drums / Effects
Karl Christian Gronhaug – Sax

RING VAN MOEBIUS- Facebook

Luciano Onetti – Sonno profondo / Francesca

Fantastico lavoro di dark prog cinematografico, per chi ama le colonne sonore di film gialli, thriller e horror vecchia scuola.

I Tangerine Dream nel 1977, naturalmente i Goblin (per Dario Argento, e non solo), più di recente l’americano Steve Moore, degli Zombi: tutti nomi grandi ed importanti, nell’universo delle colonne sonore per pellicole dell’orrore e dintorni.

La genovese Black Widow, da sempre attentissima a tale nesso, strettamente instauratosi sin dagli anni Settanta, tra musica e cinema, pubblica ora due lavori di Luciano Onetti, insieme regista e musicista: Sonno profondo e Francesca sono, infatti, due film indipendenti, scritti e diretti da Onetti. Le locandine, che vanno a comporre la grafica dei dischi – nel CD li troviamo abbinati – poggiano in maniera intenzionale su una grafica che pare direttamente uscire dalla prima metà degli anni Settanta italiani. Spirito underground, amore per le tinte forti nel dominio giallo-horror (prima che si iniziasse a parlare di thriller movies), suoni analogici, melodie e ritmi serrati: tutto questo accompagna l’immagine in movimento. E tutto questo si ritrova nei pezzi di queste due soundtracks: barocchi ed eleganti, progressivi e oscuri, senza mai perdere di vista quel che è e deve essere l’impatto rock di fondo. Efficacissimo, in merito, l’interplay chitarra-tastiere, con Korg PA600 e Yamaha psr s710 sugli scudi. Luciano Onetti, come John Carpenter, è dunque autore completo: compone in funzione dell’immagine e quest’ultima, a sua volta, trae linfa e forza – come ci ha insegnato l’immenso Ennio Morricone, sin dalle sue colonne sonore per le prime tre pellicole di Dario Argento (1970-1971) – dal contributo musicale stesso. Che è, in questo senso, apporto; non soltanto mero supporto. D’altra parte, come diceva Gilles Deleuze, la musica è suono in movimento e il cinema immagine in movimento. Con Onetti l’interscambio tra i due è fortissimo, con opportuni tocchi gotici ed elettronici, sempre e comunque di ascendenza Seventies (leggasi al riguardo Fabio Frizzi, altro maestro). Grandiosamente inquietante: una autentica sinfonia nera, magistrale pure nei suoni, sovente sperimentali e talvolta spaziali.

Tracklist
1- Mamma
2- Nel profondo
3- Sonno profondo
4- Nero
5- Assassino
6- Soddisfazione
7- Ricordare
8- Finale
9- Francesca
10- La bambola di Francesca
11- Caronte senza tregua
12- Inferno 8
13- Motus Tenebrae
14- Demonio guardiano
15- Una moneta sugli occhi
16- Canto III
17- Guanti rossi
18- Canto dell’Inferno
19- Jazz psicopatico
20- Paolo e Francesca
21- Canto V
22- Città dolente

Line up
Luciano Onetti – Guitars / Bass / Drums / Electronic Drums / Keyboards / Synthesizers / Effects / Piano

LUCIANO ONETTI – Facebook

Paolo Siani & Nuova Idea – The Leprechaun’s Pot of Gold

Nuovo capitolo della intrigante collaborazione di Paolo Siani con i Nuova Idea, nomi veramente storici del nostro prog.

Dopo il disco Castles, Wings, Stories and Dream (2010), il Live Anthology (2010) su DVD e Faces With No Traces (2016, con ex membri dei Prodigy) tornano a incidere Paolo Siani e i Nuova Idea, al terzo capitolo della trilogia The Leprechaun’s Pot of Gold.

Si tratta di otto magnifici pezzi, con – in più – la registrazione di una storica esibizione dal vivo presso la Rai nel 1971: un vero documento d’epoca. Le atmosfere di questo nuovo album si muovono nel solco del pro tradizionale, con tocchi di stampo blues e inflessioni floydiane, con in aggiunta belle liriche di taglio esistenziale. Le tracce sono assai incisive, malgrado una solo apparente morbidezza. Chi ama il calore delle produzioni di impronta vintage rimarrà di certo conquistato da questo lavoro, moderatamente sinfonico e ricco di ospiti di pregio. Tra questi, segnaliamo almeno Martin Grice al sax ed al flauto, Giorgio Usai alle tastiere, Roberto Tiranti e Guido Guglielminetti al basso e Marco Biggi alla batteria. La presenza di uno strumento come il theremin dona poi un tocco volutamente ‘antico’ a tutto il lavoro, già di per sé impregnato di atmosfere old fashioned. Il livello delle composizioni, assai omogenee, è assai alto e su tutte forse si staglia il decadentismo sonoro del pezzo dedicato a Georges Brummel, tra i padri del dandismo (come ebbe a rimarcare già il grande Barbey d’Aurevilly).

Tracklist
1- Standing Alone I / II
2- Inflate Your Veins
3- The Leprechaun’s Pot of Gold
4- Statue of Wax
5- Lord Brummel
6- Walking on the Limit
7- Time to Play
8- We’re Going Wrong

Line up
Paolo Siani / Marco Biggi – Drums
Anthony Brosco / Paul Gordon Manners – Vocals
Roberto Tiranti / Guido Guglielminetti – Bass
Martin Grice – Reeds
Ivana Gatti – Theremin
Nick Carraro – Guitars
Giorgio Usai – Hammond Organ
Giangiusto Mattiucci – Fender Rhodes

PAOLO SIANI – Facebook

https://www.facebook.com/malaproduction87/videos/paolo-siani-feat-nuova-idea-three-things-official-video/1032381440155444/

Macchina Pneumatica – Riflessi e Maschere

Potente e fantasioso debutto di questo gruppo di fede gobliniana, bravo a comporre e a suonare.

Quella delle macchine pneumatiche è una lunghissima tradizione tecnico-scientifica, la cui storia va dall’età ellenistica di Erone d’Alessandria sino all’Inghilterra newtoniana di inizio ‘700.

In musica, il nome è quello scelto da questo gruppo esordiente. Il loro Riflessi e Maschere, forte di sei eccellenti composizioni (tutte tra i sei ed i dieci minuti), propone un entusiasmante e fresco rock progressivo, molto dinamico e dal taglio quasi cinematografico (certi passaggi sono davvero da colonna sonora), con belle inflessioni di natura a tratti fusion ed una componente più heavy che interviene in maniera più che opportuna, qua e là, per metallizzare le atmosfere sapientemente costruite dai quattro. Quello che ne emerge è, pertanto, un paesaggio sonoro a più voci, non privo di un’oscurità concettuale, che ci può non a torto riportare alla mente i primi Goblin. Del resto, le scelte timbriche sono abbastanza e piacevolmente settantiane. Veramente un bel debutto, da ascoltare e riascoltare per apprezzarne al meglio ogni rilucente sfaccettatura, non esente da tocchi space rock grazie all’utilizzazione dei synth e delle tastiere.

Tracklist
1 Gli abitanti del pianeta
2 Quadrato
3 Come me
4 Avvoltoi
5 Sopravvivo per me
6 Macchina pneumatica

Line up
Raffaele Gigliotti – Vocals / Guitars
Carlo Giustiniani – Bass
Vincenzo Vitagliano – Drums
Carlo Fiore – Keyboards / Synth

MACCHINA PNEUMATICA – Facebook

Semiramis – Frazz Live

Grande ritorno da parte di una band storica del nostro progressive rock, ancora una volta Dedicato a Frazz.

Nel lontano ma glorioso 1973, i Semiramis – giovanissimo quintetto romano, capitanato dai fratelli Zarrillo (Michele chitarra e voce, Maurizio tastiere) – pubblicarono per la Trident quello che rimane uno dei migliori dischi del nostro progressive rock.

Un esordio allora assai promettente, che, purtroppo, non ebbe mai un seguito. Oggi, tre quinti della formazione originale, coadiuvati da altri 4 musicisti, rispolverano il nome Semiramis e tornano a calcare i palcoscenici con un ottimo live, uscito solo un anno fa solo du DVD ed oggi ristampato da Black Widow, in doppio formato CD+DVD. Si tratta di una splendida performance, tenuta a LaClaque di Genova il 22 aprile 2017. I Semiramis riannodano con eleganza e maestria i fili con il proprio passato, riproponendo con efficacia i classici – tali sono, ormai – del loro album di debutto. Possiamo pertanto riapprezzare interessanti intrecci strumentali e trascinanti dialoghi fra chitarra e tastiere, con liriche davvero suggestive e pregevoli. La bottega del rigattiere, Luna Park e Zoo di vetro, in particolare, risplendono ancora in tutta la loro bellezza, con intensi assoli ed aperture prog a trama concept – non senza, quindi, la giusta dose di enfasi teatrale – omogenei e privi di qualsivoglia punto debole. Lo stesso vale per gli altri pezzi, eseguiti in maniera tanto ottima quanto convincente. Il live è dedicato alla memoria di Maurizio Zarrillo, che purtroppo ci ha nel frattempo lasciati.

Track list
1 Quattro fili
2 La bottega del rigattiere
3 Fragile involucro
4 Luna Park
5 Ombre di ritorno
6 Zoo di vetro
7 Foglio bianco
8 Per una strada affollata
9 Il silenzio e i bambini
10 Dietro una porta di carta
11 La verità non serve
12 Frazz
13 Circo Universo
14 Clown
15 La fine non esiste
16 Morire per guarire
17 Mille universi

Line up
Pino Amato – Piano / Synth / Programming
Maurizio Zarrillo – Keyboards / Eminent / Synthesizer
Vito Ardito – Lead Vocals / Acoustic Guitar
Giampiero Artegiani – Guitars
Antonio Trapani – Guitars
Ivo Mileto – Bass
Paolo Faenza – Drums

SEMIRAMIS – Facebook

London Underground – Four

Ottimo ritorno della space prog band italiana, sempre abilissima nel riportarci sul finire degli anni Sessanta, quando tutto o quasi cominciò.

Sottobosco londinese. Con questo nome – da oltre vent’anni, oramai – il gruppo fiorentino è di certo tra i protagonisti di quel retrorock – come oggi lo si chiama, con un termine forse non felice – che si rivolge alla grande tradizione analogica, vintage e valvolare del progressive britannico di fine anni Sessanta e primissimi Settanta (Traffic, Pink Floyd, Argent e Atomic Rooster), accentuandone, sotto tutti i punti di vista, la componente spaziale e psichedelica.

Caldo ed avvolgente, il loro sound resta inconfondibile e, se i tardi Sixties – con tutto quanto ciò comporta, anche a livello lirico, visuale ed iconografico – sono da un po’ di tempo tornati in auge, lo dobbiamo certamente anche e soprattutto ai London Underground, tra i primi in assoluto (il loro esordio data, infatti, 2000) a far sì che il prog sia opportunamente ritornato sui propri passi. Questo quarto lavoro della band di Firenze, che segue a otto anni di distanza il predecessore, Honey Drops, conferma tutto quanto di buono fatto sin a oggi dai London Underground. Anzi, Four è con tutta probabilità il loro capolavoro, l’opera della piena e felicemente raggiunta maturità artistico-musicale. Le dieci tracce di questo nuovo lavoro sono assai liquide e compatte, nel medesimo tempo, ispirate ad astronomia e astrologia, con la lunga e cosmica improvvisazione di jam che supera abbondantemente i sette minuti. Un vero manifesto di pensiero e di integrità esecutiva. Il fatto che chitarra, viola (vagamente alla Velvet Underground) e sax (molto vandergraafiano) siano strumenti suonati da ospiti rafforza poi un’identità di trio per tastiera, basso e batteria che tanto ha dato alla musica progressiva inglese durante la sua golden age.

Track list
1 Billy Silver
2 Ray Ban
3 At Home
4 The Comete
5 What I Say
6 Three Men Job
7 Tropic of Capricorn
8 Jam
9 Mercy Mercy Mercy
10 Bumpin’ on Sunset

Line up
Gianluca Gerlini – Keyboards / Piano / Mellotron / Moog
Alessandro Gimignani – Drums
Stefano Gabbiani – Bass

LONDON UNDERGROUND – Facebook

Mind’s Doors – The Edge Of The World

The Edge Of The World risulta un lavoro molto ispirato, il quintetto mostra le varie anime e personalità che compongono la propria visione di musica progressiva, in un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture di quel progressive che nel nuovo millennio sta trovando una buona fetta di ammiratori.

Le nuove leve del progressive rock stanno regalando grosse soddisfazioni agli amanti del genere, specialmente a chi ha tagliato il cordone ombelicale che lo teneva legato alla mentalità conservatrice che attanaglia molti fans del genere e ha liberato la voglia di nuova musica, senza dimenticare ovviamente chi di queste sonorità ha fatto la storia.

Dalla Scandinavia, passando per l’Europa ed attraversando oceani e catene montuose per arrivare in tutto il mondo, la musica progressiva ha trovato nuova linfa in quelle band che stanno contribuendo con la loro freschezza e talento a riportare all’attenzione degli ascoltatori il genere, amalgamando con sagacia il progressive tradizionale con la sua anima metallica e quella più moderna.
Esempio di questa riuscita commistione di atmosfere è il bellissimo lavoro intitolato The Edge Of The World, il secondo per i Mind’s Doors, band spagnola proveniente da Alicante e fresca di firma con la Wormholedeath.
L’album é stato registrato e mixato da Wahoomi Corvi and Cristian Coruzzi al Realsound Studios di Parma, mentre il master é stato completato da Mika Jussila agli storici Finnvox di Helsinki, tanto per chiarire che siamo al cospetto di un’opera con tutte le carte in regola per far innamorare i progsters di tutto il mondo.
The Edge Of The World risulta infatti un lavoro molto ispirato: il quintetto mostra le varie anime e personalità che ne compongono la visione di musica progressiva, con un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture progressive.
Tra gli otto brani medio-lunghi le due suite che aprono e chiudono l’album (A Warm Nest e la title track) rappresentano i momenti più intensi di una tracklist di altissima qualità, fatta di piccoli gioielli compositivi in cui la parte strumentale la fa da padrone e che hanno nei Dream Theater, così come negli Haken, nei Rush e nei Leprous, una parte delle tante anime musicali che compongono questo bellissimo ed imperdibile The Edge Of The World.

Tracklist
1. A Warm Nest
2. Hollow Days
3. Koma
4. Sweet Dreams
5. The Light
6. Endless Nights
7. Victoria
8. The Edge of the World

Line-up
César Alcaraz Argüeso
Eloy Romero Esteve
Alberto Abeledo Sánchez
Marcos Beviá Cantó
Jose Francisco Bernabeu Briones

MIND’S DOORS – Facebook

Fabio Gremo – Don’t Be Scared of Trying

Lavoro d’esordio del musicista che si è fatto brillantemente conoscere con Il Tempio delle Clessidre.

Una delle anime del Tempio delle Clessidre, parafrasando il bel titolo di questo disco, non si perita di osare: Don’t Be Scared of Trying è infatti il disco solista del nostro Fabio Gremo, che qui, oltre a cantare, suona chitarra classica, basso ed altri strumenti, accompagnato da vari amici e musicisti in veste di ospiti (al piano, alle percussioni, agli archi e fiati, al mellotron, alla steel guitar).

Fabio, dal suo gruppo-madre, si porta dietro per questa riuscita avventura un po’ dei toni foschi e scuri che han fatto grande il Tempio e contribuito alla sua edificazione: malinconia, atmosfere brumose, sapore di maestosa decadenza (realmente ben orchestrata da queste dieci composizioni), umori ancestrali. In altre parole, l’ascendenza dark prog non si dissolve di certo. Tuttavia, abbiamo anche altri elementi: sound talora più rarefatti, intimismo canoro, ricerca di introspezione musicale, echi cantautorali ed a tratti quasi folk (reso palese dall’uso delle parti acustiche), un sobrio e misurato classicismo. Quello che ne viene fuori è quindi, in definitiva, l’autoritratto di un artista a tutto tondo, dei suoi umori ed amori musicali. Una silloge di belle canzoni, sfuggenti e presenti insieme.

Tracklist
1 Breeze
2 Over the Rainbow
3 By the Fire
4 Dance of Hope
5 Ballad of the Good Ones
6 Hypersailor
7 Lullabite
8 Odd Boy
9 Don’t Be Scared of Trying

FABIO GREMO – Facebook

Paola Tagliaferro – Fabulae

Un delicato e poetico affresco di prog cantautorale ed esoterico. Per palati fini.

Quando l’esoterismo si fa canzone. E voce. Immaginate una versione femminile di Greg Lake (King Crimson era), alle prese con un repertorio fortemente impregnato di (piuttosto che ispirato da) temi di carattere ermetico-esoterico.

Potrete così avere forse un’idea di questo bellissimo disco realizzato da Paola Tagliaferro, songwriter colta e raffinata, autrice di una proposta di cantautorato prog molto evocativo ed affascinante. Undici brani, una stupenda confezione a libro apribile, liriche suggestive, arrangiamenti sopraffini, ottimi musicisti coinvolti in questo progetto solista, suoni tersi. Fabulae è tutto questo: una superba messa in musica di tematiche che attingono al mito ed alla tradizione, alla alchimia ed al taoismo, al paganesimo e all’animismo rinascimentale, allo sciamanesimo ed alle più antiche leggende del folclore, non solo italico. Paola Tagliaferro è una poetessa del pentagramma e la sua un’opera di pregio. Forse non per tutti, ma – per lo meno in questi casi – proprio qui riposa un indubbio punto di forza (espressiva come poche volte davvero accade) di Fabulae. Bellissima poi la riproposizione di Moonchild, che Fripp, Sinfield, Mc Donald e Giles inserirono nello storico debut del Re Cremisi ispirandosi al romanzo omonimo di Aleister Crowley. Partecipa Bernardo Lanzetti e, in qualità di ingegnere del suono, Pier Gonella. Altre garanzie di assoluta qualità.

Tracklist
1 The Awakening of She-Wolf
2 The Bluebeard’s Room
3 White Goddess
4 Bird Maiden
5 The Swan Can’t Be a Duck
6 The Shaman’s Drum
7 The Soul’s Skin
8 The Day of the Moon
9 Algorithm
10 Mrs Yin and Mr Yang
11 The Alchemists
12 Moonchild
13 To Absent Friends

Line up
Paola Tagliaferro – Vocals
Pier Gonella – Guitars
Bernardo Lanzetti – Guest Male Vocals

PAOLA TAGLIAFERRO – Facebook

Phlebotomized – Deformation Of Humanity .

Non sappiamo quale sia stata la molla che ha spinto Tom Palms a tornare sul mercato con questo leggendario monicker, resta il fatto che ascoltare musica di questo livello è sempre un piacere, quindi mai come in questo caso deve essere accolto un rientro sulla scena dopo oltre vent’anni come quello dei geniali Phlebotomized.

Nessuno avrebbe scommesso in un ritorno dei seminali Phlebotomized, band che dalla notevole scena olandese di primi anni novanta arrivò alle orecchie di chi allora, come oggi, non si accontentava dei soliti ascolti, ma si inoltrava in un underground metallico in grado anche in quegli anni di regalare gruppi e opere sopra la media.

I Phlebotomized, con il primo album intitolato Immense Intense Suspence, andarono oltre quello che si suonava allora con un sound geniale, di difficile catalogazione e sorprendentemente avanti rispetto a quello che si aveva modo di ascoltare nel metal estremo.
Doom, progressive, brutal, melodic, symphonic death: Immense Intense Suspence era tutto questo e anche di più, difficile da capire, ma tremendamente affascinante così come Skycontact, secondo ed ultimo lavoro targato 1997 che sterzava leggermente verso un’atmosfera psichedelica risultando comunque un’altra gemma musicale di valore inestimabile.
Il chitarrista Tom Palms, unico superstite della formazione originale, torna con altri musicisti a rinverdire i fasti di quei due storici album con Deformation Of Humanity, nuovo lavoro licenziato dalla Hammerheart Records che rompe un silenzio durato ben ventuno anni,.
Di musica sotto i ponti ne è passata tanta, il death metal progressivo non fa più notizia, così come le band che al metal estremo abbinano altri suoni e sfumature, ma la qualità di questo nuovo lavoro è talmente alta che cancella in un sol colpo non solo gli anni trascorsi ma un gran numero di colleghi dediti al genere, lontani dal geniale songwriting del nuovo Phlebotomized.
Tra le splendide note di capolavori come Chambre Ardente, Descende To Deviance, Proclamation of a Terrified “Breed” e la title track si trovano in perfetto equilibrio tutti i generi estremi, dal più melodico, al più brutale, in perfetta armonia tra cambi repentini di sound ed atmosfere ancora oggi difficilmente eguagliabili.
Non sappiamo quale sia stata la molla che ha spinto Tom Palms a tornare sul mercato con questo leggendario monicker, resta il fatto che ascoltare musica di questo livello è sempre un piacere, quindi mai come in questo caso deve essere accolto un rientro sulla scena dopo oltre vent’anni come quello dei geniali Phlebotomized.

Tracklist
1. Premonition (Impending Doom)
2. Chambre Ardente
3. Descend To Deviance
4. Eyes On The Prize
5. Desideratum
6. My Dear …
7. Proclamation Of A Terrified “Breed”
8. Until The End
9. Deformation Of Humanity
10. Until The End Reprise
11. Ataraxia II

Line-up
Rob Op `t Veld – Synths
Dennis Bolderman – Guitar
Tom Palms – Lead Guitar
Ben de Graaff – Vocals
Alex Schollema – Drums
André de Heus – Bass guitar

PHLEBOTOMIZED – Facebook

600000 Mountains – Mister Sartorius

Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog.

Dal fertile sottobosco musicale catanese arriva l’ep autoprodotto di esordio dei 600000 Mountains, un gruppo che fa uno stoner molto acido e ben strutturato.

Una breve descrizione del loro suono è quella scritta sopra, ma se si ascoltano i primi tre pezzi di questo ep di esordio si possono trovare molte altre cose. Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog. I 600000 Mountains non cantano, ma sarebbe forse superfluo o magari lo faranno in futuro, sicuramente con questo disco non annoiano, perché la musica interamente strumentale non è affatto tediosa come dicono molti, ma è più difficile da offrire in termini di qualità. A volte i testi nascondono imbarazzanti vuoti creativi, perché se suoni bene, hai le idee chiare in testa e viaggi lontano come qui non v’è bisogno di favellare. I tre pezzi sono tutti di ampio respiro, con il secondo che oltrepassa gli otto minuti, e hanno uno sviluppo molto ben congegnato, come fossero viaggi che accompagnano l’ascoltatore là dove le nubi toccano oltre il cielo, verso lo spazio. I punti di riferimento sono più o meno gli stessi della maggioranza dei gruppi di questo genere, ovvero Kyuss, Karma To Burn e ovviamente i Tool, soprattutto per quanto riguarda la composizione. Ascoltare questi tre pezzi è molto gratificante e rende bene l’idea di un trio che ha molte qualità e possiede altrettanto talento nel creare certe atmosfere che piacciono a chi ama la musica come fuga, ed è sempre bello ascoltare cosa nasce nelle salette e nei garages della penisola. Un buon esordio che fa presagire un futuro radioso e fumoso.

Tracklist
1. Take Care and Survive
2. Omelette Man
3. Horse Suplex

Line-up
Simone Pellegriti -guitar
Guido Testa – bass
Giorgio Rosalia – drums

600000 MOUNTAINS – Facebook

Riccardo Tonoli – City Of Emeralds

La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.

City Of Emeralds è il primo lavoro strumentale del chitarrista Riccardo Tonoli, da più di dieci anni in forza ai Tragodia, ex di Bladhe, D-Vines ed Hand of Glory e in veste di collaboratore con i norvegesi To Cast a Shadow e Gravøl e i nostrani Take Me Out e Dark Horizon.

Prodotto da Daniele Mandelli e dallo stesso Tonoli, l’album parla di Dorothy, che dopo essere stata travolta da un tornado si ritrova in un mondo fatato, nel quale incontrerà personaggi di ogni tipo, raccontato dalla chitarra del musicista lombardo, aiutato da Luca Paderno al basso ed Arin Albiero alla batteria.
Il lavoro, strumentale, mette in evidenza la tecnica sopraffina di questo chitarrista: City Of Emeralds è forse l’album più shred oriented che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, anche se Tonoli mantiene un approccio al songwriting lineare quanto basta per permettere anche a chi non è avvezzo alle opere del genere di carpire le atmosfere regnanti sui tredici brani che compongono l’opera.
Metal progressivo di alta scuola, ricamato da evoluzioni strumentali e raffinate sfumature shred sono comunque le qualità principali dell’album che attrae e rapisce grazie alle atmosfere fantasy che disegnano luoghi meravigliosi nell’immaginario di chi ascolta.
La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.
Tra i bani segnalo Through The Looking Glass, Mad Hatter, The Garden Of Light Flowers, The Rabbit Hole, anche se City Of Emeralds è opera da ascoltare nella sua interezza, quindi prendetevi un’oretta, mettetevi comodi ed esplorate questo mondo fiabesco in compagnia di Dorothy, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Meeting The Kalidahs
2.Live Together, Die Alone
3.Through The Looking Glass
4.City Of Emeralds
5.Mad Hatter
6.There’s No Place Like Home
7.Walkabout
8. The Garden Of Light Flowers
9.The Pattern
10 A Road With Yellow Bricks
11.The Rabbit Hole
12.The Myth Of The Cave
13.There’s More Than One Of Everything

Line-up
Riccardo Tonoli – chitarre, basso, programming e arrangiamenti
Luca Paderno – basso
Arin Albiero – batteria

RICCARDO TONOLI – Facebook

Rikard Sjöblom’s Gungfly – Friendship

Echi di Yes, Gentle Giant, Genesis e Kansas, sono ad appannaggio degli ascoltatori in questo scrigno di musica raffinata, che non manca di emozionare con cascate di melodie, magari retrò ma godibilissime.

Il progressive rock classico, da anni messo in un angolo dalle tante ramificazioni che si sono create nel genere, torna a risplendere in questo ultimo lavoro di Rikard Sjöblom (ex Beardfish, Big Big Train) a distanza di un anno dal precedente On Her Journey To The Sun.

I Rikard Sjöblom’s Gungfly sono di fatto il progetto solista del musicista svedese il quale, accompagnato da una manciata di musicisti ospiti, ha dato vita ad un altro bellissimo lavoro di progressive rock ispirato in toto agli anni settanta e a quella manciata di gruppi che hanno fatto la storia del genere.
Friendship è composto da sette brani più tre bonus track, licenziato dalla InsideOut, label che di musica progressive se ne intende è un viaggio a ritroso in quello che è il meglio del genere, niente di originale ovviamente ma sicuramente un ottimo ascolto per gli amanti del genere.
Echi di Yes, Gentle Giant, Genesis e Kansas sono ad appannaggio degli ascoltatori in questo scrigno di musica raffinata, che non manca di emozionare con cascate di melodie, magari retrò ma godibilissime.
La title track è il brano cardine di questo nuovo lavoro, tredici minuti di prog rock di alto livello, così come le divagazioni semi acustiche della sognante They Fade, la frizzante Stone Cold ed il ritorno al progressive di scuola Yes con la bellissima If You Fall, Part 2.
Ottimi musicisti, belle canzoni, grande musica progressive, serve altro ?

Tracklist
1. Ghost of Vanity
2. Friendship
3. They Fade
4. A Treehouse in a Glade
5. Stone Cold
6. If You Fall, Pt.2
7. Crown of Leaves

Bonus Tracks
8. Slow Dancer
9. Past Generation
10. Friendship (Utopian radio edit)

Line-up
Petter Diamant – Drums
Rasmus Diamant – Bass on Tracks 1,5,7 and 9
David Zackrisson – Guitar on tracks 6 and 7
Rikard Sjöblom – Vocals, guitar, keyboards and bass

GUNGFLY – Facebook

Kotiomkin – Lo Albicocco al Curaro Decameron 666

Le fondamenta di questo suono sono le colonne sonore dei film italiani minori degli anni sessanta, settanta e ottanta, film innovativi e dalle grandi soundtrack, nelle quali l’avanguardia musicale poteva mostrarsi nuda e senza remore, regalando molte gioie.

Nuovo disco di questo duo italiano che confeziona splendide colonne sonore di film immaginari.

Il gruppo nasce da un’idea di Ezio P. Zender nel 2012 e ha già pubblicato Maciste Nell’Inferno Dei Morti Viventi – Peplum Holocaust e Squartami Tutta – Black Emanuelle Goes To Hell: i titoli dicono molto ma la questione è ancora meglio. La musica di questo duo è un qualcosa di inedito per molte orecchie, un viaggio di synth e chitarra, inframezzato da estratti da questi film immaginari. In pratica come se fosse una jam adattata alle immagini, questa musica che ora si attarda ora si slancia impetuosa è qualcosa che scorre senza mai ripetersi per tutto il corso del disco. Le idee dei Kotiomkin sono molteplici e tutte buone, l’ascoltatore non sa mai cosa lo aspetta, e il viaggio sonoro è molto bello. Le fondamenta di questo suono sono le colonne sonore dei film italiani minori degli anni sessanta, settanta e ottanta, film innovativi e dalle grandi soundtrack, nelle quali l’avanguardia musicale poteva mostrarsi nuda e senza remore, regalando molte gioie. Per la prima volta nella sua carriera il gruppo abbandona le chitarre per fare il tutto con i synth e la batteria. Il suono è molto fresco e ha un forte sapore di improvvisazione jazzistica, un andare oltre la forma canzone rompendo molti schemi in nome di un’avanguardia che è soprattutto mentale. La fisicità e il sesso sono qui onnipresenti, legandosi al dimonio che guida le azioni di donne e falli sventurati, e anche questo è reso benissimo ed in maniera molto fantasiosa. Una suora suicida, un padre che non si arrende, un demonio e tanto altro per una storia avvelenata come un albicocco al curaro. Qui i generi musicali si sovrappongono, dal noise al lounge satanico, stoner, prog e tanto altro, per un qualcosa di davvero originale ed unico. Non costa molto vendere l’anima ai Kotiomkin, ne ricaverete solo grande godimento.

Tracklist
Lo Lato A
I. Fatal Commestio
II. Sexy Averno
III. Metti lo Diavolo Ne Lo Convento

Lo Lato B
IV. Vilan Chesserton
V. Satanasso “Protettore” Delle Donne

Line-up
Enzo P. Zeder – Bass & Analogic Synthesizers
Gianni Narcisi – Drums

KOTIOMKIN – Facebook